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Autore: _joy    08/09/2012    9 recensioni
Selene è speciale, un'umana speciale. Ha un dono che la rende preziosa agli occhi di Aro e dei Volturi.
Con il potere della mente può provocare dolore. Sul serio, non come Jane. Infatti, la sadica vampira non vede di buon occhio quella che considera la sua rivale umana. Soprattutto, dopo che Aro la ammette, unica umana, nel corpo di guardia dei Volturi. E, mentre Selene brama l'immortalità, Jane le invidia la bellezza e il potere. Ma Selene resta umana, Aro vuole aspettare prima di trasformarla... finché aspetta troppo e lei, un giorno, per caso, incontra un attore che le fa perdere la testa. E guadagnare la vita. Ben Barnes.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Selene è un personaggio nato dalla mia fantasia.
I Volturi, i Cullen e i Lupi non mi appartengono: sono frutto della fantasia e del lavoro di Stephanie Meyer e non ho intenzione di usarli a scopo di lucro né altro.
Nemmeno Ben Barnes mi appartiene, e questo è il punto dolente.
Perché, se mi appartenesse, non starei qui a parlarvene.
E, anzi, avrei altro da fare!



 

*Sto degenerando, lo so. E il mio protagonista maschile è sempre uno. Portate pazienza, ma mi sono appassionata ai crossover!*

 

 
 
 
 
«Ok Ben! Così! No, no. Con calma. Sì. Vai! Silenzio. Si gira!»
 
Appoggio la schiena contro il muro e sospiro impercettibilmente.
Sono in piedi da ore.
E hanno ripetuto questa stessa scena già quattro volte.
Potrei tranquillamente andare a recitarla io.
Anzi, potrei recitare tutto il film, tranquillamente.
 
Meno male che dicono che questo film ha poco budget e devono fare tutto in fretta.
 
In fretta.
 
Non oso pensare cosa avrebbero fatto se avessero potuto prendersela comoda.
 
Avrebbero ripetuto ogni scena cento volte? Mille?
Certo che essere un attore deve richiedere una pazienza infinita.
Se fosse per me, alla terza o quarta ripetizione, mi alzerei urlando come una pazza e rovesciando qualsiasi cosa mi capitasse a tiro.
 
Ovviamente, non è questa l’impressione che do.
Sono silenziosa, remissiva e assolutamente non appariscente.
Ci sono se e quando servo, per il resto sono la donna invisibile.
Come tante altre persone su questo set.
Che portano i caffè, fanno le pulizie, lavano i costumi.
Il popolo degli invisibili.
Molti di loro mormorano scontenti, ma a me va benissimo.
Va più che bene.
Magari fosse sempre così.
 
Non faccio in tempo a pensarlo, che un urlo richiama la mia attenzione.
«Sally! Sally! Accidenti, ragazza, vieni qui!»
Scatto in piedi e avanzo, cercando di non disturbare le persone che si affollano in questo set allestito in strada, a Montreal.
Aggiro due operatori delle luci che si danno da fare con un faretto incandescente e mi avvicino all’assistente del regista.
«Bè, eccoti! Quanto pensavi di metterci? Sbrigati. Sistemagli la divisa. E fai qualcosa ai suoi capelli»
«Qualcosa come…» tento.
«Qualcosa!» sbotta quello, irato «E sbrigati, cazzo! Mai che si possa avere assistenti decenti!»
Se ne va infastidito, mentre io chino il capo remissiva e mi avvicino all’attore.
 
Non lo guardo neppure in faccia, ma allungo la mano sul davanti della divisa, che chissà come si è macchiato.
Tento di strofinarla con dello smacchiatore a secco.
Ma nulla.
Non viene.
La stropiccio tra le mani, ma non c’è niente da fare.
«Mi dispiace, signore» dico, atona «Deve cambiarla»
Sto ancora fissando la macchia quando una mano, improvvisamente, si posa sul mio mento e mi costringe ad alzare lo sguardo.
Resto attonita.
La mano si allontana lentamente, troppo lentamente perché mi cada la mascella per la sorpresa.
Per fortuna.
Ben mi sta fissando.
Potrei fingere di non sapere il suo nome, ma sarebbe ridicolo.
Sto ogni giorno, da un mese, su questo set.
Dovrei essere idiota per non sapere chi è.
Chi è lui, o qualcuno degli altri attori, a dir la verità.
Io però non parlo mai con nessuno.
Quindi, non c’è ragione perché lui sappia chi sono io.
Infatti, mi guarda perplesso.
«Ehi» dice, piano «Mi dispiace per come si è comportato Sam. È colpa nostra se è nervoso, le scene di oggi stanno venendo una schifezza. Ma non doveva prendersela con te»
Resto impassibile.
«Non importa, signore. È il mio lavoro»
Lui fa una smorfia.
«Non chiamarmi signore! Non sono così vecchio» sorride «Quanti anni hai?»
«Ventisei» arrossisco.
«Non li dimostri» mi sorride.
 
Lo so.
Lo so che non li dimostro, ma sono ventisei.
Ventisei.
Dannazione.
 
Cerco di mantenere una calma apparente.
«Puoi venire con me, così cambi la divisa?»
Lui annuisce e ci dirigiamo verso una roulotte, parcheggiata dietro l’angolo.
Entro a cercare un altro costume per lui e, quando mi volto, vedo che mi ha seguita e si è già tolto la casacca.
È magro.
Lo guardo con indifferenza mentre gli porgo il suo cambio.
Lui lo infila e fa per allacciarlo.
Sostituisco le mani alle sue, perché so che è mio compito.
Lui mi lascia fare.
Resta fermo, mentre lo sistemo, ma mi guarda fisso.
«Sei nuova? Non ti ho mai vista»
Reprimo un sorrisino.
Certo che non mi hai mai vista.
La mia specialità è passare inosservata.
 
Scrollo le spalle.
«Sono qui dal primo giorno»
«Davvero? Accidenti. Scusami»
Annuisco, indifferente.
Come se me ne importasse qualcosa.
«E…ti trovi bene? Sei lontana da casa?»
Ma cosa vuole?
Alzo lo sguardo e gli lancio un’occhiata diffidente.
Ma vedo solo un’espressione limpida, in risposta.
Mi viene in mente che Alicia e Sarah, due mie colleghe, mi hanno detto che Ben è sempre gentile, non si dà arie e parla con tutti, sul set.
Mha.
Sarà.
Certo, loro passano il tempo a sbavargli dietro, quindi magari lui ci parla per compassione.
O perché gratificano il suo ego.
Certo non parla con me.
 
Io non parlo con nessuno.
 
Gli faccio cenno di sedere e passo le mani tra i suoi capelli, per sistemarglieli.
Fa la parte di un soldato della seconda guerra mondiale, quindi deve avere i capelli in ordine militaresco.
«Il lavoro è interessante. Non sono di qui»
«Interessante come a dire: siete una manica di stronzi ma per contratto devo dire che siete “interessanti”?» ride lui.
Incrocio di nuovo i suoi occhi, perplessa.
Sta scherzando.
Sembra divertito. Amichevole.
Oh, contento lui.
 
Scrollo di nuovo le spalle.
«No, ma non saprei come siete. Non ho molti amici»
Sembra esitare.
«Mi dispiace. Forza, vieni a pranzo con noi, oggi»
Cosa?
«No, grazie» dico, categorica.
«Davvero, vieni. Non ti mangiamo mica. E la nostra mensa è migliore…»
Certo che lo è.
Loro sono gli attori.
Bè, non ci penso nemmeno.
Sono irremovibile e gli faccio cenno di alzarsi.
Prima che possa obiettare, Sam lo vede.
«Ben! Sei pronto? Forza!»
E Ben si allontana, lanciandomi un’ultima occhiata.
 
Bene.
Posso riguadagnare la mia posizione e ridiventare invisibile.
 
Ma, con mia grande sorpresa, all’ora di pranzo mi sento chiamare di nuovo.
Sam mi fa un brusco cenno e io accorro.
Lui si lascia cadere al tavolo del bar dove pranza sempre e mi scosta una sedia.
Fisso la tavolata.
C’è Ben, che mi strizza l’occhio.
C’è la sua partner nel film, Nora Arnezeder, che mi squadra e fa un sorrisetto all’indirizzo del basco informe che mi copre i capelli e del camicione sbrindellato che indosso.
Stringo i denti.
Forza, è per una buona causa.
 
Lo so, ma non posso impedirmi di sentirmi umiliata quando donne come lei mi deridono con le loro occhiate di finto compatimento.
Come se pensassero che sono una poveraccia.
 
«Sì, signore?»
«Forza, siediti e mangia. Sono stato proprio stronzo oggi, lo so. Me lo hanno anche appena rinfacciato»
Fa un gestaccio scherzoso in direzione di Ben.
Io resto senza parole.
Accidenti.
Non ci voleva.
Decido in un lampo.
Se mi metto a fare storie, attirerei di più l’attenzione.
Scivolo al posto che mi indica e abbasso gli occhi sul piatto.
Ok, posso farcela.
Devo solo starmene zitta e buona e sembrerò invisibile.
 
Faccio appena in tempo a formulare il pensiero, che sento una voce.
«Allora…Sally, giusto?»
Maledetto Ben Barnes.
Che diavolo vuole?
Parlasse con Nora, così lei la smetterebbe di incenerirmi con lo sguardo.
«No» ribatto, seccata «Veramente è Selene»
Scandisco il mio nome con rassegnazione.
«Sel…»
Ben prova a sillabarlo, esitante.
Sbuffo.
«Ma allora perché…»
«Non sa pronunciarlo nessuno correttamente» taglio corto.
«Me lo ripeti?» chiede lui.
Sembra affascinato.
Ci mancava pure questa.
«Selene» ribatto, secca.
E nemmeno troppo paziente.
Ma lui aggotta le sopracciglia e lo ripete.
«Selene. È…bello. Musicale. Cosa significa?»
«Luna»
Potrei vincere l’Oscar per il mutismo, per rimanere in tema.
«Da dove vieni?»
Ancora?
«Italia»
«Oh, bellissima l’Italia! Ci sono stato con i miei, in vacanza. Di dove, di preciso?»
L’occhiataccia che mi lancia la Arnezeder è palese, stavolta.
«Toscana» resto vaga.
Lui sembra perplesso.
«Non è una città» spiego, sostenuta.
«No, è una regione vero?» interviene Sam, spazzolando il suo pollo arrosto «Ci sono stato. Bellissima»
Annuisco, nostalgica.
Già.
Bellissima.
 
Non posso perdermi nella malinconia, però, perché Ben inizia a tartassarmi di domande.
Cerco di rispondere restando il più vaga possibile, quando, d’improvviso, mi irrigidisco.
 
Eccoci.
 
Eccola.
 
È arrivata.
Alta, rossa, vestita sfarzosamente, appariscente.
E pallida.
Innaturalmente pallida.
 
È un’amica del regista.
Almeno, qui tutti la considerano tale.
Gli uomini la ammirano di nascosto, le donne la invidiano.
E nessuno sa che è lui la parte passiva di questo rapporto.
 
Chino gli occhi sul piatto e mi faccio più piccola che posso, anche se so che non c’è ragione di nascondere il viso.
Non vedrebbe altro che gote naturalmente rosee, occhi color cioccolato e pelle abbronzata dal sole.
Ma le abitudini sono dure a morire.
 
Al tavolo c’è subito fermento.
Iniziano le risatine, due operatori si danno di gomito.
Sam li richiama bonariamente e si alza per salutare la donna.
Ha uno sguardo completamente ebete.
Magari fosse così anche quando devo lavorarci insieme.
Così babbeo.
 
«Che piacere vederti, Talia. Vado subito a chiamare…»
Lei ride, uno scampanellio festoso.
«Non c’è fretta, grazie. Mi unisco a voi…»
 
No.
 
Si avvicina al tavolo e posa con delicatezza una mano sullo schienale di una sedia.
Tutti gli uomini si alzano per farla accomodare, compreso Ben.
Lei sorride per ringraziare.
«Non conosco tutti, temo…»
Partono le presentazioni, le voci si sovrappongono.
Reprimo un sospiro di impazienza.
E di desiderio.
Accidenti.
Quando Sam fa il mio nome, alzo appena gli occhi, cercando di assumere un’espressione vacua.
«E poi c’è Sel..ehm…Sel…Sally e quesa invece è Nora, la nostra…»
«Veramente, lei si chiama Selene» interviene una voce chiara.
Guardo esterrefatta Ben, che mi strizza l’occhio.
Ah.
Guarda la donna come un uomo fa con una bellezza, ma non sembra succube.
Bravo.
Un punto per lui.
Lei mi sorride e saluta.
Io borbotto una risposta.
Sam alza gli occhi al cielo.
«Però, Sam, questa povera ragazza…poreste anche darle dei vestiti» si lamenta la donna, scherzosa.
 
Serro i denti, di nuovo.
 
E sento una risatina di Nora.
 
E, all’improvviso, sento una brezza gelida sfiorarmi.
 
Oh, cazzo.
 
Resto immobile.
La compagnia si disperde.
Restano solo Sam, Nora, Ben e la donna, in attesa del regista.
Gli altri riprendono a lavorare, io mi attardo fingendo di recuperare qualcosa nella borsa di accessori del set che mi porto sempre dietro.
Non mi muoverei di qui, ora, neppure se mi spostassero di peso.
 
E, di colpo, succede.
 
Il bar è quasi deserto, la cameriera è sparita nel retrobottega.
Si sente uno sfarfallio come di cristalli lievi e la donna muove di scatto il capo.
Uno scatto troppo veloce per essere registrato da un occhio umano.
 
Sgrana gli occhi e cerca di aggirare Nora, che sta alla sua destra, cercando di muoversi con calma.
«A ben pensarci, potrei affacciarmi a vedere se è pronto…è un tale ritardatario…»
 
Ma non ha fatto i conti con me.
Mi paro davanti all’ingresso, bloccandolo.
Lei assottiglia gli occhi, davanti a me.
Sam farfuglia, indignato, alle sue spalle.
La donna ritrova la compostezza e mi sorride.
«Se non ti spiace, Sally…»
«Mi spiace eccome. E mi chiamo Selene. Non vorrai andartene. Non è educato. Stanno arrivando, e lo sai»
E succede.
Un ringhio cupo scaturisce dalla sua gola e impietrisce i tre umani dietro di lei.
Per tutta risposta, io le sorrido dolcemente.
E, un istante dopo, lei è a terra, agonizzante.
Grida e si contorce e annaspa in cerca d’aria, mentre Sam, ben e Nora gridano e fanno per avvicinarsi.
Ma non riescono a toccarla, perché il suo corpo si inarca.
Faccio un cenno con il capo e lei ricade, inerme.
 
Cerca di alzarsi sul gomito e, dal groviglio di capelli rossi ora scomposti, lancia un’occhiata alla porta, dietro di me.
«Non ti conviene» dico, soave.
Lei ringhia, di nuovo, come un animale preso in gabbia.
 
Io inarco un sopracciglio.
E lei si contorce ancora.
Ma una voce leggera e divertita riporta il silenzio.
Un silenzio innaturale.
«Mia cara. Basta. Lasciale riprendere fiato»
 
Mi rilasso al mio posto.
Non c’è più bisogno che io difenda l’ingresso.
 
Mi tolgo quel cappello orrendo e scuoto i miei capelli neri e ricci, che ricadono fino a metà della schiena.
 
La donna, stesa a terra, sgrana gli occhi e, con lei, anche Sam, Ben e Nora.
 
Io sorrido all’ombra alle loro spalle e cado in ginocchio.
«Signore»
«Mia cara» sento una mano posarsi lieve tra i miei capelli «Impeccabile, come sempre»
Da terra, un gemito.
 
La donna fissa terrorizzata Aro, la bocca spalancata in un grido silenzioso.

   
 
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