La
gara
Il mattino dopo Sora e Roxas sembravano due zombie.
Nonostante si fossero preparati per tre mesi consecutivi a questo momento,
adesso si sentivano insicuri e incapaci.
“Andrà tutto
bene” disse il castano, cercando di convincere sia sé stesso che il
fratello.
“Faremo una figura
meschina”ribatté il biondo, depresso.
“Oh, forza! Un po’ di spirito!” li sgridò la madre,
sbuffando.
“Dovete essere forti e sicuri di voi stessi” li
incoraggiò, senza successo. I due ragazzi uscirono di casa con l’umore sotto i
piedi e lo skate in mano.
“Axel ti ha
richiamato?” s’informò Sora, per non pensare alla
gara.
“No. O è molto arrabbiato o
se ne infischia” rispose il fratello, deprimendosi ancora di più.
Sospirarono entrambi quando arrivarono davanti al cancello d’ingresso della
scuola.
“Ce la possiamo
fare” disse il più grande.
“Speriamo”
“Che fate, avete paura perdenti?” li chiamò qualcuno
dietro alle loro spalle. Si girarono entrambi,
arrabbiandosi.
“Buongiorno” li salutò.
“Hayner” sputarono
all’unisono. Lui rise.
“Non consumate il mio nome” rispose
altezzoso.
“Stai tranquillo, meno ti
nominiamo meglio stiamo” gli assicurò Roxas.
“Siete pronti a perdere, femminucce?” gli chiese,
sorpassandoli.
“Sarai tu a perdere,
pallone gonfiato” disse Sora.
“Non penso proprio. Io e Seyfer ci siamo allenati
ogni giorno da quando sono finite le lezioni e vi assicuro che le nostre figure
sono spettacolari” li informò.
“Anche noi ci siamo
allenati, quindi non abbiamo paura” ribatté il
biondo.
“Sono proprio curioso, sapete? Magari potrei
divertirmi, invece di annoiarmi come ogni volta”
“Hayner, ti consiglio di
sparire se non vuoi che faccia diventare la tua faccia una gemella del
ciottolato della scuola” lo minacciò il castano.
“Che paura! Tremo tutto. A dopo, perdenti” li salutò.
Lo guardarono entrare nell’ingresso dell’edificio, poi si scambiarono
un’occhiata eloquente.
“Giuro che lo faccio
cadere dallo skate a suon di bastonate in testa” disse il più grande.
L’altro rise.
“Se hai bisogno di una
mano, non esitare a chiamarmi”
Axel si era depresso per bene da quando Roxas era
tornato a casa e aveva aspettato che il suo cellulare squillasse ogni singolo
giorno. Praticamente era diventato tutt’uno col divano. Alla fine nemmeno
Larxene lo sopportava più.
“Chiamalo tu!”
aveva sbottato una mattina.
“Non posso! Gli ho promesso
che non l’avrei fatto!” rispose lui.
“Sì, ma così sei
insostenibile! Sembri uno zombie con i capelli”
“Sempre di grande conforto,
eh” si arrabbiò.
“Sul serio, sei in
condizioni pietose. Almeno mandagli un messaggio” gli suggerì. Un
messaggio, in effetti, non è una telefonata, quindi non andava contro alla
promessa che gli aveva fatto.
“Sì, questo posso
farlo” annuì felice. Si toccò la tasca posteriore dei pantaloni, dove
solitamente teneva il cellulare, ma il suo cuore perse un battito nel sentire
che era vuota.
“Merda” sussurrò,
alzandosi di scatto.
“Qualche problema?”
gli chiese la bionda, avvicinandosi a lui.
“Sì! Il mio telefonino non è
dove dovrebbe essere” esplose il ragazzo, iniziando a togliere tutti i
cuscini dal divano e lanciandoli in aria.
“Che diavolo
significa?” lo aggredì lei.
“Che lo tengo sempre in
tasca ma non c’è più! E se Roxas mi ha chiamato, io non gli ho risposto”
sipegò.
“Stai scherzando, vero?
Cioè, tu sei rimasto su codest’affare seduto per tutto questo tempo aspettando
che lui ti facesse uno squillo e tu hai perso il telefono?”
ricapitolò.
“In parole povere”
ammise Axel.
“Ma allora sei
completamente deficiente!” esclamò Larxene, aiutandolo a cercare il
piccolo Nokia.
Misero sottosopra il salotto, senza trovare niente, e
si guardarono.
“Dove l’hai visto l’ultima
volta?” gli chiese la bionda.
“Non lo so! lo tengo sempre
in tasca!” rispose l’altro.
“Magari ti è caduto quando
ti sei messo il pigiama ieri” suppose lei,
pensandoci.
“Andiamo a vedere in camera,
allora” decise il rosso.
Mentre salivano le scale, la donna continuava a
parlare ininterrottamente.
“Giuro che se c’è anche
solo mezza telefonata di Roxas su quel coso io ti prendo a padellate in testa
fino a quando i tuoi capelli ritti non diventeranno lisci come quelli di
Vexen” lo minacciò. Axel rise, divertito da quella minaccia
particolare.
“Se ci riesci ti danno il
premio nobel per la pazienza” le rispose.
“E poi mi mettono in
carcere per averti ammazzato” concluse lei.
Spalancarono la porta di camera e si misero a cerca
sotto al letto e dentro le coperte, finché Larxene non alzò il braccio,
vittoriosa.
“Trovato!” esclamò.
Il rosso si precipitò da lei, con le mani tremanti.
“Ci sono chiamate?”
chiese. La ragazza controllò.
“Niente chiamate”
rispose. Lui sospirò deluso.
“Ma c’è un messaggio in
segreteria telefonica” annunciò. A quelle parole l’uomo gli tolse
bruscamente il telefono di mano e fece il numero della
segreteria.
“Hai un
messaggio. Vuoi ascoltarlo?” gli
chiese la solita vocina metallica. Lui premette uno e
attese.
“Ehi, ciao Axel! Sono io… cioè, sono Roxas. Forse dovevo
chiamarti prima…….”
“Ci siamo. Siete pronti?” chiese Riku avvicinandosi
ai fratelli Key quando suonò la campanella di fine
lezione.
“No” risposero
sconsolati i due.
“Sentite, vedete di non fare figuracce. Non mi va di
fare l’arbitro in una sfida in cui vince quello strafottente di Heyner” li
avvertì. Sora lo guardò male.
“Hai scommesso contro di
lui, vero?” chiese sospettoso.
“Certamente” ammise lui, con il suo atteggiamento
sicuro di sé.
“Per cui, se non volete restituirmi tutto ciò che ho
puntato, vi conviene fargli il culo, a quello” minacciò. Roxas sospirò e si
accasciò sul banco.
“Ehi, tutto
bene?” gli chiese il fratello.
“Per niente” rispose
lui.
“Non ti ha chiamato,
vero?” comprese. Scosse la testa tristemente.
“Ci siamo noi con te,
non ti preoccupare” lo consolò.
“Non è la stessa cosa, ma
grazie” disse sorridendo a fatica.
“La gara inizia tra cinque minuti, andiamo” annunciò
Riku.
“Vai
piano!”
“Non ce la faccio se
diminuisco la velocità”
“Non ce la fai nemmeno se
ti ammazzi”
“Che palle, fidati di
me”
“Non mi pare il
caso”
“Ok, come vuoi. Io tanto non
rallento”
Axel e Larxene stavano volando con la macchina per
strada. Avevano di gran lunga superato il limite di velocità, ma era tardi e non
sarebbero riusciti ad arrivare in tempo alla gara.
“Comunque ti faccio
presente che è solo colpa tua. Se tu non avessi perso il cellulare non staremmo
viaggiando a centoventi verso la scuola” gli ricordò la
bionda.
“La smetti di ripeterlo? Mi
fai venire i nervi”
“Anche a me fa venire i
nervi sapere che la mia vita è appesa a un filo e che tu stai bruciando quel
filo con il gas!”
“Ecco, vedo il
parcheggio”
“La sfida consiste in un percorso a ostacoli da dover
superare in non più di cinque minuti. Conquista più punti chi fa più acrobazie.
Se un concorrente cade è squalificato e la squadra avrà quindici punti di
penalità e trenta secondi di tempo in meno per finire il percorso. Se qualcuno
si ferma è fuori. La coppia che avrà il punteggio più alto vince. Pronti?” disse
Riku, con in mano la bandierina gialla che segnalava la
partenza.
“VIA!” gridò.
Roxas e Sora partirono a tutta velocità, mettendo
subito in pratica alcuni tricks su
cui si erano allenati con i massi nel bosco a casa della nonna. Il percorso era
disseminato di pali, cunette e buche, alcune delle quali anche piuttosto
profonde.
“Ci conviene
evitarle” esclamò il castano, indicandone una. In quel momento Hayner
entrò in quella di medie dimensioni e ne uscì posandosi con la mano sul bordo e
alzando lo skate in aria, tenendolo con i piedi. Un applauso esplose dagli
spettatori.
“Non credo che potremmo
vincere, così” ribatté Roxas, preoccupato. Saltò sopra una cunetta,
girandosi a 360° e atterrando perfettamente equilibrato. Tante cadute avevano
prodotto qualcosa, almeno.
Anche stavolta ci fu un bell’applauso, ma non era
soddisfatto.
“Fai fare a me la
prossima acrobazia” gli chiese Sora, ricevendo l’appoggio del compagno.
Si lanciò sorridendo verso uno dei pali e si fermò a un centimetro da esso,
inclinando all’indietro la tavola e facendola girare sotto ai propri piedi. Poi
fece un salto piuttosto alto, tenendosi con una mano alla sbarra di ferro e con
l’altra tirò indietro la tavola, andando a piegarsi con le gambe quasi fino alla
schiena, per poi riatterrare con grazia dall’altra parte.
“Sei un mito!”
esclamò Roxas, ammirato. Lui rispose mostrando il pollice in alto e
sorridendo.
“Sono tutti qua, quindi
penso che la sfida si svolga qui” disse Axel, cercando di vedere
all’interno della pista. Larxene sbuffò.
“Perché sono venuta anche
io?”
“Perché mi vuoi bene.
Aiutami a passare” la implorò.
“Sora, ci provi tu a fare
la buca più grande?” gridò il biondo. In quel momento Seyfer ci entrò
dentro, sorridendo strafottente, ma Hayner si arrabbiò nel vedere che il
compagno gli stava per rubare la scena e gli andò dietro.
“Ma sono scemi?”
esclamarono insieme i fratelli. Si avvicinarono alla fossa e continuarono a
ruotarle intorno, sapendo che fermarsi significava essere squalificati, e
fissarono all’interno.
“Fammi spazio, devo essere io il vincitore!” stava
gridando il biondino.
“Se mi vieni dietro così rischiamo di farci male”
ribatté l’altro, preoccupato. Senza ascoltarlo, l’altro lo superò e uscì da là
dentro facendo una specie di giro contorto su sé stesso e atterrando con
grazie.
“Oh, no!” gridò Seyfer. Fece una brusca manovra per
scansarlo e cadde rovinosamente a terra.
“Oh, ma che peccato! Abbiamo un eliminato, signore e
signori. Seyfer, sei pregato di allontanarti da lì” disse Riku. Il ragazzo prese
lo skate sottobraccio e, zoppicando leggermente, se ne andò dalla pista. Nello
stesso istante, Hayner concluse il percorso.
“Adesso i fratelli Key sono i soli rimasti in gara.
Hanno un vantaggio di quarantacinque secondi sugli sfidanti, ma un punteggio
minore. Ce la faranno a finire in tempo?” declamò
l’arbitro.
Sora e Roxas si guardarono.
“Io vado alla fine, tu
fai la buca” urlò il castano. L’altro sbiancò.
“Non ne sono
capace!” esclamò.
“Sì, puoi farlo. Dai,
guadagniamo terreno e vinciamo” lo spronò. Il biondo si sentì
morire.
“Eccolo, lo vedo!”
esultò Axel, arrivando sul bordo del percorso. Vide il ragazzino muoversi
ansiosamente intorno a una fosse scavata in terra e
sorrise.
“Forza Roxas!” gridò
per farsi sentire. Lui voltò lo sguardo e incrociò i suoi occhi
verdi.
“Puoi farcela!” lo
incoraggiò.
A
quel punto, il biondo chiuse gli occhi e si fermò con lo skate in bilico
sull’inizio della buca, sperando che non si trattasse di fallo. Strinse il
ciondolo del braccialetto tra le mani e respirò.
“Ora” sussurrò.
Lasciò andare il peso in avanti e le ruote della tavola si appoggiarono sulla
parete accidentata della fossa. Si dette la spinta col corpo, abbassando la
testa e prendendo velocità. “Non schiantarti, non
schiantarti” si ripeteva.
Quando iniziò a risalire, il cuore gli andò in gola,
chiuse gli occhi, stringendoli fino a farseli lacrimare.
“Forza Roxas!”
gridarono all’unisono Axel, Larxene e Sora.
Lui percepì il terreno allontanarsi dalla base dello
skate e iniziò a girare su sé stesso, tenendo le braccia incollate al
corpo.
“Uno… due… tre!” esclamò Riku, contando le
giravolte.
Il ragazzo atterrò dolcemente e si avviò a tutta
velocità verso la fine.
“Dai! Veloce!” urlavano tutti.
Aveva due secondi per tagliare il traguardo. Nello
stesso momento, lui, Axel e Sora chiusero gli occhi, pregando di
farcela.
I
fratelli Key rientrarono in casa distrutti. Trascinavano i piedi a terra e
sbadigliavano sonoramente. I loro genitori li aspettavano in ansia e andarono
loro incontro quando li sentirono chiudere la porta.
Nel vederli in quelle condizioni, il loro sorriso si
spense sulle labbra.
“Non è andata bene?” chiese il padre. I due si
guardarono, poi Roxas si tolse lo zaino, sospirando.
“Ecco…” rispose.
Dallo zaino tirò fuori un gigantesco trofeo, con uno skate argentato posto in
cima.
I
signori Key lo fissarono confusi, poi si aprirono in un grandissimo
sorriso.
“Ce l’avete fatta!” esclamarono, abbracciandoli.
Ridendo per lo scherzo ben riuscito, i figli li abbracciarono
felici.
“Li abbiamo
stracciati” ammisero contenti.
Quella sera, uscirono per festeggiare la meritata
vittoria.
“Per cui qual è la tua
decisione?”
“Io ti credo. Non è una
decisione, è un dato di fatto. Tu mi hai detto di fidarmi, tempo fa, ed è ciò
che voglio fare”
“Per cui ti sei deciso a
capire che quello è una serpe?”
“Diciamo di
sì”
“Quindi tutto a posto.
Bene” Axel si mise le mani in tasca e guardò altrove, mentre Roxas
aspettava un segnale che gli facesse capire che era felice della sua
decisione.
“Ma se tu non vuoi darmi
un’altra possibilità per farti vedere che mi fido, lo capisco” aggiunse
cauto.
“Cosa? No, non volevo dire
questo” esclamò il rosso.
“Allora dì qualcosa”
lo spronò. L’uomo rimase zitto.
“Non sono mai stato bravo a
parole, purtroppo” rispose sorridendo.
“Per cui rimaniamo qui a
guardarci negli occhi per i prossimi giorni?” sbuffò il biondo. Axel gli
prese il viso tra le mani e lo baciò appassionatamente.
“No, io avevo altre idee per
farti capire la mia felicità” spiegò.
“Sei un pervertito. Un
porcospino pervertito” lo accusò Roxas, ridendo.
Rise anche lui e lo fece salire in
macchina.
“Hai problemi a rimanere da
me a dormire?”
“Ma figurati! Domani è
domenica, non devo mica alzarmi presto”
“Meglio così. Non ho
intenzione di farti riposare molto, comunque” lo avvisò, guardandolo
malizioso. Mise in moto e il ragazzino scosse la testa
divertito.
“Porcospino
pervertito” ripeté.