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Autore: sil83    08/09/2012    2 recensioni
La storia inizia dopo la 8X22. Non seguirà la storia che quella pazza di Shonda ha sviluppato per il finale. Ci saranno soprattutto Alex ed Izzie, ma non escludo qualche capatina di altri personaggi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alex Karev, Izzie Stevens
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Ottava stagione
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Capitolo dieci. Fianco a fianco.

Le nostre mani sono state intrecciate per tutto il tempo. I nostri corpi si sono mossi, seguendo il ritmo di una danza che conosciamo a memoria. Le nostre voci, basse e sussurrate. Una melodia che unisce il nostro piacere. Ho tenuto gli occhi sempre aperti, anche mentre la baciavo. Non ho avuto il coraggio di chiuderli, temevo sparisse. L’ho guardata. Ho scrutato ogni espressione. Le ho accarezzato ogni centimetro. Ed ora è sdraiata accanto a me. Non riesco a dormire, non riesco a smettere di guardarla. Ho adattato il mio respiro al suo. Inspiriamo insieme aria. Sento il suo calore. La sua pancia attaccata al mio fianco. La sua testa nell’incavo della mia spalla. Siamo ancora nudi. Il lenzuolo ci copre solo fino alla vita. Vorrei poter dormire, sono quasi due giorni che non mi concedo un sonno vero. Vorrei poter dormire. Ma quando chiudo gli occhi vedo solo la tac di mia madre. Vedo il suo tumore-pallina. Allora preferisco tenere gli occhi aperti. Guardare Izzie.  

Quando si sveglia, io la sto ancora guardando. Sono le tre e mezza. Muove dolcemente il naso strofinandolo sulla mia spalla. Ti prego non spostarti. Apre gli occhi e li fissa nei miei. Ci guardiamo senza parlare per quasi un minuto. Ho paura di averla forzata. Ho paura di averle fatto fare quello di cui aveva paura. Ho paura della sua paura. Finalmente sorride. “Visto che sei sveglio da un po’, esci a recuperare le bistecche. Ho fame!” “Che cosa?” Lei si è messa seduta sul letto, ha appoggiato la schiena alla testata e si è tirata il lenzuolo fino a sopra il seno. “Dai, tu esci, io le scaldo!” “Non so dove sono le mie mutande” protesto. Lei allora mi sorride divertita “Dai Alex, non ti servono, non c’è nessuno fuori!” Mi alzo e la sfido. Da in fondo al letto sfilo il lenzuolo da sotto il materasso, e glielo strappo dalle mani. Me lo arrotolo sui fianchi. “Dai, stronzo” “Iz, non ti serve, non c’è nessuno qui!” le faccio eco. Quando rientro con i piatti delle bistecche Izzie è seduta sul bordo del letto. Si è già vestita. La magia è finita. Mi allunga le mutande e la canottiera. Appoggio le bistecche sul fornello e lei si mette a cucinare. Dandomi la schiena. Infilo solo le mutande, poi resto a guardarla. Il tavolo è fuori, quindi per cenare dovremo appoggiarci sul letto.

Mangiamo senza parlare, ogni tanto ci guardiamo. È ancora presto per andare in ospedale. È tardi per provare a dormire. Ho paura di quello che succederà adesso. Ho paura che dopo averla avuta ancora una volta se ne vada. Tolgo i piatti e mi sdraio, le chiedo di stendersi vicino a me. Siamo fianco a fianco. Guardiamo il soffitto. Lei allora fa una cosa che non mi sarei mai aspettato. Si alza e mi bacia leggera la cicatrice che ho sul petto. Poi si accoccola li. “Sai che mi hanno sparato?” le chiedo. Sospira, poi inizia a raccontare. “Ho sentito della sparatoria in televisione. Quando ho saputo che eri tra i feriti non sono nemmeno riuscita a chiamare Meredith. Mi sono messa in macchina e ho guidato. Non so come ho fatto. Non ricordo niente del percorso. Quando sono arrivata al parcheggio ho visto le zone transennate. C’erano ancora i poliziotti. Non ho potuto entrare. Sono rimasta li. Poi quando tutti se ne sono andati, non sono riuscita ad entrare comunque. Avevo paura che tu mi cacciassi via. Ho aspettato. Poi mi ha visto Webber. Si è avvicinato e mi ha raccontato tutto. Mi ha detto che eri in pericolo. Che Lexie era vicino a te. Gli ho chiesto di fare la spola tra la mia macchina e l’ospedale. E lui l’ha fatto. Sono rimasta li fuori un giorno e mezzo. Poi finalmente mi ha detto che ti eri svegliato. Che eri fuori pericolo. Allora l’ho abbracciato. Sono risalita in macchina e sono tornata a Tacoma. Non ricordo nemmeno quel viaggio.”

Il mio respiro si è bloccato. Lei era li. L’ho chiamata almeno duecento volte in quei giorni e lei era li. No, non posso perderla di nuovo. Non posso. La abbraccio e in un sussurro leggero vicino al suo orecchio le dico: “Ti amo.” Resta in silenzio. Mi stringe un po’ più forte. Si allontana da me di pochi centimetri. Mi guarda. “E mi odi” aggiunge. Le sorrido: “In parti uguali.”
Si asciuga gli occhi. Mi bacia leggera sulle labbra. Si alza. “Forza, adesso dobbiamo andare in ospedale”. Mi vesto veloce, quasi quanto mi sono spogliato. Quando usciamo l’alba sta schiarendo la notte. L’ultima cosa che vedo prima di entrare in auto è il tavolo apparecchiato, per due, che ci aspetterà stasera.



Angolo mio:
Per prima cosa PERDONATEMI, tra vacanza e ripresa del lavoro non sono più riuscita ad aggiornare... poi, al solito, sempre un GRAZIE enorme per chiunque legge, segue e commenta!!!
A presto
Silvia
  
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