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Autore: weitwegvonhier    07/09/2012    1 recensioni
Continuava a sfoggiare quel sorrisino a mezze labbra che, per qualche strano, stupido, irragionevole motivo, mi faceva andare fuori di testa, guardandomi divertito, in attesa della mia prossima stupida, imbarazzante mossa.
- In un caldo giorno d'agosto del 1998 una normale ragazza si scontra con uno sconosciuto per strada e....
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: David Desrosiers, Nuovo personaggio, Pierre Bouvier
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A.s. Sono già tornata(?) Mamma mia, ultimamamente ho una voglia di scrivere incredibile, spero possiate sopportarmi Hahah
Allora, mi sto impegnando molto nello scrivere questa fan fiction, anche se non può sembrare, ma ieri notte mi sono copiata su un foglio tutto il calendari del 1998 e del 1999 in modo da mettere delle vere date, con dei veri giorni! Hahah Si, lo so, sono matta. Ho fatto anche qualche ricerca in qua e la per un po' di cose, in più, ho ritirato fuori il mio vecchio libro di biologia per questo capitolo!
State davvero leggendo tutto questo? Tendo a perderemi in chiacchiere, vi chiedo scusa '-'
Quindi, non so se sarò sempre così veloce nello scrivere (dubito, dato che martedì ricomincio scuola. UCCIDETEMI!) però...insomma, lo sapete. Che vi piaccia o no, mi piacerebbe se mi fate sapere cosa ne pensate, così, per farmi un'idea. :) Behh, grazie davvero ad ogni persona che apre questa pagina e la legge, e ovviamente a chi recensisce addirittura. Grazie a tutti. (E' più lungo questo del capitolo, oddio. SCUSATE!)

Montreal, September 21st,  1998
10.02

 
 
Camminavo per il corridoio della scuola, e nessuno mi vedeva. Questa era la mia vita.
Stavo andando al mio armadietto per posare i libri che mi avevano accompagnato durante la seconda guerra mondiale, nell’aula del prof. Scott, e prendere quella misera barretta energetica che ogni mattina cercavo di farmi bastare fino all’ora di pranzo. Non perché avessi paura di ingrassare, o avessi uno di quegl’attacchi tipici delle ‘ragazze popolari’, ma semplicemente perché tra l’uscire di classe, arrivare all’armadietto (al piano superiore), posare i libri, mangiare, e tornare in classe non avevo tempo per altro.
Passavo in mezzo alle persone, ma era come se ci passassi attraverso. O meglio, come se loro passassero attraverso di me.
Senza chiedere scusa, senza voltarsi neanche a vedere chi o cosa avessero urtato, se ne proseguivano tranquilli per la loro strada. Sulla mia spalla intanto, si andava formando un livido.
Vivevo circondata da fantasmi, mi sentivo come se io fossi lì, come se cercassi di andare avanti, di camminare, di raggiungere la meta, ma in realtà non mi muovessi. E ferma, in mezzo a quel corridoio, la vita mi scorreva accanto, veloce.
Ragazzi che si tenevano per mano, altri che si sbaciucchiavano, altri che chiacchieravano e altri che provavano ancora a farsi dare quell’attesissimo appuntamento dalla bella di turno e io lì, ferma, a sentire quello che avveniva al mio fianco, davanti a me, dietro di me. Ferma lì, in pausa, mentre la vita intorno a me era sul play.
Camminavo a fatica, tra un colpo alla spalla e l’altro, mentre cercavo di raggiungere quell’armadietto che sembrava allontanarsi, quasi volesse ridere di me anche lui.
Camminavo a testa bassa, lo sguardo fisso sui piedi.
Pensa ad una canzone, pensa ad una canzone e cantala talmente forte nella tua testa da non sentire più niente di quello che avviene in questa gabbia di matti. Pensa ad una canzone!
Ma non funzionava, perché nel momento in cui pensai ad una canzone, cercando di ricordarmi il testo, strinsi forte gli occhi, sbattendo contro qualcosa.
-Non è possibile, ma allora me lo fai apposta!- Avevo già sentito quella voce, ma ero troppo impegnata a raccogliere i libri da terra senza imprecare ad alta voce per pensare a chi potesse essere. Chiunque fosse, era di quella scuola, era un fantasma che se ne vagava in questo posto esattamente come tutti gli altri, non valeva la pena guardarlo in faccia.
Non chiesi neanche scusa, raccolsi i libri da terra e mi alzai, ma quella figura imponente si era piazzata sul mio cammino e aveva, a quanto pareva, deciso di non lasciarmi passare.
-Senti, scusa, non so che cosa vuoi da me ma io devo andare, quindi di prego di scansarti da qui e di farmi passare.-
-Che c’è, adesso non mi guardi neanche negl’occhi?- Sentii che un sorriso gli si formava sulle labbra. Di nuovo, mi invase quella strana sensazione di familiarità.
Alzai lo sguardo e…
-Ahia! Ma che ti prende?- Lo sentii urlare.
Mi resi conto solo dopo di aver, inconsapevolmente, lasciato cadere tutti i libri sul suo piede. Cercai di far riprendere colorito al viso, mi schiarii la voce, mi feci forza. –Ben ti sta. La prossima volta ti levi dai piedi quando te lo chiedo, magari.-
-Ma sei matta o cosa? Sei tu che mi sei venuta addosso! Di nuovo.- Sorrise, con quel mezzo sorriso che gli illuminava parte del volto. Sentii il mio cuore protestare, mancare un battito, due, e riprendere a battere più veloce, come a voler compensare quella mancanza momentanea. Cercai di mantenere la calma. Non arrossire. Ma che ti prende ancora?
-Di un po’- se ne uscì poi –non è che ti sei innamorata di me e che cerchi di attirare la mia attenzione in questo modo…goffo?-
Ah, questa poi! Ma chi si credeva di essere?
-Senti un po’ modestia-fatta-a-persona che cavolo ti sei messo in testa? Vogliamo affrontare di nuovo l’argomento? Devi smetterla di venirmi addosso.-
-Smetterla io? Ma stai scherzando?- Si mise a ridere. ‘Dio, quant’era bello quando rideva. E quelle leggere fossette che gli si formavano tra le guancie… Riprenditi, quello è un idiota, non dovresti neanche pensarle certe cose! –Se è la seconda volta che mi vieni addosso e inizi a fissarmi rimanendo lì impietrita come se fossi un alieno!?-
Inizio a fissarlo? Ini…oh cavolo! Era successo ancora. Non è possibile, non posso essere così maledettamente imbranata.
Cercai di dire qualcosa, cercai di sviare lo sguardo, cercai con tutte le mie forze di ribattere, di farmi valere, di smetterla una buona volta di guardare quegl’occhi brillanti che facevano del suo sorriso la cosa più bella che avessi mai visto, ma non ci riuscivo.
Rimanevo lì, ferma, con l’espressione da ebete stampata sulla faccia, ad osservare quelle guance, quegl’occhi, quelle braccia, quelle…
-Hey Pierre! Ma che ci fai qui a parlare con questa?- Una bionda di un metro e ottanta, in minigonna, che era più mini che gonna, arrivò, strappandomi dai miei pensieri con la sua vocina stridula e acuta, guardandomi dall’alto in basso. Quanto dovevo sembrare ridicola in quella situazione. Io, piccola, mora, e con un pochino di ciccia in più sui fianchi, davanti a lei, altissima, bionda, magra e con due occhi verdi che avrebbero fatto mozzare il fiato a chiunque.
Quanto dovevo essere ridicola in quel momento, davanti a lei che baciava il suo ragazzo mentre io cercavo disperatamente di comandare alle mie gambe di muovermi, di fare almeno quel tanto che bastasse a superarli, a non vederli più.
Quanto dovevo essere ridicola io, che non riuscivo a muovermi di lì, né a staccare gli occhi dalle labbra di quel Pierre che erano appiccicate, ormai, al lucidalabbra di quella bambolina.
Dovevo sembrare tanto ridicola davvero, soprattutto quando, con una lacrima che mi rigava il volto, scappai. Sì, scappai.
Nella fretta, nella confusione, nel disgusto, dimenticai un libro a terra, ma non m’importava in quel momento. Scappai, mentre la campanella risuonava nelle mie orecchie.
Perfetto, devo rientrare in classe e non ho neanche mangiato.
Mi asciugai una lacrima dandomi della stupida, ingenua, cretina, ad ogni passo che facevo.
Come avevo fatto a pensare anche per quel millesimo di secondo che potesse…interessarmi?
Come avevo potuto permettere al mio cuore di sentirsi tanto libero da cominciare a battere così forte?
Come avevo potuto pensare ai suoi occhi e al suo sorriso?
E’ solo uno stupido, un idiota. Come tutti quelli che frequentano questa stupida scuola.
Lo odio.
 

15.33

Ero appena tornata a casa da un’altra giornata di stress e finta calma.
Mi buttai letteralmente sul divano, prima che il mio cellulare iniziasse a squillare, ricordandomi che alle 16.00 dovevo andare a casa di quel Matt, a dargli ripetizioni di biologia per il test della prossima settimana.
Lo facevo semplicemente perché i suoi ricchi genitori mi davano 50 dollari, per una giornata.
Al diavolo l’orgoglio, mi dicevo, al prossimo concerto dei Green Day non mancava poi molto, e io avevo bisogno di soldi sia per il biglietto, che per il viaggio a San Francisco, così avevo promesso alla signora Mureau che avrei aiutato suo figlio.
Cercai dentro di me tutta la forza che non avevo, mi alzai dal divano e m’incamminai verso casa di Matt, che era più o meno a tre isolati dalla mia.
 

17.48

-Quindi, ricapitolando, il modo in cui un gene si manifesta in un organismo determina il suo fenotipo, che viene indicato dalle caratteristiche osservabili.- Matt mi fissava come se stessi parlando in una lingua che non gli apparteneva.
-Matt, hai capito?- Non diede nessun segno di vita.
-No.- Disse poi stravaccandosi sulla sedia e sbuffando. Sbuffava lui, e io ero qui da due ore a cercare di spiegargli la stessa cosa senza successo.
-Allora,- ci riprovai con parole diverse –tu hai gli occhi verdi, giusto?-
Mi guardava. Che guardi? Rispondi, non sai neanche di che colore sono i tuoi occhi, per la miseria?
-Si.- Finalmente. –Ok, gli occhi verdi fanno parte di un gene recessivo, che si trova nel corredo genetico, che viene chiamato…-
-Genotipo!- Urlò lui interrompendomi. Mi si formò un sorriso involontario sulle labbra mentre, sospirando, rispondevo –Si, esatto!-
Si sistemò sulla sedia e io ripresi la mia missione continuando a spiegare. –Allora, il genotipo è quella cosa che determina il colore verde dei tuoi occhi, ci siamo?- Annuì. –Mentre il fenotipo è il colore dei tuoi occhi. E’ il verde, è quello che vedi tu, quello che c’è all’esterno, la manifestazione del genotipo.-
-Ahhhhh!-
-Hai capito?- Chiesi speranzosa in una risposta affermativa.
-Più o meno, credo di si.- Mi accontentai, lasciandomi andare sullo schienale della sedia.
-Ti va se facciamo un pausa?- Mi chiese Matt sorridendo. Risposi di si, in realtà iniziavo davvero ad avere un po’ fame e a sentire gli occhi pesanti.
Nei momenti in cui mi lasciò in quella stanza da sola per andare a prendere dei panini al piano di sotto, mi tornò in mente l’incontro-scontro di stamani.
Pierre, non avrei mai pensato che potesse chiamarsi così.
Poi però, alla sua immagine che mi strappò un sorriso dalle labbra, si affiancò quella della sua ragazza, Michelle, che il sorriso me lo strappò via, calpestandolo e tirandolo lontano da me.
Michelle Williams, ci avevo ripensato durante la pausa pranzo, a scuola. Tutti conoscono Michelle Williams. Tutti amano Michelle Williams.
Mi restava ancora da capire perché me la prendessi tanto se quel tipo era fidanzato, neanche lo conoscevo e per di più i ragazzi come lui non mi erano mai piaciuti.
Eppure cosa avrei dato per essere seduta sul suo letto ora, e non su quello di Matt.
Smettila di pensare a queste cose, stai andando fuori di testa. Tu non c’entri niente con loro, non c’entrerai mai niente, ficcatelo in quella tua testolina vuota e ferma questo maledetto cuore che è impazzito.
Nel frattempo però, era tornato Matt, che mi aveva vista pensierosa, persa nel nulla.
Mi si era avvinato e mi aveva posato una mano sulla guancia.
Che stai facendo?
Io non mi muovevo. Immobile, in attesa della sua prossima mossa, il mio corpo dipendeva da lui.
Non mi piaceva Matt, non mi era mai piaciuto. Anche lui era uno come gli altri, uno come Pierre. E forse era proprio per quest’ultimo pensiero che mi lasciai baciare, e che non opposi resistenza quando mi spinse indietro e si posizionò sopra di me.
La mia mente era vuota, non c’era Matt, non c’era Pierre.
Vuota, come il mio cuore in quel momento.
Le sue mani sotto la maglietta mi davano i brividi, e non erano quelli della felicità.
Smettila subito, esci da quella stanza e vattene finché puoi!
Ma avevo smesso di ascoltarmi molto tempo fa. Le sue labbra sul mio collo, il mio corpo non mi apparteneva più. Io ero andata via, chissà dove.
All’improvviso la porta si aprì e il mio viso, i miei occhi, niente, avrebbe potuto far capire quanto di merda mi sentissi in quel momento, quando mi vergognassi.
-Ohh, chiedo scusa, non pensavo di disturbare.- Disse, facendo l’occhiolino al suo amico e guardando me. In quelle due volte in cui ci eravamo visti non mi aveva mai guardato così. Non riuscii ad interpretarlo, quello sguardo.
Matt si alzò, e andò a salutare l’amico, mentre io mi sistemavo la maglietta, i capelli e con un –Buona fortuna per biologia- me ne andai di corsa, scappando dalla porta come una ladra.
 
Stavo correndo per la strada, tornando verso casa. Avevo bisogno di entrare, sbattere la porta di camera mia, prendere a calci tutto quello che si trovava sul mio cammino, accendere la musica, e ripetermi quanto schifo facessi, ma una mano me lo impedì. Mi bloccò, prendendomi il polso e costringendomi a fermarmi.
Mi voltai.
Pierre.
Non disse nulla, non fece nulla. Continuava a tenermi il polso, stretto, come io continuavo a tenere strette le lacrime nei miei occhi.
Che vuole adesso?
Ma non voleva niente. Mi guardava e nei suoi occhi c’era qualcosa, come se avesse voluto parlarmi attraverso lo sguardo.
Capii che non gli era piaciuto quello che aveva visto, ma non riuscii a capire perché.
Io sono libera di fare quel che voglio senza dover dare conto a nessuno, e arriva  lui, con l’aria da spavaldo e la presunzione di guardarmi addirittura con disapprovazione. Ma dico io, stiamo scherzando?
Come se io un giorno andassi da lui a guardarlo male perché sta con la sua ragazza.

Che ragazzo…strano.
Piano piano la sua stretta si allentò, e come se il mio braccio fosse stato sostenuto dalla sua mano per tutto questo tempo, mi ricadde, pesante, lungo i fianchi. Rimanemmo a fissarci l’un l’altra per un secondo che sembrò un’eternità, finchè insieme non ci voltammo, ed io continuai a correre verso casa.
 

23.39

Non riuscivo a dormire. Mi rigiravo e rigiravo nel letto senza trovare una posizione comoda.
Perché Pierre mi ha fermata prima, per la strada?
Perché continuo a pensare a lui?

Basta cuore, smettila, Pierre non ti appartiene e tu appartieni a me. Devi battere per me, non per lui. Fermati.
   
 
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