DICIOTTESIMO
CAPITOLO
-Perché
non
tornano?-
Kei
fissò con
aria ostinata il muro della propria stanza, o almeno la stanza che gli
era
stata data a casa del nonno.
Sapeva
che
nessuno gli avrebbe risposto -perché là dentro
c’era solo lui- ma non riuscì a
trattenere quella domanda.
Il
nonno gli
aveva detto che sarebbero stati via solo per un weekend. Ormai era
mercoledì, e
dei suoi genitori nessuna traccia. Perché?
Sentì
dei
rumori provenire dal piano di sotto e si lanciò
letteralmente dal divano. Scese
le scale rapidamente, rischiando di cadere, e corse fino
all’enorme ingresso.
Si fermò, deluso.
-Dove
sono i
miei genitori?-
Suo
nonno
diede l’ombrello e il cappotto al maggiordomo, poi
superò Kei senza nemmeno
guardarlo.
-Ci
pensi tu?-
chiese invece al domestico, che sgranò gli occhi. Sapeva
bene che non era una
richiesta ma un ordine. E dire a un bambino che i suoi genitori erano
morti in
un incidente d’auto non era propriamente un compito
allettante. Specialmente se
quella non era la verità.
Kei
sgranò gli occhi. Non sognava quel momento da molti mesi,
ormai credeva di
essersene liberato. Ma evidentemente si era sbagliato.
Gli
risuonarono nella testa le parole con cui il vecchio maggiordomo gli
aveva
comunicato che Rin e Susumu Hiwatari erano morti. Aveva parlato di
nebbia, di
un camion, di una curva a gomito… non ricordava i dettagli,
probabilmente li
aveva rimossi l’istante successivo. Sapeva di non aver mai
pianto in quel modo
nemmeno quando era venuto al mondo. Nemmeno le frustate sulla schiena
l’avevano
ridotto in quel modo. Un ammasso gettato sotto le coperte, avvolto
dalle quali
aveva desiderato dormire per sempre.
Un
movimento accanto a sé lo riscosse, per fortuna, dai suoi
pensieri. Kaori
mormorò qualcosa, poi rotolò verso di lui.
Kei
lasciò che si appoggiasse al suo braccio, poi
controllò la sveglia sul
comodino. Segnava le dieci di sera.
Si
sollevò leggermente e scosse delicatamente la ragazza.
-Ehi…-
disse piano. Lei mugugnò e non ne volle sapere di aprire gli
occhi.
-Kaori.
Sveglia.-
-Mmh.
No.-
Kei
scosse la testa, sospirando, poi fu costretto a scuoterla un
po’ più forte:
-Ehi.-
Kaori
finalmente uscì dal coma e si sollevò a sua
volta: -Che c’è?- chiese, stordita.
-Ci
siamo addormentati.-
Lei
ripercorse gli avvenimenti di poche ore prima. –Oh.-
decretò poi.
-Già,
oh.-
-Accidenti.
Meglio se vado a casa.-
Kei
annuì e le passò la gonna.
-Ho
sbavato, vero? Sbavo sempre quando dormo a orari particolari,
è una cosa
incontrollabile.-
Ok,
si era decisamente svegliata.
-Che
schifo. No, non credo.-
-Bene!-
rispose Kaori, ripescando i suoi vestiti e infilandoseli. Fece tutto
più o meno
in silenzio, poi si fermò e guardò Kei dritto
negli occhi.
-Stai
bene?- gli chiese.
Lui
tentennò. Qualunque risposta sarebbe stata una bugia.
-Ti
agitavi.- continuò lei. –Nel sonno,
intendo… a un certo punto ti agitavi.-
Kei
annuì. –Anch’io ho incubi.- rispose,
alzando le spalle.
Stavolta
fu lei ad annuire. Si chinò su di lui e gli diede un bacio a
fior di labbra.
Prese la borsa e si diresse verso la porta.
-Ci
vediamo, allora.- lo salutò. L’altro rispose con
un cenno, e lei si fermò
sull’uscio. –Spero che un giorno ti fiderai di me
abbastanza da… dirmi la
verità.-
Non
attese una risposta, d’altronde sapeva che non sarebbe
arrivata. Uscì e chiuse
piano la porta dietro di sé, pensando a una scusa sensata da
tirare fuori nel
caso avesse incontrato Hara.
***
Hilary
osservò Julia bere il suo drink fino all’ultima
goccia. La guardò anche
chiudere gli occhi e scuotere la testa, stordita dall’alcool.
-Dopotutto…-
iniziò, con voce malferma: -Ho sempre saputo che Takao era
solo una parentesi.
Devo solo guardarmi attorno.-
L’altra
annuì, accarezzandole la spalla: -Certamente.-
-Sì.
Quindi domani mattina me ne sarò già dimenticata.-
-Sì,
Julia.-
-Me
ne ordini un altro?-
Hilary
sorrise e fece no con la testa: -Non se ne parla.-
-Cosa?
Perché?-
-Perché
sarebbe il quinto, e non mi sembra un’idea geniale. Abbiamo
lezione domani
mattina.-
Julia
ridacchiò: -Non ho la minima intenzione di mettere piede in
classe.-
-Mai
più? Ottimo.-
-Già.
Non voglio vederlo.-
Hilary
continuò ad accarezzarle la spalla.
-Adesso
torniamo a casa, ti fai una bella dormita e domattina sarà
tutto più semplice.
Postumi a parte.-
-Non
voglio tornare a casa!- esclamò la spagnola, alzando la
voce. Nessuno si voltò
verso di loro, era un locale piuttosto affollato. Una ragazza ubriaca
che
sbraitava non faceva certo notizia.
Hilary
iniziò a innervosirsi: -Lo so che non vuoi, ma devi. O vuoi
passare il resto
della serata qui a bere?-
-Non
mi seccare!-
Oh,
santo cielo. La sbronza aggressiva era la peggiore. Doveva prenderla in
contropiede:
-Se
non la smetti ti lascio qui da sola. E non sto scherzando.-
Julia
abbassò lo sguardo e fissò il suo bicchiere
vuoto.
-Mi
ha lasciata.-
-Sì.-
Singhiozzò,
poi guardò Hilary: -L’ho sempre dato per scontato.
L’ho anche tradito. Certo
che mi ha lasciata.-
-Esatto.-
-Quindi
ora… ora che dovrei fare?-
Hilary
sospirò e le prese una mano. Non aveva senso mentirle, anche
se era più che
brilla.
-Conosco
Takao da molti anni. Ed è una persona molto paziente. Credo
che… insomma, se ti
ha lasciata, se tu mi hai riportato esattamente il suo
discorso… difficilmente
tornerà indietro.-
Julia
annuì. –Sono proprio un’imbecille.-
concluse.
***
-Ma
non fai
altro che leggere?- chiese una dolce voce femminile, facendolo
sobbalzare.
-Già.
Tu
invece devi sempre venire a seccarmi?- rispose lui, ma sorridendo.
-Ryo,
potrei prenderti
a pugni, lo sai?-
-Provaci,
forza.-
La
ragazza si
sedette accanto a lui, all’ombra di un albero nel cortile
della scuola. –Solo
tu puoi passare la ricreazione qui isolato. Sei proprio un misantropo!-
-Non
hai i
compiti di matematica da fare per la prossima ora?-
Lei
sgranò gli
occhi straordinariamente viola: -Oh, cavolo. Fammeli copiare.-
-Non
li ho
fatti nemmeno io.- rispose, a cuor leggero.
-Cosa?!
Uffa,
perché? Ci metti sempre cinque minuti a fare tutto, cosa ti
costava?!-
Crawford
scoppiò a ridere: -Non mi servono! Ah, quindi te la prendi
con me perché non ho
fatto i compiti che così non puoi copiare? Sei pazza.-
Lei
rise a sua
volta. E la sua risata era qualcosa che Ryo avrebbe registrato e
ascoltato
dalla mattina alla sera.
Zittì
il cellulare con rabbia e lo scaraventò ai piedi del letto.
Non era umano un
risveglio del genere, quel suono irritante sparato
nell’orecchio, dopo aver
dormito a un orario improbabile e aver fatto una serie infinita di
sogni e
incubi. Meno male che voleva riposarsi.
Crawford
si mise seduto, cercando di capire che anno fosse, ma non riusciva
nemmeno a
ricordare il proprio nome. Aveva in mente solo le immagini che aveva
dovuto
vedere in sogno. Maledetti, infidi ricordi.
***
Kei
entrò in casa, chiedendosi dove fossero finiti tutti quanti.
Fu però
intercettato da Takao, che guardava la tv in soggiorno.
-Ehi.
Dove sono i tuoi?-
-A
cena fuori. A proposito, è tardi e io non ho mangiato.-
Kei
alzò le spalle: -Nemmeno io. Cuciniamo qualcosa.-
Takao
lo fissò: -Non sappiamo cucinare.-
-Ci
sarà qualcosa di pronto.-
-Mamma
mi aveva detto di occuparmene, ma me ne sono dimenticato.-
Dieci
minuti dopo erano per strada, alla ricerca di qualche locale dove
ordinare
qualcosa da mangiare.
-Come
è andata con Crawford?- chiese Takao, camminandogli accanto.
Kei –stranamente-
rispose con un’alzata di spalle.
-Wow!-
esclamò forte Takao, fingendosi esaltato. L’altro
gli lanciò un’occhiataccia.
–Come vuoi che sia andata? Male, chiuso con lui in una stanza
per ore.-
-Beh
ero curioso di sapere i dettagli!-
-Ho
passato il tempo a catalogare. Mi ha mandato a casa un po’
prima e mi ha
lasciato dei libri nonostante non abbia la tessera.- spiegò
Kei, continuando a
camminare. Dovette fare molti, molti passi prima di rendersi conto che
era
rimasto da solo. Si voltò, vedendo che Takao era ancora
fermo dieci metri
prima.
-Che
diavolo fai?-
-No,
tu che diavolo dici!-
Kei
alzò gli occhi al cielo e aspettò che il fratello
acquisito lo raggiungesse.
-Non
scherzare, Crawford non manda via la gente prima. E i libri…
oh andiamo, una
volta non ho restituito un libro in tempo e mi ha messo due. Non so
nemmeno se
si possa fare, tra l’altro, ma comunque…-
L’altro
si mise una mano in fronte. Bastavano cinque minuti in compagnia di
Takao per assicurarsi
un paio d’ore di mal di testa.
-Mi
hai mai sentito scherzare? Ha visto che volevo dei libri e me li ha
lasciati
prendere.-
Takao
si mise le mani sulle orecchie: -Non è vero non è
vero non è vero…- iniziò.
-L’hai
finita?!- esclamò Kei.
-Ok,
ok! Ma Crawford deve stare male, non c’è altra
spiegazione. Con te, poi! E poi…
tu non leggi.-
Per
fortuna erano arrivati, così Takao evitò un
probabile pugno nello stomaco.
-Che
fame, accidenti!- esclamò appunto il ragazzo, precedendo
Kei. Entrarono in un
pub dove facevano dei panini squisiti, oltre che normale servizio bar.
Dribblarono la grande quantità di persone e Takao
riuscì ad agguantare
rapidamente un tavolo libero.
-Ok,
tra poco mi mangio anche il cameriere.- annunciò. Kei si
trovò abbastanza
d’accordo con lui, e rimpianse amaramente le
abilità culinarie di Hara.
Ordinarono,
e Kei non fece in tempo a sorseggiare la sua birra perché
qualcuno urtò il
tavolo e la suddetta si rovesciò:
-Porca
di una putt…-
-Oddio,
scusala! Non ha molto equilibrio ogg… Kei?-
Hilary
teneva una Julia piuttosto storta a braccetto e fissava il duo seduto
al
tavolo.
-Oh.-
Kei
guardò a sua volta prima Julia, poi Takao, e infine di nuovo
Julia. Poi fu
tentato di scoppiare a ridere per la ridicolezza della situazione.
La
spagnola sgranò gli occhi e fece un passo barcollante
indietro, trascinando
Hilary con sé. Takao si alzò in piedi: -Julia,
sei ubriaca?- chiese piano. Lei
scosse la testa: -No, assolutamente. Stavamo giusto andando via,
altrimenti
sarei rimasta volentieri qui con voi! Ciao ciao!- rispose rapidamente,
per poi
voltare loro le spalle e dirigersi verso l’uscita. Hilary
imprecò: -Aspetta!-
Kei
sbuffò: -Vado io, la accompagno a casa. Voi aspettate qua.
Takao, se osi
mangiare la mia cena, parola mia…-
-Per
chi mi hai preso?-
L’altro
gli lanciò un’occhiata ben più che
eloquente.
-Comunque
no. Vado io.- rispose Takao piuttosto deciso.
-Takao,
io non sono sicura che sia il caso… ci penso io!- intervenne
Hilary. –No, è
tardi e siete sole… preferisco riportarla io.- concluse,
superando la ragazza
andando velocemente verso la porta.
Fra
i due rimasti al tavolo calò il silenzio.
***
-Smettila
di correre!-
-Lasciami
in pace!-
Takao
accelerò il passo e la raggiunse in pochi secondi.
-Voglio
solo evitare che combini qualche guaio…-
-Non
puoi! Non puoi, capito? Mi hai mollata qualche ora fa e ora mi
accompagni a
casa perché sono ubriaca perché sono stata
mollata!- esclamò Julia tutto d’un
fiato.
-Ok…
ok, è vero, ma non cambia. Smettila di agitarti, ti sto solo
riportando a
casa.-
-Ci
so tornare da sola.-
Takao
la prese per un braccio con determinazione: -Senti, non voglio sentire
altre idiozie.
E questo è quanto.-
Julia
smise di discutere. A parte il fatto che se possibile Takao sapeva
essere più
ostinato di lei, ma in secondo luogo era veramente stanca.
Era stanca e si sentiva ridicola per essersi ridotta a uno
straccio.
Rimase
zitta mentre Takao non le mollò mai il polso per tutta la
strada verso casa.
***
-Julia
è stupida.- decretò Kei, sorseggiando la birra
che si era fatto riportare.
Hilary lo guardò. –Non è vero.
È intelligente.-
-Non
parlo di intelligenza.-
La
ragazza alzò un sopracciglio, curiosa di sentire cosa avesse
da dire.
D’altronde non era da lui iniziare una conversazione.
-Tratta
Takao come uno zerbino per mesi, lui la molla e lei piange. Che senso
ha?-
Si
aspettava che Hilary difendesse la sua amica, e inoltre aveva anche una
certa
voglia di discutere con lei. Invece la ragazza annuì: -Non
sai quante volte
gliel’ho detto. È un suo grande difetto,
è infantile. Lei è innamorata di
Takao, ma ha sempre dato per scontato che lui non se ne sarebbe mai
andato… ora
non lo ha più e lo rivuole.-
Kei
iniziò a fissare il legno del tavolo. –Mi secca.-
-Scusa?-
-Non
me ne frega niente, però mi ha sempre dato fastidio.-
-Chi,
Julia?-
-Mh.-
Hilary
rimase zitta per un secondo. Poi scoppiò a ridere, forte.
Kei la guardò con
aria perplessa, ma lei sembrava avere un attacco di risate poco
controllabile.
-Ehi!-
protestò lui, aspettando che smettesse. Ci vollero parecchi
secondi perché ciò
accadesse.
-Scusa…
scusa!- esclamò, asciugandosi gli occhi.
–È solo che… non riesci a dire che
detesti Julia perché ha trattato male Takao, a cui vuoi
bene. Non ci riesci
proprio!-
Kei
sgranò gli occhi. –Cosa? No!-
-Certo
che sì. Ed è comprensibile.-
-Ehi,
no! Ho detto che non me ne frega niente.-
-“Mi
secca”- gli fece fedelmente il verso Hilary, per poi
guardarlo, divertita.
Kei
boccheggiò. Accidenti a quella ragazzina. In pochi
riuscivano a lasciarlo senza
una risposta.
***
Boris
notò che le luci a casa Kinomija erano tutte spente.
Maledetto Kei, dov’era
andato? Si stava annoiando a morte, voleva piombargli in casa per
sfidarlo
all’ultimo sangue a qualche videogioco idiota.
Si
mise le mani in tasca e sbuffò, tirando fuori il cellulare.
Scrisse un sms
minatorio dove gli chiedeva dove fosse e si allontanò
ciondolando. Non fece che
pochi passi prima di captare un movimento dietro di sé.
Notò nella debole luce
dei lampioni due figure piuttosto macabre osservare attentamente la
casa.
“E
questi imbecilli? Vengono da un ballo in maschera?” si
chiese, notandone
l’abbigliamento. Ma niente gli parve ancora ridicolo quando
comprese chi
fossero. Monaci della Borg, ne era certo. Anzi, si stupì di
non averlo compreso
all’istante. Rimase lì, nascosto
nell’ombra, a fissarli. Il suo cervello si era
come spento; che diavolo ci facevano in città?
In
quel momento Kei gli rispose. Boris lesse la destinazione e si
precipitò senza
pensare ad altro.
***
-Come
è andata la punizione con Crawford?- chiese Hilary, tanto
per fare
conversazione. Cosa ardua dato il suo interlocutore, che difatti
mugugnò: -Mh.
Niente di che.-
Hilary
alzò gli occhi al cielo: -Almeno non avete discusso come al
solito?-
-No.
Mi ha anche fatto andare via un po’ prima.-
Lei
rise: -Non scherzare!-
Kei
sospirò, esasperato: -Io non scherzo mai!-
La
ragazza lo guardò senza capire, così
alzò le spalle: -Ok, ok. Comunque non è un
totale mostro. È mio vicino di casa, una volta sono sicura
di averlo visto dare
una carezza in testa a un gatto. Non può essere
così perfido, no?-
Kei
fu abbastanza sorpreso dalla cosa. Nella sua testa, Crawford era uno
che usava
i cuccioli per il tiro al piattello.
Hilary
non approfondì ulteriormente la questione e
cambiò discorso:
-Senti.
Fra una settimana è il mio compleanno. Mi stanno
organizzando chissà che festa,
come al solito…-
-Festa.
È la parola più ricorrente in questo accidenti di
posto.-
-Già.
Mi farebbe piacere se ci fossi anche tu, insomma, se ti va.-
-Non
vado matto per le feste.-
-Nemmeno
io. Per questo te l’ho chiesto.-
Kei
accennò una specie di imitazione di un sorriso.
–Allora forse farò un salto.-
-Bene!
Ehi, c’è Boris laggiù.-
constatò Hilary, indicando un punto vicino
all’ingresso
del locale. Ma bastò il fracasso successivo a far notare la
presenza di
Huznestov, che spostò persone e ne urtò delle
altre per raggiungere il tavolo
di Kei.
-Eccoti!-
-Che
c’è?- chiese, trovandolo particolarmente
trafelato. Boris guardò Hilary, poi di
nuovo lui: -Dobbiamo parlare.-
-Che
succede?-
Pensò
di chiedere a Hilary di lasciarli soli per un momento, ma non perse
tempo:
-C’erano due guardie della Borg fuori da casa tua.-
Kei
si sentì letteralmente gelare. E Hilary, che era brava a
cogliere le sfumature
delle persone –d’altronde era abituata a stare con
un ragazzo come Zane- lo
notò alla perfezione. Così tanto, da agitarsi
anche lei.
-Cosa?-
-Sì.
Non so cosa volessero, stavano guardando, credo…-
-Guardando
cosa?!-
-La
casa! Non lo so, Kei! Li ho visti e sono corso qui!-
Kei
rimase zitto per qualche secondo, fissando Boris dritto negli occhi.
-Non
possono farmi niente. Niente.- disse con tono fermo. Ma sembrava quasi
che
stesse cercando di convincere se stesso.
Hilary
non resistette. Vide quel muro di forza e arroganza incrinarsi e forse
infrangersi, così mosse una mano da sotto il tavolo e, senza
farsi notare da
nessuno, la mise sulla sua. Kei non la respinse.
-Ci
deve essere un motivo se quelli sono qua.- proseguì Boris,
mortalmente serio.
Hilary scelse, letteralmente, di non rompere e stare al suo posto. Non
sembrava
proprio il caso di interrompere con domande a cui comunque non avrebbe
avuto
risposta.
-Quale?-
-E
io che accidenti ne so?-
-Devo
levarmi di torno. Per un po’, finché non la
smettono.- stabilì Kei, finendo la
birra in un sorso solo. Poggiò il bicchiere, senza spostare
l’altra mano,
quella che teneva nel proprio ginocchio e che veniva scaldata da quella
di
Hilary.
-Kei…-
mormorò la ragazza. Lui si voltò. -State parlando
di quel posto dove ci siamo
fermati, in gita. Vero?-
Kei
capì che ormai era arrivato al capolinea, e che non poteva
continuare a far
finta di non essere, volente o nolente, inserito in un contesto
sociale, per di
più formato da persone tutt’altro che stupide.
Così annuì. Non l’aveva fatto
con la sua ragazza, Kaori, ma lo fece con lei in quel momento: si
scucì.
-Non
devono trovarmi. Hanno qualcosa in mente, e non devo farmi trovare. Non
voglio
tornare lì.-
-Di
sicuro non puoi tornare a casa.- ne convenne Boris, mettendo in moto il
cervello.
-Senza
dubbio. Andrò da qualche parte, devo solo fare le valigie
e…-
-No,
idiota, pensi davvero di andartene da solo in giro chissà
dove?-
Kei
lo fulminò: -Che altro proponi? Non posso più
restare qui.-
-Vieni
a stare da me per un po’!- esclamò Boris
allargando le braccia.
-Sì,
come se casa tua non fosse il secondo luogo dove andranno a cercarmi!-
-Vieni
a casa mia.- intervenne Hilary. Kei e Boris la guardarono e poi si
guardarono
tra loro.
-No,
è meglio di no.-
-Non
disturbi. I miei sono in vacanza, non dovrò nemmeno spiegare
la situazione.-
Kei
tentennò. Poi alzò le spalle: -Solo per stanotte.
Poi troverò un modo…-
-Sì,
d’accordo.-
-Sentite,
non vorrei mi avessero seguito. È meglio andarcene.- disse
Boris, e i due si
alzarono. Kei lasciò una banconota sul tavolo e fece un
cenno a un cameriere.
***
Riuscirono
ad uscire dal retro senza farsi notare. Boris fece per andare con loro,
ma Kei
lo fermò: -Ascolta, devi trovare Takao. Stava portando Julia
a casa e…-
-Ma
non si erano lasciati?-
-Dio,
sì! Ascoltami!- sbottò Kei. –Trovalo e
spiegagli la situazione. Digli di non
cercarmi, e di far sparire tutte le mie cose. Devono credere almeno per
stasera
che io non viva lì.-
Boris
non ne capì fino in fondo il motivo, ma annuì.
-E
digli di dire a Kanako…- iniziò, ma poi rimase
zitto. –No, niente.-
-D’accordo.
Buona fortuna.- disse Boris, e gli mise una mano sulla spalla, senza
guardarlo
negli occhi.
-Stai
attento anche tu.-
Detto
ciò, Kei e Hilary si incamminarono a passo spedito.