Fanfic su attori > Ben Barnes
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Autore: saraviktoria    09/09/2012    3 recensioni
Dal prologo:
"oddio, chi lo vorrebbe morto?"
"tanto per fare un esempio? Io " certe volte era proprio una bambina. Stava a me riportarla con i piedi per terra. Ma al nostro capo non piaceva molto il mio modo di fare. Era lì, seduto dietro la scrivania, che ci guardava beccarci come due galline. È che proprio non la sopportavo. Ma dico io, con tutta la gente che lavora qui, proprio lei dovevo beccarmi? E, come se non bastasse, adesso anche questo. Avevo ventotto anni, avevo passato due anni a fare l'addestramento a Norfolk, diciotto mesi di servizio attivo a bordo della Enterprise, sei sulla Kitty Hawk, prima di diventare un agente di servizio ordinario della CIA. E ora mi sarebbe toccato fare da baby-sitter a un attore strapagato, viziatissimo e pieno di sé?
Genere: Azione, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono tornata! Un po' prima del solito, ma dato che ormai sono a casa in maternità, ne approfitto …

Un GRAZIE speciale per le 14 recensioni a LaNonnina, Lisbeth17, justanechelon, Serena VdW, _catia_, PattyOnTheRollercoaster, a tutti quelli che hanno messo la mia storia fra le seguite/preferite/ricordate … è bellissimo vedere che una storia che piace a me piace anche a voi :)

Direi che ho già detto anche troppo,

Buona lettura

Baci

SaraViktoria

 

12-ehi, donne, la finite di spettegolare, che ho fame?

 Si, l'Inghilterra mi aveva proprio cambiata.

Se ne accorse anche mia madre. Avevo chiesto una settimana di permesso per andarla a trovare. Scoprii con piacere che c'era anche mia sorella

"tesoro, ti vedo diversa … più solare, possibile?"
"se lo dici tu … " feci la vaga.

"com'è andata a Londra? Con Caspian?"si intromise Yvonne. Al momento non capii, poi ricordai che uno dei ruoli di Barnes doveva avere un nome simile. Doveva avermelo detto Anne.

"non è andata male. A parte il fatto che sono inglesi " rise.

"ehi, donne, la finite di spettegolare, che ho fame?" lasciammo mia madre da sola in cucina, o papà si sarebbe lamentato ancora. La mia era una famiglia felice, nonostante tutto. Mio padre era una giubba rossa in pensione, mia mamma aveva lavorato fino a qualche anno prima come segretaria del sindaco, mia sorella era un agente immobiliare. l'unico neo ero io: quella che a casa non ci sapeva stare, quella che era dovuta andare negli States per combinare qualcosa, quella che faceva il marinaio per il governo federale. O almeno così dicevano i parenti. I miei genitori accettavano tutte le nostre scelte. 'purché vi rendano felici' solevano dire.  Ma gli altri dovevano sempre metterci del loro.

"nel pomeriggio vengono la nonna e gli zii" mi anticipò Yvonne.

"devono proprio?" chiesi, speranzosa

"avanti, Chantal, è tanto che non li vedi" provò papà

"già … e sto bene così" mia sorella rise. Poi la mamma portò a tavola la pasta e lasciammo stare. A casa nostra la pasta, anche se non eravamo italiani, non mancava mai. Perché era buona e riempiva. Inoltre, la potevi condire in mille modi. Sarei andata volentieri in Italia, solo per quello.

Da noi si usava parlare durante il pranzo, così che un pasto normale poteva durare delle ore. A televisione rigorosamente spenta, i miei vollero sapere tutto sull'Inghilterra. Io, che non ne volevo parlare, cercavo aiuto nella persona di mia sorella, che però era più curiosa di mamma e papà.

"beh, Londra è bella. Se non fosse per le nuvole e l'umidità … "

"hai conosciuto qualcuno di interessante? " chiese la mamma. Aveva sempre cercato di essere aperta a eventuali ragazzi. Ma al minimo sospetto iniziava a preoccuparsi.

"Colin Firth " risposi, per rassicurarla. Tra l'altro, era un attore che le piaceva molto.

"e Ben Barnes " completò mia sorella, dandomi una gomitata. Presi una forchettata di pasta, mentre mia madre si informava

"e chi è?" ancora una volta, Yvonne decise di rispondere. In quel momento l'avrei legata, pur di farla stare zitta. Andavamo molto d'accordo, ma lei era la classica ragazza che aspetta il principe azzurro e sogna davanti ai film d'amore. Non sembravamo proprio gemelle, se non per l'aspetto fisico. Perché , fisicamente, eravamo due gocce d'acqua. Mentalmente era tutto un altro discorso

"è un attore, mamma. Il giovane Dustan di Stardust, te lo ricordi?"

"ah, ho capito" papà cercò di farsi ascoltare "ha fatto quel film con il leone gigante e i centauri … "

"beh, mica male … e perché l'hai conosciuto?" mamma tirò fuori il suo sguardo indagatore.

"per lavoro, o non sarei nemmeno andata in Inghilterra! Gli sono arrivate delle lettere di minaccia, hanno cercato di farlo saltare in aria, e il governo si è preoccupato di trovargli una scorta."

"però non è certo brutto!"  riprovò Yvonne

"concordo" dovetti ammettere "ma.. Ogni volta che deve cucinare crea un campo di battaglia. e, con la memoria che si ritrova non so come faccia a imparare tutte quelle battute … " andammo avanti finché non riuscii a convincere la mamma della verità. Strano, ma a volte la gente non crede alla verità. Crederebbe più a una fantasiosa bugia, ma non a ciò che è successo veramente.

Nel pomeriggio arrivarono -ahimè!- mia nonna Grace e i miei zii, Jessica e Daniel, la coppietta felice. Zia Jessica mi stava decisamente sulla scatole. Era una donna tutta zucchero e miele, con dei vestiti buffi tutti a fronzoli e chiffon. Tra l'altro, aveva appena dieci anni più di me, e credeva di potermi fare d'amica. Quando così non era. Io non avevo amiche e, se anche ne avessi avuta una, non sarebbe stata lei.

"Yvonne! Chantal!" la nonna ci stritolò nel suo abbraccio. Era la mamma di papà, una donna che tutti definivano adorabile, e che per me era semplicemente insopportabile. La sua mentalità era rimasta a quando era ragazza lei, a quando non potevi uscire da sola, a quando le donne si occupavano solo della casa. Non sarebbe stato un male, se non avesse cercato di convincerci delle sue idee. Ci discutevo tutte le volte che la vedevo. Per fortuna ci vedevano raramente.

"sei troppo magra" commentò, squadrandomi. Pesavo quanto mia sorella, etto più etto meno, ma con Yvonne  andava più d'accordo, perché lei sapeva stare zitta e fare finta di ascoltare. Ma io non l'avrei mai lasciata dire qualcosa su cui non ero d'accordo "è questa stupida moda, vero? Che vi vuole magre come le modelle ritoccate"

"ma che moda e moda!" mi lamentai "io non seguo la moda. E non sono uno scheletro, solo non mi abbuffo di schifezze" me ne fregavo di moda, sfilate e compagnia bella. Facevo solo esercizio

"si, certo. Perché in quel lager dove lavori tu vi tengono a pane e acqua"

"non è un lager, è una base militare, nonna. " spiegai, cercando di essere educata. Dopotutto, era mia nonna.

"come ti pare. Ma non è un posto per una donna. Dovresti sposarti, fare figli e occuparti della casa"

"SI!  E fare la crocerossina per i feriti di guerra. Nonna, siamo nel ventunesimo secolo!" eravamo in cortile, la mamma ci aveva mandate a prendere della menta dal suo piccolo orto, nella speranza di farci parlare e chiarirci. Sperava sempre nelle cose sbagliate. La casa dei miei genitori, la casa in cui ero nata e cresciuta anch'io, era una villa di campagna, in mezzo al verde. Dal retro non sentivi nemmeno le auto sulla strada, sembrava di essere in mezzo a un bosco, isolato da tutto e da tutti. Tornai dentro ancora più arrabbiata di prima . La mamma scosse la testa. No, non sarebbe riuscita a farci andare d'accordo. Mi dispiaceva per lei.

"allora, Chantal " la voce stridula di zia Jessica mi riportò alla realtà. Mi sedetti sul divano per non essere vicino a lei, appollaiata su una sedia "con la tua divisa dell'esercito attirerai tanti ragazzi" che allusione stupida!

"sono nella marina, zia. Non nell'esercito." evitai di rispondere al resto.

"quindi hai quella bella divisa bianca che fanno vedere nei film?"

"si, più o meno" meglio non dirle che la mia divisa era rilegata nell'armadio da parecchio tempo.

In quel momento ricordai -o forse non lo avevo scordato, cercando semplicemente di non pensarci- che dovevo dire ai miei del ricorso. Colsi l'opportunità quella sera, quando eravamo di nuovo solo noi quattro. Gli avevo raccontato tutta la storia, anni prima. e,anche se non avevano capito la sentenza della corte marziale, pensavano che l'avrei solo dovuta dimenticare

"ma perché, voi militari potete fare ricorso come il tribunale?" papà cercava di capire

"certo, papà. È un tribunale normale, solo che giudice e avvocati sono dei militari" cercai di spiegare. Alla mamma invece le spiegazioni non interessavano, era impegnata in una tirata contro l'Enterprise e il mio lavoro.

" …. lo dicevo io, che gli uomini vogliono avere sempre ragione.. Senza offesa,caro … a, proposito, tesoro, vuoi che veniamo da voi … a McLean … per questo processo? "

"a Langley, mamma" faceva sempre confusione tra le città della Virginia "comunque … no, non ce n'è bisogno davvero … "
"come no? Puoi andare tu, Emma" papà difficilmente avrebbe lasciato il Canada, anche perché faceva una certa fatica a capire un inglese che non fosse quello parlato da noi

"davvero, papà. Non c'è bisogno che veniate. Ce la posso fare"

"ma io ci tengo. Voglio starti vicino. Quand'è la prima … come si chiama?"

"udienza?" chiese Yvonne.

"si, quand'è la prima udienza?"

"lunedì" risposi, mio malgrado. Avrei preferito rimanere da sola. 

   
 
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