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Autore: Seagullgirl    07/09/2012    4 recensioni
" Mi era bastato guardarla per capire che Jenny non era come le altre.
O perlomeno, io ero convinto che non lo fosse. Non apparteneva a nessuna categoria, perché non aveva regole fisse. Non si poteva dire “ è così “, perché lei cambiava ogni giorno, pur rimanendo sempre uguale "

Lui non aveva mai capito cosa mancasse alla sua vita, finchè non ci si è scontrato.
Sembrava tutto perfetto, ma non si era mai sentito così completo come dal giorno in cui aveva conosciuto lei.
E sarà nel donare un pò di se stesso, che capirà quanto invece sta ricevendo, senza neanche accorgersene.
" Il dono è quello che ottieni dando più di quel che ricevi "
                             
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E finalemente, eccomi qua. Lo so che è passato tantissimo tempo, ma spero non mi ucciderete.
Ho avuto molto da fare con gli esami, ma fortunatamente sono andati benissimo ( Yieeee! :D ) e così adesso ho sei giorni per dedicarmi alla scrittura.
So di aver messo una canzone, sul mio gruppo di facebook dicendo che era per il capitolo, ma alla fine ho cambiato idea ( LOL XD ) e come colonna sonora per la "scena finale"credo sia perfetta questa: http://www.youtube.com/watch?v=o97U_6X0Bx8
Il testo lo trovate qui: http://www.lyrics007.com/Dina%20Carroll%20Lyrics/Someone%20Like%20You%20Lyrics.html
Bè... a parte questo non ho altro da dire, spero vi piaccia il capitolo!
Fatemi sapere!!
Love ya all xxx











Camminavo per le strade di New York ormai da una decina di minuti e nonostante fosse ormai l'ora di cena le strade erano sempre piene.
La mia mente era ancora davanti al portone di casa sua, a pochi centimetri dalle sue labbra, pochi istanti prima che quel maledetto telefono rovinasse tutto squillando al momento meno opportuno.
Scossi la testa più volte, tentando di riacquistare un minimo di doverosa lucidità.
“Wow” era tutto ciò che riuscivo a pensare, mentre scivolavo accanto a persone che non avevo mai visto prima con il cuore in gola e la testa da ogni parte meno che sulle spalle.So che molto probabilmente è una cosa banale da dirsi, ma non avevo mai provato nulla di simile prima; non c'era mai stata, in ventitré anni, una sola persona che mi avesse fatto un effetto simile. Conoscevo Jennifer da due mesi o poco più, e sebbene sapessi già molte cose su di lei, grazie ai pomeriggi passati a chiacchierare, eravamo usciti insieme solo una volta.
Eppure, nonostante tutto, mi sentivo già terribilmente coinvolto. Da qualche settimana a quella parte mi era capitato spesso di svegliarmi nel cuore della notte pensando a lei, chiedendomi cosa stesse sognando o a chi stesse pensando. Tutte quelle sensazioni erano insolite per me; non ero affatto il tipo che passa notti insonni pensando alla donna dei suoi sogni o chiedendosi come fare a conquistare la ragazza che gli piace, tutt'altro. Se andava andava, sennò pace.

Dopo quella sera però, cominciavo a pensare che forse il mio atteggiamento in tutti quegli anni era stato dovuto al fatto che non c'era mai stata nessuna in grado di farmi battere davvero il cuore, nessuna che avesse destato il mio interesse a tal punto da farmi stare sveglio la notte o da farmi vagare per le strade di New York con lo sguardo perso nel vuoto. Almeno nessuna prima di Jen.
Arrivai a casa più addormentato che sveglio, e puntai dritto in camera mia, senza neanche badare a dove si trovasse il mio coinquilino.
Da quando avevo compiuto diciotto anni ero andato a vivere assieme ad uno dei miei migliori amici, Dave.
Dave non era mai stato il massimo della riservatezza, e si aspettava altrettanto da me. Fino a quel momento in effetti parlargli della mia vita privata non era mai stato un problema; le ragazze con cui uscivo duravano tutte massimo un mese, per cui m’importava il giusto mantenere la riservatezza.
Di Jenny invece non gli avevo mai parlato. Solo un vago accenno, forse, uscendo, una volta.

Ero pronto a scommettere che nemmeno se lo ricordava.
Io invece me la ricordavo eccome. Me la ricordavo anche troppo.
Mi svegliavo e mi addormentavo con il suo viso nella mente, con il suo profumo nelle narici e nei vestiti, con il suono della sua voce nelle orecchie.
E quella sera, in quel momento, me ne stavo disteso sul letto fissando il muro, mentre il mio coinquilino picchiava alla porta ripetendo il mio nome, e maledicendo me stesso con tutta l’anima per non averla baciata prima che rientrasse in casa.

Ecco, quello era l’effetto che Jennifer stava avendo su di me. Un effetto assurdo e disarmante, nonché completamente sbagliato.
Cosa mi diceva che lei provasse per me anche solo vagamente ciò che io provavo per lei? Niente. In effetti, tutto dimostrava il contrario.
A partire da quella fuga improvvisa, prima che potessi baciarla.

« Matt, mi dici che succede? » urlò Dave per l’ennesima volta irritato dal mio silenzio.
« Nulla Dave, sono stanco. Parliamo domani, ti va? » lo rassicurai alzandomi ed andandogli ad aprire.
Lui mi squadrò da capo a piedi, osservandomi inquisitorio. « Sicuro che è tutto ok? »
« Certo », mentii spudoratamente sfoggiando il miglior sorriso finto che riuscii a fare.
Lui titubò un attimo, poi annuì. « Ok, va bene. Io esco, torno tardi. Ci vediamo domani » asserì alla fine lasciandomi finalmente solo.
La casa calò nel silenzio più totale, lasciandomi solo con i miei pensieri e le mie paure. Ogni volta che provavo a chiudere gli occhi mi pareva di sentire le sue labbra sulle mie, appena sfiorate, il suo respiro fresco, che sapeva di menta, i suoi occhi marroni, grandi, che mi guardavano implorante, come se volessero parlare, senza sapere cosa dire. Sentivo la sua voce, e desideravo con tutto il mio cuore potermi girare nel letto e sentirla accanto a me, anche se sapevo perfettamente che era impossibile.
Jennifer. Pronunciare quel nome era come soffiare; così leggero, dolce, delicato.
Volevo rivederla. Dovevo, rivederla.


                                                                                                    * * *



“ L'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re “

Mia nonna mi ripeteva sempre questa frase, quando ero piccolo.
All'età di tre anni in effetti ero un bambino piuttosto bizzoso, devo ammetterlo.
“ Voglio” era una delle mie parole preferite, insieme a “ No” quando mi proponevano di mangiare le verdure.
Per questo, mia nonna aveva adottato quel modo di dire, sperando in qualche modo di riuscire a farmi tacere.

Ovviamente, era stata una speranza vana. A suo tempo non avevo capito cosa intendesse, ma adesso me ne stavo improvvisamente rendendo conto.
Avevo ripetuto “ voglio rivederla, voglio rivederla “ ogni giorno da quella famosa sera del quasi-bacio, ma – ovviamente – non avevo ricevuto ciò che chiedevo.Così, dovetti arrendermi all'evidenza: se quella maledetta erba non cresceva nel giardino del re, non sarebbe certamente mai cresciuta nel mio.
Jenny non rispondeva alle mie chiamate e non si era presentata alla tavola calda, il giorno precedente, per cui cominciavo seriamente a temere che non volesse più saperne di me. Fu con l'umore sotto le scarpe, dunque, che uscii quel giorno.
La mia meta era il negozio di dischi sulla ventunesima, quello in fondo all'angolo, un po' fuori dall'attenzione generale. Andavo sempre lì, quando avevo bisogno di ispirazione o semplicemente di rilassarmi. Era il mio negozio preferito sin da quando ero arrivato a New York, anni prima, e non l'avrei cambiato per nulla al mondo.
Lì dentro l'atmosfera era semplice, tranquilla, non come nei centri commerciali.
Le pareti erano di un lieve giallo pastello, e c'era qualche poltrona in pelle scura appoggiata alle pareti libere.
Per il resto, c'erano numerosi scaffali pieni di dischi, oltre ai tavoli con casse e casse piene degli stessi; dai quarantadue giri fino ai CD, dagli anni sessanta ad oggi.
Non ero mai riuscito a guardarli tutti, tanto era ben fornito, ed ogni volta scoprivo qualcosa di nuovo. Era decisamente un posto meraviglioso per me.
Mi avvicinai alla libreria a muro che si trovava sulla parete più grande, quella che non ero ancora riuscito ad esplorare interamente, e iniziai a scorrere i titoli con accuratezza. Man mano che osservavo mi avvicinavo sempre di più al centro del mobile, totalmente ignaro del fatto che qualcun altro, dalla parte opposta, stava facendo altrettanto. Come era destino che accadesse, infatti, alla fine urtai involontariamente contro lo sconosciuto, e mi voltai di scatto per scusarmi. « Oh, mi spiace », balbettai come risvegliato da un piacevole torpore mentre mettevo a fuoco il volto della persona che avevo davanti. Quando finalmente vi riuscii, non potetti credere ai miei occhi. « Jen! », esclamai sorpreso e felice allo stesso tempo.
« Matt! » spalancò a sua volta gli occhi lei pronunciando il mio nome.
« Come mai qui? Sono giorni che non ti vedo! » le ricordai, forse con troppo entusiasmo.
Lei arrossì lievemente, un po' a disagio. « Mi dispiace, è che ho avuto molto da fare con l'università... » si affrettò a spiegare, « la batteria del mio telefono si è fusa e... me ne sono capitate davvero di tutte negli ultimi giorni, devi perdonarmi, io...» mi affrettai a tapparle la bocca con due dita, prima che iniziasse a profusersi in scuse e spiegazioni non necessarie.

« Tranquilla, non importa. Cominciavo a credere che non volessi più parlarmi » ridacchiai passandomi una mano tra i capelli, quasi imbarazzato.
Jennifer aggrottò le sopracciglia, inclinando la testa da un lato come un cagnolino che non capisce bene cosa gli stanno chiedendo di fare.

« Oh » disse sorpresa, « mi... mi dispiace. Avevo intenzione di spiegarti tutto dopodomani alla tavola calda, avendo fuso il telefono non ho potuto chiamarti e... »
« Non importa, davvero », mi affrettai a ribadire prima che riniziasse ad auto colpevolizzarsi. Lei mi fissò per qualche istante, prima di abbassare mestamente la testa. « Non mi sono comportata molto bene, eh? » chiese retorica.
Io le sorrisi, scrollando le spalle. « Ma no, non dire sciocchezze. Sono cose che succedono Jen, non è colpa tua », tentai di rassicurarla.
« Piuttosto sono io, che divento paranoico se qualcuno non mi risponde al telefono » ammisi quasi divertito. Forse non avrei dovuto rivelare così gratuitamente quanto mi ero angosciato, ma ormai avrebbe dovuto capire quale interesse avevo nei suoi confronti, dato il tentativo di baciarla di qualche giorno prima.
Lei si limitò a sorridere debolmente, arrossendo di nuovo lievemente sulle guance, così da diventare, se possibile, ancora più bella.
La guardai ammaliato per qualche istante; i suoi occhi splendevano come se brillassero di luce propria, e il suo viso, così dolce, quasi innocente certe volte, sembrava quello di una bambina. C'era qualcosa di puro, di semplice e naturale nel suo modo di muoversi, di comportarsi, di parlare.
Qualcosa di completamente nuovo per me, abituato com'ero a compagnie a dir poco bizzarre.

« Ho una proposta » me ne uscii alla fine, « se non hai impegni, avrei un posto da farti vedere » proposi. Jenny scosse la testa, con un mezzo sorriso sulle labbra.
« No, affatto. Ho dato un esame proprio ieri, per cui ho qualche giorno tutto per me »
Sorrisi, tentando di non apparire troppo entusiasta; il mio orgoglio maschile mi imponeva di non mettere troppo in risalto i miei sentimenti nei suoi confronti.
« Perfetto allora! » dissi battendo le mani sulle gambe.

Era incredibile come in pochi minuti la mia giornata fosse cambiata radicalmente.
Un secondo prima mi trovavo solo, in un negozio di cd e con l'umore sotto i piedi, e un secondo dopo stavo passeggiando tranquillamente con Jennifer al mio fianco.
Lei stava in silenzio, e con la coda dell'occhio potevo vederla lanciarmi di tanto in tanto dei rapidi sguardi. Trattenni l'impulso di fare altrettanto, nella speranza di riacquistare quel poco di dignità maschile che avevo buttato al vento con l'esaltazione che avevo espresso per il nostro incontro.
Il posto dove avevo detto che l'avrei portata era un negozio molto particolare; quasi sconosciuto, meno a chi, come me, amava esplorare ogni cantuccio di quella immensa città. Come tipo di negozio era assolutamente inusuale per una metropoli; la porta era di legno scuro, con una piccola decorazione in ferro battuto sopra, ed entrando un leggero scampanellio annunciò la nostra presenza, in modo leggero e allegro. Mi voltai ad osservare la reazione di Jen, e la vidi con la bocca aperta e gli occhi sgranati per lo stupore e la meraviglia.
Ogni genere di oggetto attinente alla scrittura si trovava in quel posto.
Penne d'oca, calamai, pergamente, fogli di ogni tipo, colore, forma e consistenza. Penne, pennarelli, inchiostri colorati, ceralacche, stampi, leggii e chi più ne ha più ne metta. C'era anche materiale per la pittura e per il disegno, e lei si guardava attorno come una bimba al luna park.
« Allora, che te ne pare? » chiesi retorico. In realtà la sua espressione parlava da sola.
Jenny sbattè le ciglia un paio di volte, prima di deglutire e riprendere fiato.
« E'.... è bellissimo, Matt! » esclamò sorridendomi come non aveva mai fatto prima.
Io sorrisi a mia volta, completamente incantato dai suoi occhi che brillavano.
« Sono contento che ti piaccia. Non è molto conosciuto come posto, ma pensavo che potesse interessarti, visto che ami scrivere... »
Non mi diede nemmeno il tempo di finire la frase, perché si era già allontanata, andando ad osservare da vicino gli scaffali. Ogni tanto si lasciava scappare qualche esclamazione di stupore, richiamando la mia attenzione e facendomi ridacchiare tra me e me. Il negozio era piuttosto grande, e finimmo per passarci buona parte del pomeriggio. Jen non riuscì a trattenersi dal comprare almeno le pergamene e il set di scrittura con penna d'oca, calamaio, ceralacca e quant'altro.
« So che non avrei dovuto, ma sono così belle! » disse entusiasta per la terza volta mentre ce ne stavamo seduti in metropolitana.
 « Mio padre non ha mai apprezzato questo genere di cose » disse mestamente, « mentre mia madre le trova entusiasmanti quanto me! », continuò tutta eccitata. Sentirla parlare con tale ardore e passione di ciò che amava fare non faceva che accrescere i miei sentimenti nei suoi confronti; era incredibile come una ragazza così apparentemente semplice, fragile, delicata e innocente potesse essere una tale forza della natura.
 Muoveva le mani con partecipazione, raccontandomi un qualche aneddoto sulla sua famiglia e ridendo quando la storia si faceva più comica.

I miei occhi si persero ad osservarla, facendomi estraniare da tutto il resto, persino dalla sua voce.
« Ehi, ci sei? » chiese improvvisamente facendomi quasi sobbalzare.
« Oh, sì, sì, certo! Mi ero solo distratto un attimo, scusa » scossi la testa, cercando di riacquistare lucidità.
« Scusa tu, a volte divento logorroica » rise arrossendo lievemente.
« Tranquilla. Mi piace ascoltarti, lo sai » le ricordai cercando i suoi occhi con i miei.
Come se si sentisse chiamata, anche lei sollevò lo sguardo, incontrando il mio.
Rimanemmo a guardarci solo per qualche secondo, ma sembrò un' eternità.
Sentivo che sarei potuto restare per ore in quel modo, senza mai stancarmi. I suoi occhi erano così profondi, come fossero vivi. Brillavano di una luce innaturale, sembrando due stelle ardenti nell'atmosfera; potevo vedermi riflesso nelle sue pupille, e in un qualche strano modo mi vedevo migliore.
Come se, passando attraverso di lei,  qualcosa in me fosse cambiato. Come se avesse lenito le mie ferite, colmato i miei vuoti e corretto i miei difetti. Come se qualcosa, nei suoi occhi, in lei, fosse davvero in grado di tirare fuori il meglio di me.

« E a me piace parlare con te » sussurrò inclinando la testa e guardandomi leggermente in imbarazzo. Io ricambiai con un sorriso, che si fece strada titubante sul mio volto, come se temesse di uscire allo scoperto.
« E' la nostra fermata » disse improvvisamente spezzando la magia.
Annuii leggermente e mi alzai per seguirla. Uscimmo dal sottopassaggio dove si trovava la fermata e una ventata gelida ci accolse facendoci rabbrividire.
Alzai la testa e vidi piccoli fiocchi bianchi scendere dal cielo, sempre più grossi e veloci. « Nevica » constatò Jenny stringendosi nel cappotto.
« E pesantemente, direi. Tra un paio d'ore sarà tutto bianco », aggiunsi.
« Bene » sospirò sognante lei, « mi piace la neve » spiegò regalandomi di nuovo un magnifico sorriso. Prima o poi il mio cuore si sarebbe fermato, me lo sentivo.
Mi coglieva sempre alla sprovvista, neanche lo facesse apposta. Che si fosse resa conto dell'effetto che aveva su di me? Non sarebbe stato poi così strano...
E' incredibile come passiamo la vita tentando di nascondere i nostri sentimenti dietro un muro fatto di orgoglio, testardaggine e spavalderia, e poi all'improvviso arriva qualcuno che ci fa dimenticare persino come si trattiene un sorriso.
Non so se sia un bene o un male; so solo che è quello che Jenny era in grado di fare con me.

Parlando del più e del meno ci avviammo verso casa sua, e una volta arrivati davanti al portone ripensai tra me e me a cosa era quasi successo qualche giorno prima, proprio lì. Di nuovo maledii quel telefono, ma poi pensai che forse, c'era un motivo se eravamo stati interrotti. Magari non era destino. Magari era una specie di segno che l'universo stava tentando di mandarmi, o che so altro.
Ma non dire cazzate! Non sei tu quello che diceva che il destino ce lo creeiamo?
Una voce nella mia testa mi fece ragionare.
Forse non avrei dovuto darle ascolto; sentire le voci non è mai un buon segno, e ascoltarle men che mai, ma qualcosa mi diceva che aveva ragione.
« Grazie per la passeggiata. E per avermi mostrato quel negozio » disse impacciata Jen, interrompendo i miei ragionamenti. Sorrisi fugacemente, facendo un gesto con la mano. « Figurati. Sono davvero contento che ti sia piaciuto », dissi.
Per un millesimo di secondo ci fu il silenzio più totale, poi una lampadina si accese nella mia testa. « Senti... » iniziai tentando di apparire disinvolto, « visto che la giornata non è ancora finita, e che immagino avrai fame, perchè non andiamo a mangiare una pizza? Conosco un posto non lontano da qui dove la fanno in modo magnifico. Ovviamente, offro io. » suggerii. La osservai elaborare le mie parole per qualche secondo, forse meditando se accettare o no, prima che accennasse un sorriso, annuendo.
« Sì, perchè no? » disse semplicemente. « Però prima sarà meglio che salga in casa a lasciare questi e magari a mettermi un paio di scarpe più adatte alla neve » ridacchiò indicando le converse mezze bagnate che aveva ai piedi.
Fortunatamente io ero ben coperto e avevo gli scarponcelli da trekking, o mi sarei trovato nella sua stessa condizione.
« Certo. Ti aspetto qui, tranquilla », la rassicurai.

Entrò in casa e riuscì poco dopo con un paio di stivali alti fino al ginocchio in pelle – per non far passare il bagnato – e una giacca più pesante.
« Ok, ci sono. Andiamo, sto morendo di fame! » disse ridendo e afferrando il braccio che le porsi.
Il locale era caldo, confortevole e familiare. Ci sedemmo in un angolo e ordinammo due pizze, che arrivarono puntuali dopo una decina di minuti. Durante la cena continuammo a parlare del più e del meno; lei mi raccontò di quando era piccola, e ogni sabato suo padre faceva la pizza; per lei ovviamente era la più buona che ci fosse, persino meglio di quella del ristorante. Solo perchè era stato lui a farla.
« Ma sei sicuro che non ti dà fastidio che io parli di lui? » mi chiese ad un certo punto per l'ennesima volta.
« Insomma... tuo padre non c'è stato e io.... non voglio essere indelicata, scusa » si affrettò a dire, con aria crucciata.

« No, no tranquilla. Non mi da affatto fastidio, anzi. Forse è proprio perchè a me certe cose sono mancate che mi piace sentirtele raccontare.
E' come se così le vivessi anche io. Tu... racconti bene » mormorai quasi imbarazzato. Mi sentii improvvisamente una femminuccia, dicendo quelle cose, eppure sapevo che era la verità.

Jenny allungò la mano sul tavolo, prendendo la mia, come aveva già fatto una volta, molto tempo prima. Quel semplice contatto mi fece sentire subito meglio; mi sentivo come se, per la prima volta in vita mia, ci fosse davvero qualcuno che era lì per me.
Qualcuno che stava in silenzio, ma che proprio per questo apprezzavo.
Perchè sapeva capire che a volte il silenzio è più prezioso di mille parole.

Quando uscimmo dalla pizzeria era oramai tardi; le strade erano semi-deserte, e la neve aveva ricoperto tutto con uno spesso manto bianco.
« Guarda, è altissima! » esclamò Jen con il tono e l'espressione di una bambina a Natale. Si chinò e fece una piccola palla compatta, poi si alzò guardandomi minacciosa. « No, no, no! Jen, non.. » non finii la frase che qualcosa di gelido e bagnato mi colpì in piena faccia. Lei scoppiò a ridere, guardandomi divertita.La sua risata cristallina era davvero simile a quella di una bambina piccola, eppure non era affatto fastidiosa; anzi. Era spontanea, sincera e coinvolgente, tanto che dopo poco iniziai anche io a ridere con lei.
« Ah, è così? Vuoi la guerra? » dissi piegandomi anche io per raccogliere un po' di neve da terra. « Sì, ti sfido! » rise armandosi a sua volta.
Cominciammo ad inseguirci come due ragazzini, mentre le poche persone ancora per le strade ci guardavano con disapprovazione.
Dopo un paio di isolati Jen rallentò, ormai esausta, e io ne approfittai per nascondermi dietro una macchina, così da coglierla di sorpresa.
Come avevo pianificato, infatti, poco dopo, non vedendomi più dietro di lei, cominciò a chiamarmi. Non avendo alcuna risposta, tornò indietro, guardandosi attorno preoccupata. « Matt! Matt, dove sei finito? » mi chiamò per l'ennesima volta.
Quando fu abbastanza vicina io saltai fuori dal mio nascondiglio, e colpendola con una pallata in piena faccia. « Vendetta! » risi, ma lei fece un passo indietro, inciampando nel selciato e aggrappandosi a me mi trascinò per terra con lei.
« Ahhhh, è bagnata! » esclamò tentando di alzarsi più alla svelta possibile per non bagnarsi. Io l'aiutai a tirarsi su, ridendo ancora dello spettacolo a dir comico che stavamo dando. Jen si aggrappò alla mia mano, ma quando tornò in piedi si trovò a pochi centimetri dal mio viso, involontariamente, e arrossì di colpo.
Colsi quel segnale come qualcosa di positivo, e non lasciai andare subito la sua mano, tentando di allacciare il suo sguardo. Mi doveva un bacio.
I suoi occhi brillarono per un secondo, e mi vidi riflesso nelle sue pupille, per la seconda volta in quella giornata.
Così, con la più grande naturalezza del mondo, posai le mie labbra sulle sue, come se dovessi in qualche modo ricongiungermi con la parte di me che era rimasta intrappolata nei suoi occhi. Le sue labbra erano morbide e lisce, come fossero di seta, ed erano leggere e titubanti sulle mie.
Lasciai finalmente andare la sua mano, ma solo per spostarla sul suo viso, e trattenerla più a lungo. Dopo qualche istante di resistenza, anche lei si lasciò andare, appoggiando una mano sul mio petto e lasciandomi approfondire il bacio.

Intorno a me, sembrò sparire tutto; non sentivo più alcun rumore, alcuna sensazione, se non quella travolgente ed avvolgente che mi provocava quel contatto.

E' strano come nella vita incontriamo decine e decine di persone, ridiamo, parliamo con loro, ci confidiamo. Eppure, nessuna di loro ci tocca mai davvero. Le apprezziamo, le ammiriamo, le comprendiamo; eppure, passano. Come il vento o la sabbia tra le dita. Un minuto prima ci sono, e quello dopo neanche ci ricordiamo perchè se ne sono andate, o perchè l'abbiamo fatto noi.
E poi, improvvisamente, un giorno incontriamo una persona che cambia per sempre la nostra vita. Non fa nulla di speciale per cambiarcela, eppure ci riesce. Con un sorriso illumina le nostre giornate, con una risata ci risolleva il morale, con un bacio ci fa sentire completi. Non avevo mai neanche lontanamente pensato alla possibilità che una cosa del genere accadesse a me, e mi ci era voluto un po' per rendermi conto di ciò che avevo ricevuto. Quando andiamo dritti per la nostra strada, senza guardare in faccia nessuno, è difficile che qualcosa attiri la nostra attenzione.
Ma Jenny.... oh, Jenny l'aveva attirata. Dal primo istante in cui l'avevo guardata negli occhi, avevo sentito qualcosa, dentro di me, allacciarsi a lei.
Come se fossimo due calamite, destinate, una volta vicine, ad attrarsi. Due anime divise alla nascita, spedite lontane ma destinate a rincontrarsi, ecco cos'eravamo.

Quella convinzione aveva iniziato a maturare dentro di me da tanto oramai, ma in quel momento, diventò certezza.
Noi eravamo destinati l'uno a l'altra.
   
 
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