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Autore: ErikB_19    08/09/2012    0 recensioni
In un futuro prossimo le famiglie non hanno più i soldi per mantenere i figli.
A scopo di aiuto, gli stati istituiscono le Case, in cui i bambini e i ragazzi possono essere lasciati in attesa di essere adottati da famiglie più facoltose.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le foglie si stanno pian piano staccando dagli steli che le sorreggevano durante la stagione calda, e le acque scorrono gonfie e cariche della pioggia copiosa che le ha nutrite. È l'autunno nella valle di Logret e la vita comincia a rallentare i suoi ritmi; dove prima passavano venti auto, ora ne passano quindici. Dove prima passavano carovane e camion, ora non ne passa più nessuna. Tutto si cristallizza, si ricopre del grigiore tipico di questo periodo.
Io osservo dalla finestra il divenire del stanco giorno, e le nuvole grigie che cominciano a piangere; non mi dispiace l'autunno, anzi. Lo trovo affascinante, forse uno dei passaggi più belli dell'anno. La vitalità e il lavorio della vita proprio dell'estate lascia il passo al ricordo e alla nostalgia autunnale.
Non si può dire che le giornate nella Casa di Logret siano noiosi, anzi, tutt'altro. Ogni giorno il lavoro, e tantissime attività allietano le nostre ore, e spesso il tempo lasciato per stare in privacy per conto nostro sono davvero poche.
Meglio così, stare soli non aiuta, anzi fa ricordare cose che stanno bene a restare nascoste, celate negli angoli della mente.
Ora la pioggia si fa più intensa, e io la osservo dalla finestra, stringendo al mio petto il piccolo Baloo che la zia mi ha portato qualche mese fa; accarezzo la sua copertura liscia, il suo pelo morbidissimo e lo bacio; almeno so, almeno lui, non mi abbandonerà mai. Anzi, succederà come ad alcune compagne più grandi, che abbandonano i loro pupazzi, che hanno cullato i loro sonni per tanti, lunghi anni allontanando la paura.
Io, nel mio piccolo, non riesco ancora a sbarazzarmi di lui; lo osservo guardarmi tutte le sere e dirmi di non lasciarmi andare, che presto qualcuno di facoltoso verrà a prendermi e mi farà crescere. Nonostante i giochi tutti i bambini e ragazzi che si trovano a Logret sono stati abbandonati; no, non bisogna pensare male. Non siamo stati abbandonati perché i nostri genitori non ci volessero, ma perché non potevano più permettersi di mantenerci.
Io non ci capisco molto, ma proverò a spiegare quel che è successo: numerosi paesi hanno dovuto affrontare un tracollo finanziario senza precedenti, con conseguenti tassazioni ingenti sulle già gravose imposte; come se non bastasse queste soluzioni si sono rivelate inutili, il sistema mondiale era in surplus produttivo, non c'era più spazio per altri prodotti, altri scambi. Tutti avevano tutto, non si poteva procedere in questo modo, ma imparare qualcosa non sembrava il piatto forte delle persone; alcuni volevano di più, sempre di più, più soldi, più potere e speculavano su ogni cosa. Morale della favola, il sistema finanziario globale è crollato su se stesso. Come diretta conseguenza, le valute nazionali sono divenute tutte in un colpo carta straccia, nessuno poteva più comprare nulla, servirsi di nulla. Allo stesso modo i nostri genitori non sono più riusciti a garantire ai propri figli condizioni di vita dignitose; fu proprio in quel periodo che sono nate le Case; istituzioni governative statali completamente gratuite in cui le persone potevano lasciare in affidamento i propri figli, in attesa, quanto mai vana, del risistemarsi della situazione.
Ed ecco come mai sono qui, siamo qui.

Potrà sembrare una condizione terribile, ma neanche troppo; devo lavorare, è chiaro. E nel momento in cui non si lavora, come vi ho detto la casa dispone di attività di ricreazione per distrarci, nonché talvolta gite, a seconda della disponibilità economica.
Io sono un'impiegata; lavoro in uno degli uffici adozione della Casa; e vi assicuro che gli appuntamenti non mancano, tanto che a volte faccio fatica a tenere nota di tutte le cose che devo fare o dire; ma va bene così, sono contenta di questa occupazione, alla fine a volte riesco anche a scroccare una gita grazie agli impegni di lavoro del capo, quindi come potete vedere, non mi va così tanto male.

_ Karen, vieni. È ora di cena_ mi disse Morena, con un sorriso.
_ Arrivo subito_ dissi.
Morena è la mia compagna di stanza; per quanto andiamo d'accordo, non siamo riuscite a legare più di tanto. L'amicizia e l'amore sono un terreno pericoloso qui a Logret, è facile scivolare. In conclusione, siamo tutti in competizione l'uno con l'altro per accaparrarci la prima famiglia disposta ad adottarci. Sì, perché la nostra condizione può terminare nel momento in cui una famiglia facoltosa paga ai nostri genitori la Tassa sull'Adozione in qualche modo guadagnandosi la tutela legale su di noi; di solito sono persone sole che desiderano un bambino per compagnia, o nel caso di noi più grandi, di semplice forza lavoro. Si tratta di solito di cifre che, nelle condizioni economiche attuali, sistemano una coppia per la vita e che quindi sono difficilmente rifiutabili.
Per quanto ci riguarda, un'adozione significherebbe riprenderci la libertà e l'autonomia economica che qui non ci è garantita, in quanto tutto il nostro stipendio viene destinato al mantenimento della nostra condizione, in effetti, di orfani.

I pasti sono i momenti principali di convivialità. Sono belli, per una volta sembra quasi di essere una grande famiglia. Una parola quasi taboo qui da noi.
Io mi siedo sempre al tavolo con Giuly, una ragazza di qualche anno più piccola arrivata da poco; sembra che su di lei ci sia l'attenzione di una famiglia di facoltosi industriali che da poco hanno perso la figlia. Accanto a noi, Alessandro e Jean, incapaci di farsi i fatti loro.

Sono del tutto convinta che a Jean piaccia Giuly, ed in effetti è sempre ben attento a chiacchierare con lei, con conseguenti complimenti mirati su quanto fosse snella e carina. Sìsì scuse vecchie come il mondo, che Giuly chiaramente si affrettava ogni volta a smentire, nonostante le mie insistenze. Comprensibile anche il suo punto di vista; d'altronde se si fosse innamorata e poi adottata avrebbe dovuto dire addio al suo eventuale ragazzo. Non le conveniva, era meglio fingere e tirare avanti. Invece le storie di sesso erano molto più facili; ci si smaliziava in fretta, ci si rendeva presto conto dell'impossibilità di costruire qualcosa, e per questo era preferibile gettarsi esclusivamente sulla gratificazione fisica, che come tutte le gratificazioni temporanee, è fine a se stessa. Ma che ci si vuol fare, le cose stanno così e bisogna adattarsi, a suon di colpi e dolori.
_ Jean è molto carino in effetti_ mi diceva Giuly dopo pranzo, quando camminavamo da sole nel cortile della Casa _ ma fa lo stesso, io preferisco Norman_
_ Norman non ci starà mai_ le dissi, con una punta di irritazione.
_ Sì perché piace a te_ disse con un occhiolino.
Ecco, Giuly era sì forte e amichevole, ma in questi momenti l'avrei semplicemente strangolata. Ma che razza di discorsi erano?
_ Bah, vedila come ti pare_ le dissi_ Jean non è male, in ogni caso_
_ Cara, non mi degna di uno sguardo. È gay, te l'ho detto, non ci sarebbe pericolo! È solo amichevole_ disse Giuly.
_ Se guardarti le tette significa essere gay, allora spiegami il senso_
_ Ma va... è normale guardarmi le tette_
Quante testate le avrei tirato, ma cambiarla forse l'avrebbe resa meno interessante. È vero Norman mi piaceva, e tra noi c'era stato qualcosa. Principalmente sesso ovviamente, ma mi stavo innamorando lo sapevo. Ma lui non era dello stesso parere, ha avuto paura nel momento in cui gliel'ho rivelato, ed è scappato. Tipico, nonostante abbia versato tante lacrime amare sul povero cuscino e sul mio povero baloo. Ecco un altro motivo per cui non potrei mai abbandonarlo.
Non ci si può adattare a questo crudele mondo senza esserne feriti, e chiunque entri a Logret lo impara sulla propria pelle. Presto le parole “amore”, “fidanzato/a” perdevano di significato, erano quasi locuzioni vuote e per quanto triste possa sembrare, la realtà era questa. Io non ho scelto di essere lasciata qui, è successo e basta e a queste cose devo far fronte.
_ Che scema che sei_ dissi a Giuly.
_ Domani lavori?_ mi chiese.
_ Sì, tutto il giorno_
_ Che paaaalle! Cosa faccio tutto il giorno? _ chiese.
_ Non so, dedicati a qualcosa, disegna_
_ Fffff. No non ne ho voglia. Mi sa che scriverò un diario_ disse.
_ Mmm ottima idea!_
_ Quindi andrai a letto presto!_ mi disse.
_ No, non troppo. Non ho voglia di chiudermi in camera_
_ Ottimo! Allora andiamo al pub della Casa, ci sarà sicuramente qualcosa!_
Corremmo insieme attraverso il parco, costeggiando le piazzole piene di ragazzi intenti a chiacchierare o baciarsi. L'intero parco era costituito da un quadrato di 1000m2 di spazio pieno di sentieri, zone lounge, piscine, campi da sport e un grande pub sul lato ovest, usualmente il ritrovo di tutti i ragazzi della Casa. Era un bel posto, con gazebo all'esterno durante la stagione estiva, grandi lanterne appese a cornicioni di legno e fontane multicolore a far da contorno; all'interno, l'atmosfera informale la faceva da padrona, con mobili lineari e colori neutri. In ogni caso era sempre un posto carino, dove rilassarsi sorseggiando qualcosa (ovviamente gratuita).
Era proprio lì che ci stavamo dirigendo.
_ Ciao Karen!_ disse una voce maschile. Mi girai e vidi Robert separarsi dal gruppo di amici con cui si trovava per venirmi a salutare. La sua folta capigliatura rossa sventolava nella brezza della sera. Se posso dire di avere un amico di sesso maschile nell'istituto, questo è Robert. Sono sempre libera di dire quel che voglio quando voglio, confidandomi con lui ad ogni ora del giorno, e in caso di bisogno, della notte.
_ Ehi Rob! Credevo fossi già a nanna!_ gli urlai. Beh, Rob è tanto caro, ma anche un po' nonno; spesso si ritrovava a letto a orari indecenti, cosa che assolutamente non riuscivo a comprendere.
_ Non stasera Karen, domani sono in riposo_
_ Aaaaah, ho capito. Beh ci vediamo dopo allora!_
_ Ho capito, l'ora di confessione_ disse lui, come rassegnato.
_ No, mio caro, sei tu che ti dovrai confessare mi sa questa volta_
Rob si zittì, arrossì e poi salutò.
_ Ciao Robbie_ lo salutai sorridendogli.
Io e Giuly riprendemmo il nostro percorso verso il bar, e man mano che ci avvicinavamo, notai come Giuly sculettasse di più. Sconvolta, ripromisi a me stessa di fargliela presto pagare per quell'atteggiamento sfacciato. Insomma, chi si credeva di essere?
_ Ma cos'ha fatto di così grave Rob? Mi sembra innocuo_ disse lei.
_ Ah, non troppo, si è baciato con Margie_
_ No, non dirmelo!_ esclamò sorpresa Giuly _ ma bravo Robbie_
_ Da quello che so non è andato oltre a quello, si è imbarazzato troppo. Ma insomma, non posso permettergli di sprecare queste opportunità così! Come sua amica devo aiutarlo!_ esclamai con un'aria tronfia degna del miglior politico cialtrone.
_ Brava! Mi sembra giusto! Sennò alla fine si ritroverà ad aver sprecato gli anni migliori della sua vita!_
Galvanizzate da questo edificante discorso, ci dirigemmo decise verso il bar e prendemmo da bere; dopodiché ci spostammo in un bel spiazzo erboso adibito a piccola piazzetta, con tanto di panchine e tavolini, e vivacemente illuminato da alcune strane lampade a forma di fiamma.
_ Quanta bella carne al fuoco che vedo quaggiù_ disse Giuly spostandosi i capelli da davanti alla faccia.
_ Ma pensi solo al sesso, maniaca? _ le chiesi.
_ Karen, insomma, parliamoci chiaro: sono qui, faccio un orripilante lavoro che non mi piace, e presto, se tutto andrà bene, sarò adottata. Non vedo altre ragioni per non farlo!_
_ Beh, se cominci a comportarti in questo modo, quando finalmente sarà il momento di fare sul serio non te ne accorgerai_ le spiegai.
Lei rimase accigliata un po', come in cerca delle parole giuste da dire. Poi sorrise.
_ Forse hai ragione tu, ma al momento non vedo davvero altre soluzioni; aprirsi a qualcuno ha l'unica conseguenza diretta di farti stare male. Tanto vale non farlo, prendersi le proprie soddisfazioni, l'amore è un tale spreco di tempo_
Stavolta fui io a restare accigliata.
Divenni seria e mi chiusi in un silenzio molto eloquente; era forse quella la fine che ci attendeva?
_ Karen? Ehi bella, tutto bene?_ mi chiese Giuly, notando inevitabilmente il cambio di espressione.
Ero sull'orlo delle lacrime, non sapevo cosa mi stava accadendo; solo non potevo restare lì, dovevo allontanarmi da tutto quel caos. Ma non vi erano molte altre soluzioni; non potevo permettermi di mostrare questa crisi, non davanti a tutti, e soprattutto di fronte a tutti quei ragazzi, che non mi avrebbero mai più guardata.
Deglutii rumorosamente e cercai di calmarmi; no, non potevo continuare così dovevo riprendere il controllo.
In realtà tutto questo durò lo spazio di una trentina di secondi, il che è quasi ironico. In conclusione della storia comunque riuscii nel mio intento e rigettai i singhiozzi dentro di me, trattenendomi per quando sarei stata sola, nella mia camera.
_ Tutto bene grazie. Stavo pensando a Norman... _ dissi, consapevole di dover dare una giustificazione per la mia espressione funerea.
_ Karen... scusa... sono stata io. Non credevo ci stessi ancora così male_
_ Non fa niente Giuly, davvero. Ora però ho bisogno di bere_ dissi io con un sorriso che sarà apparso finto come non mai.
_ Hai ragione! Mi sembra la soluzione migliore_ disse lei e si recò al bar per procurarsi qualche drink.
Rimasi sola sul divano e mi guardai attorno; osservai i ragazzi, i miei simili attaccati al sottile filo che ci accomunava tutti; ognuno con speranze, sogni , capacità, forza. Ognuno aveva chiaro davanti agli occhi il se stesso che avrebbe voluto vedere e che si scontrava con una realtà in cui tutti non avrebbero trovato posto; in cui per esempio per avere una buona adozione fosse necessaria una bella dose di fortuna.
In quell'istante la disumanità propria del sistema umano fece breccia e fu evidente ai miei occhi; l'irrazionalità insita in un sistema che non può essere cambiato, e non certo da dei ragazzini. Cosa potevamo fare? Come poter ribaltare la situazione?
No, non c'era nulla da fare, bisognava arrendersi all'evidenza dei fatti, all'impotenza insita in tutto ciò che ci circondava.
Ne sono tutt'ora convinta.

La serata proseguì normalmente dopo quella piccola crisi; Giuly tornò da me con il suo drink e riprendemmo a chiacchierare come niente fosse, e lei fu attentissima a evitare l'argomento amore, aveva capito quanto fossi fragile in quel momento.
Ci salutammo dopo un paio d'ore; io sgusciai in camera, attenta a non svegliare Morena nella stanza accanto, mi lavai i denti e poi finalmente potei abbandonarmi al pianto che mi portavo dentro.

Il mattino fu grigio e deprimente; la pioggia si ammassava sui comignoli e poi ricadeva nelle grondaie che placidamente la trasportavano verso il basso; c'era un senso di pace e rilassatezza in quel panorama, nonostante tutto. Pian piano presi coraggio e mi diressi verso il bagno; allo specchio il mio viso apparve meno sconvolto di quanto potessi immaginare; erano evidenti le righe del pianto, le iridi erano chiaramente arrossate, ma l'impressione generale non era delle peggiori.
Questo mi tirò su il morale e perlomeno mi consentì di muovere i muscoli sufficientemente da lavarmi, prepararmi e vestirmi in tempo per il lavoro. Uscii dalla stanza e dall'edificio, inspirai l'aria carica di umidità e, aperto l'ombrello, mi diressi decisa verso l'edificio principale, dove mi attendeva la colazione. Forse mi avrebbe fatto bene, forse no, in ogni caso era necessaria; il mio stomaco reclamava attenzione e non potevo ignorarlo, data la giornata che si prospettava. Era mercoledì, era il giorno in cui ricevevamo le richieste di adozione delle famiglie, e di solito il traffico di telefonate aumentava esponenzialmente con il procedere delle ore.
La mensa era mezza deserta, e dalle vetrate entrava il pallore gelido della giornata che sorgeva; salutai la signora all'ingresso e discesi le scale. Mi avvicinai ai pianali e afferrai un vassoio, decisa a impegnarmi a nella ricerca di qualcosa di proteico e saporito.
Mi accontentai di vari piccoli panini forniti delle più svariate marmellate, anche se le uova con bacon rappresentavano l'attrazione principale ai miei occhi, ma no, non sarei riuscita a ingerirne neanche un piccolo pezzo, per cui deviai la mia attenzione.
Mi sedetti ad uno dei lunghi tavoli, e mangiai lentamente e senza spinta; le cose si districavano tra le mie papille gustative senza fermarsi, e ogni boccone era più insapore del precedente.
Tuttavia riuscii a finire il pasto e corredai tutto con un'enorme tazza di caffè, il vero toccasana della mattina; per fortuna la caffeina aveva ancora effetto su di me.
Finii la colazione con poca voglia e mi gettai per i piani dell'edificio fino a raggiungere l'ufficio; salutai i colleghi e raggiunsi la mia postazione; guardai per un istante con disgusto a quella sedia in materiale sintetico grigio, alla scrivania bianca in trucciolato mezzo scrostato e allo schermo davanti a me. Scacciai quella sensazione e mi sedetti.
_ Karen!_ mi chiamò il direttore Romeo.
Alzai con fatica lo sguardo, quasi irritata dell'intrusione; sapevo cosa dovevo fare, non era necessario aggiungere altro. Ma tanto le cose non vanno mai come si crede.
_ Ti spiacerebbe spostarti nell'altra postazione?_ mi chiese con un sorriso che non ammette repliche.
Normalmente la notizia non mi avrebbe sconvolta, ma invece oggi mi infastidì.
_ C'è qualcosa di nuovo?_ chiesi, non riuscendo a non tradire una punta di irritazione.
_ Nono, una buona notizia Karen! Figurati! Non ti sposterei mai altrimenti; oggi dovrebbe chiamare una famiglia interessata a te! È una grande novità, è una famiglia del Nord, nelle montagne_
La notizia fu un fulmine e mi lasciò di stucco, incapace di confrontarmi con una realtà che era più forte della mia mente, che avanzava nonostante fossi bloccata. Al mondo non importa di ciò che si pensa, lui continua a girare, senza sosta, quasi spietato, e le vite con esso.
_ Davvero signore? Non so cosa dire..._
_ Non devi dire niente. Solo, fai il tuo lavoro e non distrarti troppo. Immagino sia un momento intenso, e hai tutto il diritto di esultare_
_ Già. Sinceramente, non me l'aspettavo; credevo di essere spacciata_
_ Ma cosa dici! Sei una bella ragazza, giovane e in gamba! È normale che ti vogliano_
_ Speriamo. Grazie direttore_
_ Mi dispiace che ti portino via in ogni caso, sei un'ottima lavoratrice_
_ Grazie_ gli risposi mentre impacchettavo la roba per spostarla sull'altro tavolo. Presto, immaginavo, dove mi ero seduta per tutti quei mesi ci sarebbe stata un'altra ragazza, un'altra anima sperduta in cerca della propria, invisibile strada.
Mi mossi cautamente, ed una volta giunta al nuovo terminale chiusi gli occhi dopo aver premuto il tasto di accensione.
Era forse quella la sensazione che si provava ad essere adottati? No dovevo ancora abituarmi all'idea di poter essere io la prescelta; ero libera, libera! In più avrei avuto il mio stipendio, uno stipendio vero! Avrei potuto realizzare tutti i miei desideri, comprare cose... ma non capivo, non capivo come dovermi sentire. Queste cose erano oggettive, ma poi? Cos'altro. Sarei andata chissà dove, da persone che non mi conoscevano e che avrebbero fatto finta di volermi bene e magari me ne avrebbero davvero voluto per poi precipitare in una vita a cui un giorno mi sarei abituata; chissà che lavoro mi avrebbero fatto fare. In sostanza non importava, bastava evitare di pulire gabinetti.
In quel momento squillò il telefono. Sussultai per la sorpresa, e mi resi di nuovo conto di dove fossi; mi sfregai gli occhi e poi alzai la cornetta.
_ Pronto? _ dissi, con voce debole.
_ L'ufficio adozioni di Logret?_ chiese una voce femminile.
_ Sì. Sono Karen. In cosa posso esserle utile?_
_ Mi chiamo Loren, chiamo per chiedere informazioni sulle pratiche di adozione_
_ Certo, signora. Lei vive sul territorio nazionale?_
_ Certo_
_ Perfetto. Il suo cognome?_ chiesi, riprendendo il mio ruolo professionale.
_ Niro. Sono la signora Niro. Mio marito è un importante banchiere_ spiegò.
_ Perfetto. Sa che dovrà dimostrare tramite una dichiarazione di essere in grado di mantenere economicamente il ragazzo o ragazza che intenderete adottare?_
_ Sì, lo so_ rispose la signora con voce squillante.
_ Benissimo. Allora, io le fisserei un appuntamento. In questo modo possiamo parlare personalmente e voi potete vedere che tipo di persona volete adottare, a meno che non lo abbiate già in mente. Può scaricare dal nostro sito internet la modulistica necessaria per la dichiarazione; successivamente un nostro incaricato verificherà le informazioni, e se tutto va bene, in un paio di settimane la vostra pratica sarà attiva_ spiegai.  
_ Benissimo_
_ Mi dica lei che giorno vi può andare meglio_
_ Giovedì sarebbe perfetto_ disse la signora.
_ Un attimo, do un'occhiata... allora, si potrebbe fare alle 11.30 se per lei può andare bene_ dissi.
Ci fu un attimo di indecisione poi la signora accettò.
_ Perfetto. A giovedì_ dissi, prima di riattaccare.
“ Se sarò ancora qui” pensai mentre mi giravo verso l'agenda per segnare l'appuntamento.
Il segnalibro sulla giornata di oggi mi indicò come tra circa un'ora mi attendesse un colloquio di adozione. Decisi allora di rimettermi al lavoro per schedare tutti i nuovi arrivi a Logret. Di questi tempi gli ingressi sono più frequenti, e il lavoro di noi impiegati, moltiplicato.
Mi concentrai nella compilazione del questionario relativo a Iomi Suuuja.
Non mi piaceva particolarmente questa parte del lavoro, ma mi piaceva pensare che tutto questo fosse fatto per garantire a questi ragazzi condizioni di vita migliori; non c'era altra via che quella delle Case.

Compilai il suo questionario, per poi passare a quello Di Jackie O'Reed, 6 anni, biondissima con belle trecce e un bel sorriso. Nella foto si vede chiaramente la mano della madre tenerla. Sospirai, malinconica. Certo sarebbe stato bello vivere come i nostri genitori, avendo la possibilità di studiare, di farsi una vita, di costruirsi una famiglia. Probabilmente la maggior parte di noi che avrebbe abbandonato Logret non avrebbe mai messo su casa, non avrebbe mai trovato nessuno su cui poter davvero contare.
In quel momento un signore uscì dall'ufficio in lacrime, singhiozzando rumorosamente e sbattendo la porta.
Un altro genitore disperato che aveva lasciato suo figlio nella struttura; a questo pianto sarebbe seguita la recita per sembrare forte nei confronti del bambino, per rendergli accettabile il fatto che non avrebbe più vissuto con loro, che nessuno si sarebbe più preso cura di lui, almeno non nel modo in cui un genitore potrebbe.
Scene di questo tipo erano abituali e devo dire che nonostante la loro tragicità, per me era divenuto quasi facile sopportarle, ero quasi anestetizzata.
Non si poteva provare qualcosa nel momento in cui si osservava la mano del genitore firmare l'Accordo di Cessione, avrebbe reso tutto più difficile. Bisognava essere gentili, ma discreti. All'inizio molte volte mi sono abbandonata a pianti isterici in seguito a scene strazianti come questa, ma il tempo ti abitua a tutto, perfino alla sofferenza, che diviene quasi in vitro.
Dopo qualche secondo, infatti, ripresi a digitare i dati della bambina, per poi proseguire con Anna, 15 anni, capelli castani occhi verdi, un po' bruttina con l'apparecchio ai denti. Chissà che sacrifici hanno dovuto fare i suoi genitori per pagarle una tale operazione; non c'era da stupirsi che si siano dovuti rivolgere a Logret.
Passai in rassegna altri profili; Jon di 24 anni, Marcus di 3, Paul di 16. Ce ne sarebbero stati altri, ma ormai era passata un'ora e mi dovevo preparare al colloqui in arrivo. Presi gli schedari di Logret
e cominciai a disporli sul tavolo in modo che potessero essere facilmente distinguibili l'uno dall'altro. So che la famiglia preferirebbe una femmina, quindi appoggiai sul tavolo tre cataloghi comprendenti bambine e ragazze e solo uno di maschietti, in special modo piccoli, nel caso avessero cambiato idea.
Ecco che era tutto pronto, dovevo solo aspettare l'arrivo, a momenti, dei potenziali genitori adottivi.
Intanto mi rimisi a schedare altri ragazzi. Ce n'erano sempre, di continuo, e il lavoro per le segreterie diveniva di giorno in giorno più oneroso. Ma mentre digitavo le lettere e i numeri relativi a quegli orfani, mi bloccai; il mio cervello mi comunicava qualcosa di nuovo, il fatto che presto qualcuno si sarebbe seduto a quella scrivania  e avrebbe scelto me, proprio me! Presto non avrei più rivisto quelle mura, il mio letto, la mio stanza, le persone a cui ero più o meno legata. La mia vita sarebbe diventata del tutto diversa, avrei avuto il mio stipendio e sarei stata amata da qualcuno, seppure in maniera riflessa.
Ero così assorta nei mie pensieri che non mi ero accorta delle due figure, evidentemente a disagio, che si erano sedute davanti a me. L'uomo, di mezz'età, si passava continuamente la mano tra i capelli color cenere, per poi passare a torturare i jeans abbastanza stretti che indossava.
La signora, con la faccia slavata incorniciata da un vivace caschetto di capelli rossi, era invece immobile, le mani sulla sfarzosa borsetta Louis Vuitton e in attesa delle mie parole. Pendevano letteralmente dalle mie labbra . Ebbi un brivido, un sussulto; queste persone erano pronte a tutto per avere un figlio, un altro figlio. O magari non gliene fregava nulla di voler bene alla persona, ma semplicemente se ne volevano occupare per avere forza lavoro; magari avevano una magione vinicola, o erano proprietari terrieri.
_ Salve, sono Karen_ dissi, stringendo loro la mano, sicura nel mio ruolo istituzionale_ sarò la tutor che seguirà la vostra pratica di adozione_
Presi i fogli dell'application.
_ Dunque voi siete i signori Toni, giusto?_ chiesi.
Loro annuirono.
_ Allora, anzitutto vi chiedo di descrivere voi stessi, la vostra attività, e il tipo di bambino o ragazzo che volete visionare. Nella richiesta avete scritto che preferireste una bambina, giusto?_
_ Sì_ disse la signora _ noi, abbiamo da poco perso nostra figlia... la nostra vera figlia. Non possiamo sopportarne la perdita...per questo vorremmo adottare una bambina_
Vidi gli occhi della donna diventare lucidi, mentre raccontava.
_ Mi dispiace signora. Che è successo?_ chiesi, impassibile, mentre compilavo alcuni form.
_ Sclerosi multipla_ disse, e ciò bastò per farle scendere una lacrima.
_ Oh, mi scusi per la domanda indiscreta; se per voi va bene passeremmo ad altro_ dissi, simulando dispiacere.
_ Si figuri_ disse il signor Todi mentre abbracciava la moglie _ noi siamo medici, entrambi. Nonostante tutto non siamo riusciti a salvare nostra figlia, e questo ci riempie di ulteriore sconforto_
_ Che specializzazione avete?_ chiesi.
_ Io sono ginecologo, lei otorino_ spiegò.
_ Ok_
Seguirono noiosissime domande sulla durata degli studi, su dove avessero studiato, lavorato, e dove fossero attualmente occupati, con conseguente dati sul reddito.
_ Sapete che per finalizzare le procedure c'è bisogno di un documento comprovante la vostra rendita. Dobbiamo essere sicuri che riuscirete a mantenere la bambina; un ritorno non è ammesso_
_ Sì certo_ disse la signora_ lo sappiamo. Vi porteremo i documenti_
_ Ok, allora metto che saranno consegnati posticipati. Sapete che dalla data di consegna della pratica, della scelta della bambina occorrerà almeno un mese per concludere l'adozione, vero? È una procedura lunga ma il risultato è assicurato_ dissi con un sorriso e loro risposero con un altro. Mi sentii meglio, il silenzio che dominava quella conversazione mi stava mettendo a disagio. Normalmente non lo avrebbe fatto, ma oggi, in quanto giorno diverso, avevo i brividi lungo la schiena ad ogni lettera che scrivevo.
_ Perfetto. Dunque, abbiamo fatto tutto; potete osservare i cataloghi qui_ dissi loro, indicando i raccoglitori sul tavolo _ questo è per le bambine dai 2 ai 5 anni, questo invece per quelle dai 6 agli..._
_ Grazie, ci basta questo_ mi interruppe il signor Todi_ cerchiamo una bambina che abbia più o meno quattro anni_
Li lasciai a sfogliare il catalogo con le schede e le foto di ogni bambino mentre eseguivo le fotocopie del form che avevo compilato.
Dunque davvero qualcuno si era interessato a me? Qualcuno aveva compilato quel modulo per adottarmi? Era, a pensarci, qualcosa di stupendo. Ero piaciuta, finalmente qualcuno a cui piacevo veramente! Chissà cosa li avrà colpiti, se il sorriso o le mie capacità.
Sorridevo mentre osservavo il flash della fotocopiatrice avanzare e arretrare inesorabile, espellendo il proprio prodotto.
Tornai al mio posto e vidi i due signori discutere sommessamente l'uno con l'altro mentre sfogliavano le varie pagine; fu la prima volta che vidi nei loro occhi la speranza; la signora Toni sorrideva timidamente quando osservava un faccino che potesse ispirarle o che le stimolasse una reazione. Fui contenta e mi ritrovai a sorridere assieme a loro; quel picco di serenità non poteva essere negato.
Fu il direttore ad interrompermi.
_ Scusa Karen se ti interrompo, posso parlarti?_
Io fissai i signori e poi mi rivolsi a loro con voce calma.
_ Posso assentarmi due minuti mentre consultate l'elenco?_
_ Certo, si figuri_ mi disse il signor Toni senza sollevare lo sguardo dai visi sorridenti delle bambine.
Mi diressi in un angolo della stanza assieme al direttore Rome, che si rivolse a me con faccia seria.
_ Cosa c'è direttore? Qualcosa non va?_ chiesi.
Il cuore mi esplodeva nel petto, lo sentivo battere follemente come se fossi isolata dal mondo esterno. Sapevo, sapevo quello che stava per dirmi.
_ Purtroppo... le persone che si erano interessate a te hanno recesso il contratto_ disse, con tono discendente.
Rimasi paralizzata per qualche secondo, senza essere capace di muovere un muscolo; l'unica cosa che riuscivo ad avvertire era il rimbombo dei battiti del cuore, e nient'altro.
Tutte le mie fantasie, tutte le idee che mi ero fatta nel corso di quelle brevi ed intense ore erano svanite in un colpo, con alcune parole marziali.
Francamente non sapevo neanche come dovessi sentirmi, qual era il sentimento richiesto; non mi sentivo in quel posto, ero da un'altra parte, isolata dalla realtà e protetta in un guscio che non voleva avvertire la verità.
In una mattina ero stata liberata e imprigionata di nuovo.
_ Mi dispiace di averti illuso, ma sembravano così sicuri_ disse Romeo, evidentemente mortificato.
_ Non si preoccupi_ risposi con voce neutra, e, da parte mia, lontana anni luce. Sembrava che stesse parlando qualcun altro con il mio corpo.
_ Mi dispiace, e mi dispiace di avertelo detto così in fretta_ disse_ma non riuscivo a guardarti negli occhi e mentirti, o aspettare il momento buono. Non ci sarebbe stato_
_ Ha... ha fatto bene_ dissi_ ora devo tornare ad occuparmi dei signori Tosi_
_ Se non te la senti, posso chiedere a Serena di sostituirti per un po'_
_ No, io devo occuparmi di loro. Se lascio perdere, potrei spaccare tutto_ dissi, incredula delle parole che mi erano uscite dalla bocca. Il direttore non mi disse nulla, e annuì. Mi guardò, sorrise debolmente e se ne andò.
Io barcollai verso la scrivania, cercando di ricompormi, di riprendere un profilo che potesse definirsi professionale. Ero frastornata, del tutto persa in un nugolo di pensieri che mi occupavano il cervello, ma riuscii a mantenere il controllo.
_ Allora_ dissi_ avete deciso?_
_ Siamo ancora un po' indecisi_ disse la signora Toni.
_ Potete restringere la ricerca e vedere le bambine di persona_ illustrai loro_ ditemi quali vi ispirano maggiormente_
Mi indicarono Lucrecia, di 4 anni, Maria, di 3 e Holly di 4.
Tutte castano chiaro, capelli tenuti a livello del collo e con un sorriso brillante e sbarazzino.
_ Benissimo. Vi chiamo subito la collega che vi accompagnerà_ dissi, alzando la cornetta.
_ Sono tutte così belle. È così difficile scegliere_ disse il signor Toni.
_ Eh lo so. Seguite il vostro cuore_ consigliai loro in uno slancio di patetismo romantico _ la bambina che sceglierete vorrà tutto il vostro amore,e voi dovrete essere in grado di restituirglielo, giorno dopo giorno_
Vidi negli occhi della coppia un convincimento fino ad allora invisibile. Alla fine ero riuscita a dire qualcosa di buono, a fare qualcosa di buono. Almeno per qualcun altro, ma non per me.
Mi stavo scoraggiando lo sapevo, la tristezza si stava impossessando di me. Stavo lasciando andare il cervello verso acque profonde, da cui tornare indietro sarebbe stato difficile. Non era colpa mia se tutte quelle persone non mi volevano! Non avevo fatto nulla nei loro confronti per meritarmi questo trattamento! Non ho mosso un dito per far torto loro, non ho fatto nulla per cui essere rimproverata. Mi impegno tutti i giorni nel mio lavoro, non disprezzo le persone, cerco sempre soluzioni diplomatiche, ho amici, provo sentimenti. O forse non sono in grado? Forse sono io che mi pongo in maniera sbagliata nei confronti delle persone, forse sono io che senza volerlo le allontano per volerle avere più vicine, perdendo contatto con loro per il mio sentimentalismo?
Non lo so, non sapevo davvero cosa fare. Con estrema facilità ogni istante si trasformava in un tormento, nel riflettere a cosa perdevo senza capirne il motivo.
Neanche i miei genitori avevano avuto scelta nel momento in cui mi avevano lasciato a Logret, non potevano mantenermi, anche se mi amavano, e mi amano ancora. Ma alla fine anche loro mi hanno lasciata, e ormai non vengono più a trovarmi. So che lo fanno perché vedermi significherebbe riaprire la ferita, ma dal mio punto di vista, è dilaniante. Li vorrei qui per abbracciarli. Vorrei provare cos'è l'amore, quello che ho letto nei libri di Goethe, o della Austen, quello che ti fa dilaniare, quello che ho visto nei film, ma che probabilmente non troverò mai.
Una voce femminile mi distolse dal mio precipizio.
_ Karen, sei tu?_ chiese.
_ Oh ciao Roberta! Senti, ci sono dei signori, la famiglia Tosi, che vorrebbe vedere delle bambine_
_ Ho capito. Le hanno già selezionate?_
_ Sì, Lucrecia, Maria e Holly_
_ Ho capito. Fammi andare a prepararle_ disse Roberta_ falli venire da me tra quindici minuti_
_ D'accordo, grazie_
_ Ehi Karen, tutto bene?_ mi chiese poi.
_ Sì Roberta grazie_ dissi, con la voce più calma possibile. Ma tutto ciò che avrei voluto fare, era piangere di nuovo, piangere sul mio letto, da sola, mentre speravo di sentire due braccia abbracciarmi, e poi una bocca baciarmi e confessarmi che tutto sarebbe andato per il meglio.
_ Ok, è che ti sento strana_
_ Poi ti racconto, ora devo andare. Ti mando i Toni tra quindici minuti_
Spiegai alla famiglia cosa avrebbero dovuto fare; sembravano soddisfatti.
_ Ora potete scendere al piano di sotto e chiedere di Roberta, che vi verrà a prendere tra dieci minuti sotto all'arco del cortile. Quando avrete finito tornate pure da me, per la selezione e la compilazione del modulo_
_ Grazie, signorina_ mi disse la signora Tosi_ è stata molto molto gentile e disponibile_
_ Ma si figuri, grazie a lei_
I due signori si dileguarono, parlando tra loro, fuori dalla porta dopo aver salutato calorosamente il direttore Romeo.
Usciti dalla porta appoggiai la testa al tavolo e sospirai. Era finita, l'intervista era finita. Senza quasi accorgermene sentì le lacrime fluire rapide dai miei occhi e ticchettare il tavolo. Con le mani pulii gli occhi, ma loro continuavano a cadere, imperterrite. Speravo che nessuno mi stesse vedendo, anche se lo dubitavo, e infatti, come previsto, sentii la mano di qualcuno afferrarmi la spalla.
_ Karen_ disse una voce femminile. Era Serena, una mia collega _ vai per oggi. Il direttore mi ha detto, non devi stare qui in ufficio per forza. Ti sostituisco io, non vedi che stai male, non puoi lavorare in queste condizioni_
_ Serena... mi dispiace..._
_ Non devi scusarti. Non è da tutti ricevere richieste di adozione. Posso intuire come ti senti, quindi, non affaticarti. Riposati, sfogati, e poi rilassati, cerca di dimenticare_ mi disse calma, massaggiandomi la schiena.
_ Serena..._ potevo solo continuare a chiamare il suo nome, a ripetizione.
_ Vai, Karen, non preoccuparti. Mi occupo io di tutto_ disse Serena.
Mi alzai dalla scrivania, e veloce come il vento, attraversai la sala senza dire nulla a nessuno e soprattutto senza guardarli. Non so se è una cosa che avrei fatto normalmente, e non so neanche se quella era la cosa che, se nessuno mi avesse spronato, avrei fatto. Ma tant'è. Spesso non facciamo le azioni che vogliamo, ma ciò che gli altri si aspettano che noi facciamo in una data situazione.
Per quanto mi riguarda, io sarei rimasta seduta faccia al tavolo a cercare di fermare le lacrime, senza opporre troppa resistenza, fino a che non fossi stata troppo stanca per restare in quella posizione. Ma ovvio, a pensarci successivamente a livello razionale, non era assolutamente la cosa da fare, non potevo bloccare l'ufficio per il mio malessere, e non potevo farmi vedere in quello stato da eventuali coppie che fossero entrate nell'ufficio. Giustamente il direttore Romeo aveva adottato l'unica strategia possibile, ossia gentilmente sostituirmi.
Mentre percorrevo i corridoi dell'edificio, la strana sensazione di aver superato un limite mi afferrò e ad ogni passo mi sentivo più leggera, libera. Forse era l'odore umido della pioggia, o forse il paesaggio avvolto dalla foschia grigia, ma ogni respiro mi provocava sollievo, come se lentamente i miei polmoni riuscissero ad ingerire  di nuovo ossigeno.
Uscii sotto la pioggia, lasciandola fluire sugli abiti, sulla mia pelle a rinfrescarmi da quel lercio che mi si era aggrappato all'epidermide e mi provocava prurito e fastidio.
Osservai il parco, avvolto nella tetra luce pallida di quel giorno d'autunno, e mi sembrò quasi di veder il mondo svanire in esso; non era il giorno adatto per la vita. Si poteva solo ringraziare di non essere morti, di non aver superato  l'ultima barriera.Quindi mi ritrovai a saltellare tra le pozzanghere, contenta di osservare le cime degli alberi svanire nel grigio del cielo, incollandosi ad esso. Era una bellissima visione, e nella  sua condizione, perfetta.
Sentivo i rivoli delle gocce di pioggia scivolarmi lungo le guance e mischiarsi alle lacrime, e la sensazione era bellissima, pura, unica.
Non volevo tornare in camera. Solo starmene lì, in silenzio, a osservare la natura prendersi cura di me.

Il giorno dopo rientrai in ufficio tranquilla; all'esterno il sole si stava affacciando timidamente dalle nubi che ancora lo avvolgevano,  e pian piano mi riscaldava il viso. Era una sensazione strana, quasi primordiale, eppure bellissima.
Tutto era cristallizzato in una stasi assoluta.
E tutto andava bene.

Alla sera mi incontrai con Giuly al pub; era in corso una festa per lei, in quanto la sua pratica di adozione era andata a buon fine, e l'indomani sarebbe partita.
Ma non provavo invidia, ero solo contenta. Presto o tardi, sarebbe capitato anche a me. E poi, senza lei di mezzo, le attenzioni di Norman sarebbero potute essere solo per me.
_ Karen!!! Vieni beviamo!_ mi gridò addosso Giuly, assolutamente ubriaca.
Io accettai di buon grado di unirmi alla bevuta, e mi presi un gin lemon assolutamente alcoolico. E un altro. E un altro ancora.
Mentre il mondo con le sue minacce svaniva temporaneamente nel buio della notte, mi ritrovai a ridere come non facevo da tanto tempo. Forse, infine dovevo quasi ringraziare i miei quasi potenziali genitori adottivi, per avermi spronata a ritrovare questa sensazione. Sapevo, nell'ebrezza dell'ubriachezza, come queste emozioni sarebbero potute svanire presto, come per definizione io, Karen, fossi così. Il mio carattere, purtroppo o per fortuna, non poteva essere cambiato, ma solo smussato.
_ Giuly! Sai già dove andrai?_ chiese Robert abbracciandola.
_ Sì sarò vicinissima, ma sulla costa! Ad appena un'ora da qui! Non sono fortunata? La famiglia che mi accoglierà è composta da gioiellieri! Sarò vestita di tutto punto, e chissà, magari mi faranno pure lavorare da loro!_
La sua isteria da protagonismo era così esasperata da apparire divertente, e per questo risi come una pazza mentre la osservavo. Le volevo bene, dopotutto.
Ed, in parte, ero anche contenta per lei.
Mi scolai un'altro gin lemon alla velocità della luce e in breve tempo tutto divenne ancora più sbiadito ma al contempo più bello. Ridevo come se non avessi mai riso in vita mia, abbracciavo Giuly augurandole il meglio e lei, evidentemente ubriaca quanto, se non più di me, li ricambiava affettuosamente. Anche Rob e altri amici si unirono alla baraonda, regalando istanti di pura ilarità, tra cadute di stile, battute sconce e colme di doppi sensi (il forte di Giuly) condite da cibo e incontri con tantissimi amici che non vedevamo da tempo. Quella sera, era tutto perfetto, tutto incredibilmente perfetto, da cristallizzare.
Ma infine, come ogni altra cosa, si sarebbe ridotto a un ricordo destinato a svanire nel nulla del tempo. Forse era l'unico pensiero lucido della sera, l'unico che mi rattristava un po'. È vera l'ovvietà che ci viene spesso detta; nulla è per sempre. Così come i momenti, le persone. Io ne so qualcosa. Ma questa sera, quest'unica fragile sera, non voglio cedere alla nostalgia che mi contraddistingue, voglio lasciarla fluire, e abbandonarmi agli affetti.
Abbracciai Rob e lui mi strinse a se fermamente, come se avesse paura di farmi scappare, e questo mi diede una sensazione magnifica; che lo volessi o no, Rob mi voleva davvero bene, era chiaro. Dovevo stare attenta a questo dono fragile che mi aveva concesso.
_ Rob, che stai bevendo?_ dissi, ridendo.
_ Rum e Cola, non si vede? _ mi disse.
_ Hahaha mi sa che sei un bel po' al di là anche tu_
_ Ah, Karen, lo sai? Con Margie è successo dell'altro..._ mi sussurrò poi.
Io lo guardai e sorrisi. Poi gli sfregai una mano tra i capelli.
_ Ma bravo Rob, stai crescendo!_
_ Che vorresti dire?_
_ Che sono fiera di te_ gli dissi dandogli un bacio sulla guancia.
Lui arrossì e sorrise compiaciuto, prima di bere un sorso notevole di Rum e Cola.
_ Ma cos'è successo?_ continuai.
_ Cose vietate ai minori_ mi rispose mettendosi una mano sulla bocca.
_ Wow! Ma dai! E allora... com'è stato?_ domandai, ora più curiosa di un picchio.
_ Top secret_ disse, facendomi l'occhiolino.
_ Daiii_
Mi sorrise e capii: vidi nei suoi occhi qualcosa che non avevo mai visto direttamente, cioè il segno di come fosse chiaramente innamorato; vidi le sue iridi brillare e quel sorriso divenne ancora più bello. Ne fui commossa. Allora era ancora possibile provare qualcosa di sincero; ma poi il mio cervello ubriaco fece il collegamento più logico; cioè che fosse ovvio che sarebbe stato Rob a mostrarglielo; lui era la persona più pura che conosceva, e non sarebbe potuto andare meglio.
_ Sai, ho sempre pensato che sarei stata io a mostrarti come bisognava comportarsi in caso di relazione. Ma, adesso, sono contenta che sia tu a farmi vedere che c'è una speranza_ dissi.
_ Come sei filosofica stasera, Karen! L'alcool ti fa bene_ mi disse e io lo spintonai via.
_ Ehi chiacchieroni, basta! Ora si beve!_ disse Giuly, mentre il cameriere portava vari bicchierini di tequila.
Io e Rob ci guardammo, ridemmo come folli, e poi, aspettando il conto alla rovescia di Giuly, buttammo giù il liquido trasparente.
_ A Giuly!!!_ gridarono tutti.
Lei poi venne verso di me, si sedette e mi abbracciò.
_ Mi mancherai tanto, lo sai Karen? Ma ti verrò a trovare, promesso!_
Vedevo nei suoi occhi la certezza ingenua delle promesse che si vorrebbero mantenere ma che, per forza di cose, non vedranno futuro. Lei sarebbe partita, si sarebbero salutate tra le lacrime, e lei per i giorni seguenti si sarebbe dispiaciuta di esser partita. Magari sarebbe capitato di rivedersi all'inizio, ma col tempo, le cose sarebbero cambiate. Lei si sarebbe fatta una nuova vita, e loro sarebbero diventati ricordi di una vita lontana, che ai suoi occhi sarebbero a malapena parsi reali.
_ Anche tu mi mancherai, scema_ le dissi.
_ Con chi parlerò da domani?_ disse.
_ Beh, puoi sempre scrivermi_ consigliai.
Le si illuminò il viso.
_ Hai ragione!_ disse e mi baciò sulla guancia. Poi si sedette e mi diede una pacca sulla spalla_ divertiti con Norman eh? Non lasciartelo scappare!_
_ Lo farò_
_ Ma davvero eh? Non per finta, come fai di solito... dici dici ma non agisci!_
_ Promeeeeesso!!_ dissi inebriata dall'alcool.
_ Così ti voglio_ disse Giuly e mi abbracciò.
Intravidi Norman in un angolo, e per un folle secondo mi vidi avanzare verso di lui, girarlo e baciarlo seduta stante, per poi trascinarlo nella mia stanza per spogliarlo sul letto e lasciarci travolgere da una passione travolgente.
Ma sapevo, nonostante lo stato di coscienza alterata, che nulla di ciò che mi immaginavo sarebbe successo, anzi, probabilmente avrei sortito l'effetto opposto. La verità, alla fine, era che Norman non mi voleva, non era attratto da me. Dovevo solo accettarlo, ma questa accettazione era tanto più dura quanto vicini eravamo; dovevo impedire al sentimento di rafforzarsi, di diventare qualcosa di lacerante per cui sapevo di non essere pronta. Per cui distolsi lo sguardo e mi concentrai sugli amici che mi circondavano, cercando di togliermelo dalla testa; quella sera era tutto particolarmente semplice.

Il mattino seguente all'addio a Giuly eravamo presenti solo io, Rob e una manciata di amiche. L'orario poco amichevole (le 7.30 del mattino) e il meteo non aiutavano; e le tante sbronze della sera prima nemmeno. Ma anche, fondamentalmente, la consapevolezza che nonostante il nugolo di persone di cui ci si circondava qui, solo poche sarebbero state pronte e venire assieme a noi, ad affrontare la vita assieme. La vedemmo avvicinarsi alla immensa BMW del suo nuovo patrigno e salutarci.
Lui le disse qualcosa, e allora corse di nuovo da noi, ci guardò, evidentemente sull'orlo delle lacrime. Mi accorsi di esserci anche io, di avvertire il noto bruciore ai lati del viso; avanzai prima che potesse fare un movimento, la afferrai e la abbracciai forte. Forse erano effetti postumi della sbronza, forse era la testa, che girava all'impazzata. Non era importante. Volevo sentirla, sentire il suo abbraccio su di me, sentire le mani che mai avrei più sentito stringermi, il viso di un'amica che stavo perdendo, che si stava allontanando da me, al di là della mia volontà.
La strinsi ancora più forte, e feci fatica a distaccarmene una volta capito di aver esaurito il mio tempo. Era ora di un'altra ragazza.
_ Non piangere Karen. Ci rivedremo, te lo prometto_ disse lei, piangendo allo stesso modo_ non ti abbandonerò_
Sapeva che quelle erano semplici bugie bianche per celare la verità; ma in quell'istante era bello da credere. Per cui mi abbandonai al pianto liberatorio e annuii, mentre avvertivo il calore del corpo di Giuly abbandonarmi.
Dopo aver salutato tutti, Giuly si diresse verso la macchina, dentro cui riuscivo a intravedere una signora dai capelli bruni osservarli. Si girò un'ultima volta, sollevando la mano in un tenue gesto di saluto, prima che il veicolo cominciasse ad avanzare verso i cancelli.
La osservò scavalcare gli stipiti in ferro e imboccarsi sulla statale per poi sparire dietro al muro di Logret.
Volevo evitare qualunque sceneggiata di tristezza, per cui girai in fretta le spalle senza salutare nessuno, nemmeno Rob, e mi incamminai verso la mia stanza. Incrociai Morena ma non la degnai di uno sguardo, non potevo aprire bocca o mi sarei messa a singhiozzare. La salutai distrattamente con la mano e poi mi misi in camera, afferrai il mio Baloo e lo strinsi così forte che pensai di stracciarne la cotonosa superficie. Lo baciai e piansi calde lacrime sul pelo morbido dell'orsacchiotto, che mi guardava con quel suo sguardo, quel suo sorriso che sembrava dirmi che nulla sarebbe andato storto, che presto si sarebbe sistemata ogni cosa, che questo dolore sarebbe passato.
Ma in quel momento null'altro sembrava presente, e nella totalità di quel dolore, dopo lunghi minuti in cui tutto il mondo andava chiudendosi su di me, intravidi un piccolo briciolo di speranza, e nonostante continuassi a piangere, mi sentii sollevata, nella consapevolezza che sarei riuscita a cavarmela, che avrei avuto altre possibilità di vivere, così come altre possibilità di andarmene, di trovare la mia strada.
Ne ero così sicura, che quasi mi lasciai trasportare dalle onde di angoscia che mi colpivano come mannaie.
Il tempo non mi diede occasione di prolungare quello stato di grazia; sollevai lo sguardo e vidi che si erano già fatte le 8 passate; era ora di andare in ufficio.
Mi asciugai rapidamente gli occhi e riposizionai il mio adorato Baloo vicino al cuscino, baciandolo dolcemente prima di abbandonarlo; affettuosamente vegliava ancora su di me, tranquillo nel suo mondo, e mentre uscivo diretta al bagno per controllare i danni di quell'inizio di giornata, lo vidi quasi farmi l'occhiolino. Sorrisi.

Tornai al lavoro il giorno stesso, e con il passare delle ore l'oppressione del mattino svanì, lasciando spazio anche al comparire di deboli raggi solari a rompere la spessa coltre nuvolosa. La mia scrivania improvvisamente comparve dallo spazio bidimensionale in cui era rimasta relegata fino a quel momento, e mentre digitavo nomi al computer sorrisi; percepivo la vita in me, nelle cose che toccavo. Finalmente riuscivo ad avvertire le cose, a gustare della loro materialità. Era forse stato necessario superare quel varco per capire fino in fondo quanto potesse valere ogni respiro.
Chissà per quanto ancora avrei usufruito di tale momento. Forse solo pochi minuti. Forse qualche giorno. Non importava.

Ero ancora io, dopotutto. Ero ancora Karen.
   
 
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