Capitolo 9: Non
c’è calore
Beta:
Sono quasi le dieci e
mezza e Sherlock è già andato a letto,
un segno che l’ipotiroidismo sta cominciando a farsi sentire.
È un processo
lento, più lento di quanto pensassi. È passata
una settimana, e sto iniziando a
vedere solo ora gli ovvi segni. Sta diventando stanco. Non riesce
più a stare
alzato tutta la notte. Si sveglia stanco e debole. Mi risponde male,
è
frustrato, arrabbiato, ma non mi offendo. Si scusa, riconosce che si
sente
irritabile.
“Lo
so,” dico, ogni volta che capita. “È
normale che accada.
Va tutto bene.”
Gli ho levato le
applicazioni chirurgiche questa mattina con
un paio di pinzette. La cicatrice è larga, più di
quindici centimetri. È gonfia
e rossa, la sua pelle non ha gradito il tubo di drenaggio, le
applicazioni o
qualsiasi altra cosa. Non è frastagliata o grossolana,
è una linea perfetta; il
chirurgo ha cominciato nel mezzo della gola e ha tagliato dritto, poi a
sinistra. È raggrinzita dove i punti sono stati passati, ed
è gonfia e
punteggiata da macchie rosse. Indossa una sciarpa morbida quando va a
dormire.
Credo stia cercando di impedirsi di toccarla. È un corpo
estraneo, qualcosa che
non riuscirebbe a togliere se ci provasse. È una parte di
lui, ora.
L’ho messo in
doccia dopo, sono entrato con lui, ho lavato l’incisione
al posto suo sotto l’acqua calda. Credo guarirà
bene. L’ho tenuto vicino a me,
nella doccia, gli ho lavato i capelli e l’ho insaponato,
l’ho sciacquato,
accarezzando la sua pelle - troppo - bianca. L’ho baciato,
piano, gentilmente,
sulle labbra. Ha tenuto gli occhi chiusi e le braccia attorno a me. Non
lo
avrei mai immaginato così. Indifeso. L’idea di lui
solo ad affrontare tutto
questo mi spaventa.
Ho spalmato la cicatrice
di vitamina E prima di metterlo a
letto, e ho sentito la linea ruvida del tessuto cicatriziale sotto il
mio dito.
Me lo ha lasciato fare, guardandomi con i suoi occhi curiosi.
Abbiamo passato la
giornata risolvendo puzzle nel parco,
gironzolando, comprando il pranzo lì. Lo voglio mantenere in
movimento, fargli
fare un po’ di esercizio senza che se ne accorga.
È stata una bella giornata.
Ci siamo fermati vicino ad
una fontana, guardando i bambini
giocare sui ciottoli vicino, e poi lui ha preso la mia mano. Era
fredda, e io l’ho
presa nella manica del mio giubbotto per riscaldarla.
“John,”
chiama, dal suo letto. La sua voce è debole e tesa.
Pensavo stesse dormendo.
Lascio il mio libro e vado
in camera sua, mi fermo ai piedi
del suo letto. “Tutto a posto, Sherlock?”.
È sdraiato sul fianco, al buio,
acciambellato sotto le coperte.
“Sto morendo di
freddo,” dice, la sua voce soffocata dalle
coperte. “Non riesco a… scaldarmi.” Gli
ho messo tre coperte in più quando è
andato a letto, ma ha ancora freddo. Mi abbasso e tocco il suo collo;
freddo.
La temperatura corporea sta cominciando ad abbassarsi. Ipotermia
costante.
Non glielo chiedo, anche
se probabilmente dovrei. Sono già
in pigiama, quindi mi levo il maglione e mi metto a letto in fianco a
lui.
Sembra un letto vuoto, non emana calore. Lo avvicino a me, avvolgo le
braccia
attorno al suo petto magro, la guancia contro il suo collo. Riesco a
sentire il
freddo che emana. In pochi minuti il mio calore corporeo scalda il
letto e
riesco a sentirlo rilassarsi. Prende la mia mano e la stringe, piano.
Poi si
addormenta, e il suo respiro regolare mi culla e mi fa cadere nel mondo
dei
sogni, la sua mano ancora nella mia.