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Autore: M a i    06/09/2012    2 recensioni
[Questa storia partecipa al contest "Di Serpi ed Enigmi- Tom Riddle contest" indetto da Delirious Rose sul forum di EFP]
Tom Orvoloson Riddle a dieci anni, solo, in punizione in una vecchia stanza gelata il giorno del suo compleanno e il desiderio della vita eterna che per la prima volta fa capolino nella mente del futuro Lord Voldemort.
[...]Lui fermerà la morte … ma riuscirà a fermare anche il tempo? Domanda una voce maligna nella sua testa, come a volerlo convincere che il suo destino, in ogni caso, sia segnato. Le sue labbra finiscono per arricciarsi di nuovo irritate. No, è vero: il tempo non lo avrebbe potuto arrestare, ma allungarlo sì. [...]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Tom O. Riddle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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titolo: Some day the death will come, but not for me 
link storia: Some day the death will come, but not for me 
breve introduzione: Tom Orvoloson Riddle a dieci anni, solo, in punizione in una vecchia stanza gelata il giorno del suo compleanno e il desiderio della vita eterna che per la prima volta fa capolino nella mente del futuro Lord Voldemort. 
rating: Verde 
genere: Introspettivo, Malinconico, Triste 
avvertimenti: Nessuno 
note d’autore: (ove necessario) Nessuno 

Some day the death will come, but not for m
 

                                                                                                                                                                 - […] Con il sudore del tuo volto mangerai il pane,

                                                                                           finché non ritornerai alla terra,                    
                                                                           perché da esse sei stato tratto:
                          polvere tu sei e in polvere ritornerai! -   
           

La Bibbia, Genesi 3,19-20   

Fasci di luce deboli e fiochi, provenienti dalla piccola finestra sbarrata, creano strane ombre che si allungano e distorcono sulle pareti di pietra, fino a confondersi nell’oscurità. Uno spiffero di un vento gelido s’infiltra con passo felpato, come se temesse che al minimo rumore quell’equilibrio quasi sacro potesse essere profanato. Quel soffio d’aria scivola lieve, srotolando le sue spire nel nulla e al suo passaggio anche la superficie scrostata di un vetro trema, come se potesse percepirlo. Ma pian piano, come le onde di un mare burrascoso si spezzano sulla costa rocciosa, così pure esso s’infrange nel muro, fondendosi. Ma la sua corsa non si ferma: si ramifica, dilatandosi nella parete, come la linfa si espande in una quercia e ciba l’albero, anche esso sembra voler nutrire la pietra. Un cinguettio malinconico risuona, inaspettato, producendo lo stesso effetto che fa un tuono che squarcia un cielo sereno.
Una figura rannicchiata a terra, con i piedi nudi, ormai insensibili dalla troppa permanenza a contatto con quella lastra di ghiaccio del pavimento, alza il capo, che era stato affondato nelle gambe così gracili da sembrare solo ossa. Ciocche scure e unte celano gli occhi della creatura, ma i suoi tratti fini e le labbra screpolate riescono invece a essere ben distinguibili in quella penombra. Una mano di una sfumatura bluastra sale a scostare i capelli, rivelando due pozzi tanto neri da creare la bizzarra sensazione che a cadervi dentro non se ne toccherebbe mai il fondo. Incorniciati da lunghe ciglia folte, risaltano piuttosto inquietanti nel pallore del volto, talmente accentuato da sembrare emanare una luce propria. Le palpebre si socchiudono per permettergli d’individuare un cuculo appoggiatosi sul davanzale. Questi saltella come per scaldarsi, scrollando dalle piume arruffate dalle intemperie dei fiocchi di neve, molti dei quali già sciolti dalla sua temperatura corporea. Zampetta, lasciando delle minuscole impronte sulla prima neve che si è riuscita a depositare. Infila la testolina tra le sbarre di ferro, picchiettando con il becco la pietra, nella speranza di trovare anche solo dei residui di briciole, almeno per sfamare i suoi piccoli. La figura si solleva a fatica, con i muscoli intorpiditi per la scomoda posizione in cui erano stati costretti, facendo forza con i palmi appoggiati al muro alle sue spalle, senza però staccare lo sguardo dall’animale che becchetta con sempre più frenesia i sassolini, come intuendo un pericolo in avvicinamento. Con passo barcollante l’individuo arriva sotto la finestrella, portandosi un braccio davanti al viso, come se quei raggi invernali potessero accecarlo o addirittura ustionare la sua carnagione così chiara.
- Basta, uccellaccio. Vai via … – sibila, rauco.
Ma il cuculo, al contrario, tamburella con il becco con più insistenza, come se volesse arrivare a fare un buco.
- Ti ho detto di andartene ! – ringhia, imperioso, sbattendo un pugno contro la parete e sbucciandosi le nocche, che spaccate, mostrano la carne lucida e rossa. L’uccellino, sussultando, inizia a sbatacchiare le ali nere e grigie e tenta di alzarsi in volo, ma finisce solo per urtare  la pietra soprastante 
- Vattene, vattene ! – urla di nuovo addosso alla povera creatura, che tremando e sbandando, riesce a trovare la via d’uscita. Si allontana muovendo le ali con una forza disperata, per non cedere al turbine di fiocchi di neve che però lo investe in pieno, facendolo precipitare come una foglia rinsecchita caduta dal suo ramo. La figura si appoggia alla parete, per reggersi in piedi, presa da un attacco violento di tosse che lo sforzo gli ha portato. Una scarica di tremiti lo percorre da capo a piedi, passandogli per la spina dorsale. La parete di fronte gli rimanda il riflesso di un’ombra indistinta. No, non è la parete. È uno specchio appeso alla parete, sempre che se possa essere definito specchio. Una semplice lastra di vetro impolverata sarebbe più appropriato. L’individuo avanza con cautela come se, a ogni passo che compie, fosse indeciso se tornare a raggomitolarsi nel suo angolo.  Si ferma lì davanti, a diversi centimetri di distanza, senza avere il coraggio di avvicinarsi oltre, forse per la paura infantile di esserne risucchiato. All’interno del vetro un ragazzino lo scruta sospettoso: le gote sono leggermente colorite, di un rosa tenue, mentre gli occhi scuri sono lucidi, anche troppo per essere normale. La tunica rattoppata, nuovamente lacerata da diversi strappi, copre il suo fisico rinsecchito e apparentemente fiacco. Nonostante ciò, il ragazzino porta traccia di un’enorme bellezza, oscurata solo dalle condizioni di vita degli ultimi dodici giorni, così come il sole, ogni anno, viene coperto dalle nuvole scure dell’inverno ed ogni estate poi torna a mostrasi nel suo splendore. Tom si stringe di più nel suo unico e sottile indumento, analizzando il suo riflesso. È una tortura essere messo in isolamento durante il periodo più freddo dell’anno. Non tanto per il buio che regna anche all’una di pomeriggio, né per il silenzio che sembra raddoppiarsi, poiché le urla degli altri bambinetti, che di solito giungono dal parco, non gli tengono compagnia, e neanche per il freddo e le condizioni più dure, che deve sopportare e che, puntualmente, lo costringono altrettanti giorni a letto con la febbre. No. La cosa che non sopporta è di dover passare il suo compleanno rinchiuso come un animale dello zoo. E se non sbaglia di grosso, oggi, è proprio il trentuno dicembre. Non che a lui piaccia festeggiare il suo compleanno, sia chiaro. Perché ciò significa solo che sta crescendo, e allo stesso tempo invecchiando. Perché pian piano le rughe deturperanno il suo volto, la sua pelle non sarà  più diafana e vellutata ma raggrinzita come quella delle vecchie mendicanti, che elemosinano nelle strade. I capelli perderanno il loro colore diventando pian piano sempre più stinti, forse li perderà addirittura, come quei signori aristocratici, che tentano di nascondere le loro calvizie usando quelle ridicole parrucche, nella convinzione che la vecchiaia sia una cosa per poveri. Gli calerà la vista e i suoi movimenti agili da ragazzino saranno sostituiti da quelli lenti e faticosi da uomo di mezza età. Sempre che ci fosse arrivato alla mezza età: deve solo aspettare altri otto anni per scappare da quel luogo maledetto e poi nei migliori dei casi sarebbe finito in mezza la strada a far compagnia ai topi, a morire di fame. Forse anche quel miscuglio sgradevole di verdure che gli servono per pranzo, gli sembrerà la fine del mondo, a quel punto. L’ha sentito dire da diversi ex-orfani che tornano lì in cerca di prestiti o solo di un alloggio temporaneo, che finiscono sempre per prolungare più possibile, con preghiere e suppliche alla signora Cole. Ma lui non si abbasserà a fare una cosa del genere. No. Non tornerà a supplicare del cibo a quella vecchia decrepita. Cercherà anche nei bidoni, pur di non farlo. Non che avesse intenzione di mettersi a mendicare: Tom andrà contro tutti e tutto per ottenere il posto che gli aspetta. Lotterà anche con le unghie e con i denti se ce ne sarà bisogno, ma sa già che non dovrà farlo. Perché lui ha qualcosa, qualcosa che gli altri non hanno. Oh, sì. Qualcosa che lo distingue, che lo rende unico. Ma non come un animale raro: lui è proprio unico, solo, in quella massa indegna di umani cui ha la sventura di appartenere. E come per dimostrarlo a una presenza invisibile, appoggia il polpastrello dell’indice sul vetro.  In un istante la polvere sparisce, lasciando lo specchio come tirato a lucido. Tom ghigna alla sua immagine, ora ben visibile, il trionfo inciso in ogni lineamento. E nonostante gli stracci e i capelli sporchi, appare più solenne di un qualsiasi imperatore addobbato a festa. Che si tenga pure il suo sfarzo quel sultano, in confronto a lui sarebbe rimasto lo zero assoluto. Il ragazzino si porta il dito davanti agli occhi esaminando la polvere risucchiata, e incomprensibilmente gli angoli della sua bocca si afflosciano. Le labbra diventano talmente sottili, che sembrano sparire, mentre gli occhi dardeggiano. Un pensiero lo coglie, investendolo in pieno come il turbine di neve aveva investito quel cuculo. Polvere. Non gli piace l’effetto che gli procurano quei frammenti così innocui. Perché sa, nonostante i suoi dieci anni, che lui un giorno diventerà quel pulviscolo. E forse anche prima che il tempo finisca la sua corsa. Non ci vuole niente, una botta alla testa, un trauma cranico e nel giro di qualche anno di lui rimarrà solo un cumolo di quella polvere, ammucchiata in una tomba sotterrata dimenticata da tutti, il risultato del suo corpo marcito. Possibile che sia quella la fine che l’uomo dovrà  avere ? Giusto … l’uomo. Non lui. Lui non è un uomo, o almeno non è un uomo come tutti gli altri. Ecco un’altra cosa che lo rende migliore rispetto a un re. Tom può evitare di morire, lui no. Non gli servono tutte le ricchezze di quella terra se poi un giorno non ne potrà più usufruire. Il ragazzino strofina l’indice contro il pollice, dove la polvere era rimasta attaccata, mentre le labbra lentamente riacquistano la loro forma abituale. Lui fermerà la morte … ma riuscirà a fermare anche il tempo? Domanda una voce maligna nella sua testa, come a volerlo convincere che il suo destino, in ogni caso, sia segnato. Le sue labbra finiscono per arricciarsi di nuovo irritate. No, è vero: il tempo non lo avrebbe potuto arrestare, ma allungarlo sì. Tom sfrega ancora i due polpastrelli, facendo staccare i frammenti, che ondeggiano nel vuoto e si depositano ai suoi piedi, confondendosi col pavimento grigio. Lui continuerà a vivere, che la cupa mietitrice lo volesse o no. Non può impedire al tempo di corrodergli il corpo, ma non permetterà alla morte di finire il suo lavoro trasformandolo in polvere. Non sa né come, né dove, né quando, ma quel giorno in cui sarebbe arrivata, non sarebbe stato per lui.  

   
 
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