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Autore: Josie5    06/09/2012    5 recensioni
Una punizione divina. Per Evelyne Gray, la ragazza del giornalino scolastico o la presidentessa, come ci tiene a dire lei, Max Parker è una punizione divina.
Evelyne è infatti convinta che il karma o Dio, o qualunque cosa sia, stia cercando di punirla con lui.
Punirla perché, a causa di problemi economici, comincia a sfruttare il fatto di essere così ben voluta dai professori per passare le soluzioni dei test ad alcuni suoi compagni di scuola; il tutto in cambio di soldi.
Evelyne non è orgogliosa di se stessa, ma per quasi due anni continua a tradire la fiducia che le è stata concessa.
Quando decide di smettere non tiene conto del fatto che Clark, il suo ultimo "cliente", sia uno dei migliori amici di Parker; non tiene conto del fatto che Parker stia preparando la sua vendetta fredda.
Max ed Evelyne non si sono mai parlati, ma si conoscono molto bene per via del giornalino di lei e di un certo articolo. E Max Parker, il capitano della squadra di basket della scuola, bello e popolare, non può di certo essere umiliato senza conseguenze. Non dopo quello che ha fatto Evelyne.
(Revisione in corso: 3/31)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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 1.Fiducia 

 

 

 

La Fiducia era una cosa essenziale nella vita.

Se fossi riuscito ad ottenerla non avresti mai trovato porte chiuse sulla tua strada. Così la pensavo e così agivo.

La mia strada, il mio percorso, mi avrebbe dovuto portare a diventare una giornalista; a stringere tra le mani una borsa di studio, nel mio caso assolutamente necessaria per andare all'università per poi, forse, coronare il mio sogno.

Gli ingredienti essenziali per la mia Fiducia erano studio, impegno, attività scolastiche produttive e un ottimo rapporto con i professori.

Il primo e il secondo punto non erano per me un problema, essendo sempre stata portata per le materie scolastiche e anche se solo con quelle due cose non mi differenziavo particolarmente dagli altri (insomma, ero solo una studentessa diligente), era comunque abbastanza per ottenere il permesso di entrare a far parte del giornalino scolastico. Da lì la scalata era diventata più difficile: era servita la Fiducia, la Fiducia dei professori. Quella l'avevo ottenuta dopo due faticosi anni, in cui ero riuscita a diventare il primissimo "direttore" nella storia del giornale scolastico. 

La fiducia della preside invece, quella più importante, era arrivata quasi automaticamente grazie alle novità che avevo introdotto e che avevano portato anche soldi nelle casse scolastiche: il giornalino costava 1 dollaro e grazie alla rubrica di foto imbarazzanti riuscivamo a venderne parecchi.

Ero arrivata così all'ultimo anno senza particolari intoppi; la borsa di studio e il mio roseo futuro erano assicurati; mi sarebbe bastato mantenere integra la mia reputazione da brava ragazza per un altro anno, essere ancora tra le migliori in ogni ambito e mantenere così la loro Fiducia. Solo quello e tutto sarebbe stato perfetto. Mantenere qualcosa che già avevo.

Solo quello.

Tutto, insomma, sarebbe andato nel migliore dei modi, se non fosse stato per la mia avarizia.

E per lui, ovvio.


 

- L'ultima volta! – Mi scongiurò lui, parandosi di fronte a me. Tutta scena.

Lo ignorai oltrepassandolo e continuando a camminare tranquilla per il corridoio.

- Evelyne! - Provò di nuovo seguendomi come un cagnolino; quello però che lo spingeva a torturarmi non era affetto ma solo e assoluto bisogno.

- Doveva essere l'ultima volta anche due settimane fa.

Non mi girai a guardarlo ma ero sicura che si fosse morso le labbra a sangue.

Rimase in silenzio per un tempo sufficiente da permettermi di arrivare davanti alla nostra classe di Storia con tutta la tranquillità necessaria a fare mente locale dei nomi importanti che ci sarebbero stati chiesti nel compito. Quasi sperai che se ne fosse andato.

Sentii però all'improvviso la presa forte della sua mano sulla spalla.

Alzai gli occhi al cielo fermandomi e girandomi a guardarlo per la prima volta. Era irritante essere sempre in svantaggio di altezza con quei dannati giocatori di basket.

Seth Clark era quel tipico ragazzo che potevi vedere dal finestrino della tua macchina, arrivando a scuola, intento a fumarsi una sigaretta ostentando fascino o lanciando occhiate azzurrine a ogni essere dotato di tette che incrociava, mettendo bene in mostra il suo unico dato positivo: gli occhi. Una gran testa di cazzo decisamente, idiota, odioso: e in effetti appariva solo quello alle menti dotate di un minimo di intelligenza. Ma come si sa, l'intelligenza è rara e ancora di più al liceo; infatti Seth era pieno di ragazze, di amici e anche di soldi, caratteristica che poi aiutava le prime due.

- Trecento dollari. - Furono le sue uniche parole.

Appunto: pieno di soldi.

Il mio “No” già sulla punta della lingua evaporò. Lui sorrise pensando già che avrei ceduto e decisamente lo sapevo anch'io. 

Sospirai passandomi una mano tra i capelli. Stritolai con forza delle ciocche dietro alla nuca, chiusi con forza le palpebre.  

- Okay, solite regole: ripeti. - Riaprii gli occhi cominciando a guardarmi intorno. La campanella non era ancora suonata e io, per riuscire a scappare dal ragazzo che avevo di fronte, ero corsa davanti alla classe dell'ora dopo con un po' di anticipo. Per fortuna!

Sbuffò mollandomi la spalla e infilandosi le mani in tasca. - E che palle! Ormai le so! Sembri una professorina: fai sempre così!

Seth ha quello che vuole? Oh, bene, addio Seth cagnolino! Benvenuto vero Seth!

Lo fulminai - Se non fosse per i trecento, non sai con quanta voglia ti manderei a quel paese. - Ringhiai.

La mia situazione economica era stranamente nota a tanti, soprattutto a soggetti come Seth. Vivevo in una piccola casetta, sola ad intervalli: ogni tanto infatti mia zia, la mia madre adottiva, riusciva ad abbandonare il suo ufficio a New York e mi raggiungeva per qualche settimana (in realtà pochi giorni); soste brevi ma frequenti. 

Zia Lizzy era la sorella di mia madre, morta dandomi alla luce. Era giovane, trentasei anni appena compiuti, e per non farle pesare tutto troppo le avevo chiesto di darmi meno soldi, soldi che lei, vivendo a New York ed essendo sola, sola in tutto, non aveva e le servivano. La sua risposta era stata all'inizio negativa: con quello che le avevo chiesto diceva, ed era stato così, non sarei riuscita a mantenermi da sola. Le chiesi fiducia, di provare a farmi diventare autonoma: avrei trovato un lavoro e alla fine me la sarei cavata più che bene.

Balle.

Me la cavavo decisamente male, malissimo. Lavoravo in una gelateria solo nel weekend e non bastava come avevo inizialmente pensato – o meglio sperato.

Così arrivavo con fatica a fine mese e qualche soldo in più era sempre una benedizione, una salvezza più che altro. Ovviamente per mia zia io me la cavavo alla grande e ovviamente Seth era a conoscenza del contrario: cioè la verità.

Cominciai l'elenco del mio piccolo regolamento smorzando il suo ghigno soddisfatto, soddisfatto di avermi fatto cedere come al solito. - Uno: il compito è domani quindi io oggi ci provo, se non mi danno nemmeno la possibilità di provarci, allora niente, se mi mandano ma io non lo faccio ti devo la metà di quello che tu mi dovevi pagare. - Qui mi fermai innervosita pensando ai soldi che mi dava Lizzy, che non potevo permettermi di perdere - Due: pagamento DURANTE la consegna, se non ce li hai addio e ti arrangi.

- Sì, sì. - Fece roteare gli occhi al cielo – Tre. - Mi fece il verso. - Se sono tentato di parlare devo pensare a due semplici cose: i soldi che ho comunque perso e a chi crederebbe alla mia parola contro la tua; e ultimo ma non meno importante, quattro: copi soltanto le domande necessarie per la sufficienza.

Sorrisi amara - Bravo, almeno qualcosa lo impari a memoria ogni tanto.

Ignorò la mia provocazione, appoggiandosi con la schiena al muro lì di fianco - Compito di Biologia, prof Smith.

Entrai in classe facendogli un cenno con la mano. - Hai seri problemi con Biologia. - Sbuffai sedendomi al mio posto in seconda fila.

Lui sorrise ironicamente. - Per fortuna che ci sei tu, Gray. - Disse con un tono di finto affetto.

- Trecento. - Ripetei scuotendo la testa. - Sei pazzo.

Sorrise di sbieco appoggiandosi all'ultimo banco, senza guardarmi. - Se prendo dei bei voti in Bio questo mese poi mi comprano una macchina nuova. 

Feci una smorfia. Famiglia piena di soldi.

La campanella suonò mentre lui si spaparanzava sulla sedia.

- E cinque. - Mi voltai dalla sua parte guardandolo seria. - Non ci conosciamo. - Gli ricordai all'ultimo. Odiavo quelli che cominciavano ad assillarmi chiedendomi come avrei fatto e tutto. Seth in quella parte però era sempre stato bravo. 

Mi ignorò tranquillamente, tirando fuori il suo cellulare, forse per farmi vedere che rispettava le regole, di certo per farmi capire che lui per primo non voleva avere a che fare con me.

Sospirai inarcando la schiena sul banco. Appoggiai la punta del mento sulla superficie fredda e dura. Ce la potevo fare, mancava poco a novembre…



Seth mi lanciò un leggero sguardo accigliato mentre usciva di corsa, primo fra tutti, dalla classe. 

Lo ignorai tranquillamente, mettendo il punto finale all'ultima frase dell'ultima domanda del compito di storia. Figuriamoci se consegnavo prima per i suoi comodi!

- Spero in un ottimo risultato come al solito, signorina Gray. - Disse tutta uno zucchero la professoressa mentre mi alzavo. 
La professoressa Gardiner era un'anziana donna ormai vicina alla pensione ma arzilla e giovanile, a guardarla insegnare si sarebbe detto che avrebbe continuato per sempre.

Ricambiai il sorriso appoggiando il mio foglio sopra gli altri.

- Tutto bene con il giornale quest'anno? - Chiese per gentilezza sistemandosi il cerchietto tra la criniera rossa, mentre con una mano cominciava a mettere i libri nella tracolla. Mancava solo un'ora per andare a casa e molti prof prendevano ritiravano le armi in anticipo per raggiungere le macchine. Fra questi c'era anche la piccola e tarchiata prof Gardiner.

Annuii mantenendo il sorriso di circostanza. - Ma devo andare un momento in aula insegnanti per prendere alcune informazioni, spero che il prof di Trigonometria mi lasci andare. - Borbottai con tono amaro per evidenziare la mia tristezza di fronte a quella materia. Gesti del genere, fatti non a un prof di Trigonometria, divertivano parecchio.

Lei infatti rise. - Chi hai?

- Il professor Hoppus. - Altrimenti detto “il Polipo”, ma questo non lo dissi.

- Oh, stai tranquilla! Solo perché sei tu ti farà andare! - Disse.

Mi salutò con un leggero buffetto sulla spalla, per poi lasciarmi sola nel corridoio insieme al resto degli studenti che si spostavano da una parte all'altra dell'edificio.

Fiducia, ce l'avevo. Fiducia, non la meritavo.

- Ohilà! - prima che potessi meditare di nuovo su Seth, sentii l'urlo di battaglia e il braccio di Francy mi circondò con forza il collo prima che potessi impedirlo.

Soffocai traballando un attimo.

- Trigonometria! - Esclamò alzando l'altro braccio, la mano stretta a pugno, al cielo - Come finire in modo felice una giornata!

Risi togliendomi il braccio di dosso. - Pensa poi che io ho dovuto soffrire il compito di storia e Seth. - Feci una smorfia.

Le si congelò il sorriso dalle labbra, facendomi pentire subito di aver aperto bocca. - Eve... - cominciò. - Di nuovo? Finirai nei guai… Te lo dico da amica...

Abbassai gli occhi a disagio. Sapevo che aveva ragione ma… - Mi ha proposto trecento dollari e mi servono. - Mi giustificai.

Eravamo arrivate davanti alla porta della classe. Sbirciai dentro: c'erano solo alcuni alunni, ma erano meno della metà.

- Non potresti semplicemente dire a tua zia che i soldi che ti dà sono troppo pochi?! - Chiese come sempre dando il via alla solita discussione.

- No! E sai perché! Comunque è l'ultima volta. - Sospirai. - Sto già cercando un altro lavoro per il weekend pagato meglio… - Borbottai con una smorfia.

Lei scosse la testa. - Basta solo che non tu non ti dia allo streep-tease, ci mancherebbe solo quello!

Risi. - Nah, stavo pensando di chiedere un posto al sexy shop qua vicino… Cercavano una nuova dipendente.

Francy mi diede un leggero colpo di pugno alla spalla facendo tintinnare la borchia al polso. - Non provarci, eh! - Rise.

Francy, abbreviazione di Frances, era la mia migliore amica, quella che sapevo per certo che ci sarebbe sempre stata.
Il mio carattere già di suo non mi aveva portato un gran numero di amicizie nei primi due anni in quel liceo, ma almeno qualcuno con cui pranzare l'avevo sempre avuto. Poi, appena avevo iniziato con il giornalino e concepito l'idea della foto del mese, le mie “amiche” avevano sì continuato a farmi compagnia se volevo, ma quel poco che c'era tra di noi era sparito in un attimo, quasi non si fossero fidate di stare insieme ad una che, così pensavano, le avrebbe potute tradire e mettere in piazza da un momento all'altro. Cosa che invece non avrei mai fatto e lo avrebbero saputo se fossero mai state davvero mie amiche.

Poi era arrivata lei. 

Mi serviva una fotografa e la prima volta che avevo messo piede nel club di Francy avevo capito che era lei quella giusta. Mi era saltata addosso dopo la mia proposta: “Oh! Sì! Potrò sfottere tutte le oche e i cretini della scuola!”, aveva detto entusiasta, facendomi capire fin da subito che tipino fosse.

Così io e lei eravamo finite a girare insieme da ogni parte. All'inizio solo per parlare e scovare argomenti e persone per il giornale, poi solo per “perdere tempo” a chiacchierare.

Eravamo un duo un po' strano: lei, corti capelli neri, con un visino da bambola di porcellana, era una pazza scatenata, rockettara, piena di borchie; io invece normale e seria in tutto quello che facevo. All'inizio. 
Francy infatti mi aveva sbloccata un po' e adesso ridevo e facevo molte più stupidate di prima (se l'accettare dei soldi per far copiare dei compiti fosse tra queste, non lo sapevo). Io invece non avevo fatto molto per lei, ma lei mi ringraziava solo per starle accanto.

- In classe! In classe! - Il Polipo ci passò di fianco correndo dentro l'aula, interrompendo Francy che parlava e i miei pensieri. Ci guardammo sospirando per poi seguirlo.

Vidi la mia amica prendere posto al solito banco di fianco al mio, mentre io mi avvicinavo al Polipo con un po' di soggezione, soprattutto perché Francy mi fulminava e io lo sentivo.

Il prof Hoppus era un uomo sulla cinquantina molto alto, più di molti dei giocatori di basket della scuola, mingherlino come uno stecco, con una testa rettangolare e calvo. Chiamato il Polipo per il cognome e per l'aspetto e anche per certe voci di molti anni prima sui suoi “tentacoli”, ma a cui mi rifiutavo di credere.

- Professore, potrei andare in aula insegnanti? Mi servirebbero delle informazioni per il giornale... - Chiesi mantenendomi sul vago mentre nella mia testa si svolgeva un complicato conflitto interiore: una parte voleva i soldi, una parte preferiva che il prof rifiutasse per poter così andare a casa con l'anima in pace.

Hoppus mi guardò con i grandi occhi sporgenti dietro alle lenti. - Oh, sei tu, Gray, va pure. – E con un gesto della mano fece per congedarmi.

Sorrisi mestamente e arpionando con una mano la tracolla uscii dalla classe.
Mi chiusi la porta alle spalle, svoltando verso destra ben sapendo che l'aula insegnanti era nella direzione opposta. Mi fermai davanti alla scrivania del bidello Joe, vuota - probabilmente era andato a bersi un grappino nello sgabuzzino,-  dietro questa si trovava il pannello con gli orari degli insegnanti. Feci scorrere in fretta il dito  sulla colonna dei nomi alla ricerca di Smith. Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo vedendo che era uscito un'ora prima. Nel caso in cui mi avessero trovata con le mani nel cassetto del professore, avrei potuto inventarmi una qualche commissione da parte sua e non ci sarebbe stato il prof a smentirmi, e il giorno dopo tutti si sarebbero dimenticati dell'episodio. E dopotutto io ero Evelyne Gray, perché avrebbero dovuto sospettare qualcosa?

Tornai indietro sui miei passi prima che il bidello mi sorprendesse a gironzolare; come Gazza di Harry Potter anche lui aveva qualche problema con gli studenti e sospettava di tutti, ma invece di portarsi dietro una gatta, la sua fedele compagna era l'inseparabile scopa che si divertiva ad agitare 
sputacchiando contro gli studenti.

Abbassai la maniglia della porta che portava nella grande aula degli insegnanti. Questa volta ero d'accordo su cosa desiderare: che non ci fosse nessuno lì dentro.

Come spesso mi era successo in quelle occasioni il mio desiderio fu avverato. Evidentemente gli insegnanti liberi erano andati a casa e quelli occupati erano impegnati nelle loro classi.

Sorrisi vittoriosa trovando e aprendo subito il cassetto di Smith; aprii l'ultima cartella dov'erano le verifiche di quelli dell'ultimo anno e cominciai a copiare velocemente su un altro foglio le risposte a tutte le crocette e gli argomenti di altre domande in grado di dare la sufficienza. Chiusi in fretta il tutto e infilai il foglio nella tracolla, stropicciandone leggermente i bordi.

Uscii e a passo leggero di corsa cominciai ad arrancare verso la classe di Hoppus.

- GRAY!

La sfiga era però sempre dietro l'angolo, come il bidello della scuola dopo tutto. Cercai di fingere di non aver sentito niente per quanto fosse in realtà impossibile.

- GRAY! - Urlò di nuovo Joe dall'altra parte del corridoio.

Mordendomi scocciata un labbro mi fermai voltandomi. - Oh, salve! - Sorrisi.

Mi guardò col solito fare sospettoso, Joe aveva la capacità di incrociarmi sempre quando tornavo da compiti di quel tipo. - Cosa fai in giro a quest'ora? Perché non sei in classe?

- Sono andata a svolgere una… una cosa nell'aula insegnati, adesso torno dal professor Hoppus. - Mi dannai mentalmente per l'esitazione che avevo avuto nel parlare e che ora faceva socchiudere gli occhi sospettosi del bidello.

- Vai, vai. - Borbottò agitando scocciato la scopa in mia direzione. - Ma smettila di correre per i corridoi!

Sorrisi dandogli le spalle e tornando a passo svelto verso la mia aula.

Entrai in classe sapendo che mi sarei beccata la seconda sgridata: - Finalmente, Gray! Durante la mia ora mai più - disse infatti scocciato il professore. Borbottai uno “scusi” raggiungendo il banco di fianco a Francy.

- Fatto? - Chiese lei mordicchiando la penna e guardandomi con aria di rimprovero.

Annuii un po' pentita e un po' no. Trecento dollari, insomma. Trecento!

- MA TE! Alla buon'ora, Parker! - Esclamò con un urlo l'insegnante facendomi sobbalzare. - Ma cos'avete oggi?! Tutti a interrompere la mia ora a metà lezione! - E continuò a borbottare tra sé e sé. Si chinò a segnare qualcosa sulla sua agenda: forse un suo promemoria per Parker, forse uno per tutti e due.

Mi girai verso la porta mordicchiandomi l'interno della guancia. 

Max Parker, appena entrato in classe e arrivato da chissà dove, ignorò bellamente il Polipo e il sospiro innamorato che si levò dalla classe (tra cui non c'era il mio, ci tengo a precisarlo!). L'estate aveva sul serio giovato al ragazzo: tutti sembravano essersi dimenticati della foto così come lui, anche se il suo comportamento indifferente sull'argomento non era cambiato di una virgola.

Non che io avessi mai temuto conseguenze.

Parker passò tra i banchi con relativa calma raggiungendo il suo, in fondo. Proprio mentre passava di fianco a me, come sempre nel suo giro, aprì la bocca: - Giornata movimentata, eh? - Alzai lo sguardo ma lui era concentrato a sorridere come se niente fosse ai suoi amici in ultima fila.

Mi corrucciai tornando a guardare giù verso il mio libro appena aperto.

- Ma diceva a te? - Sussurrò Francy attirando la mia attenzione punzecchiandomi con la matita. Allora non me l’ero immaginato.

La guardai perplessa. - Non credo… - Dissi sistemandomi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. - Non ci siamo mai parlati e non ha motivi per cominciare. Penso che dicesse a se stesso.

Francy alzò le spalle. - L'ho pensato facendo quella foto l'anno scorso e lo ridico adesso: quel ragazzo è strano.

Ridacchiai voltandomi leggermente per guardare dietro. Il castano era appena entrato in classe, si era appena seduto e già da sotto il banco messaggiava con il cellulare. Un sorriso soddisfatto pennellato sulle labbra. Scossi la testa esasperata. - Nah, non diceva a me.

Francy annuì muovendo i ciuffi corti neri. - Ah beh sì.

Intanto Hoppus continuava la lezione come al solito.




Uscii dalla classe alla fine dell'ora più esausta che mai. La Trigonometria, aveva ragione Francy, non aiutava a finire bene una giornata. Ignorai l'inizio di mal di testa sapendo di dover ancora cercare e trovare Seth. 

Francy mi prese a braccetto. – Comunque. - Iniziò con fare confidenziale - Tra tutto il tuo solito casino non abbiamo ancora parlato di certe cose importanti. - Mi fece un occhiolino con un fare esagerato e per niente confidenziale che mi fece ridere.

- Vero. Mettiamo da parte la mia avarizia per un attimo. Chi sarà la prossima vittima? - Chiesi.

La prima foto del mese non c'era stata, a settembre non avevamo avuto abbastanza tempo, e ad ottobre era capitata tra le pagine una semplice e solita foto di una delle cheerleader. Francy si divertiva parecchio a torturarle.

- Colpo grosso, colpo grosso. - Ripeté più volte tra sé e sé annuendo con la testa.

- Hai già la foto?! - Le chiesi incredula uscendo con lei da scuola. Di solito Francy era una ritardataria e quell'avvenimento era quasi da segnare sul calendario. Fummo raggiunte anche dal rumore assordante degli alunni che si preparavano a tornare a casa: macchine che si accedevano, moto, risate...

Lei annuì energicamente. - Non so però se me la farai pubblicare dopo l'ultima dell'anno scorso, ma io ce l'ho già quindi. - E alzò le spalle continuando a ghignare.

La guardai male. - Okay, io sarò fissata con i soldi ma tu sei fissata con Parker. Ancora un'altra sua foto?! - La mia occhiata si sciolse velocemente e scoppiai a ridere.

Alzò gli occhi al cielo, con fare divertito. - Oh, dai, ammetto di aver avuto una cotta per lui alle elementari ma è roba passata e superata.

- Se pensi di distrarmi dalla mia domanda iniziale con queste rivelazioni sconvolgenti ti sbagli di grosso. - Risi cercando però di mostrarmi scioccata. - E tra parentesi ti sfotterò a vita per questo!

Lei rise e fece per parlare di nuovo.

- Scusate, ragazze... - Sentimmo a malapena la vocina timida che ci chiamava da dietro.

Era Nicholas, barra schiavetto di Parker e compagnia bella. Data la mole del ragazzone, la voce stonava.

Lo guardai sorpresa. - Cosa c'è? - Chiesi. Cos'erano tutte quelle attenzioni quel giorno? Anche Parker voleva copiare qualche compito? Se fosse stato così avrei picchiato Seth. Quante volte gli avevo detto di non spargere la voce in giro.

Si grattò la fronte nervoso. - Ehm… C'è Clark, Seth Clark che vorrebbe parlarti. - Disse alla fine tentennando e indicandomi con un cenno della testa, probabilmente perché non sapeva se chiamarmi per nome o cognome.

- Oh. - Risposi semplicemente. Lanciai a Francy uno sguardo di scuse.

Lei alzò le mani al cielo. - Mi arrendo! A domani. - E se ne andò via esasperata.

Mi portai una mano al collo innervosita. - Dov'è? - Chiesi alla fine.

Lui indicò sempre con un cenno, stavolta della testa e della spalla, in un movimento molto più simile a una convulsione, la “zona fumatori” di fianco alla scuola. Feci una smorfia sperando di non trovarlo in compagnia dei suoi amici. Ci mancava solo che la gente pensasse che io e Seth avevamo qualcosa di cui confabulare. Afferrai la cinghia della tracolla come anti-stress e andai dove mi aveva detto Nicholas.

Il ragazzo per sua fortuna mi aspettava da solo e non stava nemmeno fumando. Ringraziai tutti i santi del cielo avvicinandomi a lui.

- Ce l'hai fatta? - Chiese scocciato quanto me di essere lì. Non faceva altro che spostare il peso da una gamba all'altra quasi stesse aspettando il momento giusto per correre via.

Lo guardai scettica. - Più che altro: tu hai i soldi? Non mi dire che te ne porti dietro a scuola così tant... - le parole mi morirono in bocca a vedere mentre sul serio tirava fuori il portafoglio con nonchalance.

- Discrezione! - Quasi gli urlai andando contro a quello che avevo appena detto.

Lui sbuffò alzando gli occhi al cielo. – Discrezione. - Mi scimmiottò, probabilmente lo divertiva parecchio perché lo faceva fin troppe volte. Mi passò comunque i soldi in bella vista. Li presi infilandomeli subito nel giacchino. Chiusi gli occhi prendendo una grande sorsata d'aria: mi sentivo una vera e propria traditrice e lo ero.

- Adesso non farti prendere dai sensi di colpa! - Disse quasi rimproverandomi.

Aprii gli occhi per fulminarlo. – Tranquillo. - Feci gelida.

Lasciai scivolare la tracolla sul fianco e tirai fuori il foglio. Glielo porsi con una mano mentre con l'altra indicavo. - E' abbastanza facile: molti vero e falso, te li impari poi, alcuni disegni con indicazioni ma per quelli ti arrangi e qua ti ho scritto le domande aperte più importanti.

Lui annuì con una luce soddisfatta nei suoi bei occhi azzurri. – Grazie. - Mormorò afferrando con brama il foglio.

- E Clark si becca la sufficienza di nuovo, yuppie, - esclamai con finto entusiasmo.

In risposta tornò al suo solito sguardo acido. - Sei: se cambia la verifica restituzione dei soldi.

Alzai un sopracciglio. - Tutta questa memoria mi sconvolge!

Fece per ribattere ma lo bloccai stanca di essere ancora lì e con un mal di testa che cominciava sul serio a pesare sul cranio.

- Questa è l'ultima volta, - cominciai seria. - Sto trovando un nuovo lavoro e i soldi non saranno più un problema quindi non spuntarmi più in giro a pregarmi di fare robe del genere. Ho chiuso.

Mi guardò scettico. - Se, se.

Quasi mi arrabbiai per quella poca fiducia ma dopo tutto era solo Clark. Sbuffai. - Noi non ci conosciamo. - Ripetei.
E girai i tacchi verso casa.

Avevo finito! 

D'ora in poi mi sarei guadagnata sul serio tutta quella fiducia.

Senza conseguenze.

 

   
 
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