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Autore: The queen of darkness    09/09/2012    1 recensioni
Un ragazzo con una voce straordinaria. Una ragazza che ne rimane affascinata. Un amore indissolubile. E la nascita di un mito inventata da me.
[questa è la mia prima Fanfiction e, vi prego, recensite! :)]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Aprì la porta tirando con forza. Erano anni che i cardini avevano qualche problema, ma Richard era un completo incapace in certe cose, quindi in famiglia si erano abituati tutti ad avere braccia forti. Trovò sull'uscio un singolare ospite. Era un uomo alto e magro, con dei folti capelli neri dal taglio bizzarro e degli occhiali scuri che coprivano un volto ovale molto strano per un  uomo. Era sicura di non averlo mai visto da quelle parti, perché se lo sarebbe di certo ricordato: stivali borchiati e completamente vestito di scuro, con tanto di maglietta teschiata. Doveva avere più o meno la sua stessa età, ma era impossibile fare delle ipotesi, in quella situazione. Ma...dove aveva già visto quelle labbra che sapeva essere così morbide? E quei capelli, di cui aveva ben presente la lucentezza? Lo sconosciuto si tolse gli occhiali in un gesto lento, senza staccare lo sguardo da lei e...fu come se quei dodici anni non fossero mai esistiti davvero: si ritrovò ancora sotto la pioggia, i capelli e i vestiti fradici, voltarsi lentamente e rivivere quell'istante prezioso che aveva cambiato la sua esistenza. Due occhi scuri, a fissarla sotto un'ombrello, come un tacito invito, e la naturalezza nell'accettare, come se fosse nata esattamente per prendere la sua mano e passeggiargli a fianco sotto la pioggia. Come se tutta la stoffa nera potesse avvolgerla e cullarla per sempre, come se fra le sue braccia il male non esistesse, ma fosse solo una fantasia umana, creata apposta per spaventare i bambini disubbidienti. E...che meraviglia rivedere quel colore indefinibile! L'espressione così solenne, il marrone forte e sicuro delicatamente ammortizzato dal verde ombroso, in un infinito gioco a rincorrersi, senza che mai nessuno dei due potesse riuscire a raggiungere e sopraffare l'altro. Quanto..dolore, e gioia, fusi assieme fluirono in quel momento! Quanta rabbia, sorda e cieca, e quanta felicità, scoppiettante e malsana! La sua nuova vita non era destinata a durare, non senza quegli occhi così unici, così amati. Quanto tempo aveva aspettato quello sguardo? Quante volte aveva sperato di rivederlo riflesso in un vetro, negli occhi del marito, dietro alla porta? Quante volte aveva pregato affinché il destino glielo riportasse? Ma mai, mai prima d'ora, un torrente tanto puro di terrore ed emozione si mischiò in due corpi umani, così ebbri che a stento potevano contenere tutte quelle sensazioni. Tornare alla realtà, tanto dolorosa e sgradita e triste, non fu facile. Sapeva benissimo cosa quegli occhi le avevano fatto, e non era sicura di riuscire a perdonare, non questa volta. Se l'era domandato spesso, cosa avrebbe fatto in quel momento, se mai fosse capitato, ma le sembrava così assurdo, così egoista, che non aveva mai preso seriamente il pensiero. Eppure, adesso, benché la ragione le dicesse di prenderlo a calci e ributtarlo fuori dalla sua vita, rigurgitarlo nella sua nuova esistenza come lui aveva fatto con lei, il suo cuore la spinse a prendergli la mano tanto amata e trascinarlo dentro alla casa, pronta ad essere contagiata da quella nuova, bizzarra presenza. Lo trascinò nell'entrata, lasciandolo impalato in mezzo al corridoio mentre si affacciava furtivamente alla porta, per assicurarsi  che nessuno avesse visto la scena. Poi richiuse l'uscio dietro di sé. Avrebbe voluto guardare ovunque, ma non lui; eppure era più forte di lei: era stato lontano dopo tutti quegli anni e le era mancato così a lungo che...ora non Poteva non osservarlo nei minimi dettagli. Aveva un unico nemico, però: l'orgoglio. Era stata ferita così duramente che non voleva dargli la soddisfazione di essere un ospite atteso. Appoggiata alla lastra di legno, era grata alla superficie dura e reale, perché le impediva di pensare che fosse tutto un sogno, un miraggio. Era così...assurdo. Cosa dire dopo tutti quegli anni di lontananza, di sofferenze, di squallore? Lui non aveva mai smesso di guardarla, e la osservava rapito. Ma, come sempre quando si sentiva guardata da lui, non poteva verto dire di essere analizzata. Il suo era un contatto tacito e discreto, che scivolava rispettosamente aggirandosi su di lei, ma senza diventare lascivo. Voleva a tutti i costi interrompere quel momento così spiacevole. Frugò in modo spasmodico e disperato nella sua mente in cerca di qualcosa da dire, giusto per spezzare l'odioso silenzio. E se ne uscì con la cosa più stupida e banale che avrebbe mai potuto dire:-Si può sapere cosa diavolo ci fai qui? //////// Negli istanti seguenti all'aver suonato, Brian fu tentato in modo irresistibile dal suo istinto di nascondersi in stile guardone colto con le mani nel sacco dietro ad un cespuglio, in attesa che, chiunque avesse aperto, dopo essersi sincerato che non ci fosse nessuno, se ne ritornasse all'interno. Ma una sorta di paura paralizzante gli impedì qualsiasi movimento, e così rimase fermo immobile davanti all'entrata. Pochi secondi dopo, (i più lunghi della sua vita), sentì la porta aprirsi con uno schiocco terribile, e vide una donna dall'aria trafelata affacciarsi nell'aria fredda di fuori. Riconobbe subito, in lei, la sua Regina. Era così..bella, che il suo cuore dilatò i tempi, e gli parve di fluttuare in uno stato che non era realtà, ma neppure un sogno. Fantastica, mitica, bellissima, Regina. Dall'aspetto adorabile e caldo, era come se fossero passati solo pochi minuti da quella maledetta volta nel backstage, prima che il chitarrista lo chiamasse, come se avesse appena finito di abbracciarla e ora la stesse guardando, sua e solo sua. Aveva in mano uno straccio macchiato di una qualche salsa, e una traccia della stessa sostanza c'era anche sulla sua guancia. Le labbra rosse si erano dischiuse per la sorpresa, e la tentazione di prenderla e baciarla, finalmente, per interrompere il gelo della sua anima, fu irresistibile. L'espressione era sconvolta: in un certo senso poteva capirla. Dodici, dodici lunghi e maledettissimi anni senza assaporarla sotto di sé, senza accarezzarle i capelli e senza baciarla ovunque, su quelle labbra splendide, sul collo allungato e morbido, sulle dita, così sottili e aggraziate e sul suo corpo meraviglioso, per nulla intaccato dagli anni. L'unica cosa che vedeva di diverso era un segno di maturità che ne aveva rilassato il volto, rendendolo se possibile più elegante e ancora più bello. I capelli erano scompigliati in modo sublime,e si intonavano perfettamente con le guance leggermente arrossate dalla sorpresa e dalla fatica di donna di casa. A sorpresa, dopo lo sconvolgimento iniziale, prese la sua mano (paradiso!) e lo trascinò dentro, in un'entrata accogliente che però manteneva la sua originalità. La vide assicurarsi che nessuno li avesse notati, e poi appoggiarsi stancamente alla porta, guardandolo come una Dea furente. E poi sbottò la sua sentenza:-Si può sapere cosa diavolo ci fai tu qui?-. Ah, quindi non era l'unico che non sapeva cosa dire! Sentire la sua voce dopo così tanto tempo fu quasi paradisiaco, un piacere mistico e universale. -Sono...venuto ad implorare il tuo perdono-. Stupido Brian. Stupido Brian. Stupido Brian. -Ah, ma davvero?- disse in tono pungente. -Tu credi che io ti perdoni solo per questo? Mi sono rifatta una vita, senza di te. Ho sofferto, ti ho amato, ma tu devi rispuntare proprio quando penso di averti dimenticato?- sputò fuori con rabbia. -Io non sto dicendo che mi devi perdonare, né che voglio recuperare il tempo perduto. Solo....mi piacerebbe conoscere mio figlio- disse di getto, -mi piacerebbe vedere il suo viso, e sentire la sua voce, anche solo per una volta-. -E che cosa ti aspetti che gli dica?- esclamò. -"Ciao Alex, vedi questo signore? Sorpresa! É tuo padre!". Non viviamo in un telefilm, schifoso bastardo-. Quelle parole lo ferirono nel profondo, ma sentì il bisogno di controbattere ugualmente. -Non serve che gli dici che sono suo padre- deglutì. -Mi basta solo...essere uno sconosciuto di passaggio. Tutto qui-. All'improvviso gli parve tutto privo di senso, tutto superfluo. Ogni cosa non aveva uno scopo, e lui stesso si era gettato in un'impresa disperata. La vide scuotere la testa. Troppo dolore, troppo amore, per una vita soltanto, e troppa stupidità per riuscire a gestirli. Negli attimi che seguirono, entrambi si sedettero in cucina, e cominciarono a parlare. Furono diretti, coincisi e profondamente addolorati. Lui raccontò di come fosse praticamente morto da quando aveva commesso quella colossale cazzata, di come si fosse sfasciato ogni singolo giorno alla ricerca del motivo per cui aveva abbandonato la sua stessa felicità. Le disse di come si illudesse ogni volta di poterla dimenticare, e di come finisse sempre annegato dall'alcol. Lei, invece, espose la verità nuda e cruda: il dolore, la difficoltà, l'odio e l'umiliazione. Tutta la sua vita gli venne spiattellata davanti, senza filtri né censure. Ogni parola detta, per Brian era un dolore. Sapere di essere la causa di tanta sofferenza gli torse le budella un'ennesima volta. Sentì la solita e nota fitta di gelosia quando venne rispolverato l'argomento matrimonio, ma lui spese solo poche parole sul suo. L'amore tra i due, infatti, si era spento ancor prima della cerimonia. E poi si sentì in dovere di spiegare che non era andato lì per trovare il suo perdono, anche se non avrebbe potuto chiedere di più, perché non se lo meritava. Lei rimase sorpresa da tali parole, e lui continuò. Non era degno di vedere suo figlio, né di ripresentarsi alla sua porta, ma finalmente aveva trovato il coraggio di riscattarsi. Gli era mancata terribilmente, e per quanto fosse stato stupido, sarebbe potuto morire in pace anche solo per averla vista. -Non ho mai smesso di amarti- le sussurrò alla fine. Ci fu un lungo silenzio, perché la verità di quelle parole era schiacciante quasi quanto la loro ipocrisia. -Neppure io- mormorò la sua Regina, mentre una lacrima solitaria le scorreva pigra lungo la guancia. -Però non posso ri-accoglierti a braccia aperte- disse, senza guardarlo. Confidarsi i reciproci sentimenti era stato molto difficile. -Lo so- azzardò a prenderle le mani, e non sentì alcuna resistenza. -Adesso me ne vado, e ti lascio in pace- sussurrò. La donna non rispose. Si alzò con un macigno sul petto, si voltò, e varcò la soglia della cucina, imprimendosi a mente ogni dettaglio nella certezza che non l'avrebbe rivista mai più. -Domani...- esclamò improvvisamente la sua Regina, perdendo la forza sia di guardarlo che di tenere alto il tono di voce. -Torna. Ti prego- concluse in un mormorio appena udibile. Lui la guardò per un lungo istante, assorbendo ogni minuscola particella di un sollievo che non provava da tempo. -Stavolta non fuggirò. Te lo prometto.
  
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