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Autore: Nimel17    07/09/2012    2 recensioni
La fiaba di Raperonzolo è molto conosciuta, ma qualcosa mancava...Rumpelstiltskin. La vera protagonista è comunque Rapunzel.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Per Emilie era stato facile abituarsi alla nuova routine; quando tornava a casa il signor Gold aveva già chiuso il negozio e la mattina quando andava a lavorare lui stava sempre intrattenendo clienti. L’unica nuvola nel suo cielo felice era Regina, che le aveva comunicato di attendere notizie da parte sua e di sua madre. Non aveva nemmeno più visto Henry ed era probabilmente l’unica in tutta Storybrooke a non aver conosciuto Emma Swan. Oh, aveva letto anche lei i giornali, ma sapeva anche quanto perfida poteva essere Regina se qualcosa minacciava la sua felicità. E non importavano i suoi innumerevoli difetti, nessuno poteva negare quanto volesse bene a Henry.
“Ehi, Em, come va?”
Lei arrossì. Derek Prince era secondo lei il ragazzo più carino del paese e al liceo si era presa una cotta spaventosa per lui.
“Derek, posso esserti d’aiuto?”
“Non puoi prenderti una pausa?”
Guardò l’ora. Erano solo le undici.
“Ok. Vuoi una tazza di the?”
“Preferirei del succo, se ce l’hai.”
“Pompelmo, vero?”
“Azzeccato, come sempre. Ti ricordi sempre tutto di tutti, Em.”
Emilie arrossì ancora. Gli versò il succo e lei bevve un po’ del suo the rimasto nel thermos. Derek guardava in basso e strascicava i piedi, rigirandosi il bicchiere tra le mani.
“Dimmi… è vero quello che si dice in giro?”
“Cioè?”
“Che… che vivi con il signor Gold.”
Ecco cosa intendeva quel giorno parlando delle piccole menti dei paesani.
“No, non è affatto vero. Mi ha affittato un appartamento sopra il suo negozio, ma non ci vediamo quasi mai.”
“Perché? Voglio dire, conosci la sua fama…”
“Non potevo permettermi il lusso di non ricorrere al suo aiuto, Derek. Le cose tra me e mia madre si sono deteriorate del tutto.”
“Mi dispiace. Certo, me la ricordo al liceo, era l’unica madre che andava a prendere la figlia.”
Emilie arrossì ancora, ma per l’imbarazzo questa volta.
“Scusa, Em, non volevo offenderti. È tutta colpa sua.”
Lei gli sorrise. Lui le prese la mano e gliela strinse tra le sue.
“Se ti può essere d’aiuto, sei bellissima quando arrossisci.”
Inutile dire che diventò ancora più rossa. Lui avvicinò il viso al suo e le diede un bacio veloce sulle labbra. Emilie stava per abbracciarlo, quando qualcuno bussò insistentemente alla porta del negozio.
“Aspetta, vado a vedere chi è.”
Rimpianse di averlo fatto non appena aprì. Davanti a lei c’erano Graham, che appariva dispiaciuto e a disagio, e Regina, che sfoggiava un sorriso soddisfatto.
“Sono molto spiacente, Em, ma temo dovrai venire con me alla stazione di polizia.”
Emilie sussultò.
“È uno scherzo?”
“No. Come ti ho già detto, mi dispiace moltissimo, ma ti sono state accuse piuttosto pesanti.”
Derek la raggiunse, prendendole le spalle.
“Che accuse?”
“Aver picchiato tua madre e rubato i suoi gioielli.”
Lei sgranò gli occhi. 
“Sono false bugie!”
Tuttavia, almeno in parte, aveva fatto del male alla madre.
“La mano non se l’è fratturata da sola, e nemmeno quei tagli.”
Derek la guardò, come se la vedesse per la prima volta. Emilie sentì una piccola puntura al petto.
“Vi seguirò, ma solo per difendermi.”
Graham fece per condurla sulla sua macchina, ma Regina parlò per la prima volta.
“Non dimentica qualcosa, sceriffo?”
Emilie si morse il labbro. Come se tutti non sapessero cosa succedeva tra loro. Nemmeno lui parve molto felice, ma controvoglia le ammanettò i polsi con le manette. Da qualche parte dietro di loro, lei sentì diversi clic di una macchina fotografica. Gli occhi le si inumidirono, ma quando vide Regina che la guardava, alzò la testa e le scoccò la sua occhiata più orgogliosa. Non si sarebbe lasciata mettere i piedi in testa.  Una piccola parte di lei voleva stendersi sul sedile dietro perché nessuno potesse vederla, ma si ripetè che non aveva niente di cui vergognarsi. Ignorò le espressioni di sorpresa sui volti di Archie, lo psicologo di Storybrooke, di Ashley e di Mary Margaret. Voleva solo che Graham accelerasse e arrivasse presto. Come se le avesse letto nel pensiero, lui premette il piede sull’acceleratore.
“Non puoi immaginare…”
“Quanto ti dispiace, lo so. Me l’hai già detto.”
“Sei stata tu?”
“Mi rifiuto di rispondere al giocattolino di Regina.”
Lui sembrò ferito, ma non replicò. Evidentemente, era abbastanza onesto da non negare.
All’ufficiò di Graham c’era una donna alta, bionda, con una giacca in pelle rossa.
“Sei tornato! Ti ha dato problemi?”
Emilie sentì qualcosa dentro di sé che si spezzava.
“Non si permetta di giudicarmi.”
Entrambi si voltarono a guardarla. Lei si sedette su una delle sedie e disse ferma:
“Sono pronta a rilasciare una deposizione su ciò che è accaduto sabato notte.”
La porta si aprì e Regina entrò, come una dea entrava in un sordido bar a Brooklyn.
“Sono ansiosa di sentire le sue giustificazioni, signorina Rampion.”
Emilie fece per protestare, ma la donna bionda la precedette.
“Da quando il sindaco assiste ad un interrogatorio senza essere invitato?”
“Oh, ma io sono stata invitata.”
Regina sorrise a Graham, ma lui rivolse gli occhi altrove.
“Temo che Emma abbia ragione, sindaco. Questo non è un caso così grave da richiedere la sua supervisione.”
Il sorriso di Regina si dissolse come le scritte sulla sabbia una volta sopraggiunte le onde del mare.
“Molto bene. Non vi imporrò la mia presenza. I miei saluti, sceriffo, signorina Swan.”
Il modo in cui voltò le spalle e se ne andò lasciava intendere che era tutt’altro che contenta. Tuttavia, qualcosa in quello che aveva detto colpì Emilie.
“Lei è la madre biologica di Henry?”
L’altra donna annuì.
“Abbiamo parlato al telefono, domenica sera.”
Gli occhi chiari di Emma si accesero.
“Oh, era lei… non avevo riconosciuto la sua voce.”
Graham tossicchiò.
“Devo rivolgerti qualche domanda, Em.”
“Non ho nessun posto in cui debba andare, sceriffo.”
“Sabato sera hai litigato con tua madre?”
“Sì.”
“Aspramente?”
“Sì.”
“A che proposito?”
Emilie esitò. Il motivo della loro discussione sarebbe sembrato loro così stupido, che non le avrebbero creduto.
“Lei aveva preparato una cena in grande stile. Per secondo aveva fatto del pollo arrosto, e quando le ho ricordato che ero vegetariana… ha rotto per terra il piatto e ha iniziato ad urlare.”
Graham la guardò scettico. Emma la fissò dritta negli occhi.
“Non sta mentendo, Graham.”
Emilie le rivolse un’occhiata grata.
“E dopo? Cos’è successo?”
“Mi ha presa per i capelli e mi ha trascinata davanti allo specchio, dicendo che le avevo rubato la vita. Mi ha gettata per terra e ho sbattuto la testa contro il tavolino.”
Sollevò una ciocca per far vedere la piccolissima cicatrice sulla tempia.
“Mi ha schiaffeggiata, allora io mi sono alzata e le ho urlato contro. Volevo andarmene, ma lei mi tratteneva per il braccio, e allora… ho perso la testa per un attimo e le ho chiuso la porta sulla mano.”
Emma e lo sceriffo si guardarono. Graham fece per parlare, ma il telefono squillò. Rispose lui, senza smettere di osservarla.
“Pronto? Ufficio dello sceriffo.”
Lui rimase in silenzio qualche istante, poi riappese.
“Era Regina. Qualcuno ha tentato di irrompere a casa sua.”
Emilie sospirò.
“Posso andare?”
“Ho paura di no. Dobbiamo verificare la tua deposizione…”
Emma lo interruppe.
“Diceva la verità. Sai che io capisco quando uno mente.”
“Ma rimane in sospeso l’accusa di furto. Mi dispiace, Em, ma dovrai rimanere in cella fino al nostro ritorno, in cui raccoglieremo la tua versione riguardo alla tua seconda accusa.”
Lei protestò, ma entrò senza fare troppo storie.
“Per favore, chiudete la porta a chiave. Non voglio che qualcuno entri.”
“Chi dovrebbe entrare?”
“Non so. Regina? E non dovrei chiamare un avvocato?”
“Ce ne occuperemo quando torneremo, non ti preoccupare.”
Si distese sulla brandina, sospirando. Sapeva che sarebbe successo qualcosa di brutto, ma non così presto. Attese fissando il soffitto per ore, ma ad un certo punto strabuzzò gli occhi. Le sembrava… no, doveva essere la sua immaginazione. Il soffitto non stava scendendo verso di lei. Guardò di lato. La parete destra stava avanzando lentamente verso di lei. Sentiva un rumore come di mattoni smossi. Si alzò di scatto e si aggrappò alle sbarre. Urlò, guardandosi le mani che si riempivano di vesciche per l’insopportabile calore del ferro.
“Aiuto!”
I muri si fermarono. Lei guardò indietro, sollevata. Quando si rivoltò davanti a sé, però, vide Regina. Arretrò, terrorizzata. La donna era vestita di nero, con un vestito lungo e simile a uno di quelli che si trovava nel libro di Henry. I capelli erano assai lunghi ma lo sguardo diabolico era lo stesso.
“Mocciosa!”
Le infilò una mano nel petto e ne estrasse il suo cuore, rosso e pulsante. Emilie si portò le mani sulla ferità e la fissò a bocca aperta, prima di cadere come una bambola di stracci.
“Emilie! Emilie!”
La ragazza aprì gli occhi di scatto. Era rannicchiata sul letto della cella, le mani sul petto. Come aveva fatto ad addormentarsi? Riportò lo sguardo su Graham.
“Ho… ho avuto un incubo.”
“L’ho capito. Devi esserti addormentata.”
Una voce sgradevole arrivò alle sue orecchie.
“Si dice che solo i colpevoli dormano in prigione.”
Un’altra voce, più rassicurante.
“La smetta, Regina. Non deve tormentarla così. Ognuno è innocente sino a prova contraria e si è già rivelata giustificata per la sua prima accusa.”
Quella donna… era la madre di Henry, ricordò. Emma Swan. La fece uscire dalla cella e la fece sedere davanti alla sua scrivania.
“Che ore sono?”
“Le sei.”
“Mi avete lasciata qui sette ore?”
Graham intervenne.
“Te la senti di proseguire l’interrogatorio?”
“Dov’è il mio legale?”
Regina le sorrise.
“Sono sicura che, se hai detto la verità, non avrai bisogno dei cavilli di legge per uscire di qui.”
Emilie strinse le labbra.
“Allora, Em, che ore erano quando sei uscita dalla casa di tua madre?”
“Non so… dopo le undici, mi pare.”
“Undici e un quarto, per essere precisi.”
Quattro teste si voltarono verso l’uomo che era entrato nella stanza. Il signor Gold si avvicinò a loro, appoggiandosi sul bastone.
“La signorina Rampion mi ha telefonato a quell’ora, dicendo che se n’era andata di casa e chiedendo di poter venire al mio negozio.”
Regina scattò.
“Cosa ci fa lei qui?”
“Potrei rivolgerti la stessa domanda, Regina. Ho sentito di quello che è successo a casa tua… meno male che il piccolo Henry non era a casa. Comunque, la tua presenza qui non è necessaria… per favore.”
La donna irrigidì ed Emilie la guardò stupefatta prendere la sua borsa e uscire. Il signor Gold si voltò verso di loro, sorridendo.
“Posso testimoniare i lividi che aveva la signorina Rampion quando è venuta da me…”
“Non è quello che c’interessa. La madre l’ha accusata di averle rubato beni preziosi.”
Gold si guardò distrattamente i guanti di pelle nera.
“Strano, sono passato da lei poco fa… e mi ha detto di averli ritrovati in un diverso portagioie da quello in cui pensava si trovassero.”
Emilie lo fissò, speranzosa. Emma Swan incrociò le braccia sul petto.
“Ne è sicuro?”
“Lo zelante sceriffo Graham può telefonarle per accertarsene, mentre le dico due parole, signorina Swan.”
Graham colse al volo l’antifona e iniziò a comporre il numero. Il signor Gold si appoggiò al suo bastone, ondeggiando impercettibilmente.
“Lei è nuova di qui, signorina Swan, quindi non può conoscere la madre di Emilie. Non è un’esagerazione da parte mia sostenere che dovrebbe essere rinchiusa in un manicomio criminale. Una volta ha sgridato la figlia davanti al cinema perché non voleva vedere il film che voleva lei e per punirla gliel’ha fatto vedere tre volte di seguito. Ad una festa del liceo ha voluto esser presente anche lei per sorvegliare meglio Emilie. E tutta Storybrooke ha assistito alle sue continue telefonate alla ragazza in qualsiasi momento.”
Emilie cercò di trattenere le lacrime di umiliazione e vergogna per essersi fatta trattare così.
“L’elenco potrebbe continuare. Mi creda, una madre così è meglio perderla che trovarla. Se fosse stata trovata morta, nessuno potrebbe condannare moralmente Emilie.”
Emma li guardò, osservando prima l’uno poi l’altro. Graham le sussurrò qualcosa.
“Non so come mai sia venuta a dirlo proprio a lei, ma aveva ragione, Gold, la madre di Emilie ha ritirato le accuse. È libera.”
Il signor Gold l’aiutò ad alzarsi.
“Fossi in lei, signorina Swan, in futuro mi guarderei da ogni accusa proveniente da Regina. E ignorerei i suoi suggerimenti di non fornire un avvocato all’interrogato.”
I due uscirono e lei si fermò a respirare l’aria fresca.
“Grazie. Come ha saputo?”
“Te lo dirò quando saremo saliti in macchina, Emilie. Hai fame? Hai pranzato oggi?”
“No. Ma non serve, ho lo stomaco chiuso.”
“Come vuoi.”
Salirono nella Cadillac nera e non servì nemmeno che il signor Gold le fornisse spiegazioni. Sul cruscotto c’era il giornale spiegazzato con una sua foto in bella mostra. Il titolo dell’articolo era “Picchia la madre all’incoscienza e la deruba.” Il giornalista era Sidney Glass e la cosa non la stupì, visto che era il cagnolino di Regina.
“Mi dispiace, Emilie. Ora è tutto finito.”
Lei annuì, ma voltò il giornale in modo da non vederne la prima pagina.
“Grazie ancora di avermi aiutata.”
“Proteggo sempre i miei investimenti.”
Per qualche ragione, lei si sentì irritata da quelle parole, pur essendo perfettamente tipiche del signor Gold. Rimase sorpresa quando, arrivati davanti al negozio, scese anche lui dalla macchina.
“Non vorrei che stasera tua madre o Regina si facessero vive.”
Stavano per entrare, quando Emilie sentì qualcuno che la chiamava. Si voltò e vide Derek, arrivare trafelato.
“Em, grazie a Dio stai bene, cosa…”
Prima che il suo cervello potesse fermare il suo braccio, lei schiaffeggiò forte il ragazzo.
“Come hai potuto?”
Derek la guardò a bocca aperta, la mano sulla guancia.
“Non capisco…”
Lei lo colpì sull’altra guancia.
“Come hai potuto credere che io avessi malmenato mia madre senza ragione e dopo che l’avessi derubata? Come hai potuto, sacco d’immondizia, tu, razza di stronzo vigliacco!”
“Em, non ho mai detto…”
“Ho visto come mi hai guardata, stamattina. Hai creduto subito che fosse vero. Perché?”
“Le prove…”
Emilie vide rosso davanti a sé.
“Ficcatele in quel posto, le tue prove, Derek Prince!”
Entrò in negozio, lieta che Gold fosse già dentro. Sbatté la porta e la chiuse a chiave. Derek se ne stava andando, eppure lei non rimpianse nemmeno una parola di ciò che gli aveva detto.
“Allora ce li hai anche tu gli artigli.”
Il signor Gold la raggiunse, sorridendo.
“Quel bastardo credeva…”
Emilie sentì un groppo in gola. Gold le circondò le spalle con il braccio.
“I ragazzi alle volte possono essere molto stupidi. Tuttavia, devo dire che un simile comportamento da parte del giovane Prince era prevedibile. È sempre stato un debole ignavo.”
Lei sorrise, nonostante le lacrime avessero già iniziato a bagnarle le guance. Per la seconda volta nel giro di una settimana, lei gli pianse sulla spalla mentre lui l’abbracciava. Sentiva una sensazione di… casa, in un certo senso. Il signor Gold le scostò i capelli dalla fronte e lei sentì le sue dita sulle tempie, prima che le catturassero il mento. Le alzò il viso e lei sentì il mondo fermarsi. Non c’erano rumori, movimenti, era come se loro due fossero in una sfera di cristallo.
“Ascoltami bene, Emilie, adesso ti sei sfogata, ma è il momento di riprendere in mano la tua vita. Tu forse non lo sai ancora, ma dentro di te c’è un lato coriaceo e fiero che non aspetta altro che mostrarsi. Hai passato il peggio, ma devi sempre stare pronta alle future evenienze.”
Lei annuì e lui la lasciò andare.
“Ora telefonerò alle tue amiche. Erano molto preoccupate per te.”
Emilie annuì ancora. Lo guardò scomparire sul retro del negozio e, dopo un istante di esitazione, si sedette dietro la cassa. Era stata una giornata lunga, ma si sentiva come in un sogno. Le sembrava un tempo lontanissimo quello in cui era stata interrogata, arrestata e liberata, anche se non era passata neanche mezz’ora dalla fine di tutto. Non si mosse finchè non sentì il rumore del bastone del signor Gold che si avvicinava.
“Domani verranno a farti visita. Naturalmente, farai come vorrai, ma ti consiglio di andare lo stesso al lavoro, domani.”
“Non sarò io a nascondermi. Non  ho fatto nulla di male.”
“Questo è lo spirito.”
L’aiutò ad alzarsi.
“Vai a dormire. È presto, ma hai passato un brutto giorno.”
“Non ho sonno. E poi, ho paura di rifare quell’incubo.”
“Che incubo?”
Lei esitò.
“Mentre ero in cella, mi sono addormentata. Ho sognato in un primo momento che la stanza si chiudeva attorno a me, ma la seconda parte è stata peggio. È assurdo, riderà di me, ma ho sognato Regina.”
“Regina Mills?”
“Sì… e no. Voglio dire, era lei, ma con i capelli lunghi ed era vestita con un abito nero come quelli medievali. Ho sognato che mi strappava il cuore, chiamandomi mocciosa.”
Lui si lasciò scivolare il bastone. Lei glielo raccolse, rossa per l’imbarazzo.
“Lo so, lo so, è una cosa inverosimile…”
Gold la fissava come se avesse visto un fantasma. Poi, si riscosse e parlò piano, più a se stesso che a lei.
“Naturale… ora che lei è arrivata, tutto sta cambiando… prima l’orologio, e adesso…”
“Cosa?”
Il signor Gold fece un cenno di diniego.
“Non è importante. Dormi tranquilla, qualcosa mi dice che stanotte non farai brutti sogni.”
Le sorrise, mentre lei saliva le scale.
“Buonanotte, signor Gold.”
“Buonanotte, dearie.”
Lei si fermò davanti alla porta. Per un attimo sentiva come se stesse per ricordare qualcosa, ma nella sua mente c’era solamente il buio. Entrò in camera, dandosi della sciocca. Eppure… aveva una strana sensazione. Lui l’aveva già chiamata dearie in passato, ma questa volta aveva sentito come…un eco, di una voce più maliziosa e giocosa. Come se qualcun altro, oltre al signor Gold, l’avesse chiamata così. Scosse la testa. Erano solo sciocchezze. Stesa sul letto, attendendo il sonno, lei si portò due dita alle labbra, chiedendosi perché si sentiva come se non fosse successo qualcosa che doveva accadere.
 
 
  
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