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Autore: Guero    07/09/2012    2 recensioni
Emma, la ragazza più ambita della scuola, invita Arry, uno studente piuttosto anonimo, ad uscire. Sembrerebbe tutto un sogno, ma non è tutto così semplice.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Vado al cinema con Emma Lawrence."
Se avessi pronunciato ad alta voce queste parole in presenza di qualunque studente del liceo Wosburn avrei scatenato una guerra, tutti contro Arry. Non mi è difficile immaginare le polpette al sugo che mi sarebbero piovute addosso, ammesso che fossi stato così imprudente da esclamare quella frase in mensa. Con un po' più di accortezza avrei evitato zone nevralgiche quali i bidoni della spazzatura, la palestra, o i bagni e me la sarei potuta cavare con un libro tirato dietro la nuca e qualche risata di scherno, un prezzo onesto per un'eresia di quella portata.
Eppure Emma Lawrence, la ragazza più bella e ambita dell'istituto, aveva chiesto a me, l'anonimo Arry, di andare a vedere un film.
Non che io fossi tanto male. Avevo avuto qualche ragazza, e probabilmente avrei potuto averne anche qualcuna in più se non fossi stato un tipo tanto esigente. I miei voti erano più che buoni, avevo parecchi amici, qualche hobby e di certo non ero il ragazzo più brutto che avesse mai messo piede al Wosburn, ma tutto questo non valeva assolutamente nulla in confronto a quello che era Emma Lawrence.
Emma era arrivata quello stesso anno al Wosburn, alta, altissima, con delle gambe così lunghe, belle e lisce che al solo pensiero... oh be', non scendiamo in dettagli superflui.  

Il primo giorno, mentre camminava per i corridoi, con alcuni quaderni stretti al petto, ordinata nella sua divisa , cioè una camicetta bianca con la scritta “WOSBURN” in caratteri un po' troppo grandi sul taschino, proprio sulla tetta sinistra, e una gonnellina con motivo scozzese di diverse tonalità di marrone, non poche teste si erano voltate a guardarla. E non poche teste si erano voltate il secondo giorno, il terzo e anche il quarto. A dire il vero anche a pochi mesi dalla fine dell'anno scolastico c'era ancora qualcuno che rimaneva incantato a fissarla mentre lei vagava con qualche amica per i corridoi.
Ma Emma non era solo bella. Oltre agli occhioni blu, al sorriso adorabile con denti tutti dritti e bianchissimi, ai lineamenti dolci e a tutte le altre cose fantastiche che riguardavano il suo aspetto fisico, c'era un mondo di qualità. Media voti più alta dell'intero istituto, detentrice dei tempi migliori nella squadra di nuoto, capitano delle cheerleaders... e in più altre mansioni noiose che potevano riguardare il comitato d'istituto o roba simile. Ci si domandava come si potesse essere così in gamba ed eccellere in tutte quelle cose contemporaneamente. Sembrava che Emma non avesse bisogno di allenamento o di studio, non aveva bisogno di nulla. Sembrava nata per battere chiunque, in qualunque cosa.
 E ancora era gentile, per nulla snob, priva della puzza sotto il naso che in genere le tipe come lei avevano da vendere.
Tuttavia dall'essere gentile a invitare un ragazzo normalissimo come me a uscire ci passavano sette o otto galassie. Non potrò mai dimenticare le facce sbigottite di tutti quelli che ascoltarono la conversazione tra me e Emma.
Mi si avvicinò mentre ero impegnatissimo a infilare tutti i libri che mi portavo dietro nel mio armadietto, stipato di fumetti. Il fatto stesso che avessi dei fumetti nell'armadietto dovrebbe dirla lunga su quanto remote fossero le possibilità che il capitano delle cheerleaders mi invitasse a uscire. Aspettò educatamente che finissi di litigare con i libri. Aspettò veramente tanto, di certo non mi aspettavo fosse lì per me, me la presi comoda.
«Ciao, Arry» mi disse, con espressione serena. Un mezzo sorrisetto le increspava le labbra  e la voce era calma, calmissima, quasi quanto la mia quando mi ritrovai a balbettare un ciao mentre con una mano mi lisciavo la camicia,con l'altra tentavo di sistemarmi il ciuffo e con l'altra ancora reggevo un paio di tomi che non ero riuscito a infilare nell'armadietto. Ah già, non avevo una terza mano. Uno dei volumi si schiantò al suolo, l'altro, ovviamente quello più pesante, le finì su un piede.
Maledicendo me stesso con tutto il cuore mi ritrovai seduto sui talloni a raccoglierli e lei si abbassò con me. Eravamo faccia a faccia, i nostri nasi a pochi centimetri di distanza. Suppongo che il mio viso a quel punto avesse un colorito tendente al porpora, ma non c'erano specchi a portata d'occhio per confermare la mia supposizione.
«Volevo solo chiederti se ti va di andare a vedere un film al cinema sabato sera, ce n'è uno davvero forte.»
Non lo disse sussurrando, anzi, lo fece a voce piuttosto alta e tutto il corridoio aveva gli occhi puntati su di noi. Ricordo che Jenna, una ragazza cieca della Wosburn, aveva un'espressione talmente stupita che sembrava avesse riacquistato la vista.
Non risposi subito, perché se Jenna aveva riacquistato la vista, con quelle parole, io ero diventato il re incontrastato dell'universo. Ma a quanto pareva Emma non eccelleva anche nella lettura del pensiero e iniziò ad arrossire vagamente, cosa strana, abituato com'ero a guardare la sua pelle così candida.
«Se non ti va non c'è problema, mi dispiace...» e con queste parole fece per alzarsi. Con uno moto di coraggio che non avrei mai creduto possibile le afferrai il polso, senza stringere troppo e la tenni giù, accovacciati in quella situazione così surreale.
«No, non ho assolutamente nulla da fare e se anche ce l'avessi annullerei qualsiasi impegno.»
Ed era vero, avrei posticipato anche la mia morte per quell'appuntamento, ma probabilmente non avrei dovuto dirlo ad alta voce candidandomi istantaneamente a diventare il suo zerbino. Lei però sorrise, e non mi interessava più passare per il suo tappetino personale, se anche avesse voluto strusciarmi i piedi addosso non mi sarei lamentato. Pensiero romantico, per nulla feticista, lo so.
«Ci vediamo sabato alle sette, d'accordo?».
I suoi occhioni sembrarono sprizzare gioia, e di questa cosa non mi capacitavo, io ero solo Arry, lei era Emma!

Ci rialzammo e, senza salutarci, andammo in direzioni opposte, lei verso la palestra e io verso la mensa. 
Una volta arrivato in mensa mi ricordai che avevo pranzato solo un paio d'ore prima e che la mia presenza lì non aveva alcun senso, come il fatto che Emma mi avesse invitato ad uscire, del resto. 
Sorrisi e mi avviai alla fermata del bus e quasi, quasi, non mi accorsi delle occhiate cariche d'invidia, odio o ammirazione che mi accompagnarono fino a casa.  
I due giorni successivi trascorsero senza eventi degni di nota, tutta la mia vita era proiettata verso l'appuntamento di sabato e non c'era assolutamente nient'altro che potesse anche solo vagamente attirare la mia attenzione.
I miei amici di sempre, Clark e Wiki, si complimentarono con me e mi chiesero, elegantemente, come cazzo avessi fatto a farmi invitare da Emma per quello che aveva tutta l'aria di essere un appuntamento. Borbottai qualcosa riguardo al mio innato fascino e all'evidente buon gusto di Emma. Com'era giusto che fosse, Clark mi tirò un calcio allo stinco destro e Wiki mi prese la testa sotto il braccio cominciando a strofinare forte le nocche sul capo. Dopo la breve tortura ridemmo di gusto tutti e tre.
Non vedevo l'ora che arrivasse il giorno dell'appuntamento, ma quando giunse ero un concentrato d'ansia. Mi svegliai all'alba vagando per casa senza meta con forti dolori allo stomaco. Nemmeno aprire e chiudere il frigorifero quella mattina aveva il solito effetto rilassante.
Provai a leggere qualche fumetto confortandomi all'idea che perfino uno sfigato come Peter Parker era riuscito a far innamorare una tipa come MJ. Un'altra, Gwen, l'aveva addirittura uccisa con la sua stessa ragnatela. Difficilmente avrei potuto fare di peggio.
Ma dopo un po' neanche l'amichevole Spider-Man di quartiere mi fu più d'aiuto e non so esattamente come trascorsi tutte quelle ore che mancavano al momento decisivo, ma ricordo che furono un supplizio e che in diversi momenti l'idea di emigrare in un altro continente mi era sembrata più che valida.
Mia madre, acuta osservatrice, ma neanche tanto visto lo stato semi-comatoso in cui versavo, sorrideva maliziosa. Fortunatamente non mi chiese né disse nulla. Papà era barricato dietro al suo giornale e prima di andare a lavoro mi diede solo il buongiorno. Un tipo loquace. Notai l'orribile accostamento di abiti che aveva indossato quella mattina: mocassini neri, pantalone verde e camicia arancione. Se un uomo con un gusto nel vestire così tremendo era riuscito a sposare una donna ragionevolmente bella come la mamma e a farci addirittura un figlio forse avrei potuto anche farcela a conquistare Emma. In fondo mi aveva invitato lei. Cercai di tralasciare il pensiero che probabilmente avrebbe iniziato a odiarmi nel momento stesso in cui avessimo cominciato una discussione seria, che magari non la vedesse accecata dal dolore per via di un librone cadutole sul piede, che le facesse valutare con obiettività il fatto che di un mediocre come me lei non se ne faceva nulla.
Ammetto che però a volte ai soliti scenari catastrofici il mio cervello sostituiva situazioni davvero inverosimili e stucchevoli  in cui io e Emma correvamo felici in un prato. Cominciai segretamente a sperare che nel multisala dell'appuntamento ci fosse un prato, ma sapevo che probabilmente sarei rimasto deluso. Un'altra fantastica visione riguardava sempre me e lei, ovviamente, intenti a baciarci con passione nello spazio aperto mentre una vecchina, da un punto imprecisato, borbottava qualcosa riguardo la maleducazione dei giovani oggi che certe cose avrebbero dovuto farle in privato, magari su uno shuttle.
Alle quattro del pomeriggio ero già pronto.
Decisi di non essere troppo elegante, in fondo avevo appena compiuto diciassette anni e non avrebbe avuto senso presentarsi all'appuntamento in giacca e cravatta. Quelli li avrei indossati il giorno del matrimonio mio e di Emma. Questi stati di puro ottimismo si alternavano con velocità allucinante a quelli di puro disfattismo.
Indossai una felpa leggera, nera con motivi astratti in azzurro e viola, la mia preferita in assoluto escludendo quella di Batman che Wiki mi aveva regalato l'anno prima, ma decisi di evitare un approccio nerd così diretto, l'avrei introdotta nel magico mondo di fumetti ed action figures in un secondo momento. Sotto la felpa un jeans abbastanza attillato che metteva ben in mostra il pacco e delle scarpe da ginnastica nere e blu. Ero sul punto di uscire di casa quando mi resi conto che quasi sicuramente il pacco sarebbe stato fin troppo stretto anche con un kilt quella sera e optai per un pantalone un po' più largo. Presentarmi con un gonnellino avrebbe distrutto a prescindere ogni mia possibilità di successo, ma ammetto che per un folle istante pensai che avrei potuto colpirla con una mossa tanto originale. Fortunatamente rinsavii e andai a specchiarmi, stabilendo che tutto sommato non ero poi così male. Vidi gioia e amore e felicità e tutte le cose belle di questo mondo nei miei occhi castano scuro e stupidità sul sorriso ebete. Nei capelli al massimo ci avrei trovato qualche dente del pettine, erano un groviglio così fitto che sistemarli era un'impresa titanica a cui avevo rinunciato da molto tempo. Mi soffermai sulla palpebra destra era un po' più pesante di quella sinistra, sui punti neri sul naso e su altri difettucci vari, ma non si poteva avere tutto dalla vita.
Ci eravamo accordati a scuola il giorno prima, uno scambio di battute molto breve, in cui decidemmo di incontrarci direttamente al cinema. Questa volta il nostro incontro era stato meno burrascoso ed ero addirittura riuscito a scusarmi per l'incidente del libro. Quando Emma sparì in uno dei mille corridoi del Wiosburn, dal nulla comparvero Wiki e Clark che mi diedero un'altra dose di sane botte.
Non avendo la patente sarei andato all'appuntamento in autobus, una cosa sicuramente molto figa ed entusiasmante che avrebbe fatto impazzire qualsiasi ragazza. Fortunatamente ero sceso di casa un'ora e mezza prima dell'incontro visto che il primo bus decise che saltare una corsa non avrebbe nuociuto all'umanità. Dopo minuti di puro terrore, in cui immagini di autobus distruttori di amori idilliaci si alternavano nella mia mente alla faccia triste e delusa di Emma che con una lacrima sulla guancia sussurrava in tono melodrammatico “non posso aspettarti per sempre, Arry...”, il mio M45N arrivò. Fu una corsa breve e per quasi tutto il tempo osservai una ragazza davvero affascinante, seduta in fondo alla mia limousine personale. Sembrava giovanissima e adulta allo stesso tempo, non saprei spiegare bene in che modo o per quale motivo. Rimasi colpito da un suo gesto particolare, si sistemava i suoi semplici occhiali a lenti rettangolari sottili, senza montatura, sollevandoli col palmo della mano anziché con le dita. Una cosa straordinariamente innaturale e immotivatamente sexy. Quando notò che la stavo praticamente mangiando con gli occhi mi sorrise mostrandomi i suoi canini pronunciati. Scese alla fermata prima della mia, e la vidi incamminarsi verso un cinema fatiscente che tutti evitavano, anche perché alla fermata successiva c'era il multisala in cui io ed Emma ci saremmo incontrati.
Arrivai al luogo dell'appuntamento con quasi mezz'ora di anticipo e iniziai ad affettare frutta sul mio cellulare, un giochino completamente stupido e quindi assuefante, per evitare di ricorrere ad altri metodi più estremi di trascorrere il tempo, tipo mangiarmi le mani a piccoli morsi. Non riuscivo però a concentrarmi, mi ritrovavo ad alzare lo sguardo in cerca di Emma e le mie dita finivano puntualmente su quelle dannate bombe che mi facevano saltare in aria e perdere la partita. Fortunatamente non ero di quei tipi che sfidavano il destino con frasi del tipo “allora, se batto il mio record allora l'appuntamento di stasera sarà fenomenale, altrimenti finirà tutto in malora” perché in quel caso il virile Arry si sarebbe seduto a terra con le ginocchia strette al petto, piangendo in silenzio sotto gli occhi di tutti.
Erano le sette precise quando Emma comparve sul marciapiede di fronte, stupenda nel suo abitino lungo blu notte, piuttosto scollato, con i capelli sistemati in dorati boccoli che le cadevano placidamente sulle spalle e che continuavano dietro la schiena fino a sfiorarle il sedere... Questo potevo solo immaginarlo, ma il pensiero del suo sedere mi metteva allegria.
Mi sorrise e cominciò ad attraversare per venire da me, da me, lo sfortunato Arry...
Quando Emma mi aveva chiesto di uscire avevo pensato a tante cose, una di queste era stata: “posticiperei anche la morte bla bla bla”. Quel giorno scoprì che per la Morte non c'era appuntamento con Emma Lawrence che tenesse. Si presentò sotto forma di Ford Mustang lanciata a velocità notevole. Mi travolse in pieno, nonostante fossi lì, al sicuro sul marciapiede accanto alla biglietteria con gli occhi pieni di Emma e di desiderio. Non sentii neanche l'urto e, pouf, ero morto. 
   
 
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