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Autore: Charlene    08/09/2012    12 recensioni
"Una facciata può benissimo essere solo una facciata. Sia che l'apparenza sia positiva, che negativa. Basta saper guardare." Kei è un galeotto tirato fuori di prigione dal padre di qualcuno che conosciamo... e da lì inizierà una nuova vita in un liceo esattamente del tipo che lui detesta. Se la caverà? E il resto lo saprete leggendo.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hilary, Kei Hiwatari, Rei Kon, Takao Kinomiya, Yuri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DICIOTTESIMO CAPITOLO

 

 

-Perché non tornano?-

Kei fissò con aria ostinata il muro della propria stanza, o almeno la stanza che gli era stata data a casa del nonno.

Sapeva che nessuno gli avrebbe risposto -perché là dentro c’era solo lui- ma non riuscì a trattenere quella domanda.

Il nonno gli aveva detto che sarebbero stati via solo per un weekend. Ormai era mercoledì, e dei suoi genitori nessuna traccia. Perché?

Sentì dei rumori provenire dal piano di sotto e si lanciò letteralmente dal divano. Scese le scale rapidamente, rischiando di cadere, e corse fino all’enorme ingresso. Si fermò, deluso.

-Dove sono i miei genitori?-

Suo nonno diede l’ombrello e il cappotto al maggiordomo, poi superò Kei senza nemmeno guardarlo.

-Ci pensi tu?- chiese invece al domestico, che sgranò gli occhi. Sapeva bene che non era una richiesta ma un ordine. E dire a un bambino che i suoi genitori erano morti in un incidente d’auto non era propriamente un compito allettante. Specialmente se quella non era la verità.

 

Kei sgranò gli occhi. Non sognava quel momento da molti mesi, ormai credeva di essersene liberato. Ma evidentemente si era sbagliato.

Gli risuonarono nella testa le parole con cui il vecchio maggiordomo gli aveva comunicato che Rin e Susumu Hiwatari erano morti. Aveva parlato di nebbia, di un camion, di una curva a gomito… non ricordava i dettagli, probabilmente li aveva rimossi l’istante successivo. Sapeva di non aver mai pianto in quel modo nemmeno quando era venuto al mondo. Nemmeno le frustate sulla schiena l’avevano ridotto in quel modo. Un ammasso gettato sotto le coperte, avvolto dalle quali aveva desiderato dormire per sempre.

Un movimento accanto a sé lo riscosse, per fortuna, dai suoi pensieri. Kaori mormorò qualcosa, poi rotolò verso di lui.

Kei lasciò che si appoggiasse al suo braccio, poi controllò la sveglia sul comodino. Segnava le dieci di sera.

Si sollevò leggermente e scosse delicatamente la ragazza.

-Ehi…- disse piano. Lei mugugnò e non ne volle sapere di aprire gli occhi.

-Kaori. Sveglia.-

-Mmh. No.-

Kei scosse la testa, sospirando, poi fu costretto a scuoterla un po’ più forte: -Ehi.-

Kaori finalmente uscì dal coma e si sollevò a sua volta: -Che c’è?- chiese, stordita.

-Ci siamo addormentati.-

Lei ripercorse gli avvenimenti di poche ore prima. –Oh.- decretò poi.

-Già, oh.-

-Accidenti. Meglio se vado a casa.-

Kei annuì e le passò la gonna.

-Ho sbavato, vero? Sbavo sempre quando dormo a orari particolari, è una cosa incontrollabile.-

Ok, si era decisamente svegliata.

-Che schifo. No, non credo.-

-Bene!- rispose Kaori, ripescando i suoi vestiti e infilandoseli. Fece tutto più o meno in silenzio, poi si fermò e guardò Kei dritto negli occhi.

-Stai bene?- gli chiese.

Lui tentennò. Qualunque risposta sarebbe stata una bugia.

-Ti agitavi.- continuò lei. –Nel sonno, intendo… a un certo punto ti agitavi.-

Kei annuì. –Anch’io ho incubi.- rispose, alzando le spalle.

Stavolta fu lei ad annuire. Si chinò su di lui e gli diede un bacio a fior di labbra. Prese la borsa e si diresse verso la porta.

-Ci vediamo, allora.- lo salutò. L’altro rispose con un cenno, e lei si fermò sull’uscio. –Spero che un giorno ti fiderai di me abbastanza da… dirmi la verità.-

Non attese una risposta, d’altronde sapeva che non sarebbe arrivata. Uscì e chiuse piano la porta dietro di sé, pensando a una scusa sensata da tirare fuori nel caso avesse incontrato Hara.

 

***

 

Hilary osservò Julia bere il suo drink fino all’ultima goccia. La guardò anche chiudere gli occhi e scuotere la testa, stordita dall’alcool.

-Dopotutto…- iniziò, con voce malferma: -Ho sempre saputo che Takao era solo una parentesi. Devo solo guardarmi attorno.-

L’altra annuì, accarezzandole la spalla: -Certamente.-

-Sì. Quindi domani mattina me ne sarò già dimenticata.-

-Sì, Julia.-

-Me ne ordini un altro?-

Hilary sorrise e fece no con la testa: -Non se ne parla.-

-Cosa? Perché?-

-Perché sarebbe il quinto, e non mi sembra un’idea geniale. Abbiamo lezione domani mattina.-

Julia ridacchiò: -Non ho la minima intenzione di mettere piede in classe.-

-Mai più? Ottimo.-

-Già. Non voglio vederlo.-

Hilary continuò ad accarezzarle la spalla.

-Adesso torniamo a casa, ti fai una bella dormita e domattina sarà tutto più semplice. Postumi a parte.-

-Non voglio tornare a casa!- esclamò la spagnola, alzando la voce. Nessuno si voltò verso di loro, era un locale piuttosto affollato. Una ragazza ubriaca che sbraitava non faceva certo notizia.

Hilary iniziò a innervosirsi: -Lo so che non vuoi, ma devi. O vuoi passare il resto della serata qui a bere?-

-Non mi seccare!-

Oh, santo cielo. La sbronza aggressiva era la peggiore. Doveva prenderla in contropiede:

-Se non la smetti ti lascio qui da sola. E non sto scherzando.-

Julia abbassò lo sguardo e fissò il suo bicchiere vuoto.

-Mi ha lasciata.-

-Sì.-

Singhiozzò, poi guardò Hilary: -L’ho sempre dato per scontato. L’ho anche tradito. Certo che mi ha lasciata.-

-Esatto.-

-Quindi ora… ora che dovrei fare?-

Hilary sospirò e le prese una mano. Non aveva senso mentirle, anche se era più che brilla.

-Conosco Takao da molti anni. Ed è una persona molto paziente. Credo che… insomma, se ti ha lasciata, se tu mi hai riportato esattamente il suo discorso… difficilmente tornerà indietro.-

Julia annuì. –Sono proprio un’imbecille.- concluse.

 

***

 

-Ma non fai altro che leggere?- chiese una dolce voce femminile, facendolo sobbalzare.

-Già. Tu invece devi sempre venire a seccarmi?- rispose lui, ma sorridendo.

-Ryo, potrei prenderti a pugni, lo sai?-

-Provaci, forza.-

La ragazza si sedette accanto a lui, all’ombra di un albero nel cortile della scuola. –Solo tu puoi passare la ricreazione qui isolato. Sei proprio un misantropo!-

-Non hai i compiti di matematica da fare per la prossima ora?-

Lei sgranò gli occhi straordinariamente viola: -Oh, cavolo. Fammeli copiare.-

-Non li ho fatti nemmeno io.- rispose, a cuor leggero.

-Cosa?! Uffa, perché? Ci metti sempre cinque minuti a fare tutto, cosa ti costava?!-

Crawford scoppiò a ridere: -Non mi servono! Ah, quindi te la prendi con me perché non ho fatto i compiti che così non puoi copiare? Sei pazza.-

Lei rise a sua volta. E la sua risata era qualcosa che Ryo avrebbe registrato e ascoltato dalla mattina alla sera.

 

Zittì il cellulare con rabbia e lo scaraventò ai piedi del letto. Non era umano un risveglio del genere, quel suono irritante sparato nell’orecchio, dopo aver dormito a un orario improbabile e aver fatto una serie infinita di sogni e incubi. Meno male che voleva riposarsi.

Crawford si mise seduto, cercando di capire che anno fosse, ma non riusciva nemmeno a ricordare il proprio nome. Aveva in mente solo le immagini che aveva dovuto vedere in sogno. Maledetti, infidi ricordi.

 

                                                         ***

 

Kei entrò in casa, chiedendosi dove fossero finiti tutti quanti. Fu però intercettato da Takao, che guardava la tv in soggiorno.

-Ehi. Dove sono i tuoi?-

-A cena fuori. A proposito, è tardi e io non ho mangiato.-

Kei alzò le spalle: -Nemmeno io. Cuciniamo qualcosa.-

Takao lo fissò: -Non sappiamo cucinare.-

-Ci sarà qualcosa di pronto.-

-Mamma mi aveva detto di occuparmene, ma me ne sono dimenticato.-

Dieci minuti dopo erano per strada, alla ricerca di qualche locale dove ordinare qualcosa da mangiare.

-Come è andata con Crawford?- chiese Takao, camminandogli accanto. Kei –stranamente- rispose con un’alzata di spalle.

-Wow!- esclamò forte Takao, fingendosi esaltato. L’altro gli lanciò un’occhiataccia. –Come vuoi che sia andata? Male, chiuso con lui in una stanza per ore.-

-Beh ero curioso di sapere i dettagli!-

-Ho passato il tempo a catalogare. Mi ha mandato a casa un po’ prima e mi ha lasciato dei libri nonostante non abbia la tessera.- spiegò Kei, continuando a camminare. Dovette fare molti, molti passi prima di rendersi conto che era rimasto da solo. Si voltò, vedendo che Takao era ancora fermo dieci metri prima.

-Che diavolo fai?-

-No, tu che diavolo dici!-

Kei alzò gli occhi al cielo e aspettò che il fratello acquisito lo raggiungesse.

-Non scherzare, Crawford non manda via la gente prima. E i libri… oh andiamo, una volta non ho restituito un libro in tempo e mi ha messo due. Non so nemmeno se si possa fare, tra l’altro, ma comunque…-

L’altro si mise una mano in fronte. Bastavano cinque minuti in compagnia di Takao per assicurarsi un paio d’ore di mal di testa.

-Mi hai mai sentito scherzare? Ha visto che volevo dei libri e me li ha lasciati prendere.-

Takao si mise le mani sulle orecchie: -Non è vero non è vero non è vero…- iniziò.

-L’hai finita?!- esclamò Kei.

-Ok, ok! Ma Crawford deve stare male, non c’è altra spiegazione. Con te, poi! E poi… tu non leggi.-

Per fortuna erano arrivati, così Takao evitò un probabile pugno nello stomaco.

-Che fame, accidenti!- esclamò appunto il ragazzo, precedendo Kei. Entrarono in un pub dove facevano dei panini squisiti, oltre che normale servizio bar. Dribblarono la grande quantità di persone e Takao riuscì ad agguantare rapidamente un tavolo libero.

-Ok, tra poco mi mangio anche il cameriere.- annunciò. Kei si trovò abbastanza d’accordo con lui, e rimpianse amaramente le abilità culinarie di Hara.

Ordinarono, e Kei non fece in tempo a sorseggiare la sua birra perché qualcuno urtò il tavolo e la suddetta si rovesciò:

-Porca di una putt…-

-Oddio, scusala! Non ha molto equilibrio ogg… Kei?-

Hilary teneva una Julia piuttosto storta a braccetto e fissava il duo seduto al tavolo.

-Oh.-

Kei guardò a sua volta prima Julia, poi Takao, e infine di nuovo Julia. Poi fu tentato di scoppiare a ridere per la ridicolezza della situazione.

La spagnola sgranò gli occhi e fece un passo barcollante indietro, trascinando Hilary con sé. Takao si alzò in piedi: -Julia, sei ubriaca?- chiese piano. Lei scosse la testa: -No, assolutamente. Stavamo giusto andando via, altrimenti sarei rimasta volentieri qui con voi! Ciao ciao!- rispose rapidamente, per poi voltare loro le spalle e dirigersi verso l’uscita. Hilary imprecò: -Aspetta!-

Kei sbuffò: -Vado io, la accompagno a casa. Voi aspettate qua. Takao, se osi mangiare la mia cena, parola mia…-

-Per chi mi hai preso?-

L’altro gli lanciò un’occhiata ben più che eloquente.

-Comunque no. Vado io.- rispose Takao piuttosto deciso.

-Takao, io non sono sicura che sia il caso… ci penso io!- intervenne Hilary. –No, è tardi e siete sole… preferisco riportarla io.- concluse, superando la ragazza andando velocemente verso la porta.

Fra i due rimasti al tavolo calò il silenzio.

 

***

 

-Smettila di correre!-

-Lasciami in pace!-

Takao accelerò il passo e la raggiunse in pochi secondi.

-Voglio solo evitare che combini qualche guaio…-

-Non puoi! Non puoi, capito? Mi hai mollata qualche ora fa e ora mi accompagni a casa perché sono ubriaca perché sono stata mollata!- esclamò Julia tutto d’un fiato.

-Ok… ok, è vero, ma non cambia. Smettila di agitarti, ti sto solo riportando a casa.-

-Ci so tornare da sola.-

Takao la prese per un braccio con determinazione: -Senti, non voglio sentire altre idiozie. E questo è quanto.-

Julia smise di discutere. A parte il fatto che se possibile Takao sapeva essere più ostinato di lei, ma in secondo luogo era veramente stanca. Era stanca e si sentiva ridicola per essersi ridotta a uno straccio.

Rimase zitta mentre Takao non le mollò mai il polso per tutta la strada verso casa.

 

***

 

-Julia è stupida.- decretò Kei, sorseggiando la birra che si era fatto riportare. Hilary lo guardò. –Non è vero. È intelligente.-

-Non parlo di intelligenza.-

La ragazza alzò un sopracciglio, curiosa di sentire cosa avesse da dire. D’altronde non era da lui iniziare una conversazione.

-Tratta Takao come uno zerbino per mesi, lui la molla e lei piange. Che senso ha?-

Si aspettava che Hilary difendesse la sua amica, e inoltre aveva anche una certa voglia di discutere con lei. Invece la ragazza annuì: -Non sai quante volte gliel’ho detto. È un suo grande difetto, è infantile. Lei è innamorata di Takao, ma ha sempre dato per scontato che lui non se ne sarebbe mai andato… ora non lo ha più e lo rivuole.-

Kei iniziò a fissare il legno del tavolo. –Mi secca.-

-Scusa?-

-Non me ne frega niente, però mi ha sempre dato fastidio.-

-Chi, Julia?-

-Mh.-

Hilary rimase zitta per un secondo. Poi scoppiò a ridere, forte. Kei la guardò con aria perplessa, ma lei sembrava avere un attacco di risate poco controllabile.

-Ehi!- protestò lui, aspettando che smettesse. Ci vollero parecchi secondi perché ciò accadesse.

-Scusa… scusa!- esclamò, asciugandosi gli occhi. –È solo che… non riesci a dire che detesti Julia perché ha trattato male Takao, a cui vuoi bene. Non ci riesci proprio!-

Kei sgranò gli occhi. –Cosa? No!-

-Certo che sì. Ed è comprensibile.-

-Ehi, no! Ho detto che non me ne frega niente.-

-“Mi secca”- gli fece fedelmente il verso Hilary, per poi guardarlo, divertita.

Kei boccheggiò. Accidenti a quella ragazzina. In pochi riuscivano a lasciarlo senza una risposta.

 

***

 

Boris notò che le luci a casa Kinomija erano tutte spente. Maledetto Kei, dov’era andato? Si stava annoiando a morte, voleva piombargli in casa per sfidarlo all’ultimo sangue a qualche videogioco idiota.

Si mise le mani in tasca e sbuffò, tirando fuori il cellulare. Scrisse un sms minatorio dove gli chiedeva dove fosse e si allontanò ciondolando. Non fece che pochi passi prima di captare un movimento dietro di sé. Notò nella debole luce dei lampioni due figure piuttosto macabre osservare attentamente la casa.

“E questi imbecilli? Vengono da un ballo in maschera?” si chiese, notandone l’abbigliamento. Ma niente gli parve ancora ridicolo quando comprese chi fossero. Monaci della Borg, ne era certo. Anzi, si stupì di non averlo compreso all’istante. Rimase lì, nascosto nell’ombra, a fissarli. Il suo cervello si era come spento; che diavolo ci facevano in città?

In quel momento Kei gli rispose. Boris lesse la destinazione e si precipitò senza pensare ad altro.

 

***

 

-Come è andata la punizione con Crawford?- chiese Hilary, tanto per fare conversazione. Cosa ardua dato il suo interlocutore, che difatti mugugnò: -Mh. Niente di che.-

Hilary alzò gli occhi al cielo: -Almeno non avete discusso come al solito?-

-No. Mi ha anche fatto andare via un po’ prima.-

Lei rise: -Non scherzare!-

Kei sospirò, esasperato: -Io non scherzo mai!-

La ragazza lo guardò senza capire, così alzò le spalle: -Ok, ok. Comunque non è un totale mostro. È mio vicino di casa, una volta sono sicura di averlo visto dare una carezza in testa a un gatto. Non può essere così perfido, no?-

Kei fu abbastanza sorpreso dalla cosa. Nella sua testa, Crawford era uno che usava i cuccioli per il tiro al piattello.

Hilary non approfondì ulteriormente la questione e cambiò discorso:

-Senti. Fra una settimana è il mio compleanno. Mi stanno organizzando chissà che festa, come al solito…-

-Festa. È la parola più ricorrente in questo accidenti di posto.-

-Già. Mi farebbe piacere se ci fossi anche tu, insomma, se ti va.-

-Non vado matto per le feste.-

-Nemmeno io. Per questo te l’ho chiesto.-

Kei accennò una specie di imitazione di un sorriso. –Allora forse farò un salto.-

-Bene! Ehi, c’è Boris laggiù.- constatò Hilary, indicando un punto vicino all’ingresso del locale. Ma bastò il fracasso successivo a far notare la presenza di Huznestov, che spostò persone e ne urtò delle altre per raggiungere il tavolo di Kei.

-Eccoti!-

-Che c’è?- chiese, trovandolo particolarmente trafelato. Boris guardò Hilary, poi di nuovo lui: -Dobbiamo parlare.-

-Che succede?-

Pensò di chiedere a Hilary di lasciarli soli per un momento, ma non perse tempo: -C’erano due guardie della Borg fuori da casa tua.-

Kei si sentì letteralmente gelare. E Hilary, che era brava a cogliere le sfumature delle persone –d’altronde era abituata a stare con un ragazzo come Zane- lo notò alla perfezione. Così tanto, da agitarsi anche lei.

-Cosa?-

-Sì. Non so cosa volessero, stavano guardando, credo…-

-Guardando cosa?!-

-La casa! Non lo so, Kei! Li ho visti e sono corso qui!-

Kei rimase zitto per qualche secondo, fissando Boris dritto negli occhi.

-Non possono farmi niente. Niente.- disse con tono fermo. Ma sembrava quasi che stesse cercando di convincere se stesso.

Hilary non resistette. Vide quel muro di forza e arroganza incrinarsi e forse infrangersi, così mosse una mano da sotto il tavolo e, senza farsi notare da nessuno, la mise sulla sua. Kei non la respinse.

-Ci deve essere un motivo se quelli sono qua.- proseguì Boris, mortalmente serio. Hilary scelse, letteralmente, di non rompere e stare al suo posto. Non sembrava proprio il caso di interrompere con domande a cui comunque non avrebbe avuto risposta.

-Quale?-

-E io che accidenti ne so?-

-Devo levarmi di torno. Per un po’, finché non la smettono.- stabilì Kei, finendo la birra in un sorso solo. Poggiò il bicchiere, senza spostare l’altra mano, quella che teneva nel proprio ginocchio e che veniva scaldata da quella di Hilary.

-Kei…- mormorò la ragazza. Lui si voltò. -State parlando di quel posto dove ci siamo fermati, in gita. Vero?-

Kei capì che ormai era arrivato al capolinea, e che non poteva continuare a far finta di non essere, volente o nolente, inserito in un contesto sociale, per di più formato da persone tutt’altro che stupide. Così annuì. Non l’aveva fatto con la sua ragazza, Kaori, ma lo fece con lei in quel momento: si scucì.

-Non devono trovarmi. Hanno qualcosa in mente, e non devo farmi trovare. Non voglio tornare lì.-

-Di sicuro non puoi tornare a casa.- ne convenne Boris, mettendo in moto il cervello.

-Senza dubbio. Andrò da qualche parte, devo solo fare le valigie e…-

-No, idiota, pensi davvero di andartene da solo in giro chissà dove?-

Kei lo fulminò: -Che altro proponi? Non posso più restare qui.-

-Vieni a stare da me per un po’!- esclamò Boris allargando le braccia.

-Sì, come se casa tua non fosse il secondo luogo dove andranno a cercarmi!-

-Vieni a casa mia.- intervenne Hilary. Kei e Boris la guardarono e poi si guardarono tra loro.

-No, è meglio di no.-

-Non disturbi. I miei sono in vacanza, non dovrò nemmeno spiegare la situazione.-

Kei tentennò. Poi alzò le spalle: -Solo per stanotte. Poi troverò un modo…-

-Sì, d’accordo.-

-Sentite, non vorrei mi avessero seguito. È meglio andarcene.- disse Boris, e i due si alzarono. Kei lasciò una banconota sul tavolo e fece un cenno a un cameriere.

 

***

 

Riuscirono ad uscire dal retro senza farsi notare. Boris fece per andare con loro, ma Kei lo fermò: -Ascolta, devi trovare Takao. Stava portando Julia a casa e…-

-Ma non si erano lasciati?-

-Dio, sì! Ascoltami!- sbottò Kei. –Trovalo e spiegagli la situazione. Digli di non cercarmi, e di far sparire tutte le mie cose. Devono credere almeno per stasera che io non viva lì.-

Boris non ne capì fino in fondo il motivo, ma annuì.

-E digli di dire a Kanako…- iniziò, ma poi rimase zitto. –No, niente.-

-D’accordo. Buona fortuna.- disse Boris, e gli mise una mano sulla spalla, senza guardarlo negli occhi.

-Stai attento anche tu.-

Detto ciò, Kei e Hilary si incamminarono a passo spedito.

  
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