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Autore: _paynescupcake    07/09/2012    12 recensioni
[Dal Prologo.]
"Avevo quasi quattro anni quando mia madre decise, come regalo di compleanno, di portarmi a visitare la città che all'epoca prediligevo: Londra. Ogni volta che la vedevo in televisione mi fiondavo più vicina per vederla meglio e affermavo che un giorno mi sarei trasferita lì e avrei sposato un bel inglesino. A quelle parole ingenue mia madre non poteva fare altro che sorridere, sebbene fossi una bambina piuttosto sveglia per la mia età, ancora non sapevo molte cose."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo.


4 luglio 1998

Il giorno in cui tutto cominciò.

« Andrea, tesoro, svegliati! » mi sussurrò mia madre in un orecchio.
Io aprii gli occhi lentamente, uno alla volta, ritrovandomi immersa nell'oscurità più completa.
« Ma è notte! » protestai stringendo al petto il mio gattino bianco di peluche con gli occhi strabici.
« Lo so. - rispose lei con tutta calma aprendo le tende della mia cameretta e lasciandomi intravedere il classico colore leggermente rosato dell'alba. - Ti ricordi che giorno è oggi? - la fissai con aria pensierosa e infine scossi la testa mortificata. - e se ti dicessi” Londra”? » provò ancora lei con fare vago.
A quelle parole i miei occhi si illuminarono e iniziai a saltellare per la stanza sprizzando gioia da tutti i pori. « Londra, Londra! » cominciai a gridare.
Mia mamma iniziò a ridere vedendo la mia euforia.
« Tesoro però ora calmati! - disse dopo qualche minuto – se vogliamo partire, dobbiamo vestirci e andare a prendere l'aereo! »


Avevo quasi quattro anni quando mia madre decise, come regalo di compleanno, di portarmi a visitare la città che all'epoca prediligevo: Londra. Ogni volta che la vedevo in televisione, mi fiondavo più vicina per vederla meglio e affermavo che un giorno mi sarei trasferita lì e avrei sposato un bell’inglesino. A quelle parole ingenue, mia madre non poteva fare altro che sorridere, sebbene fossi una bambina piuttosto sveglia per la mia età, ancora non sapevo molte cose.
A quei tempi ero una bimba pasciuta, abbastanza alta per gli anni che avevo, con la testa perennemente ornata da un'impalcatura di trecce che ogni mattina la mia mamma mi faceva con premura e minuzia. Portavo un paio di occhialetti tondi, stile Harry Potter per intenderci, dalla montatura rosso fiammante che nascondevano due occhi color ghiaccio.
All'asilo parlavo già molte più lingue di molti adulti: italiano, inglese e russo. I miei genitori si erano conosciuti durante una sfilata di moda, mia madre, alta, bionda, occhi azzurri, fisico slanciato, era una promettente modella russa, mio padre, alto, moro, occhi castani e fisico atletico era destinato a diventare un grande campione olimpico. Molto giovani e innamorati si erano sposati e dopo qualche tempo ero nata io. Ma purtroppo, come si sa, l'amore non dura in eterno, così quando io avevo due anni divorziarono rimanendo però, solo forse per causa mia, in buoni rapporti. Siccome mio padre non brillava proprio come cultura e come genialità, non aveva mai imparato il russo, perciò tra di loro, i miei genitori, parlavano inglese, per questo motivo mi trovavo, di quattro anni, a conoscere, quasi alla perfezione, tre lingue.

Dopo parecchie ore di viaggio arrivammo a Londra.
« Si informano i signori passeggeri che entro pochi minuti atterreremo all'aeroporto di London Heathrow. Si prega di restare seduti fino a quando non verranno spenti i segnali luminosi. »
« Mamma, dammi la mano. » esclamai terrorizzata stringendo forte il mio inseparabile peluche.
« Non ti preoccupare tesoro. - mi tranquillizzò – tra poco sarà tutto finito. »
Annuii e guardai fuori dal finestrino. Una folta coltre di nuvole, interrotta solo qua e là, mi impediva di vedere sotto.
« Mamma, mamma! - esclamai a un certo punto strattonandola – Guarda, guarda! » la invitai puntando il dito contro il finestrino e saltellando presa dalla felicità.
« Che c'è tesoro? »
« London Eye! » esclamai, allibita dal fatto che lei non l'avesse visto, premendo il mio dito indice contro il vetro per indicarglielo.
« Domani ci saliremo, va bene? Ora però stai calma o quel signore là viene a dirti qualcosa. »
Guardai nella direzione indicata da mia madre: un omone in divisa da assistente di volo stava osservando tutti i passeggeri con le mani incrociate sul petto. Un brivido di terrore mi percosse il corpo.
Finalmente atterrammo e, dopo un colpo e svariati minuti di “camminata” dell'aereo sulla pista, il comandante annunciò il nostro atterraggio. « Siamo appena atterrati all'aeroporto di London Heathrow. Sono le 11:00 e fuori c'è una temperatura di 15° C. con cielo coperto. Grazie per aver viaggiato con Alitalia! »

« Mamma, posso andare a giocare con quel bambino? » chiesi mentre eravamo in coda alla reception dell'hotel in cui avremmo alloggiato per una settimana, indicando un bimbo riccio con delle guanciotte piene scavate da due fossettine che lo rendevano adorabile.
« Va bene, ma non allontan... » troppo tardi, mia madre dovette lasciare la frase a metà, io ero già seduta per terra con l'altro bimbo.
« Ciao. » dissi sorridente.
« Ciao. » rispose lui senza distogliere lo sguardo dalle sue macchinine.
« Come ti chiami? »
« Harry. » rispose lui.
« Io sono Andrea. - lui annuì senza degnarmi di attenzioni. - Posso giocare con te? » chiesi insistente.
« No. »
« Perché? »
« Perché le macchinine sono mie e tu sei una bambina e le bambine non giocano con le macchinine. »
« Non è vero! » risposi indignata prendendo uno dei suoi giocattoli come a dimostrargli che si sbagliava.
Lui mi fissò per qualche istante poi, accettato il fatto che anche una bambina potesse avere i suoi stessi interessi iniziò a giocare con me.
« Vieni Harry, - lo chiamò una donna dall'ingresso della reception - andiamo in camera. »
« Ma io sto giocando! » protestò lui.
« Va bene, allora aspettiamo che la mamma e il papà di questa bimba arrivino poi andiamo. » sospirò lei capendo che il figlio non si sarebbe smosso dalla sua posizione.
« Io sono qui solo con la mia mamma, il mio papà ora vive da un'altra parte. » le risposi, cortesemente, seria.
« Ah sì? - io annuii. - Come ti chiami? »
« Andrea. »
« Che bel nome! - io feci una smorfia di disapprovazione, non mi piaceva il mio nome era...da maschio! - E di dove sei? »
« Torino, ma la mia mamma è russa. » risposi togliendo l'attenzione da lei e concentrandomi sulle macchinine sparse tutto attorno a me.
« Parli bene inglese! » osservò lei.
Io annuii.
« Andrea, vieni! » mi chiamò mia mamma.
« Ciao Harry – lo salutai restituendogli i suoi giochi – Arrivederci signora. » e partii di corsa in direzione della porta.
« Hai fatto amicizia con quel bimbo? » io annuii prendendola per mano.


10 luglio 1998

« Mamma, portiamo Harry e la sua mamma sul London Eye? » chiesi quella mattina a colazione accogliendo il consenso del ricciolino.
« Non so che cosa ne... »
« Mamma, ti prego, andiamo? » implorò Harry guardando la madre con occhi da cucciolo.
« Va bene tesoro. »
« Sì! » esclamammo, sorridenti, noi due in coro.

« Il campanile del Big Ben! » esclamai schiacciando naso e indice contro il vetro della cabina che sovrastava Londra.
« E laggiù si vede Buckingham Palace! » esclamò Harry indicando poco lontano.
« Sì ragazzi. - esclamò mia mamma prendendo la macchina fotografica e puntandola su di noi – ora giratevi a guardatemi e sorridetemi. » obbedimmo e, dopo essere stati abbagliati dal flash, tornammo a osservare il paesaggio.
Finito il giro sulla maestosa ruota panoramica in riva al Tamigi, ci dirigemmo al McDonalds più vicino e prendemmo un tavolo per quattro.
« Vado a ordinare. - disse la madre di Harry per poi rivolgersi alla mia – tu aspetti qui e tieni il tavolo? » Lei annuì.
« Veniamo con te! » esclamai prendendo Harry per mano.
Dopo una lunga coda, finalmente fu il nostro turno.
« Che cosa prendete? » chiese un ragazzo, poco più che diciottenne, con la faccia tempestata di brufoli e l'apparecchio ai denti.
« Due HappyMeal e due cheeseburger qualsiasi. » ordinò la donna.
« E da bere? »
« Acqua, grazie. » rispose prendendo il portafoglio.
« Sono venti sterline. »
Dopo aver pagato e aspettato che fossero riempiti i nostri vassoi tornammo al tavolo.
« Guarda! » esclamai trionfante rivolta a Harry mettendomi in piedi sulla sedia e stringendo tra le mani un bracciale di plastica.
« Ce l'ho anch’io! - rispose lui estraendone uno identico dal suo HappyMeal - Facciamo un patto? » chiese lui serio.
« Che patto? »
« Mamma, che giorno è? » chiese rivolto alla madre.
« Il 10 luglio. »
Annuì e riprese il suo discorso: « Quando avremo diciotto anni, il 10 luglio... »
« 2012. » venne in suo aiuto la madre.
« Ecco, grazie. Il 10 luglio del 2012 ci rivedremo qui a questo tavolo con i nostri bracciali, ci stai? »
« Sì! - risposi con un ampio sorriso. - e ci sposeremo. » aggiunsi. Le nostre mamme ci guardarono divertite, in quei pochi giorni avevano legato molto anche loro ed erano contenti i loro figli avessero finalmente fatto amicizia con qualcuno nonostante i loro soliti caratteri.
« Certo! - esclamò lui soddisfatto. - è una promessa. » aggiunse.


Per diverso tempo continuammo a sentirci regolarmente, almeno una volta al mese arrivava una telefonata da parte loro o da parte nostra, poi, con il passare degli anni e dei mesi, questa corrispondenza si affievolì fino a sparire completamente.

8 luglio 2012

« S’informano i signori passeggeri che entro pochi minuti atterreremo all'aeroporto di London Heathrow. Si prega di restare seduti fino a quando non verranno spenti i segnali luminosi. » annunciò la voce metallica del comandante.
Sorrisi rigirandomi tra le mani il braccialettino di plastica che avevo trovato quattordici anni prima.
Dopo l'atterraggio è il classico applauso, il comandante parlò di nuovo: « Siamo appena atterrati all'aeroporto di London Heathrow. Sono le 17:35 e fuori c'è una temperatura di 18° C il cielo è coperto. Grazie per aver viaggiato con Alitalia! »
Slacciai la cintura di sicurezza presi il mio bagaglio a mano, dopo essermi alzata, e raggiunsi l'uscita.
« Arrivederci. » mi salutarono i membri dell'equipaggio, ricambiai il saluto e misi piede in suolo Britannico.
Percorsi il lungo corridoio che legava l'aereo all'interno dell'aeroporto dirigendomi alla dogana dove una donna dai capelli biondo platino mi indicò di avvicinarmi a un bancone dietro il quale stava un uomo dalla carnagione panna cosparsa di lentiggini e i capelli rossi.
« Buonasera, carta d'Identità, prego. - porsi il documento richiestomi dall'uomo che, dopo avermi controllata aggiunse – Che cosa è venuta a fare nel Regno Unito? »
« Visitare Londra. » risposi.
Lui annuì: « Può andare – affermò indicandomi l'uscita – e ben venuta nel nostro meraviglioso paese! »
Passata la dogana, estrassi il portafoglio per mettere al suo posto la Carta d'Identità. La mia attenzione venne catturata da una foto di cui si intravedeva solo un angolo. La sfilai dal suo posto e la osservai: due bambini sorridenti mi guardavano impazienti di poter tornare a osservare il paesaggio fuori dalla cabina del London Eye. Sorrisi a mia volta. Quante cose erano cambiate da quel giorno... non sapevo più nulla di quel bambino con le fossette e i capelli ricci che sorrideva al fianco della bambina, l'ultima sua notizia risaliva a più di due anni prima, aveva fondato una band con i suoi amici “White qualcosa” o qualcosa di simile. Le nostre strade si erano divise nel momento in cui ero tornata in Italia l'11 luglio 1998. Io tornata nel mio paese, dopo qualche anno, ero diventata il bersaglio preferito delle prese in giro dei miei compagni di classe: occhiali, apparecchio, fisico tondo... insomma, le avevo tutte; lui non me lo immaginavo cambiato, sempre bello, con le fossette e le guanciotte piene. I ricordi di quei pochi giorni passati insieme mi riempirono la mente, le nostre risate, le nostre corse, ogni piccolo momento che a quei tempi mi era sembrato insignificante, ora apparivano lontano anni luce, sorrisi.
La mia valigia che arrivava mi fece distogliere la mente da questi pensieri. La presi con due mani, dovendo sollevare ben venti chili – probabilmente al ritorno avrei superato il limite dei ventitré ammessi – e mi diressi, soddisfatta, all'uscita intasata di ragazzine urlanti. Mi districai a fatica da quella folla scalpitante e finalmente uscii all'aria aperta, sotto il cielo completamente nuvoloso di Londra. Una goccia mi si posò sugli occhiali lasciando un alone sfocato sulla lente.
« Merda. » sussurrai iniziando a correre in direzione dei taxi parcheggiati lungo il marciapiede.
Avrei alloggiato allo stesso hotel di quattordici anni prima: King's Cross Royal Hotel. Si trovava in una zona piuttosto centrale ma non molto ben frequentata e, per convincere mia madre a lasciarmici andare da sola, avevo dovuto prometterle mille cose.
« King's Cross Road, al Royal Hotel, per favore » dissi all'autista del taxi vicino al quale ero mentre l'uomo prendeva il mio bagaglio per farlo entrare nel bagagliaio.
« Certo signorina. »
Dopo avermi aperto la portiera per entrare ed essere salito sull'auto a sua volta, mise in moto il veicolo.

Ci vollero circa due ore per raggiungere l'hotel, il traffico a quell'ora era molto intenso e più volte sentii chiaramente l'autista maledire i vari semafori rossi o gli altri automobilisti che si immettevano sul nostro cammino. L'albergo era più piccolo di come me lo ricordavo, le pareti, con il tempo, si erano scrostate lasciando intravedere l'intonaco grigio che rivestiva l'edificio.
Dopo aver preso i miei bagagli e aver pagato l'autista entrai finalmente nella reception poco affollata e molto luminosa.
Mi avvicinai al bancone e consegnai il foglio della prenotazione a una donna, parecchio in carne, con l'aspetto molto mascolino, che, dopo averlo letto, mi consegnò una chiave magnetica e iniziò a spiegarmi alcune cose sull'hotel. Passati circa dieci minuti fui finalmente libera di entrare nella mia camera.
Appena varcai la soglia, mi lanciai, con tanto di scarpe, sul comodo letto matrimoniale che occupava il centro della stanza. Una finestra enorme, sulla parete opposta alla porta, inondava la stanza di luce che si rifletteva sulle pareti bianche, completamente spoglie, interrotte solamente da una piccola credenza appoggiata ai piedi del letto e sormontata da uno specchio enorme e un piccolo televisore vecchio stile.
Svuotai la valigia mettendo tutti i miei vestiti nei cassetti della credenza, dopo di che scelsi i vestiti da indossare, shorts di jeans a vita alta e una camicetta, e mi diressi al piccolo bagno della camera situato dietro una porta accanto all'ingresso.
Lasciai che il getto d'acqua calda mi scorresse lungo il corpo per lavar via ogni traccia di stanchezza.

« Pronto? » disse la voce metallica di mia mamma dall'altra parte del telefono. Una volta uscita dalla doccia avevo deciso di chiamarla, giusto per rassicurarla sul viaggio.
« Ciao mamma, sono Andrea » risposi
« Tesoro! - esclamò lei tutta contenta nel sentire la mia voce - com'è andato il viaggio? »
« Bene, meno traumatico della prima volta! » a queste parole la sentii ridere dall'altro capo della cornetta.
« Allora, raccontami qualcosa, cambiamenti o cose del genere. » m’incitò lei una volta che si fu ripresa dalla sua risatina.
« è tutto diverso da quattordici anni fa! E poi non è che mi ricordi molto di quella vacanza. »
« Quanto tempo sprecato! » ribatté lei con finta aria stanca.
Restammo al telefono per circa mezz'ora, raccontandoci gli ultimi avvenimenti.
Da sempre ero stata una ragazzina riservata, una di quelle che non fanno amicizia molto facilmente, che, quando va alle feste, se ne sta in un angolino; per questo motivo la mia unica amica era mia madre, con lei parlavo di tutto, gli anni che ci separavano erano relativamente pochi, perciò lei riusciva a capire i miei problemi, ad aiutarmi nel risolverli, era tutto ciò di cui avevo bisogno fin dalla mia infanzia.
« Be', Andrea, ora ti lascio andare, avrai sicuramente fame dopo il lungo viaggio e non mi va proprio trattenerti oltre. Mi raccomando, ricordati perché sei a Londra e divertiti più che puoi! Mi dispiace così tanto non essere lì con te... »
« Mamma, - la interruppi prima che potesse iniziare qualsiasi discorso – non importa, hai il tuo lavoro e in più è ora che diventi più indipendente, questa vacanza sarà un'ottima opportunità di crescita per me; non devi preoccuparti, starò bene. A presto! » riattaccai il telefono e, dopo aver preso un cardigan per combattere il tipico clima londinese, mi precipitai a far cena, mia madre aveva ragione: stavo morendo di fame!

--- spazio autrice ---

Ecco qui il primo capitolo di una nuova fan fiction!
Questa storia sta prendendo vita grazie anche alla collaborazione con pizza girl, qui avete solo il prologo ma spero vi “intrighi” e vi metta voglia di continuare la lettura.
Mi farebbe molto piacere (così come a B.) avere qualche opinione sul capitolo quindi, se siete arrivati fin qui, recensite per favore!
Al prossimo capitolo!
xoxo
C.
   
 
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