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Autore: PerseoeAndromeda    26/03/2007    3 recensioni
Una divinità non ha accettato la propria sconfitta e pretende il suo riscatto... cosa può esserci al mondo, di più terribile, del perdere la propria identità?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga, Dragon Shiryu, Pegasus Seiya, Phoenix Ikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 12

CAPITOLO 12

 

“Perché mi fai questo, Niisan… perché?”

Dalle labbra di Shun si levava un confuso, ininterrotto balbettio mentre il ragazzino cercava di coprirsi gli occhi con le mani e, dopo esser indietreggiato fino al muro più vicino, si accasciò contro di esso, colto dal terrore più puro. Si sentiva tradito. Perché Ikki-Niichan voleva farlo star male? Per cosa poi? Per quell’orrore ondeggiante, con la catena che orridamente, come un serpente feroce, si dipanava tra le dita della mano tesa per porgerglielo? Cosa c’era di così importante in quell’oggetto che si dilatava davanti ai suoi occhi, facendosi immenso, fino ad inglobarlo, ad imprigionarlo, a trafiggergli l’anima con le sue cinque punte mostruose?

Spalancò la bocca, ma la voce di Ikki riuscì ancora a penetrare il velo di tenebra che lo stava sopraffacendo:

“Non gridare, Shun-kun, ti prego, non gridare. Ricorda quello che hai promesso, ricordalo, ti supplico!”

Sii forte… fidati di me…era vero, glielo aveva promesso, ma come poteva essere forte di fronte ad una cosa del genere, come poteva fidarsi di chi stava infierendo in tal modo contro le sue debolezze?

Scosse convulsamente il capo, detestandosi con tutto se stesso; come poteva anche solo sfiorarlo il sospetto che Ikki-Niichan volesse fargli del male? C’era un motivo per quel che stava facendo, doveva esserci per forza.

Strinse le palpebre più che poté; non poteva, non voleva vedere… ma nonostante ciò non gridò, non voleva deludere l’amato fratello, il centro del suo universo, più di così.

Nonostante il buio della cecità autoimposta, la stella continuava ad oscillare davanti a lui… yours ever… le parole che tormentavano le sue notti e i suoi incubi ad occhi aperti, il marchio impresso a fuoco rovente nel suo spirito, il messaggio tracciato a lettere indelebili atte a cancellare la sua esistenza, la sua anima, per sostituirla con il male, l’orrore… yours evertuo per sempre

“Mio per sempre…. Sarai mio per sempre… dov’è Shun? Dov’è il piccolo Andromeda? Quel bellissimo corpo è mia dimora e Shun non c’è più, quell’anima pura è totalmente annullata in me… mia per sempre!

Si portò le mani alle orecchie, con un gemito di disperazione quasi inumano, ma quel semplice gesto non era sufficiente ad arginare la minaccia che ancora dilaniava la sua mente con quella voce d’oltretomba. Premette la schiena contro la parete, come se volesse sfondarla e venire inghiottito da essa, si accasciò ancor più di quanto già fosse, riducendosi ad un minuscolo mucchietto d’angoscia, ma non cadde: il muro lo sosteneva. Questa volta non poté impedire a se stesso di esplodere in una richiesta di aiuto tesa e struggente:

“Hades! Hades mi vuole! Tienilo lontano da me, Niisan, ho paura!”

“No…”

Quella sillaba sussurrata con tono rassicurante risuonò vicina e surclassò l’altra voce, quella interiore, pur essendo molto più bassa. Ikki gli era accanto e, nonostante si sentisse precipitare senza speranza, riusciva in qualche modo a percepire la calda presenza che lo sfiorava:

“Non è quello che sembra cucciolo… apri gli occhi con coraggio e io sarò qui davanti a te. Raccogli tutta la forza che hai e guarda… per capire cosa realmente questo oggetto significa per noi due… fidati di me… hai promesso…”

Shun si immobilizzò, le mani alle tempie, tremante ancora, ma conscio di quella presenza che lottava con lui, della dolcezza con la quale cercava di ritemprare il suo spirito.

“Fidati… fidati… fidati…”

Aprì gli occhi, sbatté più volte le palpebre, per focalizzare lo sguardo di Ikki fisso su di lui e concentrarsi su di esso, per trarre da esso la forza che gli era necessaria, tentando di ignorare tutto il contorno. Respirò profondamente; sì, si sentiva forte ora, forse un frammento del guerriero Andromeda stava rinascendo in lui ma quando, in seguito a questa sensazione, provò a portare i propri occhi alla stella d’argento, gli sembrò che il terreno cedesse sotto i suoi piedi, soprattutto quando Ikki gli tese, con fermezza, il medaglione. Si ritrasse, come se il suo corpo fosse attraversato da una scossa violenta, ma il fratello maggiore non mutò il proprio intento e rimase nella stessa posizione:

“Non ti farà del male, Shun; ti aiuterà a ritrovare te stesso se solo accetterai di ascoltare quel che ha da dirti, se ti farai raggiungere dal messaggio in esso racchiuso… che non è quello di Hades…”

Stranamente, quel nome non sortì il solito effetto sulla sua psiche; lo assorbì anzi con una certa, distante freddezza e per questo acquistò una rinnovata fiducia nella propria capacità di autocontrollo. Allungò una mano, un po’ esitante, fino a sfiorare il centro della stella, proprio sulle lettere incise sulla superficie d’argento, ma la ritrasse quasi subito, con la fastidiosa sensazione di essersi scottato. Prima che potesse ritirarla del tutto, Ikki la trattenne per il polso, gentile ma deciso, e la tirò nuovamente verso di sé; in un primo momento Shun avrebbe voluto divincolarsi e fuggire ma, subito dopo, scoprì in sé unicamente il desiderio di lasciarsi guidare fino in fondo in quell’impresa che gli appariva titanica eppur non più così impossibile.

Si impose quindi di reprimere l’impulso e assecondò il movimento di Ikki che gli voltò la mano fino a mettere il palmo allo scoperto; le dita tremanti del ragazzino si ripiegarono leggermente, l’istinto ordinava loro di richiudersi ma Shun dominò anche quel riflesso condizionato, almeno un poco.

Quando il medaglione gli toccò la pelle provò un dolore paragonabile al violento pizzico di una scossa elettrica e sussultò; nel momento in cui Ikki lo lasciò cadere del tutto sulla sua mano, non riuscì a trattenere un gemito che avrebbe potuto mutarsi in urlo se Ikki non fosse stato lesto a premergli una mano sulla bocca, sussurrandogli parole atte a calmarlo:

“Coraggio, non è nulla, è la tua immaginazione... la tua paura a farti sentire qualunque cosa di negativo tu senta!”

Immaginazione? Quel fuoco rovente che gli dilaniava le viscere era frutto solo della paura e dell’immaginazione? E allora perché il dolore era così maledettamente reale? Perché quella sofferenza lo stava consumando come una fiamma alimentata dall’interno del suo cuore?

Cogliendolo del tutto alla sprovvista, Ikki gli chiuse con violenza le dita sul medaglione; una delle cinque punte gli trafisse la carne e quel dolore fu così acuto ed inatteso da cancellare quello precedente.

“Questo è reale!” insisteva Ikki, guardandolo fissamente negli occhi “Questa è una ferita sanguinante e tangibile, dimentica quella della tua anima e concentrati su questa! Ti prego, mio Shun!”

Il respiro affannoso, gli occhi sgranati, Shun ricambiava lo sguardo del fratello che ancora gli teneva le dita intrappolate, chiuse sul medaglione, ad accentuare la ferita già aperta; il bruciore pulsante del taglio stava diventando quasi insopportabile, ma il ragazzino non lo respingeva perché, nonostante tutto, lo faceva sentire vivo, come da tempo non gli succedeva più. Da mesi ormai non si sentiva così lucido, i sensi così svegli e consapevoli.

Ikki fece qualche passo indietro, staccando gradualmente la mano da quella del fratello, ma senza smettere di fissare costantemente i suoi occhi. Il medaglione rimase nella mano di Andromeda che, con solenne lentezza, lo sollevò, fino a portarselo davanti al viso; deglutì mentre lo osservava ma forse non era più la paura a dominare i suoi sensi. Il suo spirito si colmò di infinite sensazioni, confuse, senza nome, spesso contrastanti, ma in questo indistinto turbine emotivo la paura era assente, ne era pressoché certo.

Si trovò a seguire, estaticamente, il percorso della sottile striscia scarlatta che dal suo dito si allungava fino alla stella, andando ad impregnare di insanguinati riflessi le lettere dell’arcano messaggio in essa inciso. Si soffermò ad osservare quell’inquietante miscela come incantato, quasi ricercasse nella strana fusione di sangue ed argento una risposta che da troppo tempo aspettava… sangue e argento che si fusero in un indefinito universo di colori dai quali venne inghiottito e trascinato verso luoghi ed istanti forse smarriti nella sua memoria. Immagini dapprima indecifrabili presero pian piano forma davanti a lui, o forse nella sua mente… sagome indistinte che acquisivano lentamente consistenza… figure che avevano qualcosa da dirgli, figure importanti per lui… Shun ne fu improvvisamente conscio.

Inghiottì, i nervi tesi all’inverosimile, consapevole che stava per accadere qualcosa di determinante e temeva che l’emozione lo avrebbe sopraffatto.

Le visioni si fecero più chiare: ciliegi in fiore e petali candidi che danzavano, volteggiando come festose farfalle intorno ad un gruppetto raccolto ai piedi del ciliegio più maestoso, il sovrano del parco.

La prima figura che Shun riuscì chiaramente a distinguere fu un bambino, forse intorno ai due anni, bianco come la neve, incoronato da riccioli di un indecifrabile colore che racchiudeva le più morbide sfumature dal rosso al dorato; dormiva sul prato, abbracciato a un placido gatto bianco e nero.

“Sono… io…”

Nessuno glielo aveva suggerito, eppure era del tutto sicuro che quella fosse la verità.

E le altre due persone?

Un bimbo bruno, piccolo anch’egli, non doveva avere più di quattro anni ma il fiero cipiglio con il quale fronteggiava il mondo lo faceva sembrare più grande.

“Oh… Niisan…

Un’ondata di commozione divampò, insopportabile; gli occhi scuri del secondo bambino si rispecchiavano, intenti, in quelli grandi e verdi di una giovane donna.

“Come mi somiglia” osservò vagamente tra sé il ragazzino, perso in quella giornata distante anni lunghi come secoli… giornata che ora lui riviveva, nel presente, si svolgeva un’altra volta per lui, chiara e reale nel suo spirito scosso.

Quella donna… chi era? Aveva appena deposto qualcosa nella manina paffuta e abbronzata del bambino più grande e, pur senza poter scorgere distintamente l’oggetto, Shun sapeva di cosa si trattava. La donna e il bambino si scambiarono qualche parola che Shun non riuscì a cogliere ma il suo cuore era come trafitto dalla profonda malinconia che emanava dagli immensi occhi di smeraldo, così simili ai suoi.

Infine, nel vago mormorio che si svolgeva tra i due, Shun afferrò qualcosa, frasi sparse, frammenti di tenerezza… dell’amore più grande del mondo… rivolti a lui forse?

“Lui è così piccolo… non potrà ricordarsi di me… ho bisogno del tuo aiuto, Ikki…”

Ikki… lo aveva davvero riconosciuto ma quale effetto udire il nome pronunciato da quella voce che sembrava cantare ad ogni sillaba emessa… una conferma che gli colmò il cuore di una gioia troppo grande perché il suo piccolo, insignificante organismo potesse contenerla tutta.

“Siamo davvero… lui ed io…”

Altre parole, fluttuanti lungo il filo della memoria che si riavvolgeva, per trasmettere qualcosa al ragazzino, in viaggio lungo i sentieri tortuosi dei propri ricordi; tutto stava accadendo per permettergli di ritrovarsi, adesso cominciava a comprendere.

“Ho bisogno del tuo aiuto, piccolo mio, per trasmettergli tutto il mio amore… quando avrà bisogno di me, quando si sentirà smarrito… per fargli sentire che io sono nel suo cuore e che lo amo… infinitamente…”

Un nodo indissolubile ostruì la gola di Shun, un singhiozzo sofferto che avrebbe voluto esplodere, mentre le porte della sua esistenza si schiudevano, lentamente, nei recessi profondi dell’animo.

“Il messaggio è qui… yours ever… racchiuso in questa stella che vostro padre mi ha donato… il giorno della sua nascita… in ricordo di tutte le stelle che splendono negli occhi del tuo fratellino…”

Shun si lasciò andare ad un gemito incontrollato, si strinse nelle spalle, raccolse il medaglione con entrambe le mani e se lo portò al petto, serrando le palpebre, senza tuttavia riuscire ad arginare le lacrime che fluivano copiose attraverso le ciglia tremanti.

Non vedeva più nulla, la scena era scomparsa, ma una carezzevole voce di donna… no… non di donna… di madre… echeggiò in lui:

“Piccolo mio… sono qui con te… ti voglio tanto bene, mio dolce Shun…”

 

 

 

***

 

 

Ikki non aveva perso un attimo del susseguirsi di emozioni che si avvicendavano sul volto di Shun; stava vedendo od udendo qualcosa e, pur non potendo partecipare a quella visione, per qualche motivo che non era necessario spiegare razionalmente, Ikki sapeva esattamente di cosa si trattasse e non aveva bisogno di vedere… lui ricordava perfettamente quel giorno.

Stringendosi il medaglione al petto, Shun si lasciò scivolare al suolo, singhiozzando come un bambino e, mentre si accasciava a terra, un’invocazione salì dal profondo della sua anima:

“Mamma!”

Il richiamo di un bambino che ritrovava la sua mamma dopo averla perduta, la supplica di non venire più abbandonato era racchiusa in quel grido straziante; Ikki non poté più resistere e si gettò su di lui, stringendolo a sé, cullando le membra sottili scosse dagli spasmi del pianto.

“Mamma” ripeteva ancora Shun, con voce però più bassa ed incerta “Ti voglio tanto bene anch’io… ti ho ritrovata… mamma…”

“E non la perderai più” sussurrò Ikki, soffocando le proprie lacrime nei ricci dorati del fratello “E io… io non perderò te…”

 

 

   
 
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