Anime & Manga > Death Note
Segui la storia  |       
Autore: Donixmadness    07/09/2012    4 recensioni
Ciao a tutti! Questa è la mia prima fic su Death Note, anime stupendo!! E dato che sono un'appassionata sostenitrice di L (Ryuzaki, appunto) ho voluto dedicare una storia riguardo al suo passato.
La storia di una ragazzina che intreccia i destini di L e Watari .... e che in un certo senso darà un'importante lezione di vita all'impassibile e freddo L. Anche se con ad un prezzo molto alto ...
Perciò recensite, e siate clementi per questa povera pazza!!!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Watari
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Brillarono” era un eufemismo. Per la prima volta i miei occhi vitrei, insondabili ed inaccessibili dal carpire il minimo pensiero, si illuminarono.                                                                    
“E poi non mi comporto come certe persone di mia conoscenza!”. Era proprio così che aveva detto. E allora come ti comporti Shiro? Nonostante le sue parole, non avevo affatto rinunciato ai miei propositi, non  proprio quando arrivava il bello! Come primo approccio, limitarmi ad osservarla e studiarla durante le lezioni non bastava. Volevo capire chi era, cosa faceva e cosa avrebbe fatto di lì in poi. La sua inaspettata visita mi aveva convinto ancora di più ad insistere nel monitorarla, perché effettivamente io non conoscevo ancora il mio avversario. Se davvero dovevo esaminarla e capire quali fossero i suoi punti deboli e i suoi punti di forza, io per primo mi sarei esposto: avrei dovuto stravolgere la mia routine quotidiana. Compresi che se volevo il successo di questa operazione, avrei fatto in modo di studiarla in maniera subdola ma discreta: in parole povere dovevo giocare a nascondino con lei. Per questo in classe evitavo di rivolgerle meno sguardi possibili, affinché lei non si insospettisse. Proseguii così per una settimana intera, squadrandola attentamente ed anche se fuori apparivo freddo ed apatico, dentro gioivo come una scolaretta, se così si poteva dire. La mia ostinazione a volerla mettere alla prova a tutti i costi, aveva suscitato la perplessità di Watari, il quale oltre a comprendere le mie intenzioni, notò che per stare dietro a Shiro non rimanevo quasi più nella mia stanza. Contrariamente a ciò che facevo prima, per inseguire i miei propositi fui costretto ad uscire da quelle quattro mura. E quando la sera tutti gli orfani andavano a dormire, io scrivevo un rapporto dettagliato al computer. Appuntavo ogni impressione sui comportamenti della ragazza, e alcuni aspetti che avevo trovato parecchio interessanti. In quella stessa settimana, infatti, si dimostrò particolarmente brillante per alcuni suoi interventi in classe.
Era una ragazzina molto acuta, precisa nei dettagli, e soprattutto possedeva un intuito molto sottile su domande a trabocchetto. Quando trovava qualcosa che apparentemente  non la convinceva, storceva il naso pensandoci su. Alcuni alunni erano stati superficiali nel rispondere ad un quesito che sembrava lampante, in realtà non lo era affatto. Anche io ci stavo riflettendo per la verità, ma lei aveva presagito qualcosa di sbagliato e ci si soffermò.                                                                                                                                               
– Shiro? Qualcosa non va?- domandò Watari leggermente preoccupato, e pertanto si avvicinò al suo banco. Io a mia volta staccai gli occhi dalla lavagna rivolgendole la mia attenzione e fui immediatamente sorpreso dai suoi gesti. Shiro aveva il capo chino, con alcune ciocche castane che ricadevano oltre le spalle. Gli occhi chiusi in segno di concentrazione, ma quello che di più mi lasciò stupito fu quel particolare gesto delle mani. Gli avambracci orizzontali  lungo l’addome, la parte inferiore dei polsi rivolta verso l’alto ed infine le dita intrecciate. Anche i pollici erano intrecciati, e formavano una specie di spazio vuoto somigliante ad un cerchio. Poi col tempo compresi che quello era solo un gesto che le piaceva fare spesso quando doveva riflettere. Diversamente da me, che quando riflettevo puntavo i miei occhi pece sugli oggetti o sull’oggetto da  risolvere, lei chiudeva gli occhi.                                   
Quel giorno non me lo potrò mai dimenticare. Stava lì in silenzio sotto gli occhi di tutti a riflettere, estraniandosi completamente dal mondo.
Poi improvvisamente spalancò le sue pozze verdi e sbatté più volte le palpebre, come se si fosse appena svegliata da una specie di trance.
Watari sussultò leggermente a quell’inatteso cambiamento.                                                        
–Ho capito- sibilò, con una voce piuttosto inquieta per essere la sua. Era come se non credesse di essere giunta ad una qualche soluzione.
Watari le porse il gessetto:                                                
-Davvero? Allora risolvilo alla lavagna.- lei non ci pensò due volte e gli sfilò il bastoncino bianco dalle mani, dirigendosi a grandi falcate verso la lavagna. Aveva una sorta di fretta dettata dall’eccitazione dei suoi ragionamenti, o forse perché non vedeva l’ora di svelare a tutti il trabocchetto. Alla fine riuscì a dimostrare in modo scorrevole e senza la minima sbavatura che il quesito risultava impossibile. E lo aveva spiegato in modo chiaro e limpido, tanto che tutti echeggiarono un generale “oh” di comprensione. Era giunta alla mia stessa conclusione percorrendo inaspettatamente una strada diversa, ma ugualmente valida. Rimasi stupefatto dalla sua rapidità e precisione ed aveva concluso il tutto con un bel sorriso a trentadue denti, grattandosi il capo  leggermente in imbarazzo. Il suo non era il ghigno che solitamente si dipinge sui volti dei geni: quella smorfia di macabro compiacimento misto a sadismo puro. Era il semplice, spontaneo e trionfante sorriso di una bambina di  nove anni, niente di più. Di fronte a lei c’era un campo minato, ma prima di fare un passo il suo istinto l’aveva bloccata. 
E proprio dai suoi comportamenti che mi accorsi di questa sua peculiarità: era paradossale che l’istinto stimolasse la ragione. Eppure era così.
Per Shiro era così. Anche ripensando al primo giorno di lezione, quando la fissai con insistenza. In un contesto simile sarebbe stato inevitabile accorgersi di me, eppure più ci riflettevo più mi convincevo che quella volta mi sbottò contro  non perché fosse tipico del suo carattere, ma perché glielo aveva suggerito l’istinto. Anche lei mi squadrò quella volta e forse aveva capito quali erano le mie intenzioni, o forse no. Dovevo ancora scoprirlo. Watari rimase per un attimo a bocca aperta, ma poi distese le labbra in sorriso soddisfatto e fiero. Sì, lui era fiero di Shiro così come lo era di me. Spesso non comprendevo il motivo per cui Watari mi sorridesse. Non disprezzavo il suo gesto, anzi mi sentivo a casa ogni qual volta incrociavo la sua espressione mite. Ma non capivo perché continuasse a farlo, nonostante io non riuscissi a ricambiare il suo gesto. Shiro invece era così spontanea. Ed in un certo senso, provai un briciolo di invidia nei suoi confronti, quando vidi che sorrise di rimando a Wammy. Un sorriso timido e in qualche modo complice. Sapevo già che era una ragazza particolare, ma perché a Watari stesse così a cuore rimaneva un mistero.                                                                                                                 
Stranamente quella ragazzina sorrise anche a me. Già, a me che non c’entravo nulla. Ero ancora sbalordito dalla sua perfomance.                                                                                               
Dopo le lezioni ci fu la pausa pranzo. Io non andavo mai in mensa per mangiare: divoravo solo dolci e per questo c’era Watari che li portava in camera mia. Ma quella volta l’inventore avrebbe trovato solo un computer abbandonato sul pavimento della mia stanza. Io ero in corridoio, occultato dietro l’angolo a seguire le mosse di Shiro. Gli occhi onici inchiodati su di lei, mentre questa camminava disinvolta. Notai che eccelleva anche nelle competenze sociali: nonostante l’imprevisto del primo giorno, riuscì a stringere amicizia con tutti senza problemi. In particolare era molto legata alla sua compagna di stanza, una ragazzina di nome Emily e anche ad altri compagni. Tutto questo nell’arco di tre giorni, probabilmente grazie al suo carattere estroverso. Stava camminando lungo il corridoio, incrociando lo sguardo degli orfani che scorrazzavano qua e là. Io mi muovevo circospetto,accompagnato dal tonfo sordo dei miei piedi nudi. Lei era davanti a me, esattamente a quindici metri di distanza. Lei proseguiva e io lo facevo quindici metri più indietro. Pareva che non si fosse accorta della mia presenza, oppure la ignorava completamente.  Fatto sta che al mio passaggio gruppetti di ragazzini si voltavano a guardarmi straniti: era chiaro come l’acqua che stavo pedinando Shiro, ma ignoravo la ragione quelli sguardi poco opportuni. Il fatto che io fossi rinomato come “il bambino più asociale dell’istituto”, non implicava che dovessi ricevere occhiate stupite. Forse, forse cominciavo a comprendere come si sentisse Shiro, ma in quel momento non era rilevante.                                                                                                             
I miei occhi fotografavano ogni particolare ed ogni suo passo nella mia mente: non mi sarebbe sfuggita neanche una mosca. Passò davanti alla scalinata, ma prima di oltrepassarla del tutto, da lontano rivolse uno sguardo alquanto interessato. Allora anch’io mi voltai verso l’oggetto della sua attenzione: c’era un bambino seduto su uno scalino che singhiozzava sommesso, cercando di asciugare le lacrime con la manica della maglia. Accanto a lui c’erano altri due bambini che cercavano di consolarlo in qualche modo.                                                                                   
–Che vuoi farci!- esclamò uno dei due al piccolo seduto – Jim è fatto così! Se lo non lo incontri è bene, se lo incontri è male! Che ti ha preso stavolta?                                                                          
-Mi ha rubato il panino!! Per colpa sua stamattina sono stato messo in punizione ed ho saltato la ricreazione! – si lamentò il piccolo seduto sul gradino di legno. Vidi Shiro indugiare per un attimo, ma poi socchiuse gli occhi soffocando un lieve sospiro. Voltò il capo con indifferenza e proseguì verso la porta della sala mensa. E anch’io dietro di lei, varcai la soglia di quella area dell’orfanotrofio per la seconda volta da quando ero lì. La mia memoria fotografica riadattò le immagini di quel luogo sovrapponendola alla mia vista: non era cambiato nulla dalla prima volta che feci capolino là dentro, l’unica differenza riscontrata fu la presenza animata degli orfani, i quali erano intenti a pranzare. Shiro camminò tra i tavoli noncurante, pervasa da una strana pacatezza che definirei piuttosto inquietante. Sapeva mescolarsi tra la folla in modo impeccabile e non era semplice tenerla d’occhio: che volesse seminarmi?  Aveva fatto uno strano giro tra i tavoli, rasentando il muro e le finestre: stava perlustrando la zona, lo si capiva dal suo atteggiamento guardingo. C’era anche una luce nei suoi occhi, ma non saprei dire se fosse minacciosa o diabolica, ma qualcosa di oscuro e scintillante allo stesso tempo. I raggi del sole filtravano dalle finestre in modo abbagliante, la figura esile della ragazzina era lì, ferma davanti al vetro e creava un forte contrasto: Shiro si adombrò, fissando qualcosa o meglio qualcuno. Improvvisamente lo vidi: un ghigno distese le sue labbra. Quella fu la prima volta che vidi sul suo volto fanciullesco l’espressione sprezzante e spudorata, tipica dei geni. In seguito si ricompose, assumendo un atteggiamento naturale. Camminò spedita verso il bancone della mensa. Sembrava una normale orfana che si stava dirigendo all’estremità della coda per prendere un vassoio.
Era vicinissima ad un ragazzino robusto, il quale stava ricevendo l’ultima porzione. Da lontano oltre al piatto del giorno, scorsi sul vassoio di quest’ultimo quello che poteva definirsi un panino. Notai un fugace momento in cui Shiro ghignò per l’ennesima volta, un sorriso malevolo e sadico.              
Poi si mosse velocemente andando a scontrarsi con il ragazzino, il quale aveva appena girato il capo non accorgendosi della sua presenza.
Per un attimo le pietanze sobbalzarono e il bambino rischiò di cadere, ma prese subito l’equilibrio. Lui si voltò visibilmente furibondo.                                                                                       
–Ehi tu!! Sta’ più attenta!! – le intimò. Lei si voltò con un’espressione sorpresa e mortificata allo stesso tempo.                                                                                                                                                           
–Oh, mi dispiace!! Perdonami! Non volevo! – si scusò alzando le mani, e sgranando occhioni verdi colmi di dispiacere.                                                                                                                         
–D’accordo, ma sta più attenta la prossima volta!- sbottò lui, con un‘occhiataccia. Lei sorrise simulando imbarazzo.                                                                                                                                                 
– Eheheh … Scusa!- l’altro si voltò indignato, ma ad un certo punto da un tavolo si levò un urlo.                                                                                                                                                                                         
–Ehi Jim!! Da questa parte!!- gridò un ragazzino agitando la mano e l’altro lo raggiunse spensierato, ancora ignaro dell’accaduto. Io ero a dir poco stupefatto e tolsi il dito dalla bocca per la sorpresa. Quello era lo stesso ragazzino che aveva derubato ingiustamente quel bambino.
Prima che potessi realizzare ciò che aveva fatto Shiro, il ragazzino corpulento di nome Jim, esclamò:  - Ehi! Ma dov’è andato a finire il mio panino?!                                                        
Lo sconcerto di lui era nulla in confronto al mio, ma subito mi resi conto che mi ero distratto. Prestando interesse alla sua reazione, avevo perso di vista Shiro. Mossi il capo da un parte all’altra leggermente agitato, finché non notai la porta della mensa chiudersi. Era stata davvero in gamba: approfittare della confusione per dileguarsi furtivamente. Dovevo ammettere che era veloce, ma anche astuta. Provai l’angosciante presentimento che si fosse accorta di me, e che avesse approfittato della confusione per distrarmi e filare via dalla mia supervisione. Davvero niente male! E c‘erano buone probabilità che avesse sfruttato la situazione per allontanarsi da me. Camminai veloce verso l’ingresso, quasi corsi per davvero. Aprì velocemente la porta e quando fui dall’altra parte solo il corridoio deserto si presentava dinnanzi a me. Cauto mi avvicinai al primo angolo a sinistra del muro. Svoltando c’erano le scale e rimasi qualche metro più indietro rispetto allo spigolo della parete.                                                                                                                                                                                                 –Ehi! Se continui a tenere il muso rischierai di sprofondare nel pavimento!- una voce spezzò scherzosa quel silenzio immobile.
Era inconfondibile la voce energica e cristallina di Shiro. Udii dei passi allontanarsi, sicuramente si era avvicinata al bambino di prima: così ne approfittai per accostarmi all’angolo del muro, senza farmi vedere. La pupilla scura fece capolino per osservare la scena. Il bambino alzò il volto sorpreso, sbattendo più volte le palpebre accigliato. Shiro come sempre sorrideva eccentrica poggiando un gomito sul corrimano.                                                                                                                                                                              
–Perché mi guardi così?- chiese lei – Qualcosa non va?                                                                                           
-Tu … - cercò di dire lui, ma improvvisamente un rumore lo fece desistere. Un gorgoglio di stomaco echeggiò fragoroso e il bambino si portò una mano allo stomaco chinando il capo, visibilmente rosso in viso.                                                                                                                                                                              
– Ahahhh … - rise genuina lei – A quanto pare hai una fame da lupi! Tieni. – disse infine frugando nella tasca della felpa e porgendogli l’agognato panino.                                                                                                
–Credo che questo ti appartenga – e sorrise limpida come non aveva mai fatto prima.                                         
– Grazie … - rispose flebilmente l’altro, con gli occhi sgranati colmi di gratitudine, tant’è che non perse tempo ad addentare il suo spuntino. Seguì un minuto di silenzio che in realtà mi parve un’eternità. In quel lasso di tempo feci dei brevi calcoli: oramai quel 55% era misero, per come mi aveva colto di sorpresa la percentuale salì al 70%.                                                                                     
– Io sono Ryan. Come ti chiami? – chiese il piccolo mentre consumava il suo pasto.                                                
–Il mio nome è Shiro. Mentre quello che ci sta spiando dietro al muro si chiama L. - concluse indicando la mia posizione con il pollice rivolto dietro. Formidabile! Ora eravamo all’85%.                           
Mi scostai pacato ed indifferente mostrandomi in volto, come nulla fosse. Il mio sguardo cupo si concentrò prima sul bambino, il quale mi scrutava perplesso, e poi su Shiro che sorrideva beffarda.                                                                                                                                                                     
–Mi hai scoperto.- affermai portando l’unghia del pollice fra i denti. Lei si girò verso di me, poggiando entrambi i gomiti sul corrimano. Assunse un atteggiamento derisorio e aggiunse:                                                                             
-Sappi due cose, mio caro: la prima è che non mi sono accorta solo ora che mi stai pedinando! Sono ormai tre giorni che vai avanti così!
La seconda è che, lasciamelo dire, sei un pessimo pedinatore. La tua presenza inquietante la si avverte da chilometri di distanza!! Però devo riconoscere la tua buona volontà. – concluse schietta, sbeffeggiandomi. Possedeva un grande carisma, e soprattutto aveva un bel caratterino. Non solo mi aveva smascherato, aveva anche avuto la prontezza di biasimarmi.                                                                                                
–Capisco- risposi freddo, atono. Vidi la sua espressione trionfante scemare in una alquanto delusa: forse si aspettava una qualche battuta o reazione da parte mia.                                                                    
– Ahhh! – sospirò spossata chinando il capo – Non cambi mai eh? Eppure ci conosciamo da appena cinque giorni … Va beh! Non importa. Piuttosto, se proprio non puoi fare a meno di seguirmi, potresti camminarmi di fianco e continuare a fare tutte le osservazioni che vuoi.       
Se mi stai accanto non mi dà fastidio! Ma per favore evita di starmi alle costole, neanche un randagio fa l’elemosina così!!                                                                                                                                                           
Dire che ero confuso era poco: quello che diceva per me era paradossale. Non riuscivo a comprendere quale fosse la differenza tra l’osservarla da dietro e l’osservarla da accanto.  Proprio non capivo. Ma soprattutto aveva detto che non le dava fastidio, eppure il primo giorno avevo fatto la stessa cosa e si era infuriata. Perché?                                                                                  
-Ma che ti osservi da dietro o di fianco, dove sta la differenza?- domandai reclinando leggermente la testa, curioso.                                                                                                                                                  
–Ti sbagli. La differenza c’è e come! Se continui a seguirmi come hai fatto finora, darai troppo nell’occhio.-affermò secca, mentre io solo in quel momento mi inserii negli ingranaggi del suo ragionamento. Dire che era eccezionale era poco, faceva attenzione anche a questi dettagli.                                                                                                                                                                                               
–Se invece camminassi di fianco  a me in modo naturale, potresti tenermi d’occhio senza causare confusione e attirare l’attenzione, come hai fatto poco prima. Se devi seguire qualcuno non basta fare silenzio.- alzò l’indice per spiegarmi la regola fondamentale. Era stimolante, interessante e divertente.
Sì, il mio giocattolo era assolutamente uno spasso!                                                                
Anche il bambino, che aveva divorato il panino da un pezzo, la osservò incuriosito ed affascinato.                                                                                                                                                                             
–Wow! Sei davvero forte!- esclamò Ryan, un bimbo che poteva avere a mala pena sette anni.                                      
–Ti ringrazio! Ma non è niente di ché! Basta fare un po’ di attenzione … – sorrise, grattandosi la nuca.                                                                                                                                                                                                        
–Piuttosto … - soggiunse poi, posando il suo sguardo su di me – A parte seguirmi, tu non vai a mensa? – domandò inarcando un sopracciglio. In quell’istante non sapevo se la sua domanda si riferiva al quel momento, oppure alle mie abitudini generali. Di una cosa ero sicuro: si era certamente accorta delle mie assenze nei luoghi comuni, i quali erano frequentati dalla maggior parte degli orfani. Mi resi conto che invece di raccogliere informazioni su di lei, stavo divulgando informazioni su me stesso. Poteva avvalorare le sue ipotesi semplicemente standomi accanto: davvero impressionante.
Ma così facendo sarebbe stato inevitabile avvicinarci l’uno all’altro in ugual misura, di conseguenza mi limitai a dire:                      
-No, non ci vado - vago e conciso.                                                                                                                                               
–Capito. Strano perché qui si mangia bene … - concluse stiracchiandosi. Se le avessi detto il motivo avrei rivelato altre informazioni sul mio conto, ma era pur vero che l’avrebbe scoperto comunque semplicemente chiedendo spiegazioni a Watari. Quindi ebbi ragione di pensare che non sarebbe cambiato nulla:                                                                                                                                   
-Non c’è un motivo particolare, è solo che io mangio soltanto i dolci.- proferii monocorde, senza staccare il dito dalla bocca. Lei reclinò il capo stranita e confusa:                                                                                          
-Sul serio? – domandò incredula. Io mi limitai ad un cenno del capo.                                                                      
–Bene sarà meglio andare!- disse sviando il discorso.                                                                                                          
–Andare dove? – chiese il ragazzino, alzandosi.                                                                                                                              
–In mensa, no?-rispose ovvia. Il bambino parve un po’ confuso e intimorito.                                     
-Coraggio! – gli circondò le spalle, dandogli una pacca –Se non ci sbrighiamo spazzoleranno via tutto!! E poi io ho fame! Non ho toccato cibo!- si lamentò facendo una faccia buffa, rincuorando Ryan. Cominciarono ad avviarsi ,ma Shiro si bloccò voltando il capo verso di me:                                                                                                                                                                     
-Beh? Cos’hai da fissare con quell’espressione inebetita?- domandò sardonica come sempre, mentre io battei le palpebre interdetto – Non si era detto che mi avresti seguito restandomi acconto? Sai, la mensa è piena di gente … - lasciò la frase a metà, sorridendo furba. Quella era chiaramente una sfida. Shiro mi aveva lanciato una sfida. La mi bocca si incurvò in un sorriso malevolo, mentre continuavo a tormentare l’unghia del dito. Shiro voleva giocare con me. Il giocattolo che chiedeva al bambino di giocare.                                                                                                                                           
Così senza dire una parola la seguii verso la fantomatica sala mensa: dentro gli orfani consumavano tranquillamente i loro pasti, immersi nel vocio generale. Shiro aveva ragione: a meno che non fossimo un gruppo di temuti teppisti, non potevamo dare  nell’occhio. Davanti alla coda del bancone, Shiro esortò il piccolo Ryan a raggiungere i suoi compagni con un: - Coraggio va’ da loro!                                                                                                                                              
Come risposta il piccolo la ringraziò e corse via. Gli occhi di tenue smeraldo di Shiro seguirono la figura del bambino, che si allontanava in una corsa impacciata. Rimase un minuto buono ad osservare il vuoto, finché non si accorse di un paio di lune nere che la fissavano.                                                                                                                                                                                                   
–Sai anche qui ci sono i dolci. Guarda servono il budino … -mi indicò sviando lo sguardo. Alla fine ci sedemmo a un tavolo comune dove c’era Emily, la sua compagna di stanza.                         
–Era ora Shiro!! Quanto ci hai messo!! – si lamentò la biondina di fianco a lei.                          
–Scusami! Ho avuto un piccolo contrattempo!- si giustificò lei, mentre io ero intento a poggiare il vassoio con la punta delle dita. Entrambe mi rivolsero degli sguardi curiosi, probabilmente attirate dai miei gesti sottili ed inusuali. Contemplavo languido quel creme caramel, accovacciato in posizione fetale, strofinandomi gli alluci con i piedi. Quella fu la prima volta che presi in mano un vassoio, e che mangiai il budino della mensa. Non l’avevo mai fatto prima, perché non ne ero interessato.                                                                                         
–Ehi, Shiro … - bisbigliò Emily.                                                                                                                                                                              
– Mmh? – si voltò la castana.                                                                                                                                                     
–Come mai è venuto con te?                                                                                                                                 
-Come non te l’ho detto? Lui è il mio cane da compagnia.                                                                                     

 

Le gocce continuano a scendere imperterrite, come se sentissero la necessità impellente di inveire e scontrarsi al suolo. Il detective solleva il capo pensieroso. Rivolge lo sguardo alle masse d’aria che si scontrano rumorose. I lampi che preannunciano i tuoni, non fanno altro che squarciare nel buio della sua memoria. Una porta che si spalanca … uno sparo … un corpo che si accascia al suolo.                                                                                                                                                                                  
–Dovevi proprio salvarlo, il tuo cane da compagnia ?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ehi!! Allora?? Quanto tempo eh?                                                  
Mi auguro che anche quest’ultimo capitolo vi sia piaciuto, perché dal prossimo non ci saranno tanti sorrisi ve lo garantisco.
E intanto ne approfitto per ringraziare tutti quelli che seguono la storia, e che hanno recensito finora!! Grazie mille!!  
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: Donixmadness