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Autore: Night Sins    26/03/2007    3 recensioni
A volte, alcune persone, hanno dei segreti che non possono rivelare a nessuno... nemmeno ai propri amici, nemmeno alla persona che amano.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Greg House, James Wilson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Parte quarta

Il mattino seguente sembrava uno qualsiasi al Princeton Plainsboro; tutti i medici facevano il loro lavoro, o quasi.
Gregory House era, come sempre, arrivato con un considerevole ritardo; la cosa che stupì l’intensivista e il neurologo della sua squadra era il comportamento che aveva assunto Cameron dalla sera precedente.
La dottoressa sembrava sconvolta da qualcosa, ma alla loro richiesta di spiegazione non aveva voluto rispondere e, da quando House era entrato nel proprio ufficio, sembrava più irritata che mai.
“La Cuddy si è già fatta viva?” domandò House.
“No.” rispose Chase.
“Splendido, così posso finire il nuovo livello… Qualcosa non va, Cameron?” chiese ancora, notando che la donna non era nemmeno voltata verso di lui.
Allison si sentì rabbrividire, le immagini del giorno precedente le tornarono in mente vivide come non mai. Non era sicura di come si sentisse: arrabbiata, delusa, schifata. Solo?
Non aveva pregiudizi, non credeva di averne; ma un conto era riferirsi a due estranei, un altro vedere l’uomo che ami con quello che credevi essere solo il suo migliore amico, soprattutto se poi devi lavorare insieme con entrambi.
“Qualcuno ha perso la lingua, qui?” continuò il diagnosta.
“Smettila House!” sbottò infine, una parte di lei si sentiva anche presa in giro da lui.
I tre uomini rimasero stupefatti dalla reazione della dottoressa, la quale aveva alzato solo per pochi istanti il volto verso il proprio capo.
“E visto che c’è una buona probabilità che non mi darai tregua finché non risolverai quest’altro puzzle, te lo dico subito: sei tu il problema!” continuò prima di dirigersi all’uscita, ma si fermò alla porta e tornò a guardare House “Tu e Wilson, per la precisione. Ed ora vado in ambulatorio.”
“Che le avete dato? Sapete che non regge né alcool né droga…” domandò ai due dipendenti, dopo aver vagliato varie ipotesi che potessero spiegare come faceva a sapere di lui e l’oncologo - perché era quasi certo che si riferisse a quello - senza trovare risposte.
“E’ così da quando era uscita a cercare Wilson, ieri sera.” rispose Foreman “Non capisco perché ce l’abbia con voi; quando è rientrata ha detto che era anche scesa nel parcheggio, ma non vi ha trovato.”
*Ecco dove e quando.*
“Le sarà cominciato il ciclo…” annunciò noncurante e se ne tornò nel proprio ufficio dove si mise a giocare con il suo Nintendo.
Non era preoccupato dal fatto che la dottoressa li avesse visti. In effetti poteva avere anche i suoi lati positivi la cosa, ma gli aveva sinceramente dato fastidio che si fosse sentita in diritto di additarlo e accusarlo di essere la causa dei suoi problemi.

Alzò gli occhi dal videogioco solo quando sentì bussare alla porta.
“Ho incrociato Cameron in corridoio; sono sicuro che, se avesse potuto, mi avrebbe incenerito…” annunciò Wilson perplesso.
“Non è colpa mia.” disse, rispondendo alla tacita domanda dell’altro “Per lo meno, non è stata una cosa volontaria…”
“Devo spaventarmi?”
“Se fossi arrivato mezz’ora fa ti saresti spaventato, probabilmente.”
“House, vuoi spiegarmi di che si tratta?”
“Cameron, ieri sera, è venuta a cercarti nel parcheggio, poco dopo che siamo usciti dall’ospedale.”
“Oh… uhm… capito…” disse Wilson mettendosi a sedere, si sentiva in imbarazzo “E’… cioè, può essere un problema…”
“Problema suo, non nostro.”
“Ma se…” ritentò l’oncologo.
“Nessun ‘ma’ e nessun ‘se’. Qualsiasi problema abbia Cameron, non ci riguarda.”
Wilson abbassò lo sguardo, “Se lo dice alla Cuddy…”
“Alla Cuddy non interessa con chi vanno a letto i suoi dipendenti se questo non influisce sul suo beneamato ospedale e tra noi due non ci sono diretti rapporti lavorativi. Ergo, non farà nulla. Al massimo si limiterà ad avvertirci di non dare spettacoli pubblici.” enunciò in tutta tranquillità il diagnosta “Agli altri non interessa, o non deve interessare, niente di tutto ciò.”
“Vorrei avere la tua sicurezza.”
“Ah!” sbuffò House alzandosi e avvicinandosi alla sala di diagnostica, dove ancora si trovavano gli altri due dottori.

“Chase, Foreman, vi creerebbe qualche problema se io avessi una storia con Wilson?!” li interrogò placidamente, dopo aver aperto la porta.
“Co-cosa?” “Stai scherzando?” domandarono rispettivamente intensivista e neurologo.
Wilson nel frattempo si stava nascondendo il viso con una mano, maledicendosi per non aver tenuto la bocca chiusa.
“Allora? Tranquilli, non sto chiedendo la vostra approvazione o che altro; è per ipotesi, no?” incalzò il diagnosta.
“Finché non vi vedo, potete fare quel che volete.” rispose Chase alzando le mani come in segno di resa.
“E’…” cominciò Foreman.
“E’…? Esprimiti più chiaramente. So che non è facile per te, ma ti ricordo che la schiavitù è finita da molto ormai e che quindi non verrai frustato per le tue idee.” lo incitò ancora House.
“E’ una cosa che non capisco.”
“Cosa non capisci in ‘vi creerebbe qualche problema se io avessi una storia con Wilson’?”
“Non la frase… il perché due uomini dovrebbero stare insieme. Non è naturale.” rispose “Ma anche se è una cosa che non approvo e che mi disgusta, in linea generale non mi pone nessun problema esistenziale. E’ la vostra vita; almeno di non vedervi fare chissà che cosa in ospedale, fate quel che vi pare.”
“Wow!” esclamò House alla fine “Il prete mancato che mi dà una risposta liberale e l’ex galeotto che invece tira fuori morale e natura… devo dire che è stata rivelatrice questa domanda. Bene, continuate pure a non far nulla.” e detto ciò richiuse la porta e tornò a sedere.

“Visto? Ok, Foreman ha una mentalità un po’ ristretta, ma in linea generale a nessuno interessa degli altri; anche se tutti amano spettegolare.” e indicò con la testa nuovamente la stanza accanto, dove Foreman e Chase stavano discutendo “Quanto scommetti che si stanno chiedendo se tra me e te c’è davvero qualcosa o se ho fatto una domanda tanto per provocarli?”
“Non ho intenzione di scommettere nulla e soprattutto preferirei che tu non andassi a dargli la risposta.” l’ammonì Wilson, ancora un po’ rosso in volto.
“Ok, così potrò trovar il modo per divertirmi.”
“Sei irrecuperabile…” disse alla fine con un sorriso, scuotendo la testa e alzandosi.
“Dove vai?”
“In genere lavoro, io.” rispose uscendo.

Nei giorni seguenti Cameron continuò a limitare il più possibile i contatti con House e Wilson mentre Chase e Foreman, ogni tanto, lanciavano ancora occhiate sospettose nei confronti degli altri due medici. House - come aveva affermato - si divertiva a creare situazioni potenzialmente equivoche, con disappunto anche del proprio compagno.

Erano passati ormai dieci giorni dall’operazione del piccolo Nick. Dopo la prima visita, Wilson era passato ogni giorno a salutarlo.
La sua vita continuava come sempre; il dolore, benché presente, rimaneva nascosto sotto l’usuale facciata della quotidianità, come era stato per i molti anni trascorsi.
Anche con House non ne aveva più parlato, né lui aveva fatto allusione alla cosa; sebbene ogni volta che erano soli, a casa di uno o dell’altro, aveva come la certezza che il pensiero di quelle violenze fosse ben presente tra di loro. Lo capiva dai gesti stranamente insicuri, dalla dolcezza - a volte esasperata - che gli riservava, dal modo in cui avevano fatto l’amore, dai tanti piccoli dettagli che indicavano che il diagnosta non era tranquillo e che qualcosa lo turbava, nonostante le sue rassicurazioni.
Certo da una parte ne era contento, ma il fatto che il suo passato condizionasse la loro vita non gli piaceva. Sapeva che non era colpa di House e nemmeno sua, per lo meno non volontaria, ma non gli andava giù lo stesso.

Ogni volta che James era con Nicholas non poteva fare a meno di pensare al futuro che il bambino avrebbe avuto e si sforzava di rassicurarlo come meglio poteva; anche se ormai non avrebbe potuto fare nient’altro per lui, visto che sarebbe stato dimesso quel giorno stesso.
“Dottor Wilson, è tutto a posto?” domandò la signora Harris entrando nella stanza “Posso cominciare a sistemare le cose di Nick?”
“Sì, è tutto ok.” disse con un sorriso “In bocca al lupo, Nick. Passerò a salutarti prima che tu vada via.” “Arrivederci dottor Wilson.” salutò il bambino prima che l’uomo uscisse.
“Salutato per bene?” gli chiese House, quando fu uscito.
“Sì…” rispose con una punta di malinconia che non sfuggì al diagnosta, nonostante questi non infierì.

Erano passate all’incirca un paio d’ore. Gregory House si trovava nel suo ufficio, sdraiato sulla poltrona in pelle nera che dava le spalle all’entrata; Chase era seduto alla scrivania svolgendo il lavoro che spettava di solito a Cameron, ossia controllare le e-mail; Foreman stava leggendo un libro e Cameron era appena rientrata e si stava prendendo una tazza di caffè.
La porta dell’ufficio si aprì all’improvviso. House voltò appena la testa mettendosi immediatamente a sedere appena vide Wilson in uno stato che dire sconvolto era poco.
“Che è…” cominciò a chiedere House, spaventato.
Non fece in tempo ad alzarsi che James crollò in ginocchio davanti a lui e, incurante degli altri, lo abbracciò e gli si aggrappò con tutte le forze che gli rimanevano.
Evidentemente House aveva ancora una volta capito cosa era meglio fare, cosa era meglio per lui, perché in quel momento sentiva davvero il bisogno di quella dolcezza per cui l’aveva, alle volte, preso in giro quando erano soli.
Il diagnosta non sapeva cosa fosse successo, ma in ogni caso ricambiò l’abbraccio senza fare domande, stringendolo a sé delicatamente ed offrendogli tutto il suo appoggio.
Chase, Foreman e Cameron, nonostante tutto, non osarono muoversi dalle loro posizioni.
“Non… non è giusto… non deve tornare con lui…” disse a fatica l’oncologo.
Si sentiva come svuotato, la notizia che Oliver Ryan era riuscito ad ottenere l’affidamento di Nicholas l’aveva distrutto.
Dall’inizio di quella storia aveva rivisto - e risentito - la sua infanzia e sperava che per il bambino le cose potessero finalmente prendere una piega migliore, ma se ora tornava a vivere con quell’uomo sarebbe stato tutto inutile; non c’era da sperare che le cose sarebbero andate meglio che in passato, anzi…
Avrebbe voluto urlare e prendere nuovamente a pugni quell’uomo, una parte di lui avrebbe probabilmente voluto ucciderlo, ma nessuna di quelle cose era possibile e così si limitava a rimanere stretto nell’abbraccio dell’altro cullato dal suo profumo e dal suo respiro; nel frattempo, lacrime di rabbia erano apparse dai suoi occhi.
House le sentiva scivolargli lungo il collo; chiuse gli occhi per cercare di mantenere il controllo di sé, le braccia ancora intorno all’uomo. Non calcolò quanto tempo rimase così, aspettando che James si calmasse.
“Scusa…” mormorò infine Wilson lasciandolo andare e allontanandosi giusto lo spazio necessario per poter guardarlo in volto.
House gli prese il volto con le mani asciugandogli le lacrime rimanenti. Stava ancora tremando, quella storia doveva averlo sconvolto più di quanto era disposto ad ammettere.
Sospirò.
Alzò poi lo sguardo verso i suoi dipendenti.
“Chiudete le tende ed uscite di qui.” ordinò con calma.
I tre medici fecero quanto gli era stato richiesto, in parte ancora stupiti dallo stato in cui si trovava l’oncologo.
“James…” disse dopo che la porta si fu chiusa dietro Chase, l’ultimo a lasciare quella stanza.
“Sono messo così male che mi chiami per nome?” domandò amaramente l’altro, ancora inginocchiato “Sono uno stupido.” continuò senza lasciargli il tempo di rispondere “Non posso far nulla per lui… gli avevo detto che tutto sarebbe passato, che sarebbe andato tutto bene… che avrebbe trovato delle persone che gli volevano bene sul serio e di cui avrebbe potuto fidarsi. Credeva in me ed invece ora…”
“Hai fatto quello che pensavi fosse più giusto…” si ritrovò a rispondergli.
In genere se ne sarebbe uscito con frasi poco gentili su quanto fosse inutile distribuire speranze gratuite, senza nessuna certezza e che puntualmente, come in quel caso, si rivelavano solo delle ipocrite bugie; ma non era riuscito a imperversare sulla sua psiche già altamente provata.
“L’ho tradito, gli ho…” venne fermato dal suono del suo cercapersone. Per un attimo era quasi tentato di ignorarlo, ma il suono di quello di House subito dopo lo spinse a vedere cos’era successo mentre l’altro dottore faceva altrettanto.
Si scambiarono uno sguardo preoccupato, “Vado avanti a vedere cos’è successo.” disse mettendosi immediatamente in piedi ed uscendo velocemente dall’ufficio.
House recuperò il bastone e lo seguì.

“Che è successo?” chiese l’oncologo una volta arrivato davanti alla sala operatoria ed ignorando il signor Ryan.
“Il padre lo stava accompagnando in macchina quando il bambino è scappato finendo in mezzo alla strada proprio mentre stava passando un’altra vettura. E’ stato colpito in pieno.” spiegò un’infermiera.

Wilson andò nella sala d’osservazione; l’intervento era in corso e non sapeva né quanto sarebbe durato né se Nick ne sarebbe uscito vivo e, se sì, con quali conseguenze. Perfino la migliore delle ipotesi sarebbe sempre stata difficile da sopportare per il bambino il quale, una volta guarito, sarebbe stato costretto a tornare a vivere con quell’uomo.
Per questo una parte di sé, per la prima volta, sperò che quell’operazione non andasse a buon fine.
Si sentiva un mostro a sperare nella morte di un bambino di soli nove anni, ma sapeva anche che, sebbene il corpo sarebbe potuto guarire del tutto, quella che avrebbe passato non sarebbe potuta esser definita vita e il suo animo sarebbe rimasto ferito per sempre, impossibilitato a rimarginarsi.
Seguiva ogni movimento del chirurgo con attenzione.
Alzò lo sguardo solo una volta: quando la porta si era aperta lasciando entrare House.
Il diagnosta gli si posizionò accanto senza dire una parola e lui tornò ad osservare nella sala operatoria, anche se gli era grato per la sua presenza.

I minuti lasciarono lo spazio alle ore, ma il tempo sembrava fermo lì dove loro si trovavano, mentre nella sala sotto di loro medici e infermieri lottavano contro quello stesso tempo, che per loro non era mai abbastanza.
Erano passate più di tre ore, se si osservava un qualsiasi orologio, quando qualcosa cambiò.
L’attività dei dottori si era fatta più frenetica, da dove si trovava Wilson non poteva vedere l’elettrocardiogramma, ma non ne aveva bisogno per sapere che erano giunti ad un momento critico. Decisivo.
Un minuto.
Un ultimo minuto di speranza e terrore prima che Chase alzasse la testa verso di loro per poi fare un rapido cenno negativo.
Contemporaneamente il dottore annunciò l’ora del decesso: le 19.07.
Finito.
Era tutto finito, per sempre.
James sospirò. Sollevato, deluso, arrabbiato, impotente. Triste.
Si sarebbe sentito nel solito modo anche se Nicholas fosse sopravvissuto.
House gli posò la mano sulla spalla.
Voltò appena la testa per incrociare i suoi occhi. “Sai, l’ho sperato. Ho sperato che morisse.” disse piano “Prima per Ryan, questo pomeriggio, ed ora per lui. Era l’unico modo per mettere fine a tutto ciò, ma…”
“La morte non è sempre un male, a dispetto di quel che ti hanno insegnato al catechismo.” disse riabbassando la mano.
“Non sono mai andato al catechismo.”
“E’ uguale.” rispose il diagnosta con un alzata di spalle “Ebrei, cristiani… il Dio è il solito.”
“Vero… comunque, feste raccomandate a parte, non mi sono mai preoccupato di essere un perfetto credente e il mio disappunto alla morte di un bambino di nove anni non ha nulla a che vedere con la fede.”
“Touché. Ma hai detto tu stesso che è stata la cosa migliore per lui.”
Wilson abbassò lo sguardo, cosciente delle proprie parole, rassegnato a trovarsi di fronte a situazioni ingiuste.
“Meglio muoversi ad uscire da qui, fintanto che quello è impegnato a parlare con Stevenson e non può romperci le scatole.” disse poi avviandosi verso l’uscita.

Una volta fuori House notò che, come aveva previsto, Oliver Ryan era impegnato a parlare con il chirurgo che aveva operato il figlio e non badava alle persone intorno a lui.
“Dove vai?” domandò Wilson vedendo che stava per dirigersi verso la hall invece che verso il proprio ufficio. “La domanda più adatta è: dove andiamo?” lo corresse l’altro.
“Dove andiamo?” ripeté dubbioso l’oncologo.
Il diagnosta si voltò verso di lui, “Ehm… a casa mia?” chiese ancora, in risposta, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
James lo guardò prima incerto, ricordando un dialogo molto simile, e poi rassegnato. “La Cuddy ci ammazza.”
“Naaah, se ne farà una ragione. E poi ce la meritiamo un po‘ di riposo.”



Fine



Alla fine ce l’ho fatta a metter la parola fine, ma… non so... non è un gran che l'ultima scena, ma non sapevo proprio come finirlo... avrei rischiato di aggiungerci altre cose che non c'entravano niente e allungarlo immotivatamente, ma d'altra parte ho come la sensazione che manca qualcosa... Damn! ù__ù
Con questa fic, però, ho come il sentore di essermi guadagnata il premio per il “personaggio più sfigato”… credo che Nick batta perfino S.Potty… il che è tutto dire XD

Grazie comunque a tutti quelli che hanno letto e commentato, ed anche a chi ha letto e basta, spero gli sia piaciuta!^^

X Anna mallory: anche io odio aggiornare così tardi, perché vuol dire che non ho idee e non riesco a scrivere (come in questi periodi) … un incubo per me! T__T
X logan: ora invece è davvero finito… però questo cap è più lungo degli altri ^^ e anche triste… povero Nick… :’(
X Falcedellamorte: contenta che ti sia piaciuta, spero che anche questo cap sia di tuo gradimento^^
X Narufan: eheh… anche io vorrei veder qualcosa da parte di House di un po’ più esplicito, anche solo sul punto dell’amicizia (implicitamente… ci son molte scene *__* tipo quella della segreteria o quando gli chiede di tornare a casa sua *__* nella seconda serie… o anche solo il fatto della spalla nella terza con quel “Guarda cosa ha fatto… cosa ci ha fatto.” riferito a Tritter… T__T)
X remsaverem: grazie!! Contenta che nonostante tutto ti piaccia! ^__^
X Elbereth: *___* Ci credi che quando ho letto il tuo messaggio ho gioito per 5 ore, minimo? Davvero… mi ha fatto molto piacere! (non me ne vogliano gli altri, ma… sinceramente non me lo aspettavo un commento da lei, per questo ne son ancora più felice!*__*) Comunque… da una parte son contenta che le ff H/W siano in minoranza, vuol dire che le divine (ù_ù) Vestali non hanno modo per stravolgermi questa ship… seppur alcune si sono sbizzarite con le ficcyne cotton… Ah… uso qui per chiederti di ricambiar il favore: dovessi scendere troppo nelle lande vestaliche, non esitare ad informarmene… non reggerei di scoprirlo dopo mesi, magari di adorazione, per una mia fyc… T__T
   
 
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