Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Gaia Bessie    06/09/2012    6 recensioni
Era sempre una fortuna, finire il tema prima dello scadere delle tre ore: voleva dire andare da Aldo a comprare un panino al salame o fumarsi una sigaretta in solitudine, senza dover fare attenzione al possibile passaggio dei professori. Poteva voler dire anche restare da soli, in cortile, con una ragazza come Silvia, una di quelle che ridono sempre e fanno battute sconcie. Che non si lamentano mai quando qualcuno sbircia nella scollatura delle loro magliette. Una compagnia piacevole, dopotutto.
Però potevi anche essere sfortunato e trovarti solo, in cortile, con una ragazza come Francesca, di quelle che ti guardano male appena accendi la sigaretta. Di quelle che girano coperte come monache in clausura, scoccando occhiate cariche di disprezzo alle ragazze come Silvia. Durante i suoi diciotto anni di vita, Alessio aveva capito che esistono solo due tipi di ragazze, al mondo: quelle espansive e quelle "per bene". È universalmente noto che le ragazze espansive sono come Silvia, piacciono a tutti. E poi ci sono le altre, quelle soprannominate “per bene” da mamme che, di ragazze, non capiscono un cazzo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa storia è un'originale. Di conseguenza questi personaggi mi appartengono e guai a chi li tocca xD Ovviamente ogni riferimento a cose o persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale. Il nome del liceo classico è stato scelto ad muzzum, come si suol dire. Ogni riferimento a luoghi realmente esistenti è puramente casuale.
Attenzione: presenza di espressioni non molto delicate!





Di brave ragazze, fumo e amanti scadenti


La mano si muoveva veloce sul foglio, tracciando caratteri che la professoressa d’italiano avrebbe dovuto decifrare. Un compito ingrato, il suo. Una vita passata a decifrare la grafia di alunni dalla mediocre inteligenza. E, principalmente, dalla scarsa voglia di studiare.
Alessio continuò a scrivere, velocemente, ansioso di liberarsi da quel fardello che era il tema in classe. Aveva sempre odiato i temi: non sapeva scrivere ed era un dato di fatto. Cento, mille temi non sarebbero bastati a colmare le sue lacune. Ovviamente si tratteneva dal dirlo alla professoressa.
E' un fatto universalmente conosciuto, che i professori d’italiano non abbiano una vita. Passano tutto il tempo sepolti dai compiti da correggere, perfino in misura maggiore degli altri professori. Insomma, Alessio sapeva già che avrebbe fatto tutto meno che il professore di italiano. Il punto fermo pose fine al tema che aveva composto, dopo solo due ore e dieci minuti di lavoro ed imprecazioni mormorate a bassa voce. Salutando la professoressa con un cenno del capo, Alessio prese il portafoglio e lasciò l’aula, contento di avere cinquanta minuti di libertà non vigilata. Era sempre una fortuna, finire il tema prima dello scadere delle tre ore: voleva dire andare da Aldo a comprare un panino al salame o fumarsi una sigaretta in solitudine, senza dover fare attenzione al possibile passaggio dei professori. Poteva voler dire anche restare da soli, in cortile, con una ragazza come Silvia, una di quelle che ridono sempre e fanno battute sconcie. Che non si lamentano mai quando qualcuno sbircia nella scollatura delle loro magliette. Una compagnia piacevole, dopotutto.
Però potevi anche essere sfortunato e trovarti solo, in cortile, con una ragazza come Francesca, di quelle che ti guardano male appena accendi la sigaretta. Di quelle che girano coperte come monache in clausura, scoccando occhiate cariche di disprezzo alle ragazze come Silvia. Durante i suoi diciotto anni di vita, Alessio aveva capito che esistono solo due tipi di ragazze, al mondo: quelle espansive e quelle "per bene". È universalmente noto che le ragazze espansive sono come Silvia, piacciono a tutti. E poi ci sono le altre, quelle soprannominate “per bene” da mamme che, di ragazze, non capiscono un cazzo. In realtà, ed è un teorema facilmente dimostrabile, le ragazze per bene sono quelle più stronze. Quelle che guardano male le ragazze come Silvia. Per associazione, sarebbe facile affermare che le ragazze per bene siano anche brutte. A quel punto, sarebbe perfino facile compatirle: divorate dall’invidia, frigide ed anche brutte. Una catastrofe per qualsiasi adolescente con un minimo di amor proprio. Invece, qualcuna di loro, non era nemmeno tanto brutta. Francesca, per esempio, sarebbe perfettamente potuta essere definita “passabile”, se solo avesse smesso di girare infagottata in abiti di tre taglie più grandi del dovuto. Per esempio, a differenza delle altre ragazze, Francesca non si truccava mai. Nemmeno per le feste, dove si limitava a rintanarsi in un angolo, confondendosi con la carta da parati. Però, quello che la faceva sembrare veramente brutta, era il cipiglio che non le lasciava mai il viso.
A nulla servivano i ripetuti “Ma sorridi un po’, eh!” che le venivano urlati dai compagni di classe o i tentativi delle amiche di farla ridere. Il cipiglio di Francesca non se ne andava mai, le conferiva quell’aria perennemente incazzata che tanto infastidiva i ragazzi. Riflettendoci, durante l’infinita veglia che seguiva la bevuta del sabato sera, Alessio aveva capito che Francesca non era veramente stronza. Francesca era la più stronza di tutte, acida come lo yogurt al limone della prozia Beatrice. Ti guardava come se si sentisse superiore e quando cercavi di parlare ed essere gentile con lei, lei ti scoccava un’occhiataccia e sistemava una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio. Non cercava nemmeno di sembrare più bella, come facevano le altre, anzi. Se qualcuno le faceva delle avances, avvenimento più unico che raro, lei arricciava il naso e si allontanava stringendosi nella sua felpa troppo grande, scatenando le risate generali. E, più spesso, un coro di “frigida,  frigida!” a cui Alessio si univa, battendo le mani.
A differenza delle altre, Francesca non reagiva: non urlava parolacce e non piangeva, circondata dalle amiche. Alzava le spalle ed apriva uno dei suoi libri più grandi di lei e leggeva.
Alessio sbuffò, le mani in tasca, mentre si sedeva sulle scale, guardando la pioggia. Era la cosa peggiore di marzo, la pioggia: voleva dire il divieto di andare a scuola in motorino e l’impossibilità di vedere le ragazze sfilare in minigonna. Adesso, con quel freddo che penetrava nelle ossa, le ragazze assomigliavano tutte alla professoressa d’italiano, con quei suoi eterni maglioncini. Due cose duravano in eterno: la scuola ed i maglioncini della professoressa Picone. Lo sapevano tutti i pallidi prigionieri di quell’edificio antico, conosciuto anche come “Liceo classico Maria Adelaide”. Tante, troppe ore passate a cercare di venire a capo di una versione di latino o di greco. Materie inutili, secondo Alessio. Materie che non servivano a nulla, solo per far lavorare di più le professoresse d’italiano. Alessio odiava il latino ed il greco, ma mai quanto l’italiano: il classico era stata una scelta imposta dai genitori, a lui che avrebbe voluto girarsi i pollici al liceo artistico, circondato da ragazzi convinti di essere i futuri Picasso e Van Gogh. “Vai al classico, così t’insegnano il metodo di studio” gli avevano detto. Ed Alessio era  finito seduto all’ultimo banco, a cercare di capire cosa diavolo fosse l’ablativo assoluto o l’aoristo primo. Questo durante i primi due anni di scuola. Poi aveva capito che era inutile ed aveva deciso di studiare solo il minimo indispensabile per ottenere la sufficienza. Ovviamente non poteva liberarsi del suo nove in matematica, forse dovuto più alla fortuna che allo studio.
Sbuffò, mentre accendeva una sigaretta, ripensando al tema che aveva consegnato. Banale, scritto in fretta. Alzò le spalle. Niente di diverso dal solito: scritto per ricevere la sufficienza stentata, quel sei meno che tanto bramava. Qualcuno scivolò accanto a lui, sulle scale. Alessio fece finta di niente, consapevole che doveva essere una delle ragazze “per bene”. Una ragazza come Silvia lo avrebbe salutato saltandogli sulle spalle e sottraendogli la sigaretta, scatendando un fiume di risate divertite e sbuffi scocciati. Però, ripensandoci, Silvia era un buon compromesso: perdeva la sigaretta, ma lei non l’avrebbe ripreso, se decideva di accenderne una seconda. E così Alessio poteva fumare in pace, senza essere fulminato da chicchessia.
Un sibilo irritato lo costrinse a voltarsi, la sigaretta ancora accesa.
–Spegnila. Adesso-
Sbuffando e mormorando qualcosa sulle “donne rompipalle”, Alessio gettò la sigaretta sul gradino più basso della scala. Per qualche strano ed assurdo motivo, tutti obbedivano a Francesca. Ovviamente le rivolgevano anche qualche epiteto poco carino, ma finivano sempre per obbedirle. Alessio sbuffò nuovamente, fissando con rimpianto la sigaretta spenta. Avrebbe dovuto capirlo e darsela a gambe prima che Francesca scivolasse accanto a lui, silenziosa nonostante l’eccessiva quantità di stoffa che indossava. Lei era sempre la prima a finire i temi in classe, vedendoseli riconsegnare due settimane dopo con un bel nove dipinto di rosso. Alessio, come facevano tutti, dava la colpa a quei tomi di grandezze impossibili che Francesca leggeva. Ed anche ad una certa dose di buona sorte, che non guastava mai.
-Ne vuoi una?- domandò Alessio, agitando il pacchetto di sigarette, come se si trovasse seduto accanto a Silvia. Solo che Silvia non gli avrebbe riservato un’occhiata di fuoco. Non di quel fuoco, almeno.
-Lo sai che il fumo uccide te e chi ti sta intorno?- domandò Francesca, arricciando il naso con aria disgustata.
Alessio alzò le spalle. Si riservò dal confessarle che avrebbe ucciso lei, se non gli permetteva di fumare la sua sacrosanta sigaretta.
-Com’è andato, il tema?- domandò Francesca, ignorando i drammi interiori del suo compagno di classe.
Alessio ignorò la domanda di Francesca. Avrebbe ignorato lei, se non fosse stata così tremendamente fastidiosa.
-Non ti piace parlare, vero?- continuò Francesca, imperterrita.
Alessio sbuffò, irritato. –Non mi piace parlare con te- disse, prendendo una sigaretta e deciso a fumarla senza ascoltare Francesca. –Sei una gran rompipalle, lo sai?-
Francesca, inaspettatamente, rise. –Lo so- disse, alzando le spalle. –Ma se  devo scegliere fra rompipalle e troia, preferisco rompipalle-
Alessio trattenne una risata, pensando a tutte le volte che le aveva dato della stronza. Accese la sigaretta, aspettandosi un rimprovero di Francesca. Che, inaspettatamente, non arrivò. Buttò fuori un po’ di fumo, felice.
-Mi fai fare un tiro?- domandò, allungando la mano piccola e dalle unghie mangiucchiate. Francesca non faceva altro che mangiarsi le unghie, quando era nervosa. O mentre leggeva un testo particolarmente ostico da comprendere.
Alessio le passò la sigaretta, stupito. –Hai mai fumato?- domandò, proprio mentre lei iniziava a tossire.
Lei gli passò la sigaretta, con aria imbarazzata. –No- ammise, sistemando una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Tossì di nuovo. –Te l’ho detto che fa male-
Alessio sbuffò, ma non spense la sigaretta.
-Lo sai che la maggior parte delle coppie sposate divorzia a causa del fumo?- domandò lei, con il suo solito tono da saputella.
Alessio sbuffò, fumo che volava in aria. –Onestamente, Francesca, non me ne frega un cazzo- disse, alzando le spalle. –Non siamo sposati, quindi non vedo perché dovresti rompermi le palle in questo modo-
Francesca tornò a tormentare la ciocca di capelli, con aria pensierosa. Teneva in grembo un piccolo libricino, diverso da quelli che leggeva di solito.
-Come smettere di essere acida in cinque, semplici passi?- domandò Alessio, con un sorriso strafottente sul volto.
Francesca sbuffò, un po’ divertita ed un po’ irritata. –“Antonio e Cleopatra” di William Shakespeare- disse, tranquilla. Quasi scoppiò a ridere, davanti all’espressione perplessa di Alessio.
- "L' età non può appassirla, né l'abitudine rendere insipida la sua varietà infinita: le altre donne saziano i desideri che esse alimentano, ma ella affama di sé laddove più si prodiga: poiché le cose più vili acquistano grazia in lei, così che i sacerdoti santi la benedicono nella sua lussuria."*- recitò lei, con aria virtuosa.
Alessio scoppiò a ridere, di fronte alla sua serietà. –Era una puttana?- domandò, con aria innocente.
Francesca lasciò cadere il libro sulla scala, scandalizzata. –No!- esclamò. –Lei amava Marco Antonio!-
Alessio alzò le spalle e si scompigliò i capelli castani. –Allora perché si suicidò?- domandò, calmo. –Doveva fare schifo, Marco Antonio, come amante-
Francesca scosse la testa e scoppiò a ridere, proprio mentre Alessio buttava via la sigaretta. –Non sto qui a spiegartelo, non capiresti-
Alessio alzò un sopracciglio, divertito. Le ragazze stronze tendono sempre a sentirsi superiori.
-Provaci- disse, mentre guardava l’ora sul cellulare.
Il viso di Francesca fu subito vicino al suo. –Pensa ad una persona che ami. Vederla morire- disse, piano. –Cosa faresti?-
Non ci fu risposta. Solo un bacio che Alessio non si sarebbe mai aspettato di dare. Né di ricevere.
Nel frattempo, aveva smesso di piovere. Nessuno dei due se n’era accorto.



* "Antonio e Cleopatra", W. Shakespeare

   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Gaia Bessie