Introduzione
CCCCCCCCCIIIIIIIIAAAAAAAAAOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!
Come sempre il lupo perde il pelo ma non il vizio!!! E quindi ecco una nuova FF breve su Leannel. Vi avevo promesso infatti una fiction sulle vite dei 4 compagni della mia amica (Leannel), ma il tempo non mi permette di tirare giù una cosa così complessa, per cui vado in una sola direzione…L’ISPIRAZIONE!!
Il primo capitolo è il seguente, e tratta del COME si sono conosciuti Reimer e Leannel. Sono consapevole del fatto che il vecchio Rei abbia riscosso un sacco di apprezzamenti. Questo è comprensibile, perché Reimer è triste, è bello, ed è molto fascinoso.
Rendetevi conto che la storia di Reimer, ancora antecedente a questa è semplicemente di mia invenzione. Non ho alcuna intenzione di definirla. Altra cosa da notare è il fatto che il Signore di Reimer non ha un nome. A dire il vero non volevo dare un tempo definito a questa storia. E anche poi non conosco tutta la storia dei Re Numenoreani dopo la caduta di Numenor.
Leannel è sempre depressa. Sempre e comunque. A dire il vero mi sembra che la sua fiducia sia troppo veloce e mostrarsi nei confronti di Reimer. Ma mi piace pensare che lui sia una persona differente dalle altre e che anche per Leannel sia la stessa cosa.
Voglio mettere in chiaro, anche se mi sembra di averlo detto nel racconto, che tra Lea e Rei non c’è nessuna forma di affetto che somigli all’amore. Non nel senso di innamorati almeno. Il loro rapporto è platonico e fraterno. Volevo renderlo simile a quello che è il mio rapporto con un mio grandissimo amico. Ricordate che ancora Lea non sa nulla dell’amore. E poi nutre una certa forma di rispetto. Comunque sarà meglio che lo capiate da soli.
Le altre arriveranno. Comunque grazie per lo starmi leggendo. Grazie.
Spero che vi piaccia anche questa.
A tutti quelli che hanno un incredibile bisogno di amicizia
A tutti quelli che la conservano gelosamente
With love
Zoozy or Leannel
La ballata di Reimer il Maledetto
Il giovane cavaliere dall’aria femminea cavalcava silenzioso nella notte. Solo. Non aveva mai amato la compagnia, quel cavaliere. Era a Nord. Se non fosse stato un elfo forse avrebbe avuto freddo. Ma era un elfo. E di conseguenza non ne aveva. Le vesti da uomo non erano mai state così ricche. Il cavaliere non amava le cose sfarzose. Ma aveva da poco ricevuto una carica di soldato da suo padre, e per ancora un po’ di tempo avrebbe dovuto farsi vedere in giro ben vestito. Ma lassù, in quelle lande all’apparenza desolate, quale elfo avrebbe mai potuto vederlo? Non se ne curava comunque. Probabilmente non avrebbe parlato con nessuno per tutta la durata del suo viaggio. Il cavaliere non era uno che amasse in particolar modo la gente. La gente in generale. Fosse la gente uomini, elfi o nani. O di qualunque altra specie. Era davvero poca la gente che il cavaliere amasse. Suo fratello. La ragazza di suo fratello. E forse il suo unico mentore. E poi c’era un’altra cosa. C’erano loro. Le anime instabili. C’erano i cavalli. Ma il cavaliere non aveva mai amato nessuno con la sua anima. Non ne aveva mai avuto il modo. Ed il suo cuore era già troppo arido. A quel tempo il cavaliere era ancora molto solo. Non aveva un uomo da amare. Un uomo. già, perché il cavaliere non era un elfo come gli altri. Il cavaliere era un’elfo. Un’Elfa.
Gli abiti da uomo, ma lunghi e
quasi ingombranti, cadevano dolcemente sui fianchi del mansueto cavallo color
paglia che accompagnava il cavaliere. Un cavallo vecchio. Ma non stanco. Un
cavallo che avrebbe vissuto altre cinque o sei volte la sua vita. Solo per il
suo cavaliere. Chiaramente se avesse potuto. Il nome del cavallo, che un tempo
avrebbe dovuto essere dorato, era Feren. Ma più di lui sarebbe passato alla
storia il suo padrone.
Il cavaliere si guardò
attorno. Dio quanto amava la notte. Dio quanto odiava la solitudine. Dio quanto
non poteva farne a meno. Gli faceva
quasi freddo. I vestiti da generale erano allo stesso tempo leggeri ed
ingombranti. A volte il cavaliere si chiedeva se ella stessa fosse davvero
un’elfo. A volte la paura prendeva il sopravvento. E lo sconforto. E la
debolezza. Ma ora non era così. Era arrabbiata, ma non disperata. Arrabbiata
col suo stesso padre. Odioso vecchio. Non aveva mai capito nulla. Non avrebbe
mai capito nulla.
Il profumo della notte stava
riempiendo le sue narici e i suoi pensieri. Era andata via per non pensare. E
stava facendo il contrario. Stupida. Il colore dei suoi stessi vestiti le dava
il mal di stomaco. Il rosso più acceso che avesse mai visto. Odioso. Chiunque
l’avrebbe vista nella notte più a Sud. Ma qui il buio era incredibilmente
profondo ed insuperabile. Non aveva certo paura di essere vista. Non aveva
paura di essere attaccata, né tanto meno di essere uccisa. Anche se erano
davvero pochi quelli che attaccandola avrebbero potuto ucciderla.
Il cavallo nitrì piano
‘Forse ha fame’ pensò il
cavaliere. Ma non aveva alcuna voglia di fermarsi. Feren avrebbe mangiato a
giorno fatto. Fortunatamente per lui Feren non aveva fame. Feren aveva sentito
un odore. Non aveva ancora il naso di un vecchio dopotutto. Ed infatti dopo
pochi istanti era lì. Un cavaliere vestito di nero. Era lì. E il cavaliere vide
per la prima volta qualcuno che non sarebbe stata in grado di abbattere. Non
nelle sue attuali condizioni, almeno. Feren fu colto da una paura che solo dopo
poco tempo avrebbe avuto un nome. E fuggì portando con sé il cavaliere. E il
cavaliere gliene fu grata. Perché anche nella sua forza, il cavaliere vestito
di nero aveva creato scompiglio e paura.
Feren corse veloce come non
ricordava di poter fare. Eppure il cavaliere lo sentiva, quello nero. Dietro di
se. Ma era lontano. Era lontano. Si era fermato? Il cavaliere non sentiva più la sua forza malvagia.
Lasciò che il cavallo color paglia, originario di Rohan si fermasse.
“Non c’è più pericolo, ora”
gli sussurrò all’orecchio. Ma non ne era affatto sicura. Feren ansimava. Si,
era diventato vecchio. A dire il vero anche il cavaliere ansimava. Era stato un
inseguimento breve ma molto intenso.
“Scusami Feren, la sfortuna mi
segue ovunque” mormorò accasciando la sua figura alta ed esile allo stesso
tempo, sul collo dell’animale.
“Chi sei?” disse la voce
severa, fredde eppure melodiosa, di un elfo. Non l’aveva sentito. Una cosa
quasi impensabile. Il cavaliere si voltò. L’elfo, dai tratti forti nascosti
dall’ombra era in piedi dietro di lei. Tendeva un arco che non aveva nulla di
elfico.
“Chi sei tu piuttosto, da
avere il coraggio e l’impertinenza di chiedermi una cosa del genere “ rispose
il cavaliere con aria di sufficienza. Prima che l’elfo potesse rispondere il
cavaliere era sceso da cavallo e gli aveva puntato la spada ricamata finemente
contro il collo.
“Fareste meglio a presentarvi
per primo” disse il cavaliere.
L’elfo trasse la spada dal
fodero, spostando quella del cavaliere. Probabilmente solo in quell’istante si
era accorto che il suo avversario era
una donna. Il cavaliere spostò il busto all’indietro. Le due figure perfette si
scontrarono in un paio di battute. Alla fine della terza, Il cavaliere era a
terra dopo aver inciampato su di una radice. L’elfo fece quello che il
cavaliere aveva fatto solo pochi istanti prima. allungò la spada contro il
collo dell’elfa. Ma il cavaliere non si sarebbe mai fatta sconfiggere. Con un
balzo all’indietro ed una capriola in aria, fu di nuovo in piedi. Le due spade
si sfiorarono di nuovo. Freddo rumore di metallo. Due cuori forgiati dallo
stesso materiale.
“Sei molto magra” disse l’elfo
“e molto forte. Non posso lasciare che tu scappi. Perdonami.” Allungò la mano
sinistra contro il collo dell’animale color paglia. Contro Feren. Il caro Feren.
Il cavaliere non poteva combattere se era in gioco la vita di Feren. Ripose la
spada nel fodero, lentamente alzando le mani.
“Una mossa piuttosto vile”
disse poi, posando a terra la spada con tutto il fodero e tutte le sue armi.
“Ti ho già chiesto di
perdonarmi”
“Nessuno ti assicura che ti
perdonerò” il guerriero elfo non doveva avere i nervi molto saldi. Estrasse il
pugnale , questa volta di fattura chiaramente elfica, e lo puntò alla gola di
lei.
“Il tuo nome” disse
“Non m’importa. Che tu mi
tagli la gola. Ma prima dovrai essere tu a dirmi il tuo”
“Io sono Reimer, il
Maledetto.”
“Nacque ai Porti grigi, colui
che detto è
il Maledetto
la sua famiglia distrutta
la sua amata rubata
ed uccisa
e la sua anima perduta
tra i mortali si nasconde
in cerca di sé stesso, dicono.
questa e la storia di Reimer
il Maledetto” così parlò il cavaliere. Una
filastrocca per bambini. Almeno così credeva.
“Quel Reimer. Ma ora mantieni
la tua promessa” il viso dell’elfo era diventato scuro. Il cavaliere pensò che
dovessero essere molte le ferite nel suo cuore.
“Il mio nome” disse il
cavaliere “è Leannel. Ma se tu stesso non hai memoria del mio nome non ti
svelerò la mia identità.”
“Sembra che io abbia
incontrato qualcuno di più Maledetto di me” mormorò Reimer. Le sguardo di Leannel,
di Bosco Atro, figlia di Thranduil, divenne ardente. Lo sentiva che già non
poteva più sopportare quell’elfo.
Passò qualche ora. Il
Maledetto sembrava non avere alcuna voglia di cavalcare nella notte, quindi
attesero il sorgere del sole. Reimer decise che non ci sarebbe stato alcun
bisogno di legare Leannel, perché questa sembrava essere una donna d’onore e
non sarebbe mai scappata senza il suo cavallo.
I due guerrieri e Feren partirono non appena il giorno glielo rese
possibile. Sembrava che anche Reimer avesse un cavallo. Legò il suo a quello di
Leannel. Così non avrebbe mai potuto scappare.
“Come hai fatto a sapere che
non avrei reagito se te la fossi presa col mio cavallo”
“Non è da tutti parlare al
proprio cavallo” rispose freddamente Reimer. “ma ditemi, che ci fa una
guerriera elfo come voi in un posto desolato come questo. Per di più così
lontano da casa sua” Leannel l’aveva dimenticato. Il voi. Come se parlare
liberamente con quell’elfo fosse stato normale. Stupida, si disse.
“Non amo casa mia, né i posti
affollati. Ma non era mia intenzione giungere a questa steppa infinita..”
infatti. Ora la poteva vedere chiaramente. La steppa. Un incredibile mare di
erba e di paglia dorata. Poche montagne
lontane, le cui cime dovevano essere perennemente innevate. Un paesaggio
meraviglioso. Non ne vedette più così.
“Non so nemmeno se faccio bene
a lasciare che voi vediate la strada…”
mormorò Reimer. Leannel non capiva, ma era molto presa da quell’ambiente nuovo
“Comunque non mi avete ancora detto che ci fate qui”
“Ero sola, non molto lontana
da qui. Ad un tratto ho visto un essere come non ne avevo mai visti. Era
vestito di nero e non potevo vedere altro. non il suo viso. Non il suo fisico.
Solo un mantello nero. Gridava. Un grido da mettere i brividi. Il mio cavallo
si è spaventato molto. Ed è scappato. E siamo arrivati dove ci avete trovati.”
“Un cavaliere nero. Forse un
Nazgul. Voi avete una forza non comune. Una strana energia. Forse è stato
attratto da quella. Ma non sapevo fossero liberi di andare dove preferissero.
Siete senza dubbio una persona molto strana.”
Un cavaliere nero. Una Nazgul.
Roba da libri. Forse la stava solo prendendo in giro. Forse era solo un sogno.
In effetti ora aveva un gran sonno. Gli occhi si socchiusero e la figura si
accasciò. Riemer le dava un certo senso di sicurezza.
Reimer aveva deciso di
fermarsi. La strada non era molto lunga in fondo. E sembrava che il cavaliere
non avesse intenzione di svegliarsi. Era molto bella, Leannel. Non ricordava
quanto un elfo potesse essere bello. Tutto ciò che riusciva a ricordare della
sua vita tra gli elfi era solo la morte della sua famiglia. Nessuno di quei
fottuti elfi gli era venuto in contro. Solo quelli della stirpe degli uomini.
Erano amici di suo padre. Aveva abitato a Numenor. Aveva amato la futura
regina, Tar-Miriel. Ma le era stata portata via. E Numenor era caduta. Tutta la
sua vita era caduta di nuovo. E di nuovo degli elfi nessuno che fosse disposto
ad aiutarlo. E gli ultimi numenoreani erano diventati la sua famiglia. Eppure
quella donna gli faceva tornare alla mente tutte le cose belle degli elfi.
Tutta quella pace. I suoi fratelli. Sua madre. Non mentiva sul fatto che fosse
strana. Aveva quegli occhi tra il blu ed il grigio. Così taglienti. Così
tristi. Ora sentiva solo che avrebbe voluto sapere più cose su quella donna
elfo bellissima. Non sapeva neppure se stava facendo bene a portarla alle
montagne, tra i suoi. Ma pensava che infondo non fosse malvagia. E , nonostante
fosse l’individuo meno innocuo cha avesse mai incontrato, non credeva che le
avrebbero fatto del male. A una donna così bella. Chi avrebbe mai potuto fare
del male.
Leannel si svegliò. Doveva
essere passato molto tempo. E molto tempo era passato anche da quando aveva
dormito così tanto l’ultima volta. Si sedette. Poi si guardò attorno. Mura di
pietre. Non una palazzo sfarzoso, non una candida reggia. Faceva un po’ freddo a pensarci. Sul letto
molte coperte. E pensare che adesso era estate. In inverno il freddo doveva
essere insopportabile. Ma non era questo l’importante. L’importante era sapere
dov’era. Sapere dove fosse il suo accompagnatore. Leannel sbuffò. Stupida, si
disse, va a cercare quel Maledetto Elfo.
Si alzò. Ora le sue vesti
erano divenute bianche. Qualcuno doveva essersi appropriato degli abiti rossi.
E per quanto gliene importava, poteva anche tenerseli, questo qualcuno. Aprì la
porta violentemente. Sembrava essere una rude copia di un palazzo. Tutto in
pietre grigie. Esercitava comunque un certo fascino. Leannel fece qualche
passo. Quel posto le dava ai nervi. Si sentiva completamente persa. Per una
sola volta avrebbe voluto essere riconosciuta per quello che era. Una
principessa. Che qualcuno si ricordasse di lei.
“Sto cercando Reimer, qualcuno
vuole sentirmi?” gridò
“Devo chiederti scusa un’altra
volta” disse l’elfo, di nuovo alle sue spalle.”Ho lasciato che si
dimenticassero di te. Ma sono brave persone. Non avere paura” Leannel avrebbe
ribattuto se Reimer glielo avesse permesso “ora ti devo portare dal mio
signore. Poi potrai dirmi quello che vuoi.” I due si mossero con passo veloce e
silenzioso. Reimer era molto diverso. Come se quelle mura di pietra gli
avessero dato un po’ di serenità, il sentimento che era completamente assente
nei suoi occhi solo la sera precedente. Quel sorriso lontano aveva dato anche
a lei un po’ della sua forza. Doveva
aver vissuto molte cose, Reimer.
I passi chiari si avvicinarono
alla sala più grande del palazzo.
Un uomo piuttosto alto, ma dal
viso ormai vecchio, i capelli ingrigiti dal tempo, e i due occhi azzurri
taglienti e chiari. Un uomo che certamente non si aspettava chi sarebbe entrato
da quella porta.
“Rimani in silenzio” sussurrò
Reimer. Ma forse sapeva che era pressoché impossibile che questo avvenisse.
Leannel lo superò. Il passo di
lei era quasi più silenzioso di quello di lui.
“Eccomi, mio signore. L’ho
trovato” disse l’elfo, rivolto verso l’uomo dai capelli grigi che, di spalle
guardava il fuoco scoppiettare allegro nel grande caminetto. Sembrava un uomo
piuttosto semplice.
“Colui che aveva attraversato
la barriera” mormorò l’uomo, voltandosi. Ma quando la vide, Leannel,
bellissima, la sua reazione fu ben diversa da quanto avesse previsto.
“ma chi? Questo è il
prigioniero?”
Reimer fece cenno di si col
capo. Sorrideva. Leannel comprese che i due dovessero essere molto amici.
“Sono stata spinta in queste
terre da un cavaliere nero, Nazgul, l’ha chiamato il suo servitore”
“Un Nazgul?” Reimer fece di
nuovo cenno di si col capo. Il suo viso era diventato grave.
“Non trattatela come una
prigioniera. Prenditene tu cura. Lasciala andare quando vorrà” Reimer sbuffò.
Non aveva nessuna voglia di prendersi cura di Leannel. Non che Leannel fosse
tipo di cui doversi prendere cura. Ma nessuno laggiù sapeva chi fosse Leannel.
E forse questo fu uno dei punti a favore del rapporto con Reimer.
Uscirono in silenzio dalla grande stanza di legno che agli occhi
di Leannel occhi non appariva affatto sfarzosa. Pelli appese alle pareti di
pietra. Un focolare nel centro della sala. Il trono scolpito nel legno. Era
piuttosto irritata. Sembrava che là nessuno conoscesse nulla del ‘suo mondo’ .
sembrava che nessuno la conoscesse. Si assicurò di essere lontana dalla sala
del re. Afferò quel piccolo pugnale che ogni elfo è solito tenere in un luogo
nascosto, in modo che non gli possa essere portato via, che nel suo caso era
negli stivali, e lo puntò alla gola dell’interlocutore.
“Primo punto: spero fermamente
per il tuo collo che non sia stato tua
cambiarmi.
Secondo: spero tu sia contento
ora che ho parlato col tuo sporco re Barbaro. Ora che hai intenzione di fare?
Vuoi farmi ballare su un tavolo per divertirti?”
Col dorso della mano destra
Reimer spostò quel pugnale sottile.
“Avevo ragione. Tu sei più
maledetta di me” il suo viso era incredibilmente grave. Si voltò. Non aveva voglia
di parlare. Voleva solo restare solo. Ma in quel posto che non conosceva, e
soprattutto dove nessuno conosceva lei, Leannel non aveva intenzione di
allontanarsi dall’unico di cui conosceva il nome.
“Ti ha detto di prenderti cura
di me, il re Barbaro”
“Non ho mai avuto intenzione
di obbedire ai suoi ordini”
“Ah no? E allora ce ci fa un
elfo come te, sotto l’ala di un re barbaro? Un pulcioso mortale che non ha mai
combattuto una battaglia in vita sua?” Leannel sapeva essere molto provocatoria
quando lo voleva. A Reimer ora faceva solo molto male la testa. Ma sapeva di
doverle dire una cosa.
Con l’avambraccio spinse la
donna elfo contro il muro.
“Quello che voi chiamate Re
Barbaro, è l’unico erede dei fidi. Sangue reale degli uomini. E sarebbe un uomo
incredibilmente giusto e valoroso se qualcuno volesse restituirgli quello che
gli appartiene” Leannel rimase in silenzio. Non solo il ‘re Barbaro’ non era un
Barbaro. Ma forse era anche il più importante dei mortali viventi. Doveva
esserci un motivo per cui Reimer fosse lì. Ma le storie di Reimer il Maledetto
non erano altro che filastrocche.
“Adesso portami in un bel
posto solitario dove si possa parlare.” Disse lei con tono inusualmente
tranquillo. Reimer si allontanò con un’espressione incerta dipinta sul viso.
Reimer obbedì. Non sapeva
nulla di quel cavaliere elfo. Salvo il suo nome ed il fatto che i suoi occhi
fossero incredibilmente tristi.
Un posto solitario e
silenzioso. Il Re gliel’aveva donato appena era arrivato. In effetti il Re
aveva un’altissima considerazione di Reimer.
La sua stanza. Piccola a dire
il vero. Piccola e buia. Il Maledetto non necessitava di troppa luce, pensò
Leannel. Sul fondo della stanza una grande porta bianca. L’unica cosa grande e
bianca nella camera. Il disordine regnava su ogni altra cosa. Il Maledetto non
doveva curarsi molto di quello che lo circondava. Doveva essere molto triste.
Reimer aprì la porta fissando Leannel. L’elfa non poteva credere che Reimer
stesse sorridendo. Reimer non era uno che sorrideva. Ma sembrava emanare
tranquillità, ora. Leannel pensò che dovesse essere passato molto tempo
dall’ultima volta che aveva visto un elfo.
Eccolo. Un luogo solitario e
silenzioso. Leannel non ricordava che fosse calata la notte. Aveva dormito
molto più a lungo di quanto credesse. Leannel pensò che se solo fosse stato
giorno, quella finestra sola avrebbe dato a tutta la stanza una luminosità
incredibile.
Il piccolo cortile sembrava
essere circondato da mura di pietre bianche. Qualche albero e dei fiori
bianchi.
“Quella è una tomba?” chiese
la donna elfo fissando quei fiori bianchi.
“Si, lo è” rispose Reimer
ermetico.
“la sua amata rubata e
uccisa. Un uomo legato al passato.”
“Vorrei non esserlo” Reimer
prese a fissare il vuoto. Se Leannel non fosse stata tanto eloquente forse
avrebbe provato a replicare.
“Bravo a scrivere ma non
altrettanto a voltare pagina. Questo è quello che avrebbe detto Galadriel di
uno come te”
“Non parlarmi di signori
Elfici. Non ne conosco né ricordo i loro nomi altisonanti.”
“Sei schivo. Non è affatto
facile parlare con te”
“Tu mi hai chiesto di portarti
in un posto dove si potesse parlare.”
“Questo posto è piacevole”
mormorò Leannel. Non aveva ascoltato quello che aveva detto Reimer. Ora le era
facilmente comprensibile perché il Maledetto si fosse rifugiato in un luogo
come quello. Socchiuse gli occhi. Sarebbe rimasta là per tutto il resto della
sua vita se avesse potuto. Ma si doveva fare quello che si doveva fare. Non
doveva nemmeno pensare di poter rimanere per un tempo così indeterminato come ‘tutta
la vita’ tanto lontana da casa. Tanto vicina alla felicità. Riaprì gli occhi.
Reimer era seduto accanto a le sue gambe. Decise che era decisamente più saggio
sedersi.
“Tu non mi ascolti..” Reimer
non era affatto uno stupido. Leannel si voltò verso di lui. Sorrideva. Ma nel
suo sorriso erano.. Lacrime. Reimer non aveva mai visto un sorriso tanto
triste. Nemmeno negli occhi della sua donna mentre moriva. Come se le avessero
impedito di prendere ciò che le avrebbe che le avrebbe donato pace, o gioia, o qualunque
altra cosa d cui avesse bisogno. Per un istante ebbe pena di lei. Inconsapevole
di avere a che fare con la sua parte più remota.
“La prima volta che ci siamo
incontrati hai detto” riprese Leannel che ora sentiva solo molto freddo “che
avevi incontrato la persona più maledetta di te. Tu non sai nulla.”
“L’ho letto nei tuoi occhi.
Dolore. Tu hai tentato di ucciderti più di una volta. Ti ho sognata” Leannel
non sapeva quanto i suoi occhi potessero spalancarsi. Era stupita.
“Sembra che ci si possa intendere,
tra maledetti” rispose Leannel, ridendo.
“Forse” rispose Reimer allo
stesso modo. Sembrava che davvero tra
maledetti ci si potesse intendere. Reimer non aveva mai pensato di trovare una
persona come Leannel. Non credeva che esistesse davvero quella donna dei suoi
sogni.
Un silenzio breve. Reimer
aveva fame. Decise che era giusto andare a prendere qualcosa da mangiare.
“Aspettami qui” mormorò.
Leannel si perse di nuovo
nella brezza leggera e nell’odore dolce che riempivano il piccolo cortile.
Reimer non cercava cibi
particolari. Nulla più di pane e formaggio. Fu presto di ritorno. Non avrebbe
mai immaginato di trovare quello che vide. Leannel dormiva. E Leannel non aveva
il viso di chi dormisse con facilità. Reimer sorrise. Non ricordava di aver sorriso
tanto in una sola giornata da quando Lei era morta. Ed ormai era passato del
tempo. Reimer si compianse.
“Sei uno stupido” sussurrò
“Saper scrivere ma non voltare pagina”
Leannel si svegliò. Non
ricordava quanto potessero essere calde le sue guance. Pensò che era la seconda
volta che si addormentava. Forse era Reimer. L’elfo guardava il nulla con
un’espressione indecifrabile dipinta sul viso.
“Hai fame?” chiese lui. In
effetti Leannel aveva notato che Reimer stesse mangiando. Non aveva molta fame.
Ma neppure il contrario. Reimer non era affatto di appetito vorace. Leannel
annuì. Reimer le passò del pane.
“Chi è la donna sepolta?”
chiese Leannel, col garbo e la delicatezza sufficienti per avere una risposta.
Reimer la fissò. Leannel non guardava qualcosa in particolare. Quasi la sua
anima le imponesse di fare quella domanda, non la sua curiosità o qualcos’altro
di terreno.
“Una donna famosa. Il suo nome
era Tar-Miriel. Anche se a me era concesso chiamarla con la sola seconda parte
del suo nome”
“E’ morta durante la caduta”
“Dove hai vissuto?” Reimer non
si rendeva conto di quanto la sua interlocutrice fosse realmente interessata e
consapevole degli eventi che non la riguardavano. Probabilmente conosceva la
caduta solo attraverso i canti, nonostante fosse sicuramente più vecchia di
lui. Leannel lo guardò negli occhi, con aria offesa. Reimer decise che era
meglio andare oltre. In fondo forse il suo era solo un modo per guadagnare
tempo.
“Quando ero un bambino”
riprese “vivevo ai Porti Grigi. Ma la mia famiglia fu sterminata. Venni rapito
da un gruppo di orchi. Da quel momento venni detto il Maledetto. E gli alti
elfi, e tutti i tuoi amici famosi, dai nomi altisonanti, fecero finta che io
non esistessi. E gli unici che ebbero pena di me furono i signori di Numenor.
Fu così che andai a vivere laggiù. E quando nacque Miriel crescemmo, e credetti
di essere tornato felice. L’amavo molto. avremmo regnato assieme e sarebbe
stato bellissimo. Ma non mi fu dato. Venne promessa a colui che è ricordato
come Ar-Pharazon ed egli regnò al suo posto e al mio. E accaddero tutte quelle
cose che conosci. Io ero lì quando la città cadde. Ero lì quando lei morì. Ero
lì quando il mio mondo cadde. Salvai un buon numero di cittadini, ma poi
compresi che non avrei potuto vivere più con quella gente. Vagabondai a lungo.
Fin quando arrivai qui. Questa gente sincera.”
“Non ti avevo chiesto di
parlarmi della tua vita” disse Leannel
“Non ha importanza” rispose.
Leannel non potè nascondere di provare una grande tristezza nei confronti dell’elfo.
Si assomigliavano davvero. Si sentì in colpa verso se stessa per non avere mai
amato qualcuno come aveva fatto Reimer. Silenzio. Ma ora nessuno aveva voglia
di rimanere in silenzio. “Forse anche tu avresti bisogno della stessa gente
sincera” concluse l’elfo dai capelli corvini.
Leannel non perse mai di vista
il niente che stava fissando. Forse aveva davvero bisogno della stessa gente.
Forse.
“E’ un bel posto per redimere
le proprie pene” disse
“Lo è” rispose. Leannel si
accorse di avere più sonno di quanto si ricordasse di aver mai avuto. In
qualche modo Reimer comprese quello che la donna voleva dirgli.
“Va pure a dormire nelle mie
stanze. Troppi ricordi sono tornati alla mia mente questa notte. Non dormirei
neppure se volessi.”
Leannel si alzò. A condizioni
normali, con una persona normale, probabilmente non sarebbe mai andata davvero
a dormire. Ma Reimer le ispirava molta sicurezza. E quelle ferite sul ventre ed
ai polsi non si erano ancora rimarginate. Leannel si fece spazio nella caotica
camera. Sul letto erano un paio di libri aperti e delle cartine. Ma Leannel non
se ne preoccupò. Gli gettò tutti a terra, nascondendosi sotto le coperte calde.
Non ricordava una notte tanto fredda.
Freddo. Ma ora il freddo era
diventato umido. Freddo. Come se avesse avuto l’acqua fin sopra le caviglie. E
così era. Dove si trovava? Era tutto così assurdo. Come se il suolo attorno a
lei stesse sprofondando. Era così. Senza dubbio. L’acqua salata saliva e
saliva. Un brivido freddo attraverso la schiena. Dov’era. Chi era. Odiava da
sempre quel genere di sogni. Quei sogni dove dalle sole circostanze doveva
intuire chi fosse o quale ricordo stesse percorrendo. Correva. Doveva correre
da qualche tempo. Il suo fisico era forte ma affannato. Correva assennatamente.
“Miriel!!” gridò. E in effetti
c’era. Miriel. Era molto bella. La più bella mortale che Leannel avesse mai
visto. I freddi occhi chiari ed i cappelli nerissimi, e la pelle bianca. Ma ora la pelle bianca era
macchiata di sangue. Una casa sotterranea. Di pietra. Là sotto l’acqua arrivava
fin sopra le ginocchia. E Miriel era al suolo, sotto il peso di un masso o un
grosso brandello di muro. Allungava le mani. Aveva il viso di chi non lo
avrebbe fatto se l’uomo che le andava incontro non fosse stato qualcuno di immensamente
caro.
“Miriel”
“Cosa diavolo ci fai tu qui?!”
rispose la donna con fare duro e deciso.
“Lo sai che non avrei mai
potuto lasciarti”
“Stupido. Non è mai andato
nulla come avrebbe dovuto. Non lo è stato nemmeno per il mio popolo oltre che
per me.”
“Non dire mai più nulla del
genere. Io e te scapperemo. La colpa è solo di tuo cugino”
“Pharazon è mio marito. Io e
quelli che gli hanno creduto siamo destinati a morire. Porta la mia gente in
salvo” Freddo. Lo sentì chiaramente. Il gelo nel cuore di Reimer. Reimer si
rendeva conto che le parole della donna che aveva amato erano veritiere. Che
lei era morta e che tutto era finito. Forse era davvero Maledetto e portava
sfortuna. Leannel si promise che avrebbe chiesto spiegazioni a Galadriel o a
Gandalf dei fatti che scorrevano davanti ai suoi occhi.
“Cosa sarò io, da solo?”
mormorò Reimer
“Come sempre, da solo sarai
più di chiunque altro. E se ora con me non ti è concesso, un’altra volta
morirai per colei che ami”
Era finita. Ora Leannel non
sentiva più il freddo dell’acqua salmastra sulle caviglie. Eppure non era
sveglia. Non era il mondo Reale. Era ancora il sogno. E ora lo sentiva.
Quell’odore. Quell’odore che aveva sempre cercato. L’odore carnefice della
battaglia. L’odore che una volta nel tuo naso, non ne usciva più. Ma era un odore lontano. Quasi un
evento che dovesse ancora accadere. Reimer era di fronte a lei. Teneva un
braccio lungo il fianco, probabilmente era ferito. Nell’altra mano impugnava
una lucente spada elfica. C’era un guerriero dalle piccole fattezze a terra. Sembrava ferito. Sembrava una donna,
invero. Le parve irreale che due elfi in battaglia portassero armature. Un suo
stesso ordine. Dall’elmo dell’elfo a terra cadevano opachi capelli neri. Gli occhi
erano marrone nocciola. No, non sembrava affatto un uomo. Reimer, il volto
segnato dagli anni passati e da qualche battaglia, le si avvicinò. A Leannel
parve che l’elfo a terra piangesse.
“Non farlo Reimer” supplicò.
“Mi dispiace, piccola mia, mi
dispiace. Ma qualcuno di noi deve morire. E questa volta devo poter essere io a
farlo.” Rispose Reimer. In quel momento Leannel si sentì avvolta da un vortice
oscuro. Quasi prevedesse quello che le avrebbero portato la morte di Reimer e
di tutti gli altri.
Si svegliò. Succedeva sempre
quando i sogni si facevano troppo realistici. Reimer sedeva accanto ai fianchi
di Leannel. Leggeva un libro, ma non aveva mai smesso di lanciarle occhiate
preoccupate. Non aveva mai sentito un sonno tanto assennato. Si voltò
“Siete sveglia”
“Si, lo sono” risposerei alzandosi
a sedere.
“Hai fatto un sogno”
“Già. E considera che questo è
un periodo nel quale non sogno molto” Reimer sorrise. Incredibile davvero
quanto si assomigliassero.
“La ragazza di mio fratello ha
lo stesso nome della tua”
“Pensavo che Miriel fosse un nome
in disuso”
“Miriel è un nome elfico in
realtà”
“Miriel è la madre di Feanor”
Leannel annuì sorridendo. Ora
l’ipotesi di poter rimanere lì per tutta la vita non era più tanto lontana ed
irraggiungibile.
“Che ore sono?” chiese la
donna
“E’ presto. Cosa vuoi fare?”
“Fammi conoscere questi
luoghi.” Reimer annuì, incerto. Cominciava a comprendere quali fossero le
intenzioni di Leannel. Ma sapeva, l’aveva sognato, che non sarebbe potuta
rimanere davvero in quei luoghi.
Nonostante fosse ormai
primavera inoltrata, sul freddo bosco circostante la città perduta, continuava
a perdurare una brina leggera ed un vento gelido. Ogni arbusto era argentato da
questa. Leannel non aveva mai visto un bosco invernale. Nelle sue terre aveva
sempre risplenduto un sole caldo ed estivo, tranne che in pochi isolati casi di
pioggia. Leannel non sapeva se quel
regno era fatto solo di luoghi così perdutamente belli, ma per adesso ne
conosceva solo quella faccia.
“Ma come non ci fermiamo?”
disse
“Non è ancora questo il posto”
rispose freddo Reimer. Leannel pensò che Reimer avesse intenzione di farle una
specie di sorpresa. Non aveva idea di che luogo si trattasse. E non aveva
neppure idea del motivo per il quale Reimer le aveva fatto portare con sé le
armi.
“E’ un posto bellissimo ma
pericoloso” disse Reimer, indovinando i pensieri di lei. Pericoloso?
E infine eccolo. Reimer spostò
i pruni di more e passò oltre. La stessa cosa fece Leannel. Non aveva mai visto
nulla di simile. Nulla che fosse allo stesso tempo tanto aspro e tanto meraviglioso.
Una perfetta sintesi di Reimer. Una specie di Canyon. Leannel non ne aveva mai
visti. Due enormi rocce rossastre, ma forse erano montagne in principio,
scavate al loro frammezzo da un fiume, ora ridotto a pochi zampilli, mentre il
resto era catturato dal ghiaccio. Sulle cime dei massi rocciosi era la stessa
brina. Poche piante. Era meraviglioso. Avrebbe voluto che ci fosse qualcuno a
dipingerlo per lei. Ma quel posto era maledettamente pericoloso. E infatti
eccolo, uno spettro. Un cavaliere nero come quello che l’aveva aggredita notti
prima.
“Maledizione” mormorò Reimer
in preda alla rabbia “Maledetto! Ora Leannel è meglio che io vada. Lo
respingerò. Quei bastardi hanno cominciato a vanire sempre più vicini.”
“Posso darti una mano”
“No, ho visto le tue ferite.
Rimani qui. Tornerò presto.”
Probabilmente se avesse
conosciuto solo un poco più Reimer, Leannel si sarebbe messa a gridare. Ma
c’era qualcosa nella sua voce che diceva che Reimer sapeva quello che faceva. E
per una volta Leannel si arrese all’idea che davvero la sua ferite potessero
impedirla.
Si sedette. Poi si guardò
attorno. Lo vide. Un piccolo pugnale d’acciaio lucido. E la sentì. Quella
stessa voragine oscura. Che l’aveva avvolta in sogno e dalla quale si sarebbe
lasciata avvolgere, ora, da sola.
Si allungò ad afferrare il
pugnale. Era così. Era lucente. Era incredibilmente vicino al suo polso.
No, non era giusto. Perché?
Perché avrebbe dovuto sentire il bisogno di uccidersi? Aveva conosciuto Reimer.
E quei luoghi bellissimi. Perché. Dai suoi occhi tristi sgorgarono gocce
argentee. Non poteva fermare l’altra sua mano. Era forte. Mai lo era stato
tanto. La sofferenza riaffiorò sulla sua pelle. Quella sofferenza che aveva
dimenticato sostituendola con quella di un’altro. ecco perché. Ecco perché
Reimer e Leannel non si sarebbero mai potuti amare. Reimer non dava abbastanza
tranquillità. Reimer era doloroso ed assennato, esattamente come lei. Ma più
forte. Ancora più vicino al suo polso. La lama sfiora la pelle. Piccole gocce
rossastre. Il polso piange. La carne piange. L’anima stessa piange. Si chiese
come era riuscita a fare in modo che il pugnale non entrasse nella carne. Ma
non ebbe tempo di darsi una risposta. Il pugnale stava entrando nella carne. E
in quel momento giunse provvidenziale Reimer. In quel momento, mentre Leannel
sveniva.
Per la seconda volta Leannel
si svegliò nel letto di Reimer. Cercò di sedersi facendo leva sui polsi, ma
quello ferito era incredibilmente dolorante e bruciava. Non aveva idea di cosa
c’avessero messo per fare in modo che
non morisse. Pensò che Reimer non aveva detto sicuramente a nessuno com’erano
andate davvero le cose. Era un elfo discreto.
Reimer si voltò. In qualche
modo percepì che Leannel si era svegliata. Aveva fatto bene a farla portare in
camere sua mentre dormiva. Ed aveva fatto bene a non parlare a nessuno di come
si era fatte quel taglio profondo sul polso. Lo scontro col cavaliere, aveva
detto. Si disse che era uno stupido. Ma ora doveva chiederle spiegazioni.
“Ascolta la storia
di Leannel la maledetta” canticchiò entrando nella stanza. Leannel lo guardò con
sofferenza. Reimer capiva. Ma non aveva intenzione di lasciare che lei non gli
parlasse dei motivi.
“Sono successe molte cose.
Molte cose che non mi permettono di vivere” disse lei. A Reimer poteva bastare
in qualche modo la spiegazione di Leannel. Avrebbe scoperto poi la cosa in
dettagli. “Scusami” continuò lei “ti ho costretto a mentire, solo perché sono una debole”
“Non devi farlo mai più”
Reimer non era molto comprensivo in situazioni simili
“Non posso farti questa
promessa”
“Per lo meno, allora, cerca di
non ferirti più” Leannel non rispose. Con la mano sinistra si sfiorò la fronte.
Se avesse fatto una promessa del genere avrebbe dovuto impegnare ogni
centimetro della sua volontà
“Lo farò. Se tu mi lascerai
rimanere qui”
“Non posso farlo e lo sai. Non
è qui il tuo destino” Era finita. Un’altra volta. Non potava esistere qualcuno
che davvero la capisse. Leannel si alzò, rivestendosi.
“Dove stai andando?”
“Devo tornare a casa” rispose.
Si sentiva incredibilmente stupida. Come aveva potuto. Sembrava tutto andare
fin troppo bene, in effetti. Magari avrebbe potuto rimanere la, per sempre, e
poi innamorarsi di Reimer,e vivere di
nuovo. Infondo era sempre stato il suo sogno. Cominciare una nuova vita.
Lontano. E poter decidere esattamente chi essere. Ma aveva rovinato tutto. Come
sempre. Aveva trovato qualcuno che almeno provasse a capirla. Ma era tutto
finito. Doveva andare. Si era rovinata la faccia di nuovo. Leannel si alzò.
Forse era lei ad essere troppo veloce a girare le pagine. Troppo spaventata.
Reimer non immaginava quanto
potesse essere veloce. Lo odiava. Come odiava chiunque altro. ora correva. Non
sapeva nemmeno lei per dove. Era seminuda in realtà. Ma non le interessava.
Faceva freddo. Le aveva sempre fatto freddo. Ma forse non sarebbe mai dovuta
giungere in quei luoghi. Forse. Vagò un po’ mentre si sforzava di non piangere.
Non le interessava cosa pensasse quella gente. Quei barbari. Smise di correre
non appena fu sicure che Reimer avesse smesso di inseguirla. Ma non le trovava.
Maledette stalle. Faceva davvero freddo. Eccole. Eccole, finalmente. Per puro
caso le aveva trovate. Forse se non lo avesse fatto avrebbe costretto qualcuno
a dirle dove si trovavano. Ma eccole. A terra paglia. Bucava i piedi. Ma non le
interessava. Pochi passi. Ecco Feren. Ma non era solo. Un uomo alto, dai lunghi
capelli neri. I vestiti di pelle consumata. Carezzava il cavallo.
“Sei arrivata” disse
“Non è giusto che tu mi stessi
aspettando” rispose Leannel
“Era più che prevedibile”
riprese Reimer “dove avrei potuto trovarti”
“Io non ho nessuna intenzione
di parlarti”
“Ti costringerò a farlo”
Reimer sfoderò la spada puntandola al collo dell’animale “ti ricordi? Sei molto
magra e molto forte. Non posso lasciare che tu scappi. Perdonami.”
“Ricordo. Ed è stata una cosa
vigliacca anche la prima volta” Leannel si sporse avanti. Sapeva perfettamente
che Reimer non avrebbe mai ucciso il suo cavallo. “Non essere stupido” spostò
il braccio di lui, tornando al dorso del suo cavallo. Maledetta. Era troppo
intelligente. Non l’avrebbe fermata con un mezzo tanto stupido. Ora Leannel era
sul suo cavallo. Reimer aggrappò le briglie.
“Dimmi perché” aveva il suono
di un ordine più che di una richiesta.
“Non devo dirti niente.”
“Parla” era diventato
incredibilmente minaccioso. Leannel lo fissò in istante nel profondo degli
occhi neri. Deglutì.
“Una lunga serie di
avvenimenti spiacevoli.”
“Una serie qualunque di
avvenimenti spiacevoli non porta a quello che hai fatto tu” la interrupe Reimer
“Sappi che mia madre era la
signora di Bosco Atro, un tempo” Lo sguardo di Reimer divenne scuro. Tutti
conoscevano la storia della signora di Bosco Atro. Una storia molto triste.
Come triste era la storia di sua figlia.
L’elfo in effetti non le aveva mai chiesto da quale contrada provenisse.
Ma era indubbio che Leannel fosse una principessa. Forse avrebbe potuto
arrivare da solo all’identità di lei. Reimer non aveva mai pensato che il
suicidio fosse cosa da affidare ai geni. Adesso qualcosa di nuovo era nel cuore
di Reimer. Come se avesse scoperto in quel solo istante cosa avrebbe dovuto
fare nella sua vita a seguire.
“Ora puoi lasciarmi” disse
Leannel accortasi che il suo compagno aveva lo sguardo ben distante.
“Potrei” rispose lui “ma non posso.” Quindi, si lasciò le briglie dell’incerto
Feren
“Cosa intendi?” chiese lei
Reimer saltò velocemente sul
dorso del cavallo più bello che vide nelle stalle.
“Andiamo insieme a Bosco Atro”
Ora avrebbero girato insieme
le pagine del loro libro. Per sempre.