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Autore: danish    05/09/2012    4 recensioni
Questa è una breve ff nata rileggendo a distanza di tempo "Red Sky" di Jose.
Cosa sarebbe accaduto se Raflesia avesse cambiato idea e non se ne fosse andata veramente dopo essere stata sconfitta da Harlock? E se la Regina, sentendosi profondamente umiliata, avesse meditato una crudele vendetta? E'Kei Yuki a raccontarci in prima persona quello che accadde "dopo".
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harlock, Raflesia, Yuki
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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l'anniversario

Piove.
Gocce pesanti come sassi cadono al suolo, frantumandosi in mille aghi pungenti che mi trafiggono il cuore.
Raffiche violente di vento mi sferzano il viso facendomi rabbrividire di freddo, il cielo è scuro, grigio, spento.

E’ notte o forse è giorno, non riesco a distinguerlo. 

Protetta da un lungo impermeabile nero mi incammino di soppiatto per i vicoli maleodoranti della città, puntuale all’appuntamento.
Come ogni anno torno sulla Terra  a rendere visita ai miei più cari amici, alla mia famiglia.
Attraverso in fretta quest'angolo malfamato in cui vivono solo poveri, ammalati, disperati, delinquenti. Alcuni dei pochi terrestri rimasti ancora in vita, persone  che  gli invasori  alieni  hanno  relegato qui perché non sono degni nemmeno di far loro da schiavi, abbandonati al loro destino di morte sicura per stenti e fame.

Oggi l’oppressore festeggia: si commemora il quinto anno di conquista della Terra da parte del popolo di Mazone.
Impresso nella mia mente, davanti ai miei occhi rivedo ogni singolo istante della nostra disfatta. Ma oggi il dolore è ancora più forte, come più intenso e lacerante è il ricordo.

Erano passati all'incirca trenta giorni da quando Harlock ci lasciò sulla Terra, col compito di ricostruirla, quand'ecco che la Dokras,  ammiraglia Mazoniana, si materializzò all'improvviso nel cielo, circondata e protetta da migliaia di astronavi da battaglia.
Raflesia era tornata sui suoi passi, aveva cambiato idea.
Non se n'era andata lontana con il suo popolo alla ricerca di un posto in cui ricostruire il suo regno.
Bensì era tornata, più accanita e più determinata che mai, a riprendersi ciò che riteneva suo di diritto. A lavare nel sangue l’onta che Harlock le aveva inflitto sconfiggendola e lasciandola in vita.

"Questa è la seconda patria dell'onnipotente Mazone!"

L'esercito terrestre, come previsto,  non era pronto ad affrontare quel nemico ancor più incattivito e motivato di prima.
In meno di ventiquattr'ore i soldati mazoniani occuparono le principali basi militari, sottomettendo il nostro governo  ed uccidendo il primo ministro ed i suoi quattro scagnozzi, senza pietà.
Contemporaneamente , uno squadrone raggiunse la radura dove io, Tadashi, Yattaran e tutti gli altri avevamo cominciato a costruire un centro ricerche spaziali, ristrutturando una vecchia base per le telecomunicazioni interplanetarie.
Un solo colpo di cannone laser bastò a distruggere il nostro futuro, le nostre speranze, a mandare in frantumi i nostri sogni.
Tadashi, Yattaran, Maji e tutti gli altri perirono all'istante, schiacciati dai detriti e dalle macerie o trafitti dai colpi di pistole laser sparati dagli squadroni di terra.

Quel pomeriggio Mayu mi aveva accompagnata a far compere.  Ci accorgemmo subito, all'uscita del centro commerciale, della presenza di quelle astronavi minacciose. Guidai veloce come un fulmine per tornare prima possibile dai nostri compagni... ma fu inutile.
Non arrivai in tempo.
In lontananza vedemmo stagliarsi contro il cielo una colonna di fumo nero e acre.

Gli occhi di Mayu mi guardarono terrorizzati.
Lo ero anch'io ma continuai a guidare fino ad arrivare al centro comunicazioni....o a quello che ne restava.
Ordinai a Mayu di restare nell'auto che parcheggiai ben nascosta da siepi e alberi e scesi , armi in pugno, per verificare la situazione.

Il nemico se n'era già andato.
Tutto intorno, sparsi a terra,  i corpi senza vita di alcuni dei miei amici che avevano cercato via di scampo correndo verso la collina o  nel folto del bosco.
Altri galleggiavano inermi sulla superficie del fiume che scorreva accanto, tinto di rosso del loro sangue.
Con la vista appannata di lacrime e la gola arsa dal fumo  mi avvicinai ad ognuno di loro, per constatare, con dolore e rabbia, la morte sui loro visi e nei loro corpi.

E sulla cima delle macerie vidi con sdegno e ripugnanza una bandiera mazoniana sventolare con arroganza, simbolo di scherno e di beffa nei nostri confronti.
Aver sterminato i seguaci di Harlock doveva servire come monito alla popolazione sopravvissuta.

Qualsiasi tentativo di rivolta sarebbe stato soffocato nel sangue.

Alzai istintivamente lo sguardo al cielo nella speranza di scorgere una nave dall'aspetto familiare.
Una nave che accorresse in nostro soccorso e ci portasse in salvo, lontano, nel mare delle stelle a cui un tempo appartenemmo.
Nulla.
Solo lugubri e spettrali incursori mazoniani dall'aspetto terrificante.

Udii in lontananza rumore di spari, di cannoni laser, di grida disperate e di terrore.
Ma un urlo, più lacerante che mai, mi scosse dallo stato di  shock in cui ero caduta.

"Mayu!!"  

Feci in tempo a vedere tre o quattro persone armeggiare intorno alla mia auto e trascinare la piccola all'esterno per poi dileguarsi frettolosamente a bordo di una navetta.

Provai  a correre nel disperato tentativo di raggiungerle ma un colpo di laser, sparatomi alle spalle, mi trafisse facendomi barcollare e cadere pesantemente nel torrente che scorreva accanto.
Affondai in un istante nell'acqua torbida, sfiorata  da decine di altri colpi che miracolosamente non raggiunsero l’obbiettivo. Volevano essere sicure che non avessi scampo.


"Harlock...dove sei? "  fu il mio ultimo pensiero.

Poi il buio ed il silenzio mi avvolsero completamente.
Mi risvegliai, parecchio tempo  dopo, distesa sopra ad un vecchio divano sconquassato.
Il dottor Zero e la signora Masu stavano in ginocchio al mio capezzale.
Non so come erano sopravvissuti e mi avevano salvata dall'annegamento e curato le ferite, portandomi al riparo in un vecchio e fatiscente appartamento di periferia.

"Bevi cara, questo ti aiuterà a rimetterti in forze.."

La spigolosa signora Masu , con gli occhi arrossati dal pianto, mi porse una ciotola con del brodo fumante.
Ne sorbii pochi sorsi ma il mio stomaco sottosopra non volle saperne. Vomitai  tutto all'istante.

"Beh....forse ci vorrà ancora un po'..." mormorò con comprensione paterna il dottor Zero mentre aiutava Masu a ripulire il pavimento.

"....c'è qualcun altro, oltre a noi, che....."  domandai con un filo di voce, sperando in un improbabile grazia.

Il dottore chiuse gli occhi e scosse il capo, Masu singhiozzò sommessamente.

"Mayu!" esclamai, ricordando di colpo che l'avevano portata via sotto ai miei occhi.

"Non ti agitare cara, devi rimetterti in forze e riprenderti per bene..." mi disse Masu accarezzandomi i capelli.

Quello fu l'ultimo gesto che percepii prima di ripiombare nel buio assoluto di un sonno senza sogni.
A poco a poco mi ripresi e domandai notizie di quanto accaduto nei giorni precedenti. Masu mi raccontò, tra una patata da sbucciare ed una cipolla da affettare che Raflesia aveva invaso completamente la Terra, aveva messo a ferro e fuoco tutto il pianeta e sterminato  gran parte della popolazione, prima di tutto i governanti. Ora era il suo esercito a regnare mentre i terrestri erano diventati loro schiavi.

Guardai prima lei e poi il dottor Zero , formulando silenziosamente  con gli occhi quella domanda che mi tormentava la mente ogni istante dal mio risveglio.

"..Lui non ha potuto aiutarci perché..." il medico fece una pausa, traendo un grosso sospiro e asciugandosi la fronte imperlata di sudore.

Si alzò con fatica dalla poltrona, in cui abitualmente stava accoccolato avvolto in una pesante coperta di lana, per raggiungere un portatile. Digitò alcuni tasti e si avvicinò  a me, porgendomelo. Mi disse che lo avevano trovato sulla mia auto e che probabilmente lo avevano lasciato lì apposta le mazoniane per i "posteri" o per eventuali sopravvissuti della nostra ciurma.

Sul piccolo schermo si formarono delle immagini  riprese dalla sala comando di una nave aliena di cui era riconoscibilissimo il ponte principale. La scena mostrava un combattimento spaziale molto cruento nei pressi di Deimos, il satellite di Marte.
Il sangue mi si gelò nelle vene nell'istante preciso in cui riconobbi il vessillo dei pirati e la prua dell'Arcadia, squarciata,  che andava a fuoco.
Il comandante della nave mazoniana urlò di sparare nuovamente ed in pochi secondi la nave di Harlock fu fatta esplodere senza scampo.
Le inquadrature non lasciavano dubbi, l'Arcadia era stata ridotta in pezzi.
Il filmato si interromperva bruscamente pochi istanti dopo.

"...questo non vuol dire che Harlock non sia riuscito a fuggire..." mormorai sommessamente.

Masu e il dottore abbassarono la testa sconsolati, gli occhi fissi al pavimento.
Della ciurma di pirati, simbolo di  libertà prima e  di difesa della Terra poi, eravamo rimasti solo noi tre.
E ben presto rimasi solo io.
Il medico e la signora Masu si ammalarono pochi mesi dopo. Entrambi erano troppo anziani e provati nel corpo e nell'anima per poter fronteggiare un virus sconosciuto di probabile origine aliena, secondo l’autodiagnosi fatta dal dottor Zero.  

Lasciai la Terra subito dopo la loro morte, imbarcandomi clandestinamente, come mia abitudine,  su un’astronave cargo diretta su Marte. Rubai una navicella dall’hangar e mi diressi velocemente verso Deimos.

Dovevo capire perché Harlock non era accorso in nostro aiuto.
Dovevo vedere di persona i segni della battaglia tra L’Arcadia e la nave mazoniana.

Dovevo aggrapparmi in qualche modo alla speranza di ritrovarlo vivo per poter andare avanti.

Ricordo come fosse oggi, la sensazione di sgomento e di vuoto che provai alla vista dei detriti e delle lamiere bruciate dell’Arcadia che galleggiavano ancora, dopo cos’ tanto tempo, in quella zona.

A motori spenti mi lasciai trasportare lentamente, attraversando i resti di quella che fu la mia casa.
Il prezioso legno di cui era rivestita la cabina del capitano fluttuava annerito intorno al vetro della mia navetta.

Lanciai l’arpione di prua per catturarne alcuni frammenti. Quelli che da allora porto sul cuore, rinchiusi gelosamente in un pendente di cristallo a forma di goccia. 

Di Harlock nessuna traccia, nessun segno tangibile.

Questo, anziché sconfortarmi, mi convinse ancora di più che doveva essere vivo, doveva essersi rifugiato in qualche parte del cosmo. E giurai solennemente a me stessa che lo avrei cercato fino alla fine dei miei giorni.

Continua a piovere incessantemente e a tirare un vento freddo, gelido.
Sono nuovamente qui, come ogni anno, mentre l'invasore festeggia, per raggiungere di nascosto quella collinetta ai piedi di un'antica quercia  tra le cui radici riposa serena la mia seconda famiglia.
La piccola Mayu, che ora è quasi un'adolescente, è viva ma ancora nelle grinfie di Raflesia. Spesso compare al suo fianco nei messaggi ufficiali alla popolazione.
La tiene rinchiusa, ancora non mi è chiaro per quale motivo,  nella fortezza in cui risiede denominata dai Terrestri "Inferno Nero".

Impossibile avvicinarsi al suo palazzo maledetto. Un imponente servizio di sicurezza lo circonda ventiquattro ore su ventiquattro e sofisticati congegni elettronici ne sorvegliano il perimetro. Nessuno si può avvicinare se non è munito di apposito lasciapassare ed ottenerlo è praticamente impossibile. Nessuno dei suoi ufficiali è corruttibile. Ci ho provato negli anni ma i miei tentativi sono falliti miseramente.

La pioggia ora si fa più leggera ma il vento soffia ancora.
I rami della quercia si agitano e le foglie sembrano stridere tra di loro come se ridessero malignamente.
Qualcuna si stacca e cade a terra, altre si appiccicano ai miei stivali fradici ed infangati.
Estraggo dalla mia tracolla due rose bianche e le deposito ai piedi delle croci di Masu e del dottor Zero. Poi mi raccolgo silenziosamente in preghiera.
Uno stormo di uccelli neri si alza improvvisamente in volo, forse spaventato da qualcosa.

Rumore di rami calpestati, proveniente dalle mie spalle, mi mette in allerta.  
Impugno la pistola che ho in tasca e rimango immobile per alcuni istanti, aguzzando l'udito mentre ricomincia a piovere violentemente.
L'acqua scroscia a dirotto martoriando i fiori bianchi .

Ora sono scuri, ricoperti da fango e foglie morte.

 
Una figura esile mi affianca, avvolta in un cappotto nero con  un cappuccio calato sulla testa a nasconderle quasi completamente il viso.

Non parla.

D'un tratto mi porge una busta chiusa. La guardo con aria interrogativa ma questa si allontana velocemente sparendo tra lampi e nuvole di acqua prima che io possa aprir bocca.


   
 
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