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Autore: Padfoot_Daydreamer    06/09/2012    1 recensioni
"Per l’ennesima volta mi aveva iniettato il suo veleno, ne ero certa, quel veleno che mi offusca la mente, causa insonnia e nausea; ed è lo stesso veleno che mi impedisce di ribellarmi ai suoi capricci, lo stesso veleno che mi logora fino alle interiora. Ma nonostante tutto il dolore, è proprio di quel veleno che non posso fare a meno. "
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Veleno




Apro gli occhi contorcendo il volto in una smorfia mentre un suono penetrante mi perfora prepotentemente i timpani. Afferro il cellulare da sotto il cuscino e stacco l’odiosa sveglia, quel motivetto così snervante che ispirerebbe manie omicide perfino al Dalai Lama, ma che mi ostino a non cambiare per pigrizia; fisso lo sguardo sul display illuminato, sono già le venti meno un quarto. Ho solo una misera ora per prepararmi per quello che potrebbe essere uno momento decisivo per la mia esistenza, direi che tutto dipende da quell’incontro, finalmente capirei se quest’ultimi sono stati solo mesi persi o se tutto questo ha un senso. Scaglio svogliatamente il cellulare sul piumone e fisso il soffitto, senza un pensiero ben definito nella mia testa, come se dopo tanto, tutte le mie riflessioni abbiano deciso di darmi tregua. Inspiro avidamente fino a sentire quasi scoppiare i polmoni, come se fossi gelosa dell’aria che mi circonda e  desiderassi prenderne il possesso il più velocemente possibile, come se non avessi più tempo. Tempo, non ho mai ben capito come funziona, certe volte sembra infinito e adesso un’ora mi sembra così misera, sessanta minuti per andare a fare i conti con la realtà, quella nemica dalla quale cerco di fuggire ormai da innumerevoli giorni. Mi trascino davanti allo specchio e mi scruto come se l’immagine sulla quale ho puntato gli occhi sia una sconosciuta, i capelli arruffati, occhi arrossati, la fedele matita nera colata che crea degli aloni intensificando le imponenti occhiaie. Sarei tentata di uscire così è urlargli in faccia “Guardami! È così che mi hai ridotta!”. Raccolgo i ciuffi biondi in una crocchia morbida, una pulita al viso ed una passata di mascara, apro l’armadio e afferro senza pensarci troppo la mega-felpa nera, jeans strappati e le mie Converse ormai logore, ma sono l’indumento che meglio esprime il mio stato d’animo. Guardo fuori dalla finestra, sta piovendo, mi avvento alla porta ed esco. Solo quando sento il portone sbattere alle mie spalle realizzo dove sto realmente andando; inizio a correre, le gocce di pioggia che mi rigano il volto, corro così velocemente da sorprendere me stessa, corro senza dar segni di stanchezza, corro e basta, come se stessi scappando. Forse è proprio da me stessa che sto cercando di fuggire, mi odio, mi odio per quello che mi sto facendo, mi costringo ad un confronto pur sapendo di non essere ancora abbastanza forte. Mi sto avvicinando, tra gli alberi riesco a scorgere i contorni della vecchia casa di campagna, inizio a correre ancora più velocemente, il volto arrossato, il fiato mozzato. Vedo la tenda fuori dalla finestra aperta che vola trasportata dal vento da un lato all’altro, quel piccolo dettaglio mi rivela ciò che una parte di me sperava ma allo stesso tempo temeva più di ogni altra cosa, lui è già lì. Mi appoggio alla porta di legno che si apre con un acuto cigolio, abbasso lo sguardo, proiettata sulla parete frontale vedo la sua ombra, senza fiatare mi accovaccio sul pavimento davanti al camino che deve essere stato acceso poco prima. “Hey” sento pronunciare da una voce lenta e profonda alle mie spalle, senza girarmi, in un sol respiro rispondo “Cosa vuoi? Perché mi hai chiesto di venire?”, sento una mano affermi il polso sinistro costringendomi a girarmi. Ed eccolo là, i capelli bagnati, ancora gocciolanti, gli occhi chiari che mi fissano penetranti. “Guardami”sussurra avvicinando le sue labbra al mio volto. Cerco di divincolarmi invano “Dimmi che non mi pensi più la notte quando non riesci a dormire, dimmi che ogni volta che senti il mio nome non arrossisci più, dimmi che per te non conto più niente e ti lascerò andare”. Sento un nodo sempre più grande in gola, gli occhi che bruciano “Io..” non riesco a dire altro con la voce che mi si spezza in gola, le lacrime che mi rigano il volto. Vorrei togliermi dalla sua presa e urlare a gran voce che se dicessi ciò che lui mi ha chiesto senza dubbio mentirei, ma che è ciò che più desidero, vorrei odiarlo, smettere di sperare di vederlo arrivare sotto la finestra di camera mia come i vecchi tempi. È questo il fatto, come i vecchi tempi, ma adesso i tempi sono cambiati e la persona che avevo conosciuto un tempo sembra essersi dissolta nel nulla, quel ragazzo pronto sempre a farmi ridere e che cercava di proteggermi a modo suo, lui, che quando restavamo soli abbassava lo sguardo, arrossiva e mi sorrideva, di quel ragazzo sembra essere rimasta solo l’ombra sulla parte alla flebile luce della fiamma scoppiettante. Vorrei dirgli che mi manca e che nonostante abbia cercato di distorcere l’immagine del suo volto dalla mia mente, inquinando il ricordo con altri ragazzi, giovani senza volto dei quali rimembro a stento il nome, ma tutto è stato inutile. Vorrei farlo, davvero, ma tutto ciò che riesco realmente a fare è lasciarmi cadere tra le sue braccia mentre lui mi stringe sollevandomi lievemente dal pavimento, mi mette seduta sull’antico tavolo e senza darmi il tempo di replicare sento le sue labbra sfiorare le mie e in meno che non si dica percepisco la sua lingua violenta che cerca la mia, lo lascio fare mentre sento gli occhi ricominciare ad inumidirsi. Mi stende sul tavolo e continua a baciarmi come se ciò gli fosse dovuto, le nostre mani intrecciate in una presa indivisibile, il suo petto contro il mio e, all’improvviso lo sento, quel profumo dolcastro, lo sento così vicino ed è proprio dai suoi vestiti che proviene, quel profumo che mi costringe a tornare alla realtà. Quello è il suo profumo, proprio come quello è il suo ragazzo ed è proprio per questo che stavo cercando di cacciarlo dai miei ricordi, era l’altra il motivo; anche se per essere più precisi in questo caso l’altra sono io e non lei. Sento una fitta al cuore, il dolore ricomincia penetrante come una lama infuocata, è così palese, era con lei fino a poco fa, ma questo non sembra creargli alcun disagio. D’altronde non si è mai posto problemi a fissarmi insistentemente anche in suo compagnia; voleva iniziare una nuova vita con lei, così perfetta, ma non era pronto a rinunciare a me, con i miei mille problemi e aveva deciso che quello sarebbe stato il ruolo perfetto per me, la sua bambolina per incontri occasionali, ha calcolato tutto nei minimi particolari, ne sono certa, eppure, nonostante tutto non riesco a liberarmi dalla sua presa, rimango lì, distesa su quel tavolo come complice del suo sporco piano. Ma cosa m’importa? Almeno in parte così lui resta mio, ma non sarò io colei che un giorno definirà “la mia fidanzata” davanti alla sua famiglia, non sarò io la madre dei suoi figli. Cosa sarò? Una sagoma invisibile, aria, che prende corpo a suo piacimento, ed è proprio così che si comporterà davanti a tutti con me, come se fossi invisibile. Lo stringo a me ancora più forte, voglio sentire il battito del suo cuore come se sperassi di sentirgli urlare il mio nome ma ciò che produce è solo un battito accelerato. Improvvisamente sposta il suo sguardo bramoso dal mio volto al suo Rolex e si alza di scatto indossando la sua giacca, senza dire niente mi bacia un’ultima volta e si dirige alla porta;  mentre sta per uscire ho la forza di gridare “Hai deciso di continuare ad amarmi?”, si volta con un sorriso sornione sul volto, strizza un occhio e se ne va. L’avrei risentito? Probabilmente dopo mesi, e l’avrebbe mai lasciata per me? Sicuramente no. Ma questa è la mia vita, questo è il mio ruolo, non potrebbe essere altrimenti perché ogni volta gli permettevo di insinuarsi nella mia mente, i suoi baci creano una dipendenza malsana che mi spingono a cercarlo ancora e ancora. Istintivamente mi guardo i polsi con le vene in evidenza e per un attimo mi sembra di vederci scorrere un liquido nero. Per l’ennesima volta mi aveva iniettato il suo veleno, ne ero certa, quel veleno che mi offusca la mente, causa insonnia e nausea; ed è lo stesso veleno che mi impedisce di ribellarmi ai suoi capricci, lo stesso veleno che mi logora fino alle interiora. Ma nonostante tutto il dolore, è proprio di quel veleno che non posso fare a meno. 
  
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