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Autore: The queen of darkness    08/09/2012    2 recensioni
Un ragazzo con una voce straordinaria. Una ragazza che ne rimane affascinata. Un amore indissolubile. E la nascita di un mito inventata da me.
[questa è la mia prima Fanfiction e, vi prego, recensite! :)]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non pensava che un mucchietto di fogli potesse metterlo in crisi fino a quel punto, ed invece eccolo lì, a sudare davanti al tavolo della cucina, immobile da diversi minuti. Che fare? Quale diritto avrebbe avuto di guardare lì dentro? Lui non c'era mai stato. Non aveva fatto nulla per loro, se non farli soffrire. Non poteva ripiombare nelle loro vite, perché aveva fatto una cosa abominevole, e poi non era neppure detto che lei lo perdonasse. Anche perché non se lo meritava. Non li aveva cercati se non per i primi tempi, e aveva affogato nell'alcol i suoi sensi di colpa, senza fare niente di concreto, per nessuno dei due. Li aveva amati con struggimento e codardia, e aveva pagato con una vita insoddisfacente i suoi riprovevoli misfatti ma...non poteva pretendere nemmeno un briciolo dalla donna della sua vita e da suo figlio. E poi quello di conoscerli attraverso dei volgari fogli di carta stampata era l'atto più viscido che potesse fare. Insomma, stava per spiarli. Perché, vedere le vite degli altri senza che questi  ne siano conoscenza si chiama spiare. Si sarebbe sentito un maniaco. Eppure, nella sua situazione, che altro avrebbe potuto fare? Non poteva certo recuperare o cancellare gli anni perduti, ma se anche fosse andato da Lei e fosse stato respinto, come avrebbe potuto conoscere anche solo qualcosa del figlio? Perché, constatò con amarezza, il bambino era uno sconosciuto, per lui. Non ne conosceva nemmeno il nome. Raccolse da terra la sedia, e vi si lasciò cadere sopra. Brian, Brian, in che pasticcio ti sei cacciato?, si domandò. Tutta colpa di quella stupida cocaina... No. Perché scaricare le colpe sugli altri quando sono solo nostre? Aveva fatto tutto lui. Anche se non era nel pieno delle sue facoltà mentali e la amava, Dio se l'amava!, aveva avuto comunque delle paure e delle insicurezze, che si erano trasformate in rimorso e afflizione profonda. Ogni giorno, ogni Alba frustigava il suo cuore, ridotto ad un ammasso di carne sfilacciata dalla lontananza della sua Regina. E, nonostante fossero passati dodici anni, ricordava perfettamente il suo viso, il sorriso splendido, l'espressione che assumeva quando era annoiata, quella di quando era euforica, la concentrazione e la frustrazione, la rabbia e la tristezza, tutte gemme preziose che arricchivano i suoi connotati in modo dolce. Ricordava perfettamente il suo corpo slanciato e perfetto, il sapore delle sue labbra, la consistenza dei capelli fra le dita e ancora adesso, in quel preciso istante di trentunenne accasciato su una sedia di una cucina lurida, il suo cuore perse un battito emozionato al pensiero della prima volta che aveva visto il suo corpo nudo alla fioca luce di una candela. Tutto quel prezioso pomeriggio a guardarla dormire, tranquilla, scompigliata e soddisfatta, quando per la prima volta il sesso non era stato violenza o costrizione, ma solo uno spontaneo gesto d'amore. Fatto solo per lui. Si rese conto, per l'ennesima ed improvvisa volta, di quanto difficile dovesse essere stato per lei abbandonare il fardello opprimente del suo passato e questo solo per lui. Lo stesso che le aveva messo davanti agli occhi lo spettro si una vita felice, poi crudelmente infranto e che l'aveva anche abbandonata con un bambino, verso un futuro incerto e...non si era più fatto vedere. Si sentì un verme; poi una terribile ansia lo invase. Chissà come doveva essere stato tremendo per lei scoprire del suo matrimonio! Forse avrà accolto la notizia con freddezza, o con disperazione, ma non voleva attribuirsi tale presunzione, ovvero di occupare ancora un posto nel suo cuore, sia pure come presenza sgradita. Eppure...se l'avesse dimenticato, com'era giusto che fosse? Se l'avesse totalmente ed irrimediabilmente escluso dalla sua nuova vita? Magari era sposta, con altri figli. Deglutì. E se fosse...morta? Scosse la testa con violenza. Muore lei, muoio io. Certo, ipocrita, gridò una voce sarcastica nella sua testa, ma se non sai neppure che faccia ha adesso! Magari si era logorato tutta la vita e lei...era morta di parto! Cominciò a sudare ancor più di prima. Decise di eliminare quella possibilità con la forza della logica, perché se fosse...( non riusciva neppure a dirlo )...Jeordie non gli avrebbe mai dato quell'ultimatum. Si sentì un po' stupido, però. Non era mai riuscito a pensare prima alla possibilità di un detective privato. Forse gli sarebbe sembrato da vigliacchi, chi lo sa. Però...adesso i fascicoli erano un'attrattiva allettantissima, a cui non poteva sfuggire. E poi l'amico era stato chiaro: non era obbligato, e se fosse rimasto, l'argomento sarebbe stato morto e sepolto. Parola di bassista. Quindi...perché non dare una sbirciatina? Deglutì sonoramente. Poi, nella calma assoluta della casa sporca e puzzolente, Brian allungò una mano, e prese il primo fascio di fogli. Lo aprì, ed iniziò a leggere. //////// Furono e ore più strane della sua vita. Da un lato immensamente tristi, perché vide tutto ciò che non era riuscito a tenersi stretto. Da un lato emozionanti, perché scoprì tantissime cose sul figlio, anche se pochissime rispetto a quelle che un padre dovrebbe sapere. Di certo quelle più ricchi di emozioni da quando l'aveva lasciata. L'amore che aveva sempre provato per lei rinacque dalle ceneri mai veramente spente come una fenice, e prese subito a fargli martellare il cuore nel petto. Si sentì trasportare in un'altra dimensione, e più leggeva, più aveva voglia di leggere. Gioì suo malgrado della vedovanza della ragazza, nonostante comprendesse di quest'ennesimo fardello. E se fosse ancora innamorata del marito defunto? Preferì non pensarci. Anche lui pensava a Dita con affetto, dopo la rottura, ma sapeva che non l'aveva mai amata profondamente come invece era successo con la ragazza. Scorse tutte le notizie con famelico interesse, leggendo più volte questa o quella notizia, fino a quando, dopo aver divorato letteralmente tutte le carte senza trovare lo straccio di una fotografia, si trovò fra le mani un biglietto di Jeordie, scritto con il suo solito tono canzonatorio e insolente. "Volevi una foto? Bè, cercali di persona, perché quelle ce le ho io ;)". "Da quando fa le faccine?", pensò borbottando. Senza indugiare oltre, quindi, lasciò le carte sul tavolo, così come le aveva trovate, poi corse di sopra e buttò l'indispensabile in una borsa da viaggio grande e munita di più tasche, per sua stessa comodità. Fece una colazione/ pranzo veloce con del cibo in scatola non ancora scaduto e si fiondó all'aeroporto, dove acquistò il biglietto per il primo volo verso la casa dell'amata Regina. In aereo dormì e si fece portare anche qualcosa da mangiare di vagamente salubre e poco condito, viaggiando in incognito. In totale, prese due analgesici per il mal di testa e una pastiglia per l'ansia. Il resto dei flaconi lo buttò via arrivato a destinazione, disgustato dalla sola idea di farsi ancora di quella robaccia. Si era scritto su un pezzettino di carta l'indirizzo della famiglia (la SUA famiglia), e non riusciva a smettere di pensare al fatto che la scelta fosse stata geniale: non gli sarebbe mai venuto in mente di andarla a cercare così lontano. Prenotò velocemente una stanza di un albergo la vicino, cercando di non farsi riconoscere. Il suo orgoglio rimase ferito quando scoprì che nessun faceva caso a lui. L'unica persona che l'aveva indicato, e che aveva stoicamente ignorato, era stata una bambina, che aveva sussurrato alla madre:"Mamma, guarda che brutto, quello". Aveva finto di non sentire. Buttò le sue cose sul letto. Quand'era in tour, si faceva preparare una camera completamente dipinta di nero, con tutti i comfort. Questa volta dovette accontentarsi, però. Partì subito alla sua ricerca, noleggiando un'auto. Era deciso ad arrivare fino in fondo, anche se le sue certezze vacillarono mentre passava in rassegna tutti i quartieri ordinati e puliti, tutti simili tra loro, in cui ci si poteva perdere. Ma capì subito di essere arrivato quando vide La Casa. Era uguale a tutte le altre come struttura: facciata bianca, fiori alle finestre, steccato immacolato, un piccolo garage, un fazzoletto di terra citatissime e un'aiuola colorata. Un'unico dettaglio, peró la rendeva speciale. I balconi erano neri. Scuri, lucidi e spavaldi, erano la cosa che li distingueva dalla massa, come Carol. Ripensare alla sua Regina, e al fatto che fosse così vicina dopo tutti questi anni lo riempì di triste palpitazione. Come in trance, scese dall'auto ricordandosi a malapena di chiuderla, attraversò la strada deserta senza neppure guardarsi intorno e,saliti i pochi gradini che lo portavano alla porta...suonò il campanello.
  
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