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Autore: Timcampi    09/09/2012    1 recensioni
Tre coppie.
Sette giorni.
La meravigliosa capitale ceca, con le sue incredibili tinte gotiche e quasi fiabesche, fa da palcoscenico a situazioni comiche e romantiche, in cui i sei protagonisti si ritroveranno a vivere situazioni singolari e a rievocare esperienze passate sullo sfondo dei luoghi più noti e degli angoli meno conosciuti di Praga.
Il sipario si alza sull'aeroporto di Berlino-Schönefeld, e si chiuderà...
Soltanto al lettore è dato saperlo.
Pertanto, buona lettura!
E se recensite mi rendete tanto felice! :)
NB: Il titolo di ogni capitolo è il nome di una canzone, ascoltata durante la stesura del testo. Ascoltatela, magari, mentre leggete.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Primo giorno: A dustland fairytale

 

Quando Lovino aprì gli occhi, il suo primo sguardo, ancora opaco e offuscato dal sonno, si posò sulla figura che dormiva placidamente accanto a lui, con un dolce sorriso sul volto e il petto che si alzava e si abbassava lentamente. Quando dormivano insieme, Antonio aveva sempre quel sorriso sereno stampato sulla faccia; ma quando Lovino non era accanto a lui quel sorriso spariva e il sonno dello spagnolo si popolava di fantasmi: quando rincasava tardi e lo trovava già addormentato, oppure quando era arrabbiato e passava la notte accucciato sul divano, c'era sempre quella smorfia spaventata sul suo viso, accompagnata da ansimi e versi che facevano rabbrividire.

Di fantasmi, nel passato di Antonio Fernandez Carriedo, ce n'erano tanti, e tutti lo sapevano bene. Che tornassero a fargli visita, però, era un segreto.

Ma Lovino aveva giurato tempo addietro, in cuor suo, che niente e nessuno avrebbe più tormentato le sue notti: così, da allora non l'aveva più lasciato solo, e mai l'avrebbe fatto.

Nonostante il letto fosse più ampio del normale, erano così vicini che l'italiano riusciva a percepire distintamente il caldo respiro dell'altro sulla propria pelle. Succedeva sempre: se anche il letto fosse stato largo quanto l'intera stanza e loro si fossero addormentati alla maggior distanza possibile, si sarebbero ritrovati l'uno accanto all'altro, al mattino.

Alle otto avevano appuntamento con il resto del gruppo presso la sala da pranzo privata, al piano terra: aveva impostato la sveglia alle sette in punto, ma il cellulare taceva.

La luce che filtrava attraverso le tende dell'ampia finestra alle sue spalle era debole e perlata: doveva essere ancora presto, ipotizzò.

Quando erano entrati nella loro suite, aveva avuto giusto il tempo di abbozzare qualche apprezzamento a proposito di quella “fregnata assurda” e di spogliarsi, prima di crollare in un sonno troppo profondo perchè potesse popolarsi di sogni.

Cercando di non fare troppo rumore, si alzò dal letto, si sistemò i boxer e mosse qualche passo verso la finestra. Scostò le tende, rivelando il bel panorama oltre i vetri, che sembrava attendere soltanto loro.

Era felice di essere lì, lontano da ogni problema. Suo fratello era la sua unica preoccupazione, in quel momento: si disse che gli avrebbe telefonato, più tardi.

Si voltò nuovamente verso il letto, quando un fruscìo arrivò alle sue orecchie, ma Antonio dormiva ancora. Con le tende aperte, la calda luce dell'alba sembrava bagnare di latte e argento la sue pelle olivastra, i suoi capelli scuri e arruffati, le palpebre chiuse.

Da quando si erano incontrati per la prima volta, quella sua statuaria bellezza, nobile e selvaggia al tempo stesso, era rimasta meravigliosamente intatta, così come il suo inguaribile ottimismo, come i suoi difetti, come tutto il resto. Quel “tutto” che amava. Senza che se ne accorgesse, l'ombra di un sorriso sembrò fare capolino dalle sue labbra.

Un attimo dopo, con un rumoroso sbadiglio, anche Antonio aprì gli occhi. Lovino tornò a concentrarsi sul panorama, sperando che l'altro non si fosse accorto che lo stesse osservando. Percepì i suoi passi sul parquet, e poi le sue braccia grandi e calde stringersi intorno alla sua vita, e il suo petto ampio e muscoloso premuto contro la schiena.

-Buongiorno.- sussurrò Antonio, facendo scorrere la punta del naso contro la pelle fredda del suo collo. Lovino non rispose, né si mosse.

-Questa notte ho dormito benissimo.- aggiunse lo spagnolo. -E tu?

-Anch'io.- tagliò corto.

-Molto bene. Dovremmo dormire più spesso in una suite, allora.

-Dormo benissimo anche a casa.- bofonchiò, voltandosi di scatto verso di lui. Antonio avvicinò le labbra al suo orecchio sinistro, tanto da sfiorarne il lobo.

-Qui siamo a casa: ci sei tu, ci sono io.- osservò, per poi prendere il suo viso tra le mani, come neve nel caldo abbraccio del focolare.

-Te quiero, mi pequeño fuego.

-Lo so.- rispose Lovino. Ma Antonio sapeva bene da almeno cent'anni che quelle due parole ne celavano altre, in egual numero.

-Para siempre?

Lovino annuì.

E poi, Antonio avvicinò le labbra al suo volto, fino a premerle contro le sue. Attese che fosse lui ad aprire le danze.

Lovino socchiuse le labbra, ed esitò un istante prima di lasciar scivolare la lingua oltre di esse, fino a toccare quelle dell'altro, che l'accolsero in un lungo, caldissimo bacio. Coraggiosamente, mosse le dita lungo il profilo del suo corpo marmoreo, le lasciò correre lungo i suoi fianchi per poi disegnare la linea perfetta della spina dorsale, mente la presa dell'altro si faceva più decisa intorno al suo viso, alla sua vita, fino a scendere sui suoi glutei, e le sue labbra si spostarono lentamente sulla sua gola, e...

Piripipì. Piripipì. Piripipì.

-Merda!- imprecò l'italiano, come risvegliato da quel piccolo idillio, afferrando il cellulare e scaraventandolo con malagrazia sul materasso, mentre quello continuava a squillare.

-Su, su. Questo è solo il primo giorno.- gli sorrise Antonio, baciandogli la fronte. -Vado prima io, in bagno.- decretò poi, pizzicandogli delicatamente una guancia.

 

-Dove cazzo eravate, voi due?!- ruggì Lovino, non appena Elizaveta e Gilbert comparvero sulla soglia

Antonio, Lovino, Arthur e Francis erano già nella sala da pranzo privata, quando gli ultimi due raggiunsero il resto della brigata, in ritardo di venti minuti. Erano loro ad avere le chiavi della sala, così agli altri era toccato rivolgersi all'ometto della reception, ribattezzato “Hercule”, per averne una copia.

-Avete iniziato a fare colazione senza di noi!- protestò Gilbert, con gli occhi cerchiati da profonde occhiaie, ammirando i ricchi vassoi in bella mostra sui tavolini dal ripiano di marmo bianco.

-Siete in ritardo. Non potevamo certamente restare sulla soglia ad aspettarvi!- brontolò Arthur.

-Pare che anche voi abbiate sperimentato le infinite risorse della suite, stanotte.- ridacchiò Francis alla vista dei loro volti stralunati, circondando le spalle di Arthur con un braccio. L'inglese gli lanciò un'occhiataccia di sottecchi.

-E chi non l'avrebbe fatto?- fece Elizaveta, esibendosi in uno sbadiglio che diede a tutti i presenti una visione panoramica del suo cavo orale.

-Purtroppo lui si è addormentato appena siamo entrati nella suite.- sospirò Antonio, puntando il dito contro Lovino. -Comunque, cos'è previsto per oggi?

Era stata Elizaveta a stilare gli itinerari, in seguito approvati all'unanimità, così tirò fuori dalla borsa un block notes, si schiarì la gola e lesse.

 

La prima tappa era costituita dall'antico quartiere di Malà Strana, e in particolare il vecchio muro chiamato “John Lennon Wall” per via dei graffiti dedicati all'artista inglese che lo ricoprivano, e che Arthur insistette per visitare.

-È solo un fottuto muro.- commentò Lovino, che alle dieci cominciò già a lamentare un estremo bisogno di cibo.

Fu poi la volta della Chiesa di Santa Maria Vittoriosa, dentro la quale Arthur cominciò a leggere come una litania noiose descrizioni di statue ed elementi architettonici tratte da una guida per turisti acquistata poco prima, e poi del Malostranské náměstí, la vecchia piazza del mercato, dopo di che si allontanarono dal Malà Strana e si recarono al castello, dove trascorsero quel che rimaneva della mattinata.

-Sto crepando di fame.- si lagnò Lovino per la centesima volta, mentre percorrevano il Vicolo d'Oro. E questa volta anche gli altri furono d'accordo, così si misero alla ricerca di un posto in cui rifocillarsi.

Si fermarono in una piccola taverna per turisti, il cui forte odore di birra aveva attratto Gilbert come una mosca sul miele.

-Erano almeno venticinque anni che non venivo qui. Ma non potrei mai dimenticare quanto sia maledettamente piccante questa roba.- mormorò Gilbert, mandando giù mezzo boccale di birra in un paio di sorsi nel tentativo di alleviare il sapore eccessivamente speziato.

-È stata tua l'idea di venire a Praga.- fece Arthur, con un mezzo sorriso.

-E sono felice di essere qui!- esclamò il prussiano, sollevando il boccale mezzo vuoto. -A Praga... e alle guerre del nostro passato, ma soprattutto alla nostra amicizia, che sarà sempre più forte di qualsiasi guerra!- brindò.

-Ben detto, Gil! A Praga!- fece eco Antonio.

-A Praga!- esclamarono tutti gli altri, sollevando i boccali.

 

Dopo pranzo, passeggiarono nel quartiere di Hradčany fino a che il cielo cominciò a tingersi del rosso del tramonto, intorno alle cinque del pomeriggio.

Prima di tornare in albergo, però, mancava ancora un'ultima tappa, la più bella di tutte.

-Non me lo ricordavo così grande.- sospirò Francis, con una nota di malinconia, quando furono sul Ponte Carlo.

-È bellissimo.- mormorò Arthur. Quando si voltarono indietro, la vista fu mozzafiato, come sempre: il castello, illuminato dalle mille luci notturne sullo sfondo di un tramonto che lasciava ormai il posto alla sera; il Ponte quasi deserto, in cui soltanto pochi turisti e rari artisti di strada si attardavano ancora sotto la maestosa parata di statue disposte lungo tutta la balaustra. Lo sciabordio del fiume sottostante giungeva ovattato alle loro orecchie, come un'eco appena distinguibile. Intravedevano le figure degli altri quattro un po' più indietro: Antonio e Lovino erano i più distanti, fermi sotto una delle statue, forse stretti in un intimo abbraccio, come le loro lunghe ombre suggerivano. Gilbert ed Elizaveta, invece, procedevano mano nella mano, solleticando di tanto in tanto l'aria scura con una risata cristallina.

-Non trovi che siano splendidi?- sussurrò Francis.

-Cosa?

-Lovi e Tonio. Eliza e Gil. Penso siano splendidi. Sono insieme da così tanto tempo, eppure non si annoiano mai di condividere ogni singolo momento l'uno con l'altro.

-Noi da ancor prima.- fece notare Arthur.

-Infatti noi siamo ancora meglio.- affermò il francese, in tutta risposta.

-A volte ho l'impressione di essere davvero vecchio.

-Lo sei. Lo siamo. Siamo veramente due vecchie, vecchissime nazioni. Ma sono certo che i nostri momenti di gloria non siano affatto finiti.

-Forse hai ragione. Però... se invece lo fossero?

-Je serai toujours près de toi, mon petit bout de ciel.

-Always?

-Toujours.

La destra dell'uno era stretta sulla sinistra dell'altro: due mani grandi e affusolate, che avevano impugnato spade e pistole, che avevo inferto ferite e le avevano medicate, che avevano scritto fiumi di parole e asciugato mari di lacrime.

-Questa città mi è sempre piaciuta.- disse Arthur, arricciando le labbra. -Mi domando quando riusciremo a tornarci ancora.

Francis sorrise: sapeva bene cosa l'inglese intendeva dire.

-Non hai sempre detto “non in pubblico”?

-Ma questo posto mi piace. Ed è... accettabilmente buio.- spiegò, premendo la schiena contro la balaustra di pietra.

Quel suo essere così imprevedibile, così diverso da un momento all'altro ma sempre coerente con il proprio carattere dalle mille sfaccettature era quel che più amava in lui, e ciò che mai gli avrebbe permesso di stancarsene.

-Condividere ogni singolo momento con te è tutto ciò che voglio.- dichiarò, premendo la bocca contro quella dell'inglese e schiudendola al suo bacio prepotente, quel bacio che lui soltanto conosceva, perchè nessuno mai avrebbe mai dovuto immaginare quanto Arthur Kirkland fosse bravo a baciare.

Ma quel momento magico, purtroppo per loro, non durò molto.

-Ohi, ragazzi! Guardate che vi lasciamo qui!- li richiamò la voce di Gilbert.

-Sei veramente indelicato, Gil!- lo rimproverò Elizaveta, colpendolo con la borsa.

-Avete ragione, si è fatta ora di cena. Sarà meglio tornare.- rispose Arthur, fermo e composto come sempre. Francis si lasciò sfuggire un sorriso, però: anche nella penombra della sera, infatti, sapeva bene che era arrossito violentemente.

Strinse la presa sulla sua mano e insieme si ricongiunsero con il gruppo, che partì alla volta dell'hotel.

-Grazie.- bisbigliò l'inglese.

-Grazie a te.- rispose, ma le labbra dell'altro si mossero ancora, stavolta senza emettere alcun suono, ma sillabando tre semplici e bellissime parole:

I love you.

 

   
 
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