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Autore: Timcampi    08/09/2012    3 recensioni
Tre coppie.
Sette giorni.
La meravigliosa capitale ceca, con le sue incredibili tinte gotiche e quasi fiabesche, fa da palcoscenico a situazioni comiche e romantiche, in cui i sei protagonisti si ritroveranno a vivere situazioni singolari e a rievocare esperienze passate sullo sfondo dei luoghi più noti e degli angoli meno conosciuti di Praga.
Il sipario si alza sull'aeroporto di Berlino-Schönefeld, e si chiuderà...
Soltanto al lettore è dato saperlo.
Pertanto, buona lettura!
E se recensite mi rendete tanto felice! :)
NB: Il titolo di ogni capitolo è il nome di una canzone, ascoltata durante la stesura del testo. Ascoltatela, magari, mentre leggete.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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One week in Prague

Prologo: Airplanes







-Eccoci qui, finalmente. Appena in tempo.- constatò Ludwig, appena ebbero superato l'ingresso dell'aeroporto, al di sopra del quale brillava l'imponente dicitura “FLUGHAFEN BERLIN-SCHÖNEFELD”.

-Appena in tempo?! Manca un quarto d'ora all'apertura del gate! Sei sempre così di fretta, West...- sospirò suo fratello, rifilandogli una sonora pacca sulle spalle.

-Comunque, sarà meglio andare: prima arriveremo al gate, e meglio riusciremo ad evitare la fila.- suggerì Arthur, facendo capolino da dietro un'ampia sciarpa quadrettata che gli copriva metà del viso. Gli altri si scambiarono sguardi di assenso, e Gilbert annuì.

-Sono certo che vi divertirete!- trillò Feliciano, con il volto illuminato da un gran sorriso, lasciando la mano di Ludwig e gettandosi a braccia aperte sul fratello: l'esperienza gli diceva che avrebbe sofferto molto la sua assenza, come sempre; in fondo, però, una settimana passa in fretta.

-E tu, invece? Sei sicuro che starai bene?- domandò Lovino, di rimando. L'altro annuì.

-Starò con Lud. E ti telefonerò, ma non troppo spesso.- sorrise, sciogliendo quell'ultimo, caldo abbraccio e muovendo un passo indietro, quasi a voler rendere più graduale quell'arrivederci.

Lovino lanciò un'eloquente occhiata al tedesco, che ricambiò con un cenno del capo.

Non gli era mai stato particolarmente a genio, però sapeva di potersi fidare di lui: era sempre stato coerente e affidabile e, soprattutto, aveva sempre amato e accudito suo fratello.

Posso affidarlo a te anche questa volta?”, chiesero i suoi occhi. E la risposta fu indubbiamente affermativa.

Arthur tossicchiò rumorosamente, cercando di attirare l'attenzione degli altri.

-Sì, giusto. Ora dobbiamo andare.- intervenne Antonio, con un allegro e impaziente sorriso.

-Certo, certo. Mi raccomando, divertitevi ma non fate sciocchezze.- li ammonì Ludwig, facendo correre lo sguardo sull'allegra comitiva per un'ultima volta, appuntandolo a turno su ognuno dei viaggiatori: suo fratello Gilbert, Elizaveta, Francis, Arthur, Antonio e Lovino.

L'idea di quella vacanza improvvisata era venuta proprio a Gil, il quale l'aveva prontamente suggerita ai suoi migliori amici: e così, nel pieno del mese di febbraio, le tre coppie avevano organizzato una vacanza di sette giorni a Praga, alla larga da impegni e affari di Stato.

Anche lui e Feliciano erano stati invitati, ma con l'Unione scossa da una così disastrosa crisi economica non se l'era sentita di lasciare il suo Paese. Tuttavia, aveva generosamente sovvenzionato quell'incorreggibile gruppo di irresponsabili prenotando a loro nome in uno dei migliori hotel della città.

-Io non ci conterei troppo, al tuo posto!- sghignazzò suo fratello, strizzando furbamente un occhio al tedesco e precedendo gli altri in direzione del gate numero 8, stringendo la mano di Elizaveta, o, come la chiamava Gilbert, Elsbeth, alla tedesca.

-¡Adios!- rise Antonio, agitando le braccia verso la sua direzione.

Seguì il gruppo fino a dove la vista glielo consentiva, ma trascorsero pochi istanti prima che la folla li inghiottisse completamente. Quando si voltò verso Feliciano, trovò una lacrima impigliata tra le sue ciglia scure e una smorfia indecifrabile, simile a un tremolante e incerto sorriso.

Circondò le sue spalle con un braccio, guidandolo nuovamente verso l'ingresso.

Sapeva che qualsiasi tentativo di consolazione sarebbe stato sciocco e inutile: anche lui aveva un fratello la cui mancanza avrebbe reso la sua casa e la sua linea telefonica orribilmente silenziosi. Gli sarebbero mancati tutti loro, a dire il vero.

-Forza, stasera andiamo a cena fuori, ti va? Cercheremo un buon ristorante italiano, sei d'accordo?

Feliciano scosse la testa, ricacciò indietro le lacrime e alzò lo sguardo su di lui.

-No. Voglio andare a casa tua. Ho voglia di mangiare le schifezze che mi prepari tu.- dichiarò, circondando con un braccio la vita dell'altro.

 

-Ve l'avevo detto, io, che dovevamo sbrigarci, invece di cincischiare!- brontolò Arthur, quando ebbero consegnato le loro valigie e furono finalmente di fronte al gate.

A dividerli dal metal detector c'era un lungo nastro di viaggiatori, schiacciati l'uno contro l'altro come un esercito di sardine.

-Vorrà dire che aspetteremo.- mormorò Francis, schioccandogli un inaspettato bacio su una guancia.

Ma ciò non contribuì a far tornare il buonumore all'inglese, che continuò a sbuffare di tanto in tanto fino a che non giunse il loro turno.

Lasciarono sul nastro trasportatore giacche, borse e cellulari e, uno alla volta, si sottoposero all'esame del metal detector.

Una volta a bordo dell'aereo, si scatenò l'immancabile, sanguinosa battaglia per accaparrarsi i posti accanto al finestrino, che vide Francis, Gilbert e Antonio penosamente sconfitti.

-Decolliamo! Decolliamo!- esultò il prussiano, non appena presero quota. -Due birre!- aggiunse poi, al passaggio di una hostess.

-Per me tre!- fece eco Elizaveta, a gran voce.

Dieci minuti dopo, le bottiglie vuote di cinque Paulaner giacevano riverse sul tavolino che divideva Elizaveta e Gilbert da Francis e Arthur, che trascorsero l'intero viaggio con le cuffie alle orecchie (il primo) e con gli occhi fissi sulle pagine de “Il cimitero di Praga” (il secondo). Lovino e Antonio sedevano dall'altro lato del corridoio, l'uno addormentato tra le braccia dell'altro.

Quando giunsero in vista della capitale ceca, intorno alle ventuno e venti, Francis fu il primo ad accorgersene.

-Ragazzi, siamo arrivati!- esclamò, additando il paesaggio sottostante, illuminato dalle migliaia di luci della sera, farsi sempre più vicino mentre il velivolo perdeva lentamente quota. Un attimo dopo, la metallica voce del pilota annunciò in tedesco, in ceco e in inglese che di lì a pochi minuti sarebbero atterrati all'aeroporto di Praga-Ruzyne, raccomandando di restare seduti e con le cinture allacciate.

-Praga, preparati ad accogliermi!- saltò su Gilbert.

-Che cazzo ti urli?!- ringhiò Lovino, svegliandosi di colpo.

-Siamo arrivati, Lovi.- sussurrò Antonio, cercando di rasserenarlo. L'italiano sbuffò, incrociando le braccia e affondando nel suo sedile.

Come annunciato, dopo meno di dieci minuti misero nuovamente i piedi sulla terraferma. Ritrovarono i propri bagagli e uscirono dall'aeroporto. Presero posto su una navetta per turisti che li condusse fino a Ponte Carlo, non lontano dal loro albergo: nonostante il buio e la stanchezza, i loro occhi riuscirono a delineare l'elegante e insolito profilo della città, spezzato qua e là da guglie, cupole ed edifici nei quali gli architetti di ogni epoca avevano voluto riversare tutto il loro estro.

Il tragitto parve loro tanto lungo che, quando terminò, quasi non credettero di essere finalmente a un passo dal loro misterioso alloggio.

-E ora? Dov'è che dobbiamo andare?- domandò Elizaveta.

-Un attimo, un attimo.- farfugliò Gilbert, frugando nelle tasche della giacca, alla ricerca dell'indirizzo scrittogli da Ludwig. -Alchymist Grand Hotel. Trziste 19, quartiere Lesser.- proclamò infine.

-Grand Hotel un corno. Scommetto che è una topaia.- sbottò Lovino.

Ma si sbagliava.

Ad attenderli al suddetto indirizzo, trovarono un grande, lussuoso palazzo color crema circondato da curatissime aiuole fiorite, opulento ma raffinato; ai lati dell'entrata, due insegne color porpora recitavano a chiare lettere “Alchymist”.

-Porca merda.- fu tutto ciò che Lovino riuscì a spiccicare.

In effetti, la piacevole scoperta lasciò tutti di stucco: nessuno si sarebbe mai aspettato nulla di simile, da parte di Ludwig.

-Allora, che cosa stiamo aspettando?!- cinguettò Elizaveta, lanciandosi oltre il cancello aperto. Di fronte a quella vista, neppure i suoi due trolley che qualche forza sconosciuta teneva chiusi parevano poi così pesanti.

Si precipitarono nella hall guardandosi intorno, come in un museo. Soltanto Arthur cercò di mascherare lo stupore, mantenendo il suo solito contegno.

-Però, che roba!- mormorò Antonio, accompagnando il commento con un lungo fischio.

Alla reception, trovarono un ometto pingue in giacca e cravatta, con i capelli neri pettinati all'indietro e baffi accuratamente impomatati che sovrastavano un composto sorriso.

Tutto, nella sua singolare figura, lo rendeva inconfutabilmente somigliante ad Hercule Poirot.

-È sicuramente belga.- sussurrò Francis all'orecchio di Arthur, che si lasciò sfuggire una risata sommessa.

-Buonasera, signori. Posso esservi utile?- domandò l'ometto, in lingua inglese ma con un vago accento francese.

-Ci sono tre stanze prenotate ai nomi di Weillschmidt, Fernandez Carriedo e Bonnefoy.- proruppe Gilbert, facendosi coraggiosamente avanti.

L'ometto inforcò un paio di occhialetti dalla montatura sottile e cominciò a spulciare nel voluminoso albo aperto sul bancone di legno chiaro.

-Sì, ecco qua! C'è la Tower Suite a nome del signor Fernandez Carriedo, La Garden Suite a nome del signor Weillschmidt e la Junior Suite per il signor Bonnefoy. Inoltre, nella suite del signor Weillschmidt troverete le chiavi per il salotto e la sala da pranzo privati. È ciò che avete richiesto?- chiese, sollevando lo sguardo e guardandoli uno ad uno da sopra gli occhialetti.

Gilbert annuì, incapace di aggiungere altro.

-Perfetto. Allora, eccovi le vostre chiavi.- sorrise l'ometto, voltandosi verso la grande teca alle sue spalle, dentro la quale penzolavano centinaia di chiavi, e prendendone tre un po' diverse dalle altre, con il il nome della stanza inciso nel portachiavi d'argento.

-Vi auguro buona permanenza, signori e signora. Se doveste avere bisogno di qualsiasi cosa, non esitate a farmene richiesta.- li congedò infine.

-Qualcosa mi dice che sarà un'ottima permanenza.- commentò Gilbert, agguantando le tre chiavi.

Attesero di essere abbastanza lontani da non essere uditi da nessuno, prima di lanciarsi in un fiume di osservazioni.

-Ci dev'essere un errore.- fece Arthur.

-E chi se ne frega? Io la voglio, la suite!- ribattè Lovino.

-Sono d'accordo!- proferì Antonio, sfilando dalle dita di Gilbert la chiave con su scritto “Tower Suite”.

-Ci mancherebbe altro.- concordò Francis, impossessandosi della propria. -Certe cose sono più divertenti, se fatte in una suite.- osservò, lanciando ad Arthur un'occhiata nient'affatto ambigua, anzi oltremodo chiara ed eloquente, al quale l'inglese rispose con un beffardo: -Le tue capacità non miglioreranno solo perchè sei in una suite.- che fece scoppiare tutti in una scrosciante risata, sicchè nessuno udì il francese sussurrargli: -Se ne sei così sicuro, non ti dispiacerà mettermi alla prova.

-Nient'affatto.- sibilò l'inglese, con un mezzo sorriso.

-L'ascensore è qui da un pezzo!- li interruppe Elizaveta, accennando al povero addetto che attendeva pazientemente il gruppo di nuovi arrivati.

Così, in un tacito accordo, tutti quanti accettarono di non indagare oltre sull'inaspettato regalo di Ludwig e di limitarsi a goderne al massimo durante tutta la permanenza.

Arthur e Francis furono i primi a lasciare il gruppo, al primo piano, dopo essersi accordati tutti insieme sull'orario della prima colazione dell'indomani.

Le altre due stanze erano al secondo piano, ma in due differenti corridoi. Usciti dall'ascensore, i quattro amici si salutarono: Antonio e Lovino andarono a sinistra, Gilbert ed Elizaveta a destra.

Il corridoio era buio e silenzioso. L'unica luce proveniva dal cellulare di Elizaveta, l'unico rumore era quello dei loro passi sul pavimento. Alla fioca luce del telefonino, trovarono la loro stanza, dietro una porta contrassegnata da una targa dorata.

-Ci siamo.- ghignò Gilbert, quando girò la chiave nella toppa.

-Wow.- mormorarono in coro, quando la porta fu aperta.

Sotto un lampadario da cui pendeva una quantità infinita di cristalli, circondato da un divano color avorio, un'ampia finestra dalle spesse tende coordinate e un armadio di legno di ciliegio e con un corteo di tappeti orientali ordinatamente sparsi tutt'intorno, vi era un immenso letto a baldacchino.

Gilbert rise.

-Cosa c'è?- domandò Elizaveta, già intuendo la risposta.

-Bene, letto. Ora vedremo se sei veramente degno di stare nella mia suite.- scandì, con un mezzo sorriso sghembo, prendendo in braccio Elizaveta e chiudendosi la porta alle spalle con un calcio.


   
 
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