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Autore: danish    06/09/2012    3 recensioni
Questa è una breve ff nata rileggendo a distanza di tempo "Red Sky" di Jose.
Cosa sarebbe accaduto se Raflesia avesse cambiato idea e non se ne fosse andata veramente dopo essere stata sconfitta da Harlock? E se la Regina, sentendosi profondamente umiliata, avesse meditato una crudele vendetta? E'Kei Yuki a raccontarci in prima persona quello che accadde "dopo".
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harlock, Raflesia, Yuki
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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la vecchia base

“”Se la fiamma della speranza arde ancora in fondo al tuo cuore, recati all’indirizzo che trovi in fondo alla lettera.”

Con le mani tremanti e gli occhi velati dalle lacrime ripiego il prezioso biglietto e lo ripongo nella busta, ormai fradicia di pioggia, infilandola gelosamente in tasca.

Poche parole ma e’ la sua calligrafia, non ho alcun dubbio.
L’ho cercato così a lungo…e alla fine è stato lui a trovare me.

Non riesco ancora a crederci.

Com’è possibile….?
Davvero questo biglietto me lo manda Harlock?

Perché ora?

E se fosse una trappola?

Mille domande mi frullano per la testa ma c’è un solo modo per avere la risposta: recarmi al luogo indicato.

Torno lentamente verso la città dopo aver salutato i miei vecchi amici e pregato ancora per le loro anime. In cambio ho chiesto loro protezione affinché veglino su di me in questo incontro che mi accingo ad avere.
Raggiungo a piedi la decrepita metropolitana che mi condurrà abbastanza vicina alla meta.

Ai bordi della banchina ci sono poveri che chiedono l’elemosina e facce da delinquenti che mi guardano in modo strano.  Ad ogni angolo un soldato mazoniano armato fino ai denti, pronto ad evitare incidenti o a reprimere risse nel sangue.

Proseguo velocemente e salgo sul vagone più vicino, accomodandomi su di un sedile vecchio e sporco. Il pavimento è impregnato di fango come tutte le strade della città. Come le scarpe delle persone che sono intorno a me, circa una ventina, tutte infagottate nelle loro sciarpe e avvolte nei loro impermeabili. Le loro facce sono inespressive. Non so se siano Mazoniani  o Terrestri, la loro carnagione è pallida, smorta come quella di un cadavere.

La metropolitana corre attraversando cunicoli e cunicoli fino ad arrivare al tratto che percorre in superficie.
Quasi non c’è differenza tra interno ed esterno. Sempre il medesimo colore grigio che avvolge tutto quanto.

La prossima fermata è la mia.

I vagoni rallentano poco dopo, emettendo un fastidioso stridio metallico. Mi alzo e scendo i gradini mischiandomi agli altri passeggeri, cercando di non dare nell’occhio. 
Il mezzo riprende senza fretta il suo percorso.

Sospiro silenziosamente cercando di farmi forza mentre mi incammino verso il luogo dell’appuntamento che conosco fin troppo bene.
Da quel giorno non sono più tornata lì.

Scorgo in lontananza quella maledetta bandiera che continua a sventolare beffarda sui resti della vecchia base. 

Ai lati della strada vi sono ancora i piccoli cumuli di pietra che io stessa formai cinque anni fa in memoria, uno per ciascuno, degli amici che qui lasciarono la vita in nome di un nobile ideale, in nome della libertà.

Li saluto ad uno ad uno sfiorando con le dita la sommità dei piccoli ammassi, chiamandoli per nome mentalmente:Tadashi….Maji….Yattaran…e via via tutti gli altri fino ad arrivare di fronte a quello che un tempo era l’ingresso della base.

Con il cuore colmo di dolore lo oltrepasso e mi dirigo verso destra.
Questa è l’unica ala dell’edificio che non è crollata sotto il peso delle macerie e dei bombardamenti.

Ricordo che fu Tadashi ad ordinare come prima cosa che venisse rinforzata perché intendeva destinarla agli alloggi del personale.

Estraggo dalla tracolla una piccola torcia elettrica e mi incammino lungo il primo corridoio.

Infiltrazioni di acqua piovana scorrono lungo le pareti buie ed un caratteristico odore di muffa mi colpisce le narici. Scruto il pavimento di cemento e scorgo in un angolo una vecchio modellino di aeroplano. Poco più in là una vecchia scacchiera e qualche pedina sparsa intorno. Più avanti una bottiglia di liquore rovesciata a terra e due bicchieri rotti. Frammenti di vite spezzate dalla barbarie mazoniana.

Continuo a camminare mentre sento le lacrime solcarmi il viso.
Una luce fioca provenire dalla stanza in fondo al corridoio attira la mia attenzione. Automaticamente accelero il passo senza dimenticare di tenere a portata di mano la pistola.

Dalla soglia riesco a vedere l’intera camera al cui centro vi è un vecchio tavolo di legno e su di esso è accesa un’antica lanterna ad olio.

Mi avvicino lentamente percorrendo tutta le pareti con la torcia arrivando ad illuminare anche l’angolo più nascosto.

Sento provenire dalla stanza accanto uno strano rumore di acqua, ancora non saprei dire se è la pioggia che cade copiosa all’esterno o altro. Sotto la porta socchiusa colgo uno spiraglio di luce.
La apro lentamente spingendola con la punta delle dita e scorgo qualcuno nella penombra, immerso fino al collo in una vecchia vasca da bagno in legno, quella tanto desiderata da Yattaran, ora ricordo,  per farci navigare i suoi velieri.

“Sei in anticipo…”

Un tuffo al cuore.
Quella è la sua voce, ne sono sicura.

Mi tremano le gambe ma devo rimanere calma e lucida. In fondo potrebbe anche essere una trappola delle mazoniane. Potrebbero anche sapere che sono ancora viva.

Resto ancora in silenzio ad osservare quella figura avvolta dalla semi oscurità.

Con uno scatto deciso punto la torcia direttamente contro il suo viso.

Devo vedere con i miei occhi se è davvero Harlock.
L’uomo accenna un sorriso portandosi la mano verso l’occhio sinistro a proteggerlo dalla luce.

Poi si alza lentamente in piedi uscendo dall’acqua.

Sposto all’istante il fascio di luce dal suo corpo mentre lui si avvolge in un telo e si asciuga velocemente.

Indietreggio con cautela fino al tavolo della stanza illuminata dalla lanterna.

Dopo pochi istanti mi raggiunge indossando un paio di comunissimi Jeans ed una camicia scura.
Mi aspettavo di vederlo con la sua uniforme da pirata ma probabilmente ha dovuto nascondersi anche lui in questi anni e cambiare abitudini.

Si avvicina a me.

La camminata è la sua senza ombra di dubbio.

“Sapevo che saresti venuta!”

La luce della lanterna illumina appena il suo volto segnato dall’inconfondibile cicatrice ed incorniciato dalla benda sull’occhio destro.
Sorride mentre porta la mano alla tempia onorandomi del suo classico saluto militare.

Ha ancora i capelli bagnati che gli ricadono scomposti e selvaggi sulla fronte regalandogli un fascino ancora più misterioso di quello di cui gode già.

“Dove sei stato per tutto questo tempo?”

Le parole mi escono dalle labbra come un fiume in piena.
Me le mordo maledicendo la mia impulsività.

Supponendo che sia davvero lui, questo non è certo il modo migliore per dargli il bentornato, di dirgli quanto sia felice di sapere che sia vivo.

“Non è esattamente quello che vuoi sapere….” Mi risponde con voce bassa.

Ha ragione.
Non voglio sapere dov’è stato.

Ma non mi permetterò di chiedergli “perché non sei venuto a salvarci ?”

In fondo al cuore so che se non è intervenuto è perché era impossibilitato a farlo.

“Come sapevi che oggi sarei stata alla collina?”

“Ci vado anch’io in quello stesso giorno, da cinque anni. Ti ho vista ogni volta. ” Risponde, strofinandosi i capelli con un asciugamano che poi appoggia distrattamente sullo schienale di una sedia.

Io non mi sono mai accorta invece della sua presenza…com’è possibile? E sono certa di essere stata sempre più che attenta.
Si allontana verso un armadietto da cui estrae una bottiglia e due bicchieri dal vetro appena incrinato.

Versa del vino  e me ne porge uno.

Lo accetto volentieri, fosse solo per scaldarmi un po’. La pioggia cade incessantemente ed il vento fischia attraverso le fenditure dei vecchi muri.

Le mie dita sfiorano per un istante le sue.
Sono gelide.

Lo sono anche le mie.

Sento un gran freddo avvolgere tutto il mio essere.

“Mi dispiace…il riscaldamento non funziona a dovere…” Risponde intuendo le mie sensazioni. “Posso offrirti solo un bicchiere di vino ed una vecchia coperta...o un bagno caldo!”.

Inarco un sopraciglio mentre allungo la mano verso di lui per accettare il bicchiere.
Bevo il liquore tutto d’un fiato e mi avvolgo nel plaid che mi porge cortesemente.
Ho mille domande da fargli, mille cose che vorrei sapere ma mi sento stordita, confusa.

Quindi taccio.

Lo osservo di sottecchi mentre ripone i bicchieri nell’armadietto. Poi va a sedersi al tavolo accanto alla lanterna ed estrae qualcosa da un piccolo cassetto.
Si porta l’oggetto alla bocca e dopo alcuni istanti la musica di un’ocarina invade tutta la stanza.

Trattengo il fiato. Quella melodia malinconica mi fa venire un nodo alla gola e mi procura una grande tristezza.
Mi domando se sappia che Mayu è nelle mani di Raflesia e se abbia mai tentato di liberarla o di mettersi in contatto con lei.

Vado a sedermi in un angolo della stanza, accomodandomi su di un vecchio cuscino sformato, la coperta ben stretta intorno al corpo.

Non so se sia il suono dell’ocarina, il vino che ho bevuto o il tepore che mi procura il plaid ma comincio a sentirmi leggermente rilassata.

Pco dopo Harlock smette di suonare e ripone lo strumento nel cassetto del tavolo.
Si protende verso la lanterna e la spegne soffiando delicatamente sulla fiammella.

“Meglio non sprecare. Il buio non ti dà fastidio, vero Kei?”

Faccio un cenno di assenso con la testa mentre lo osservo avvicinarsi e sedersi a terra, a poca distanza da me.
Rannicchia le ginocchia al petto appoggiandovi le braccia e reclinando il capo sulle mani.

La Terra ha ancora una piccola speranza di salvarsi…” mormora. “Anche se i suoi abitanti non lo meritano. Non fanno assolutamente niente per ribellarsi alla loro condizione di schiavi. Hanno accettato il dominio Mazoniano senza fiatare.”

“Per questo sei qui, vero?” domando, scorgendo il suo profilo nell’oscurità.

“Anche per questo.” Risponde brevemente.

Attendo in silenzio che riprenda a parlare, limitandomi ad osservarlo.

“Mayu.” Sospira e fa una breve pausa prima di riprendere a parlare:”Non avrò pace finché non l’avrò liberata dalla prigionìa di Raflesia.”

Si gira verso di me, posso percepire i suoi movimenti attraverso un flebile raggio di luce che penetra dal soffitto crepato. Mentre si muove gli sfugge un lamento e lo vedo portarsi una mano sul fianco destro.

“E’ finalmente giunto il momento di agire. Ma non posso farlo da solo, ho bisogno del tuo aiuto. Sei l’unica persona di cui posso veramente fidarmi….” Mi dice con fare deciso, spostandosi esattamente di fronte a me.

“….sono l’unica rimasta…..” sottolineo. “..non hai molta scelta…” aggiungo in tono ironico.

Lo sento accennare una lieve risata.
Immagino quanto possa essere bello il suo volto in questo istante ed il mio cuore accelera improvvisamente i battiti.

“Che cosa vuoi che faccia, Capitano?” gli domando, tentando di non far trapelare la mia emozione.

“Dobbiamo introdurci nella fortezza di Raflesia e dobbiamo farlo oggi stesso. Tra poco cominceranno i festeggiamenti e la gran parte delle forze di sicurezza sarà impegnata dall’altro lato della città dove si terranno le manifestazioni.”  Risponde con enfasi.

Mi espone il suo piano.
Dice di avere un aggancio all’interno del palazzo.

Quella stessa persona che mi consegnò la lettera qualche ora fa sulla collina. Si tratta di una servitrice personale di Raflesia che ha perso la famiglia proprio per mano della regina e che desidera vendicare i suoi cari.

Ci farà accedere passando attraverso i sotterranei del palazzo assicurandosi che non vi siano guardie. Al segnale prestabilito entreremo nell’ala riservata alla servitù e da lì, attraverso i condotti dell’aria, raggiungeremo la camera di Mayu.

Mi sembra una tattica azzardata ma Harlock certamente non teme di affrontare i soldati da solo. Mentre lui si occupa delle guardie io dovrò pensare a condurre in salvo Mayu.

“Ci ritroveremo qui a missione compiuta.” Conclude.

“Che ne è di Mimeh?” chiedo, cambiando discorso.

“Si è sacrificata per salvarmi. Mi ha paralizzato con i suoi poteri, imprigionandomi su ombra di Morte mentre lei, alla guida dell’Arcadia, si lanciava verso le navi Mazoniane che ci stavano assediando. La nave è andata distrutta e anche buona parte del nostro satellite artificiale.” Mi comunica con voce tremante.

“Che cosa è successo dopo?” mi decido a chiedere. Ora che il velo è stato sollevato, desidero sapere il più possibile su quanto accaduto nei dintorni di Deimos.

 

   
 
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