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Autore: DirtyWriter    07/09/2012    9 recensioni
Alternative Universe.
*Il potere dell’Athena incarnatasi in Saori Kido ha raggiunto il culmine permettendole di sigillare Hades e il suo esercito negli Inferi prima che la Guerra Santa iniziasse. Saga non ha mai ceduto al lato malvagio e con Mu, Rasgado, Deathmask, Aiolia, Shaka, Dohko, Milo, El Cid, Aiolos (Comandante dell'Esercito), Camus e Albafica vigila sul Santuario di cui Sage è il Gran Sacerdote.
Poseidon non ha mosso guerra alla Dea della Giustizia, concentrato a restaurare con i suoi Marines il regno di Atlantide. Kanon è rimasto il Marine di Seadragon ed è fedele al Signore delle Acque.
L’Anello del Nibelungo non è stato mai riesumato dall’oblio ed in una Asgard che vive in pace con il resto del mondo, Hilda ha abdicato in favore della sorella Flare rimanendo comunque Sacerdotessa di Odino*
In questa realtà June, Bronze Saint del Camaleonte, vive una vita da guerriera di Athena per cui ha lottato e sofferto.
Una vita che, comunque, non ritiene essere la sua perché sebbene serva devotamente la sua Dea la ragazza ode un Canto lontano che la invoca, al quale non può rimanere a lungo indifferente. Solo sulla scia di quel Canto, infatti, June potrà scoprire sè stessa...
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Chameleon June, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO 5
 
 
Il freddo era terribile ed ancora faceva fatica a sopportarlo. L’unico conforto che riusciva a trovare era nei momenti di riposo nella sua nuova dimora, la Grotta del Meriggio.
Si era trasferita in quel singolare posto circa tre giorni dopo il suo arrivo, quando Hagen si era presentato negli alloggi concessigli dalla Regina per comunicarle telegraficamente che da quel momento era sotto la sua completa responsabilità e che per quel motivo avrebbe dovuto risiedere sotto il suo stesso tetto come allieva.
Così, chiuso in un mutismo ostile, l’aveva condotta ai piedi di una montagna e l’aveva fatta entrare in una caverna.
Sceso un tratto che le parve infinito finalmente davanti a loro si stagliò un lago di lava vulcanica e, tramite un tunnel che si apriva al lato di esso, raggiunsero una serie di piccoli antri che, a ben vedere, erano abitabili ed arredati. La Grotta del Meriggio, il luogo più caldo di Asgard. La casa di Hagen.
Nel corso dei giorni successivi, durante le pause tra gli sfiancanti allenamenti a cui lui la sottoponeva, mentre mangiavano June era riuscita a strappare al ragazzo qualche rada informazione relativamente quel posto. In realtà la casata dei Merak non disponeva più di una magione propria, dato che la grande villa che ospitava la famiglia era arsa in un rogo appiccato da dei ribelli che ad Asgard era ancora ricordato come terribile e nel quale l’intera famiglia di Hagen aveva perso la vita. Lui si era salvato solo per puro caso, saltando in groppa al cavallo di suo padre che nella ressa si era dato alla fuga. Era stato inseguito da una banda di quei riottosi e, ad un certo punto, si era gettato da cavallo, rotolando dentro un cunicolo nascosto. La paura lo aveva spinto ad addentrarsi nell’oscurità ed alla fine si era ritrovato davanti alla pozza di fiamme liquide. Lì aveva avuto come la visione di un cavallo rampante che stesse sbucando dalle fiamme, ma le confessò che ancora in quel momento si chiedeva se se lo fosse immaginato, visto che subito dopo era crollato.
La rivolta fu poi sedata, ma un alone di mistero girava attorno a quell’episodio, visto che l’incendio sembrava essersi propagato sulla neve da Villa Merak fino al villaggio da dove i ribelli provenivano, radendolo al suolo. Tra le guardie reali che quella volta intervennero serpeggiava la diceria che tra le fiamme si intravedesse la sagoma di uno stallone ottopode. Con un bagliore ferino negli occhi Hagen le aveva detto che lui immaginava quell’episodio soprannaturale come una sorta di vendetta da lui stesso perpetrata.
Una volta conclusasi la bagarre, la famiglia reale si era offerta di accoglierlo a palazzo, ma lui si era opposto, facendo della caverna che l’aveva salvato la sua nuova casa e ribattezzandola Grotta del Meriggio. Era stato lì che aveva imparato a domare le energie calde, in una combinazione letale con quelle fredde proprie dei guerrieri di Asgard.
June aveva assimilato ogni parola con avidità, essendo lui così restio al dialogo. E una volta di più si era detta che in quel giovane uomo c’era una forza abbacinante che chiunque avrebbe dovuto invidiargli.
In questo modo, tra allenamenti massacranti durante i quali lui si era mostrato inflessibile e dimentico della sua condizione di donna, tra lunghi silenzi e brevi dialoghi grazie a cui però lei stava imparando ad apprezzarlo, e tra profonde riflessioni in cui lei si immergeva quasi sempre andando al Picco della Preghiera nella speranza di avere qualche segnale che puntualmente non arrivava, passò più di un mese.
In quel lungo tempo June aveva avuto modo di riscoprire in sé stessa una determinazione all’obiettivo che non pensava di avere, e ciò sia in relazione all’impegno che metteva nel tentativo di migliorarsi nel combattimento ma anche nella ricerca spirituale che stava operando nel suo stesso animo.
I rapporti con alcuni membri del Consiglio si erano man mano evoluti, giacché Mime si era dimostrato una persona piuttosto piacevole, colta e dal carattere mite, mentre Alberiech ostentava verso di lei una sorta di interesse che le parve sostanzialmente finalizzato a qualcosa che ignorava. Fenrir non ebbe più occasione di incontrarlo, mentre Thor sembrava non aver cambiato idea su di lei e sulla sua permanenza,
dimostrandolo con un atteggiamento freddo sebbene formale. Dal canto suo June aveva scoperto che, a dispetto della loro prima conversazione, Siegfried era un uomo decisamente ammirevole: comandante inappuntabile, guerriero indomito e una piacevole compagnia. Qualche volta si era recata con Hagen a Palazzo per degli incontri di corte ed in quelle occasioni aveva diviso il desco con il suo maestro, la Regina Flare, Hilda ed il prode Siegfried. Con sua grande sorpresa aveva apprezzato quei momenti e quelle persone come non faceva da molto tempo con qualcuno.
Era immersa in una riflessione proprio su quell’argomento quella sera in cui, come spesso accadeva, si ritrovava da sola seduta sulla penisola rocciosa del Picco. Guardava l’oscuro mare del Nord, attendendo che dopo tutti quei giorni di silenzio il canto tornasse a farsi sentire e ad indicarle una nuova direzione verso cui indirizzare il suo interesse.
Nulla.
Sospirò e nascose la testa tra le gambe raccolte al petto. Un rumore di passi la distrasse e, quando alzò il capo, si accorse che Hagen l’aveva raggiunta sedendosi al suo fianco. Guardava anch’egli dritto di fronte a sé e per un po’ stettero così, senza bisogno di parlare, capendo vicendevolmente cosa servisse all’altro.
Fu lui a rompere la stasi.
–Francamente non so da dove cominciare. Non sono abituato a conversazioni di questa natura, ma immagino che in qualche modo io ti debba una sorta di spiegazione. Lo credo perché, dopo tutto questo tempo in cui abbiamo vissuto braccio a braccio ed in cui mi hai dimostrato il tuo valore umano, non ti reputo più un’estranea e… Bhè, credo che tu abbia la mia fiducia-.
Ormai da parecchio tra loro le formalità erano cadute, passando per esempio dal voi al tu, ed in quella sede Hagen stava mostrando di voler probabilmente abbattere l’ultima barriera che li separava.
June reclinò il capo senza smettere di guardarlo, con la maschera inespressiva che comunque non riuscì a tradire la curiosità che il resto del corpo denunciava. Non dovette attendere molto.
-Mi dispiace per essere stato così… Rigido, finora. La verità è che ti ho fatto scontare una colpa che non hai…-.
La scrutò per un secondo di sottecchi, poi continuò.
–Siegfried mi ha detto della conversazione che avete avuto e che quindi sai tutto… Mi ha irritato non poco il fatto che si sia arrogato il diritto di venirti a spifferare i fatti miei, ma sono certo che l’abbia fatto con tutte le migliori intenzioni. E’ un buon amico e, nonostante io abbia deciso di tenerlo un po’ sulla corda per dargli una lezione, non gliene voglio. Per quanto ti riguarda, invece, ho apprezzato molto che in tutto questo tempo tu non abbia mai cercato di farmi parlare della cosa, né ponendo domande inopportune, né tantomeno trattandomi con condiscendenza o ancor peggio: pietà. Di questo ti sono riconoscente. La cosa la dice lunga sul tipo di donna che sei, June…-.
Provò uno strano piacere nel sentire la parola “donna” uscire dalle labbra di lui, quasi quanto ne provò nel constatare che quella era la frase più lunga che lui le avesse mai rivolto.
-Ti ringrazio per queste belle parole, ma sappi che non è stata solo la virtù a muovermi. In realtà temevo la tua reazione se mi fossi permessa qualsiasi tipo di confidenza verso di te: non dimentico che la mia presenza ti è stata imposta, in fondo. Ciò non vuol dire, comunque, che io non sia curiosa di sapere di più…- azzardò, nascondendo una certa incertezza.
Hagen sorrise appena senza guardarla, poi disse –Chiedi pure allora. Approfittane ora, perché non ho intenzione di tornare sull’argomento, in futuro-.
June si prese qualche istante per riflettere su cosa fosse giusto dire e come dirlo.
-A dire il vero il racconto di Siegfried mi ha reso bene l’idea di come siano andate le cose, perciò posso anche immaginare come ti possa essere sentito in quel momento… Non ho intenzione di entrare nel merito della tua intimità, Hagen, eppure una curiosità ce l’ho…-.
Lui si voltò verso di lei, aggrottando la fronte in una muta domanda, così concluse –Cosa hai fatto in quel lungo periodo in cui avevi lasciato Asgard?-.
Lo vide sospirare mentre tornava a fissare un punto indefinito di fronte a sé. –Non credo ci sia bisogno che ti dica che non fu un viaggio, ma una fuga. Scappai letteralmente da qui, pensando che lasciando Asgard avrei lasciato anche quella storia incredibile alle mie spalle. La verità è che il problema era dentro di me e, ovviamente, mi seguì in modo spietato ovunque andassi. In un primo periodo non feci altro che spostarmi, forse immaginando che se mi fossi permesso il lusso di fermarmi avrei avuto tempo di pensare a ciò che era successo, mentre io volevo solo dimenticare… Poi arrivò un momento in cui compresi che non sarei potuto fuggire per sempre. Fu allora che mi fermai-.
-Dove?-.
-Letteralmente dall’altra parte del mondo. Nel mio lungo peregrinare, infatti, era giunto nelle Terre del Fuoco. Fu proprio quel luogo a farmi capire l’ineluttabile realtà dello stato delle cose. Il villaggio in cui ero arrivato in quel momento, infatti, assomigliava in modo incredibile ad Asgard, sebbene fosse dal lato opposto del globo. Decisi di stabilirmi lì per qualche tempo e venire a patti con me stesso e la mia rabbia, forse nell’infantile speranza che stando in un posto così familiare l’impatto con la presa di coscienza non mi avrebbe ulteriormente devastato…- confessò lui.
June sentì un moto di empatia nei suoi confronti perché, sebbene le loro vicissitudini fossero estremamente diverse, in qualche modo erano entrambe legate alla riscoperta di sé stessi. Le venne spontaneo domandarsi se l’Hagen precedente a quel viaggio le sarebbe piaciuto come stava scoprendo piacerle quello di quel momento, ma represse subito il pensiero con imbarazzo. Cercò di dissipare quella sensazione ponendogli un’altra domanda -E le cose andarono come ti aspettavi?-.
-Sinceramente no. Mi ritrovai a vivere delle vicende piuttosto singolari… Eppure furono proprio queste ad aiutarmi a capire quello non riuscivo più a vedere per colpa della rabbia e della delusione-.
-Sarei troppo indiscreta se ti chiedessi di raccontarmi?- tentò June, ormai completamente rapita.
-Siamo in vena di confidenza solo per stavolta, no? Perciò non lo sei. Accadde questo: non appena giunto a Ushuaia, così si chiamava quel posto, mi stabilii nel misero rifugio che chiamavano locanda. Vivendo ad Asgard non farai fatica ad immaginare come anche lì gli stranieri non fossero visti di buon occhio, perciò una volta che ebbi capito di non essere benvenuto mi cercai un altro posto dove stare. Fui fortunato: a poche miglia dal centro abitato, tra la costa ed un bosco, trovai una bettola abbandonata e lì mi fermai. Non fu facile, all’inizio: trovare il cibo e i beni di prima necessità mi risultò molto complicato, ma quegli impegni finivano per riempirmi delle giornate che, altrimenti, sarebbero state lunghe e solitarie. Forse i pensieri e la rabbia mi avrebbero schiacciato, ma non fu così. Sai, non so come spiegartelo… Ma in quei momenti sentivo come di non essere affatto solo…-.
-Evidentemente i vostri Dei ti tengono in considerazione. Forse era la loro presenza che sentivi…- azzardò lei.
Hagen emise una soffusa risata amara. –Lì per lì non l’avrei pensato, sai? Per tutta la vita ho creduto che gli Aesi ed i Vanir considerassero esclusivamente i miei parigrado: il dio Tyr ha sempre privilegiato Mime così dotato artisticamente. Balder ha sempre rivolto il suo sguardo benevolo su Siegfried, come Siph su Fenrir. Thor non porta quel nome per puro caso, e Alberiech… Bhè, non ci vuole molto a comprendere come Loki lo favorisca in tutto e per tutto. Per quanto riguarda le Valchirie ed Heimdallr, loro hanno occhi per ben altri guerrieri che non siano me. E, nonostante la mia fedeltà verso di lui mai abbia vacillato, neppure il Padre Odino sembra avere grande considerazione di me… Ma le vie degli Dei sono imponderabili, sai? Lascia che finisca di narrare-.
Lei assentì appena con il capo così lui continuò. -Passò parecchio tempo in cui le mie giornate erano scandite dalla necessità di sopravvivere. Eppure ogni secondo che passavo laggiù avevo come la sensazione che ogni cosa riprendesse il suo senso primordiale ed iniziai a sentirmi meno inquieto. Credevo che la fine del mio autoimposto esilio stesse lì per giungere, ma evidentemente le Norne non erano d’accordo. Fatto sta che un giorno dal bosco udii provenire delle grida alla quali a breve fecero eco degli ululati inferociti. Non stetti lì a ragionare, il mio istinto prese il sopravvento e mi addentrai tra gli alberi. La trovai lì, riversa al suolo di una radura, circondata da un branco di lupi affamati: una donna. Lì per lì non diedi troppo peso a chi fosse e cosa ci facesse in quel posto, pensai solo a trarla in salvo. Non mi ci volle molto a mettere in fuga le fiere e così potei avvicinarmi a lei per sincerarmi delle sue condizioni. Quando le arrivai ad un passo la vidi alzare il capo verso di me e, istintivamente, indietreggiare come se mi temesse più dei lupi. Io, invece, rimasi piuttosto incuriosito da lei…-.
-Incuriosito? Non era esattamente il termine che mi sarei aspettata… Comunque doveva essere un tipo interessante se riuscì a catturare l’attenzione di un uomo come te che, solitamente, è imperturbabile…- intervenne June.  Ma nel dire quelle parole evidentemente non riuscì a privare la frase di un certo qual tono canzonatorio. Si accorse subito dello scivolone e capì che anche Hagen aveva colto dallo sguardo in tralice che le lanciò e il tossicchiare infastidito che ne seguì. Così abbassò la testa costernata e tornò ad ascoltare.
-Si, certo… Comunque così su due piedi non direi che interessante sia la parola adeguata. Ma “misteriosa” si… Era abbigliata in abiti neri dalla foggia sontuosa e dal taglio di chiaro valore ed il suo volto era nascosto da un velo pesante e fumoso che ne lasciava appena intravedere i contorni del viso. Quando provai ad avvicinarmi ancora mi urlò di starle lontano e che piuttosto che tornare indietro si sarebbe uccisa. Era sconvolta. Ci misi un po’ a farle capire che non avevo intenzione di riportarla proprio da nessuna parte e che l’unica cosa che volevo da lei era sapere se stesse bene o meno. Quando, poi, finalmente si calmò la portai nel mio rifugio perché si rifocillasse-.
-Chi era? E cose le era accaduto?- chiese June con foga, ormai totalmente immersa nel racconto.
-Mi disse di chiamarsi Shir’ Hin e di essere la sorella del signore di quelle terre, il Lord Shir’ Kayn. Accettò il mio aiuto, ma a quanto parve non mi accordò la sua completa fiducia visto che non tolse il velo. Mi confessò di provare un forte dolore alla caviglia e così, mentre controllavo l’entità del danno, mi raccontò di essere in fuga. Effettivamente il piede era tumefatto e gonfio, una brutta distorsione che non le avrebbe permesso di fare molta altra strada. Così presi una decisione e le promisi che l’avrei curata a patto che lei mi dicesse tutta la sua storia, così che io potessi valutare cosa farne di lei. Se non l’avesse fatto la minacciai che l’avrei riconsegnata seduta stante a suo fratello senza darle altra scelta. Si mostrò restia ad accettare l’accordo, ma quando comprese che facevo sul serio si arrese e, mentre la medicavo, mi raccontò le sue vicende-.
-Diplomatico…- mormorò la ragazza.
-Non diplomatico, ma pratico: non avevo altra scelta. Se proprio dovevo esser lì per infilarmi in qualche losca faccenda almeno avevo il diritto di stabilire se le motivazioni che la stavano provocando fossero valide o meno. E valide, infine, le reputai.
Shir’ Hin mi disse che suo fratello era un perverso bastardo e misogino, il quale non aveva la minima intenzione di prendere una moglie per assicurare una discendenza alla casata. A detta di lei la popolazione non si lamentava di tale scelta: io stesso avevo sentito mormorii sull’incommensurabile barbarie di cui era capace quell’uomo, ed il fatto che la dinastia sarebbe terminata con lui rendeva alla gente più sopportabile l’attesa della sua dipartita. Tuttavia Shir’ Kayn non sembrava essere così stolto: dal momento che lui non aveva il minimo interesse a perpetrare la sopravvivenza della stirpe al comando di quelle terre, aveva deciso che sua sorella lo facesse in sua vece. E per questo motivo aveva indetto un torneo per decretare l’uomo più forte in assoluto, il quale avrebbe vinto la mano di Shir’ Hin ed il possesso del titolo. Ovviamente, viste le tinte fosche con cui era dipinto quell’uomo, era ovvio che quel torneo fosse pianificato come all’ultimo sangue e privo di qualsivoglia limite morale. Semplicemente: l’ultimo a sopravvivere avrebbe vinto. E Shir’ Hin sarebbe stata sua-.
Tacque e June non disse nulla a sua volta. In quel silenzio v’era più pienezza che in mille discorsi articolati.
-Stai pensando che è disgustoso, vero? Ho percepito un tremito nel tuo cosmo e non posso biasimarti, l’ho pensato anche io. E, a quanto pareva, anche Shir’ Hin lo pensava. Anzi, ne era talmente convinta che mi confessò che se la sua fuga non fosse andata a buon fine si sarebbe tolta la vita: non poteva accettare di essere sfruttata come carne da macello e di farsi tramite di un gioco che avrebbe spinto il popolo dalla graticola che era suo fratello ad un falò vero e proprio che avrebbe potuto essere il suo futuro sposo. In quel momento mi venne da chiedermi se fosse pazza, terrorizzata, stolta o semplicemente orgogliosamente coraggiosa. Mi risposi subito che era una commistione della seconda e dell’ultima caratteristica… E l’ammirai. L’ammirai perché, sebbene stesse fuggendo, a differenza mia non era per una motivazione puramente egoistica. L’ammirai perché a differenza… Delle donne di Asgard non stava lasciando che il destino la travolgesse, ma si stava strenuamente opponendo-.
Di nuovo un’interruzione, dovuta al riferimento alla sua regina. Sospirò, rannuvolato, poi riprese.
-La nascosi finchè la sua caviglia non si fu rimessa del tutto. Shir’ Hin non mi mostrò mai il suo volto, ma in compenso ci ritrovammo a condividere pensieri e ragionamenti. Ebbi, comunque, sempre l’impressione che lei cercasse perennemente di tenersi a distanza, non entrando mai nel dettaglio dei racconti sulla sua vita. Mi fece uno strano effetto. In un modo che non so spiegarti finii per reputarla molto simile a me, per stimarla e per desiderare che non dovesse subire quel destino così truce. Fu per questo che, quando mi disse che ormai era in grado di camminare, fui colto da dubbi e non seppi cosa fare esattamente…-.
-Capisco quali pensieri ti tormentarono, sai? Immagino che fossi combattuto tra il lasciarla andare per la sua strada, abbandonandola ad un fato incerto, e l’aiutarla ad opporsi attivamente alla sua condanna, così da non dover più fuggire e vivere nei pericoli…- disse June.
Hagen la guardò con un guizzo sorpreso negli occhi chiari. –Esattamente. Il problema era che i residui della mia rabbia e della mia frustrazione non mi aiutavano a risolvermi a fare ciò che poteva essere la cosa giusta. Fu così che, quella sera stessa, decisi di addentrarmi nel bosco, forse per cercare risposte nella solitudine…-.
-E cosa accadde?-.
-Accadde un miracolo. Non solo allora trovai la risposta che cercavo, ma ebbi finalmente la certezza che gli Dei non mi ignoravano come avevo sempre creduto…- mormorò pensosamente lui.
La ragazza piegò interrogativamente la testa di lato. –Che intendi dire?-.
-Lei mi apparve per la prima volta…-.
-Lei chi?-.
Lo sguardo di lui si perse verso il mare. –La Dea Freya Vanir, signora della magia, dell’amore e della morte… Colei che tutt’oggi veglia sul mio cammino. Colei che venero con anima e corpo…-.
June fu colpita dal tono con cui Hagen pronunciò quelle parole: c’era in esse un trasporto, un calore che mai in lui aveva riscontrato. Non faticò a capirne i motivi più superficiali: in tutte le immagini in cui l’aveva vista raffigurata, Freya era ritratta come una giovane donna talmente splendida da far cadere nel dubbio sul proprio aspetto anche le fanciulle più affascinanti. Inoltre, scandagliando eventuali motivazioni più profonde, era evidente che ciò che univa il ragazzo alla Dea era qualcosa di primordiale, profondo ed arcano. Inconcepibile per chiunque altro. Provò uno strano senso di rifiuto a quel pensiero ma lo represse subito, vergognandosi anche un po’ per essersi lasciata prendere da esso. Riprese ad ascoltarlo parlare per fugare quelle sensazioni.
-Mi apparve nel bosco, avvolta da una luce meravigliosa, calda e fredda insieme, bianca e nera allo stesso tempo. Bella da non potersi paragonare a nessun’altra cosa o persona che il Padre Odino abbia messo su questa Terra… Capii subito che si trattava di Freya, non poteva esserci dubbio. Quello che invece non capii era il perché proprio lei stesse rispondendo alla supplica del mio animo. Ma quando mi parlò, ogni tentennamento svanì e la comprensione calò su di me: lei, come le altre divinità avevano fatto con i miei compagni, mi aveva scelto. E per sua natura aveva deciso di non mostrarmi mai apertamente il suo favore: il culto di Freya è misterico e lei è una divinità molto altera ed esigente con coloro che nascono sotto la sua stella. Evidentemente fino a quel momento mi aveva messo alla prova e lì, ormai, si era resa conto del mio essere degno di lei. Fu per questo che venne in mio soccorso: fu lei stessa a dirmelo quando le chiesi il perché, nonostante tutte le difficoltà che avevo affrontato in tutta la mia vita, si fosse manifestata solo allora…- mormorò Hagen, con un estatico tono di voce.
La giovane guerriera sopirò, sconcertata. Si rese conto che, una volta di più, il modo divino di approcciarsi al genere umano rimaneva per lei qualcosa di imponderabile. Non riusciva, infatti, a comprendere la contraddizione intrinseca nel comportamento della dea Vanir ed ingenuamente lo disse al suo maestro.
Hagen assunse un’espressione pensosa nell’udire quella perplessità. June pensò che, probabilmente, lui per primo non aveva mai ragionato su quel punto, probabilmente troppo preso dal giubilo di aver finalmente ottenuto la considerazione degli dei che tanto aveva bramato.
-Non so spiegarti bene, June. So solo quello che la splendida dea Freya mi disse quella volta… Mi confessò di aver scoperto come io fossi un paradosso umano, dal momento che il mio animo non aveva mai realmente bramato aiuto nei momenti in cui nella mia esistenza sembrava non esserci più speranza, mentre in quella occasione, dove praticamente il mio cuore aveva già tutte le risposte e si sarebbe trattato solo di agire, il cosmo di Merak si era infiammato di bisogno di una guida. Non dimenticherò mai come mi fece sentire quando mi guardò con i suoi occhi meravigliosi e mi disse, in un tono che non avevo mai sentito usare da nessuna donna, che erano secoli che un essere umano non attirava così tanto il suo interesse…- di nuovo si perse.
June tossicchiò, imbarazzata: quella conversazione iniziava a crearle malessere, anche se il perché era sostanzialmente un’incognita. Fortunatamente lui si rese conto dello stato delle cose e, tentennando un po’ mentre riprendeva contegno, riprese.
-Si, ecco… Le sarò per sempre grato e devoto. Mi guidò verso l’angolo più riposto di me, nel quale scoprii che le decisioni sul mio avvenire le avevo già prese da parecchio…-
-E quali erano, se posso?- intervenne lei, il tono di voce forse un po’ troppo acuto a svelare la stizza che la maschera ben celava.
Lo vide aggrottare la fronte, forse perplesso per quella aggressività. –Ormai da un po’ ero pronto per tornare a casa. Mi serviva solo di chiudere i conti con la fase della mia vita che avevo aperto in quel luogo per poi tornare alla mia realtà… E quella chiusura contemplava l’aiuto a qualcuno che ne aveva disperato bisogno…-.
-Quindi… Alla fine aiutasti Shir’ Hin?!- proruppe la ragazza, esternando un tono fin troppo sorpreso.
-Così gretto mi reputi, eh? Bhè, da come ti ho trattato fin ora non stento a crederlo… Comunque si, June: il giorno successivo la riportai da suo fratello e gli dissi che avrei partecipato al torneo per la sua mano. E così feci. Non dimenticherò mai lo sguardo di puro livore che Shir’ Kayn mi riservò quando, una volta spazzati via tutti gli altri contendenti, accettai Shir’ Hin come premio e davanti a tutto il villaggio la liberai dal giogo del suo aguzzino…-.
Nelle sue iridi brillava un’impudente soddisfazione che, misteriosamente, colpì June con forza, facendole dolere la bocca dello stomaco.
-Così tornasti qui… Il resto lo conosco dal racconto di Siegfried. Però adesso, Hagen, ho l’ultima domanda da farti: quando ti accorgesti di aver ritrovato davvero te stesso e di essere finalmente pronto ad affrontare il tuo mondo di nuovo?-.
In quel quesito lei ripose tutte le speranze di trovare un appiglio per sé stessa, uno spunto al quale ispirarsi.
-Lo capii quando, dopo pandemonio che seguì la mia dichiarazione pubblica, Shir’ Hin mi pregò di portarla lontano. La accontentai e, una volta imbarcatici verso il vecchio continente, lei mi mostrò finalmente il suo volto: era bellissima, pelle d’alabastro, occhi viola come ametiste e lunghissimi e serici capelli neri. Mi colpì ancora di più di quanto la sua personalità da sola avesse già fatto. Fu in quel momento che compresi che i motivi che mi tenevano lontano da casa, ormai, avevano perso di importanza- rispose lui, guardandola sereno.
-Perdonami, allora perché tornasti? Perché non scegliesti l’alternativa che il Wyrd ti stava prospettando?- si stupì lei, mormorando dentro sé una muta preghiera affinchè la risposta fosse quella che lei sperava.
Lo vide alzarsi in piedi e porgerle la mano per aiutarla a fare altrettanto. Si lusingò del tocco gentile che lui le lasciò sulla schiena come ad invitarla ad incamminarsi, e lo seguì senza nemmeno accorgersi di stare pendendo dalle sue labbra.
-Per un attimo fui tentato, ma poi mi sovvenne di nuovo l’incontro con Freya. La mia Dea, in quell’occasione, mi aveva offerto consiglio e… Una divinazione. Le sue rune le parlarono di come la mia vita sarebbe stata sempre e comunque segnata dall’amore, quello passionale. E ciò che stavo vivendo ne era la prova. Mi parlò della compagna della mia vita, sai? Mi disse che la coscienza di amarla mi avrebbe sconvolto e che lei sarebbe stata la scelta più improbabile e più difficile del mondo. E che sarebbe comparsa dalle nevi di Asgard a scaldare la mia vita… Quella profezia mi spinse a decidere che la strada mia e quella di Shir’ Hin non si sarebbero unite, sebbene quella donna mi avesse colpito in modo profondo. E alla fine, a ben vedere…- si interruppe, senza però smettere di avanzare.
-Cosa?- chiese con impeto June, mordendosi immediatamente la lingua per aver dato a vedere l’ansia di sapere dove quel discorso avrebbe portato.
Lui le riservò una fugace occhiata obliqua, poi tornò l’algido signore delle nevi che sempre era stato. –Nulla, non importa. Questo è quanto, June. Per quanto mi riguarda questo discorso si chiude qui e non cambia lo stato delle cose tra me e te. Spero che tu capisca… Ora andiamo, ci attendono a corte per la cena. Sembra che la Regina debba fare un annuncio-.
Con quelle parole June vide Hagen riprendere quel cipiglio che sperava di aver cancellato dopo quella conversazione. Se ne sentì ferita, forse anche più di quanto il decoro imponesse al suo cuore di guerriera.
Anche lei si chiuse in un triste mutismo, che mantenne anche una volta giunti al banchetto che Flare aveva indetto. Tenne la testa bassa per tutto il tempo, rispondendo a monosillabi e distrattamente a chiunque le si rivolgesse. Non capiva perché, ma ciò che era successo quella sera le aveva aperto uno scenario completamente nuovo e a cui lei mai aveva dato peso in vita sua, quello dei sentimenti…
-…e avrei piacere che ci foste anche voi, June. Va bene? June? Mia cara, vi sentite bene?-.
La voce della Regina la distolse dai suoi pensieri e dalla contemplazione vacua del suo desco ancora imbandito.
-Come? Perdonatemi maestà, ero distratta…- balbettò, alzando il volto coperto verso l’altra fanciulla che la stava fissando con espressione ansiosa.
-Dicevo al Consiglio che tra due giorni è previsto l’annuale incontro diplomatico con la delegazione di Atene. Per questa occasione stiamo quindi organizzando un ricevimento a cui prenderà parte tutta la corte e la nobiltà di Asgard. Dal momento che ospiteremo di certo perone a voi ben note, June, credo sia opportuno che anche voi prendiate parte all’evento in qualità di legame tra i due paesi. Cosa ne pensate?- spiegò Flare con enfasi.
Teano, Aiolia, Aiolos!
I nomi dei suoi amici le risuonarono nella mente come la musica più dolce ed il cuore iniziò a batterle per l’emozione. Mai come in quel momento si era sentita bisognosa di avere vicino delle persone amiche e, a quanto sembrava, le Parche le stavano arridendo benevole.
Alzò il capo e lasciando trasudare gioia dalle sue parole rispose –Grazie, maestà. Ci sarò-.
E si lasciò pervadere dal senso di aspettativa, tralasciando la delusione che la stava consumando fino a qualche istante prima. Forse fu per quello che non si accorse della rapidissima, calda occhiata che il guerriero di fronte a lei, colui che involontariamente era causa della sua precedente tristezza, le aveva lanciato.
 
Quando la sua mano artigliò il cuore pulsante dell'ultimo nemico fronteggiato, un impeto di follia lucida lo colse. Strattonò con tutta la forza che aveva in corpo e, con un grido animalesco, strappò il suo trofeo dal petto del nemico, fregiandosi del riconoscimento bellico del sangue sulla sua armatura.
Quella battaglia lo aveva sfiancato come non succedeva da parecchio tempo. Quando la missione era cominciata, più di un mese prima, mai avrebbe immaginato quale sarebbe stato il suo epilogo, né tantomeno l'impegno sul campo che quello sparuto gruppo di stranieri privi di vestigia avrebbe richiesto per essere spazzato via dalla faccia del sudicio pianeta. Un caso singolare che avrebbe meritato una riflessione più accurata una volta che avesse avuto tempo e voglia di dedicarvisi. Ora era il momento di godersi la ferale estasi della vittoria conseguita nel sangue...
Percepì un guizzo bianco alla sua destra e lo vide eclissarsi immediatamente quando il silenzio cadde sul campo di battaglia. Sogghignò: la vittoria era sua anche quella volta. 
I suoi occhi scintillarono sotto l'elmo mentre si guardava intorno, avvolto da un silenzio che forse era l'unica cosa ad essere rimasta candida attorno a lui. Si mosse lentamente, camminando sulla neve rossa, senza minimamente badare a dove mettesse i piedi e calpestando impunemente ossa fracassate, corpi smembrati e organi maciullati. Si fermò soltanto quando ebbe raggiunto i resti infranti di quel pernicioso oggetto che quella marmaglia custodiva e che lui aveva seguito come fosse la chiave del Valhallah, ma che sul finire si era rivelato poco meno di nulla. Quanto tempo sprecato...
Ringraziò le Valchirie, una in particolar modo, per aver vegliato su di lui ancora una volta ed avergli offerto la possibilità di partecipare all'ennesima, gloriosa battaglia che, tuttavia, lo aveva designato come ancora non pronto a varcare la soglia del Palazzo del Padre Odino.
Fece un cenno con il capo e di nuovo alle sue spalle intravide un movimento furtivo. Inspirò con tracotanza e, finito di esaminare il campo di battaglia, si strinse nelle spalle e si incamminò lasciandosi dietro una scia scarlatta.
Ah, la mia fame di gloria non è ancora paga... E le Divine Guerriere lo sanno, non c'è limite oltre il quale io non possa spingermi per ottenerne ancora ed ancora! Non ci sarà mai ostacolo abbastanza alto o nemico abbastanza forte. Non temo nulla ed abbraccio l'idea della morte come il migliore dei premi... Ciò mi rende il migliore, inarrestabile, ed anche questi miserabili ne hanno avuto la prova. Eppure questa storia mi da dell'assurdo. Ma non credo sia questo il momento di pensarci. Ora è il momento di godere dell'ebbrezza del trionfo e di riprendere la via di casa. Onori ed allori mi attendono. Ad Asgard…
 
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L’Angolo di June:
Inizio con il chiedere perdono a tutti voi miei lettori per il mostruoso ritardo con cui pubblico questo capitolo. Tra le ferie ed un burrascoso ritorno alla vita di tutti i giorni ho avuto pochissimo tempo per scrivere, quindi… Me scuserete popo. XD
Approfitto della sede per comunicarvi che abolisco la pubblicazione settimanale: ormai ho capito che non ce la faccio a tenere il ritmo, quindi diciamo che farò del mio meglio per pubblicare il più possibile (i miei amici di FB verranno aggiornati sul nostro gruppo! ^^)
Questo capitolo lo dedico tutto alla coppia di presto sposi Cavallo-Sacra Miciona: come regalo di nozze fa un po’ cagare, lo so, ma mi rifarò quanto prima!!!!
Piccolo spoiler: il prossimo capitolo sarà figo. Si, pecco di presunzione e me lo dico da sola: sarà una cannonata.
Sicchè: LEGGETE! Mwahahahah!!!
Un saluto a tutti,
in particolar modo a quelli che si mettono le dita nel naso ma non lo ammettono!
 
June
   
 
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