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Autore: Padmini    07/09/2012    5 recensioni
Sherlock aprì la porta ed entrò in casa, ma successe qualcosa che non poteva prevedere. Un piede comparve oltre la soglia e lo fece inciampare. Subito dopo una mano lo afferrò per la sciarpa e lo trattenne, in modo che non cadesse.
“SHERLOCK!” urlai con tutto il fiato che avevo in gola e desiderai con tutto me stesso di avere tra le mani la pistola.
Genere: Avventura, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Preparatevi per un finale con i fuochi d'artificio! Spiega tutto: il rapporto tra Sherlock e i suoi  genitori e, cosa più importante, il suo rapporto con Sherrinford.


 




Un giocattolo che non si può rompere

 

 

 

 

Il rumore dello sparo risuonò a lungo e a Sherlock sembrò che durò anche di più. Rimase immobile, spaventato e incredulo, mentre attorno a lui cominciavano a sentirsi le prime grida dei passanti e qualcuno urlava di chiamare un'ambulanza.

Sebastian Moran, davanti a lui, era ancora più stupito. Una grossa macchia vermiglia gli si stava allargando al centro del petto. Guadò Sherlock e poi si guardò le mani, sporche del proprio sangue. Alla fine si accasciò per terra, ormai privo di vita.

Subito dopo cadde anche Sherlock. Tutto ciò era troppo per lui. La paura, pian piano, fu sostituita dalla consapevolezza. Tentò di sollevarsi e, a carponi, raggiunse il bordo del palazzo per guardare giù. Sul marciapiede, dall'altra parte della strada, c'era un cerchio di persone, radunate attorno ad un corpo steso a terra sopra una pozzanghera di sangue che partiva dalla testa.

John, nel frattempo, era scomparso.

A fatica raggiunse la stampella, ma la tensione che aveva accumulato era talmente tanta che, invece di afferrarla saldamente con la mano, riuscì solo ad allontanarla ancora di più. Imprecò sottovoce e cercò di ignorare il dolore alla gamba mentre si alzava per raggiungerla. Il suo sguardo era ancora posato sulla stampella, quando qualcuno lo raggiunse e la prese in mano.

Alzò gli occhi.

Era John.

“Mi sembra che questa ti serva ancora, eh?” domandò ridendo.

Era rosso in viso, sporco di sangue e tremava come una foglia ma era vivo e cercava di trasmettergli tranquillità, di fargli superare quel momento difficile.

Sherlock aveva ancora le guance bagnate di lacrime, così si passò una mano sul viso per asciugarsi e rise a sua volta.

“Questa volta non è un trauma psicosomatico” disse ridendo “Il dolore lo sento benissim...haia!”

esclamò alzandosi e prendendo la stampella che John gli porgeva.

“Cosa dici?” domandò John “Vuoi dire che hai recuperato la memoria, o hai semplicemente letto il mio blog?”

“Tutte e due le cose” rispose Sherlock sorridendo e guardandosi attorno “Piuttosto … hai visto chi ha sparato?” domandò cercando di scorgere qualcuno appostato da qualche parte.

“Non ne ho idea” rispose John scuotendo la testa e cercando di ripulirsi come meglio poteva dal sangue.

“Deve essere stato Mycroft” ipotizzò Sherlock “Moran, il complice ancora in libertà di Moriary, mi ha detto che è stato mio fratello a dargli tutte le informazioni che gli servivano per trovarmi e per costringermi a suicidarmi. Sapeva tutto. Sapeva dell'incidente, del coma, perfino dell'amnesia e, cosa più importante, sapeva che oggi sarei tornato a casa. Scommetto che Mycroft lo ha avvisato anche quando mi ha visto uscire da solo”

John rimase a bocca aperta, stupito da quelle rivelazioni, poi si riebbe e divenne severo.

“A proposito” domandò incrociando le braccia al petto “Perché sei uscito? Ero in pensiero! Potevi almeno lasciare un biglietto!”

“I biglietti sono noiosi” rispose Sherlock stringendosi sulle spalle “Avevo bisogno d'aria, così ...”

“Vedo che, oltre alla memoria, hai recuperato anche il tuo solito carattere!” disse John ridendo.

“Non è il momento, John” lo rimproverò lui “Ora voglio solo sapere chi ha ucciso Moran e il suo complice e perché e sono quasi certo che le riposte le otterremo al Diogenes Club”

Cominciarono a muovere i primi passi verso la porta per scendere dal palazzo, quando sentirono alcune sirene in strada.

Erano arrivate un'ambulanza e la polizia. Una squadra di yarders, capitanata da Lestrade, aveva raggiunto il tetto del Bart's, convinta che il colpo fatale fosse partito da lì.

“Sherlock! John!” esclamò Greg vedendoli “Non mi dite che ...”

“Cosa si aspettava, Ispettore?” domandò Anderson “Quello lì” disse indicando Sherlock “È solo uno psicopatico e assassino e il dottore è sulla buona strada per raggiungerlo e … mio Dio! Brown, dì a Steven e Paul di raggiungermi sul tetto” disse parlando alla radiolina “C'è un altro cadavere qui”

“Anderson” lo chiamò Sherlock avvicinandosi zoppicando “Come al solito non sei capace di mettere due parole in fila senza sparare un'immane cazzata”

“Mi hai riconosciuto, ora?” domandò ghignando “Ti è ritornata la memoria?”

“Si trattava di una condizione temporanea” rispose Sherlock, come al solito impassibile “Ho recuperato tutti i miei ricordi e devo dire che, purtroppo, tra quei ricordi ci sei anche tu. Tu e la tua incompetenza”

“Simpatico come sempre, vero?” domandò l'uomo “Ispettore, posso portarli via?”

“Immagino che vogliate interrogarci” disse Sherlock “Andiamo John”

“Ma … Sherlock!” protestò John “Noi non abbiamo fatto niente! Siamo innocenti!”

“Lo so” rispose Sherlock “Ma dobbiamo portare pazienza. Anche se sarà difficile, dovremo semplicemente cercare di far capire a questi testoni cosa è successo”

“Andiamo” disse Lestrade sospirando, facendo finta di non aver sentito l'ultimo commento di Sherlock.

In quel momento, arrivò un'altra persona. Era un uomo alto, robusto, vestito completamente di nero, cappello e occhiali da sole compresi. Si avvicinò con fare autoritario. Sherlock lo squadrò da capo a piedi e intuì immediatamente che doveva essere alle dipendenze di Mycroft.

“Non li porterete da nessuna parte” disse rivolto all'Ispettore “Devono venire con me”

“Lei sarebbe?” domandò Anderson senza portare rispetto.

“Non deve interessarle chi sono io” rispose l'uomo senza scomporsi “Le basti sapere che faccio parte dei servizi segreti. Questi uomini devono venire con me, ora. Sono stati inseriti in un progetto di protezione testimoni”

“Vuol dire che ...” iniziò Lestrade incerto “Noi dobbiamo fare rapporto! Cosa c'entra lei con queste morti?”

“Non dovrete fare nessun rapporto” disse l'uomo “Consideri il caso chiuso”

“Ma … ma ...” tentò di protestare Anderson “Se questi due hanno ucciso ...”

L'uomo guardò Sherlock e sollevò un sopracciglio.

“Questo è scemo o mi prende solo in giro?” domandò “I due uomini che sono stati uccisi” continuò rivolgendosi allo 'scemo' come se parlasse ad un bambino “Sono due assassini. Sono anni che cerchiamo di risolvere la loro questione e finalmente, qualche settimana fa, ci è capitata l'occasione di porre fine alla loro latitanza. Vi invieremo al più presto i documenti inerenti al caso, non si preoccupi. Ora” disse poi, rivolgendosi a Sherlock e a John “Dovete venire con me”

“Dove vuole portarci?” domandò John “Sono stanco di essere sballottato di qua e di là!”

“Lo saprà a tempo debito” rispose l'uomo “Nessuno, a parte noi tre, deve sapere dove verrete portati. Ora scusateci” disse rivolto a Lestrade “Dobbiamo andare”

Sherlock e John li seguirono, e insieme salirono su una lussuosa automobile nera.

“Possiamo andare” disse l'uomo, rivolto all'autista.

L'auto partì quasi senza fare rumore. Sherlock e John non osavano muoversi né parlare. John, in preda al panico, invaso da decine di domande senza risposta. Sherlock, da parte sua, era ritornato ad essere pieno padrone del suo Mind Palace e ci era completamente immerso e John non osò disturbarlo.

Entrambi sollevarono le sopracciglia, stupiti, quando si fermarono davanti a Baker Street.

L'uomo li fece scendere e risalì in auto per poi allontanarsi.

“Andiamo” disse Sherlock dopo un lungo sospiro “Immagino che Mycroft ci sita aspettando”

Aprirono la porta e, già dal piano terra, sentirono le urla provenienti dal loro appartamento. Erano Sherrinford e Mycroft. Il primo furente, il secondo piacevolmente calmo.

“Sei uno sconsiderato!” urlava Sherrinford “Avrebbero potuto morire! Te ne rendi conto?”

Mycroft rispose qualcosa, ma non si capì.

“Non me ne frega un cazzo dei piani dei servizi segreti! So solo che hai messo a rischio la vita di ...”

Si interruppe vedendoli entrare.

Sherrinford era in piedi, andava avanti e indietro per la stanza. Era spettinato e sembrava sull'orlo di una crisi di nervi. Mycroft, al contrario, era comodamente seduto sulla poltrona di pelle di Sherlock.

“Sherlock!” esclamò Sherrinford andando verso il fratello “Sei vivo! Che sollievo! Che sollievo! Stai bene, vero?” domandò, prendendogli il viso tra le mani “Stai bene?”

“Sto benissimo, Sherry” rispose Sherlock ridacchiando “Ho anche recuperato la memoria. Anche John sta bene, comunque” disse indicando John, che salutò con un cenno della mano.

“Scusa John” disse Sherrinford abbracciando Sherlock “Ero così in pensiero per … oh! Dannazione!” esclamò, cominciando a piangere “Forse dovrei … insomma ….”

“Non dire nulla, Sherrinford” lo minacciò Mycroft “Non ora. Inoltre devo spiegarvi cosa è successo ...”

“Non serve, Mycroft” disse Sherlock, interrompendolo sollevando la mano e staccandosi dall'abbraccio di Sherrinford “Immagino che tu abbia fatto finta di lasciarti sfuggire tutte quelle informazioni in modo che Moran potesse approfittarne per vendicarsi di me e di John, per poi colpirlo al momento giusto. Sbaglio?”

“Non sbagli” confermò Mycroft “Moran non ha mai sospettato che le informazioni che gli venivano passate tramite me erano solo una trappola. Si sentiva superiore, in vantaggio. Questo mi ha permesso di monitorarne le mosse e anticiparlo”

“Hai rischiato grosso” disse Sherlock a denti stretti “Stavamo per morire!”

“Non siete morti, no?”

“Non è questo il punto, Mycroft” intervenne John “Hai giocato con la vita di tuo fratello fin troppe volte”

“Questa era l'ultima” rispose lui serafico “Ora, però, devo andare. Ci sono rapporti da firmare e telefonate che devo assolutamente fare. Vi lascio con Sherrinford. Ah, Sherrinford, sii delicato, ti prego”

“Non hai il diritto di dirmi una cosa del genere, Mycroft” ribatté lui, acido.

“Era solo un consiglio” rispose stringendosi sulle spalle “Arrivederci Sherlock. John”

Si alzò e, recuperato l'ombrello, uscì dalla stanza.

 

Sherrinford, che nel frattempo aveva ricominciato a passeggiare avanti e indietro per la stanza, si girò verso Sherlock.

“Sherlock ...” cominciò. Era evidentemente a disagio.

“Cosa c'è, Sherrinford?” domandò “Cosa vuoi dirmi?”

“John, scusaci … potresti andartene? Devo parlargli da solo ...”

“No” rispose Sherlock per lui “Voglio che resti. È il mio migliore amico. Qualsiasi cosa devi dirmi, può benissimo sentirla anche lui”

Sherrinford sospirò. Chiuse gli occhi, come per raccogliere un po' di coraggio, poi li riaprì, deciso ad andare fino in fondo.

“Va bene. Va bene. Sappi, però, che è una cosa molto impegnativa. Non so perché non te l'ho detto prima e nemmeno perché mi sia deciso a parlare ora … forse la paura di perderti mi ha dato il coraggio di andare contro le convenzioni … Sedetevi”

Obbedirono e si accomodarono nelle loro solite poltrone, mentre Sherrinford rimase in piedi.

“Sherrinford ...” lo interruppe Sherlock “Cosa diavolo …?”

“Non interrompermi, ti prego” lo implorò lui “Altrimenti non riuscirò più a dirti ciò che devo. Prima di tutto, Sherlock, sai quanti anni abbiamo di differenza?”

Sherlock lo guardò stupito, ma rispose ugualmente.

“Diciotto”

“Un momento, un momento!” intervenne John “Quando ci siamo conosciuti hai detto che avete solo nove anni di differenza o sbaglio?”

“Non sbagli, John” rispose Sherrinford “Il fatto è che ti ho mentito”

“Perché” chiese Sherlock “Perché avresti dovuto mentire?”

“Per vigliaccheria” rispose “Sai perché Violet e Siger ti hanno sempre trattato in modo diverso, rispetto a Mycroft e a me?”

Sherlock scosse la testa.

“Quando avevo sedici anni venne a farci visita una donna, amica di nostra madre. Era una donna bellissima e aveva una figlia della mia età, Jade. In quel periodo stava divorziando dal marito, così la ospitammo in casa nostra per un po', finché non avesse trovato un appartamento in cui andare a vivere con la figlia”

Si interruppe, travolto da chissà quali ricordi. Posò il viso sulla mano. Era sconvolto. In qualche modo riuscì a riprendersi e a continuare. Rialzò la testa, prese un lungo respiro ad occhi chiusi, poi continuò.

“Io e Jade, come ho detto prima, avevamo la stessa età. Mycroft aveva sei anni e fu per me un sollievo poter condividere la casa con una coetanea. Andavamo parecchio d'accordo e … finimmo con l'innamorarci. Anche quando se ne andarono da casa nostra continuammo a frequentarci”

“La classica storia d'amore tra adolescenti!” sbuffò Sherlock, scocciato.

“In effetti hai ragione” confermò Sherrinford sottovoce “Una storia d'amore … finita male”

John spostò lo sguardo tra Sherrinford e Sherlock. Quest'ultimo aveva aperto la bocca per ribattere, ma la richiuse subito. Aveva forse intuito qualcosa?

“Ci amavamo davvero” riprese Sherrinford come nulla fosse “Ci amavamo e … sì, volevamo … avevamo tanti progetti per il futuro! Eravamo giovani, pieni di energie! Avevamo il mondo ai nostri piedi. So che può sembrare un cliché, una storia già sentita mille volte, ma è la mia e la conosco bene. So cosa provavo in quel periodo. Era così, davvero. Un giorno, più o meno un anno dopo il nostro incontro, il nostro sogno d'amore svanì. Catherine, la madre di Jade, venne a casa nostra. Insultò mia madre, era furiosa con lei. Non capivo cosa stava succedendo, ma ben presto la situazione fu chiarita”

John e Sherlock si guardarono. La tensione era palpabile. Perfino Sherlock, solitamente posato e freddo, stringeva convulsamente i braccioli di pelle, il viso tirato, gli occhi fissi su Sherrinford.

“Jade era incinta” mormorò infine Sherrinford “Aveva appena diciassette anni ed era incinta. Di chi, era fin troppo ovvio. Ero io il padre”

“Incinta?” chiese John “Quindi tu, oltre a Max e Alex … avresti un altro figlio? E questo figlio sarebbe … no, no, no … non posso crederci ...”

Sherlock aveva spostato lo sguardo sul camino spento. Mille ricordi cominciarono a turbinargli in testa. Ricordi a cui, ora, doveva dare un nuovo significato.

“Jade frequentava l'Accademia di Recitazione” continuò Sherrinford “La madre aveva lavorato sodo perché potesse sfondare così giovane come attrice di teatro e anch'io, con i voti che avevo a scuola e l'influenza di mio padre, ero un buon candidato per le migliori università di medicina. Un figlio non era esattamente nei nostri piani, diciamo. D'altra parte, non potevamo nemmeno obbligarla ad abortire e lei sembrava intenzionata a non farlo. Voleva far nascere il bambino e lasciarlo in un orfanotrofio per poi continuare a studiare recitazione. Io, però, non volevo saperne. Non potevo permettere che mio figlio fosse abbandonato così … ma nemmeno potevo tenerlo con me. Ero troppo giovane e dovevo studiare per diventare medico …

Alla fine i miei genitori mi proposero una soluzione alternativa. Avrebbero adottato loro mio figlio e io avrei dovuto considerarlo mio fratello minore. Non sai Sherlock” disse poi, con gli occhi pieni di lacrime rivolti verso di lui “Quanto è stato difficile. Giorno dopo giorno, anno dopo anno. Tu mi chiamavi fratello … ma io avrei voluto che mi chiamassi papà!”

Le lacrime cominciarono a uscire come un fiume. Sherrinford si avvicinò a Sherlock e si inginocchiò davanti a lui per abbracciarlo. Sherlock, sempre seduto in poltrona, era irrigidito dallo shock.

“Sai perché ti chiami Sherlock?” domandò “I nostri nomi … il tuo nome inizia come il mio, sono simili … l'ho scelto io il tuo nome, Sherlock, per ricordarmi, sempre, che tu sei mio figlio!”

Sherlock guardò John, anche lui sconvolto per quella dichiarazione.

“I miei genitori, che in realtà sono i tuoi nonni, hanno sempre fatto fatica ad accettarti. Il fatto di avere figlio in più era imbarazzante per loro. Avevano dovuto mentire ai loro amici, ai parenti, fingere sulla gravidanza. Si sono comportati male con te, lo ammetto. Per amor mio hanno accettato un peso che molti altri avrebbero rifiutato. Catherine, tua nonna materna, non aveva minimamente preso in considerazione l'idea di tenerti in famiglia con loro. Fosse stato per lei, Jade avrebbe addirittura abortito. Non condannare Siger e Violet per come si sono comportati con te. Era una situazione difficile e con gli anni è degenerata. Non è stato facile e lo sai bene anche tu”
Sherlock annuì.

“Così … tu sei mio padre?” domandò.

Era una domanda sciocca, vista la spiegazione che Sherrinford aveva appena data, ma gli venne spontanea. Non poteva credere alle proprie orecchie.

“Sì, Sherlock” rispose Sherrinford stringendolo più forte “Sono tuo padre. Sarà difficile ora” disse accarezzandolo sulla schiena “Ma vedrai che ce la faremo”

John, che era rimasto sconvolto al pari di Sherlock, era in qualche modo riuscito a riprendersi dalla notizia. Si era alzato e, visto che nessuno ormai badava più a lui, si era dileguato in camera sua. Una lacrima di commozione gli bagnò il viso mentre osservava i due, stretti in un intimo abbraccio.

“Sei tu la mia famiglia” sussurrò Sherlock, lasciandosi finalmente andare, tra le braccia di suo padre.

   
 
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