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Autore: Macchia argentata    08/09/2012    9 recensioni
Sansa…lei non sapeva mentire, questo lui glie lo aveva detto. L’aveva messa in guardia, le aveva rivelato che l’avrebbero sbranata, vomitando solamente le sue ossa se non avesse imparato presto a difendersi dietro menzogne e ipocrisia. Eppure, da un lato, gli era dispiaciuto doverle sputare in faccia quell’amara realtà.
Perché da troppi anni non gli capitava di avere a che fare con l’innocenza.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sandor Il Mastino si trascinò fino alla base della merlatura e si lasciò scivolare pesantemente a terra, inalando l’aria greve e salmastra che si arrampicava lungo i muri della fortezza. Il vino gli aveva annebbiato la vista e reso molli le gambe. Non sarebbe riuscito a trovare la strada per la sua stanza, non quella notte.
Sandor si passò il dorso della mano sulle labbra aride, fino a sentire sotto la punta delle dita la propria pelle farsi dura e contorta. Istintivamente allontanò la mano dal quel viso grottesco che, in tutti quegli anni, non aveva mai smesso di ricordargli cosa fosse la vera paura.
«Fottiti» disse, rivolto a se stesso. Quella notte, più di tutte le altre, sentiva di detestarsi. A tentoni cercò di strapparsi di dosso il mantello bianco che portava addosso, senza ottenere risultati soddisfacenti.
Non aveva chiesto lui di indossarlo quel mantello, maledizione! Non aveva mai preteso di essere uno di quei rognosi baciapile che si professavano in falsi giuramenti per atteggiarsi a paladini. Lui non era un cavaliere.
Sandor smise di dimenarsi, rimanendo assorto sotto il quieto bagliore delle stelle. Non credeva, nelle condizioni in cui si trovava, di essere in grado di formulare un pensiero decente.
Si limitava a pensare a lei, Sansa.
La piccola lupa degli Stark di famelico aveva ben poco, preferiva pensare a lei come a un piccolo uccellino in una gabbietta dorata, ammaestrato per compiacere.
Un uccellino a cui quel re depravato e meschino che lui serviva avrebbe presto, e con sommo divertimento, Sandor ne era certo, strappato tutte le piume.
Il Mastino strinse la mano a pugno e calò violentemente le nocche sulla fredda pietra al suo fianco. Il dolore si spanse come un’eco sorda nei suoi sensi intorpiditi dall’alcol, ma non fu sufficiente a calmarlo.
Quel piccolo mostro, animato dalla crudeltà, stava distruggendo, pezzo dopo pezzo, l’unica cosa bella che ancora restava in quel cesto di mele marce che era Approdo del Re. Un vespaio di bugiardi e cospiratori. Sansa…lei non sapeva mentire, questo lui glie lo aveva detto. L’aveva messa in guardia, le aveva rivelato che l’avrebbero sbranata, vomitando solamente le sue ossa se non avesse imparato presto a difendersi dietro menzogne e ipocrisia. Eppure, da un lato, gli era dispiaciuto doverle sputare in faccia quell’amara realtà.
Perché da troppi anni non gli capitava di avere a che fare con l’innocenza.
Sandor levò il volto alle stelle, deboli luci in un cielo troppo nero. Non discuteva mai un ordine, come un bravo cane dovrebbe fare. Era lo scudo giurato del re, indossava il mantello bianco della Guardia Reale.
Ma non avrebbe alzato le mani su Sansa Stark se Joffrey glie lo avesse chiesto.
 ‘Eppure, sei rimasto a guardare mentre qualcun’altro lo faceva al posto tuo’ gli ricordò con una punta di malignità la propria coscienza.
‘Non avevo scelta’
Il Mastino ripensò ai lividi blu sulla pelle bianca di Sansa, al sangue che le scorreva sulle labbra quando Joffrey l’aveva fatta schiaffeggiare davanti alla testa mozza di suo padre. Di nuovo le sue dita si serrarono, ma questa volta rimase immobile. Il dolore era ancora vivo tra i suoi pensieri.
Avrebbe dovuto fermare una simile crudeltà, ma non l’aveva fatto. Si era limitato a porgerle il proprio fazzoletto e lei lo aveva guardato come se temesse qualcosa di ancora peggiore di quello che aveva dovuto affrontare fino a quel momento.
Sandor non poteva darle torto. Sansa era rimasta sola. La sua famiglia, il suo onore, i suoi sogni…era andato tutto in pezzi.
Esattamente come era successo a lui. Ma non voleva in alcun modo paragonare le loro vite. Lui aveva avuto una scelta.
L’uccellino non ne aveva. Quando sarebbe diventata la sposa di Joffrey, lui le avrebbe tolto anche l’ultimo stralcio di purezza. L’avrebbe masticata e poi sputata.
Sandor si rese conto, non senza un certo stupore, che non riusciva a pensarci senza provare una fitta dolorosa tra lo stomaco e i polmoni. Si chiese se questa sensazione non avesse a che fare con l’alcol che aveva in corpo, ma la risposta che si diede fu negativa.
Aveva a che fare, piuttosto, con la delicata grazia di Sansa, qualcosa a cui lui non era abituato, ma che non mancava di affascinarlo.
Era poco più di una bambina, l’uccellino. Eppure…
Sandor si rialzò a fatica, sorreggendosi alla merlatura. Oltre la fortezza, riusciva a udire lo sciabordio del mare. Si chiese se Sansa stesse dormendo o se, piuttosto, stesse pregando i sette dei di farla svegliare da quell’incubo. Un incubo di cui lui faceva, in larga misura, parte.
Improvvisamente desiderò che lei non lo temesse. Desiderò che i suoi occhi azzurri non si colmassero di terrore quando Joffrey entrava in una stanza e lui al suo seguito.
Sulle sue labbra si affacciò un pensiero che, da quel momento in poi, avrebbe dominato gran parte delle sue azioni.
«Cercherò di proteggerti, uccellino. Da lui, da me, da chiunque cercherà di toccarti. Per i sette inferi del cazzo, giuro che ci proverò.»

Nota dell'autore:
E’ la prima volta che mi cimento con i personaggi di Martin, scrittore per cui nutro una profonda ammirazione. Leggendo i libri mi è sempre dispiaciuto non trovare, insieme agli altri, anche il punto di vista del Mastino, che adoro sotto ogni punto di vista.
Questo è il mio modesto tentativo di colmare questa lacuna. Pareri e opinioni sono, naturalmente, molto più che bene accetti!

  
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