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Autore: Leannel    08/06/2004    0 recensioni
Storie delle vite passate di Leannel e compagni. In questa primo incontro tra lei e Reimer
Genere: Avventura, Azione, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il giovane cavaliere dall’aria femminea cavalcava silenzioso nella notte

Introduzione

 

 

CCCCCCCCCIIIIIIIIAAAAAAAAAOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!

Come sempre il lupo perde il pelo ma non il vizio!!! E quindi ecco una nuova FF breve su Leannel. Vi avevo promesso infatti una fiction sulle vite dei 4 compagni della mia amica (Leannel), ma il tempo non mi permette di tirare giù una cosa così complessa, per cui vado in una sola direzione…L’ISPIRAZIONE!!

Il primo capitolo è il seguente, e tratta del COME si sono conosciuti Reimer e Leannel. Sono consapevole del fatto che il vecchio Rei abbia riscosso un sacco di apprezzamenti. Questo è comprensibile, perché Reimer è triste, è bello, ed è molto fascinoso.

Rendetevi conto che la storia di Reimer, ancora antecedente a questa è semplicemente di mia invenzione. Non ho alcuna intenzione di definirla. Altra cosa da notare è il fatto che il Signore di Reimer non ha un nome. A dire il vero non volevo dare un tempo definito a questa storia. E anche poi non conosco tutta la storia dei Re Numenoreani dopo la caduta di Numenor.

Leannel è sempre depressa. Sempre e comunque. A dire il vero mi sembra che la sua fiducia sia troppo veloce e mostrarsi nei confronti di Reimer. Ma mi piace pensare che lui sia una persona differente dalle altre e che anche per Leannel sia la stessa cosa.

Voglio mettere in chiaro, anche se mi sembra di averlo detto nel racconto, che tra Lea e Rei non c’è nessuna forma di affetto che somigli all’amore. Non nel senso di innamorati almeno. Il loro rapporto è platonico e fraterno. Volevo renderlo simile a quello che è il mio rapporto con un mio grandissimo amico. Ricordate che ancora Lea non sa nulla dell’amore. E poi nutre una certa forma di rispetto. Comunque sarà meglio che lo capiate da soli.

Le altre arriveranno. Comunque grazie per lo starmi leggendo. Grazie.

Spero che vi piaccia anche questa.

 

A tutti quelli che hanno un incredibile bisogno di amicizia

 

A tutti quelli che la conservano gelosamente

 

With love

Zoozy or Leannel
La ballata di Reimer il Maledetto

 

Il giovane cavaliere dall’aria femminea cavalcava silenzioso nella notte. Solo. Non aveva mai amato la compagnia, quel cavaliere. Era a Nord. Se non fosse stato un elfo forse avrebbe avuto freddo. Ma era un elfo. E di conseguenza non ne aveva. Le vesti da uomo non erano mai state così ricche. Il cavaliere non amava le cose sfarzose. Ma aveva da poco ricevuto una carica di soldato da suo padre, e per ancora un po’ di tempo avrebbe dovuto farsi vedere in giro ben vestito. Ma lassù, in quelle lande all’apparenza desolate, quale elfo avrebbe mai potuto vederlo? Non se ne curava comunque. Probabilmente non avrebbe parlato con nessuno per tutta la durata del suo viaggio. Il cavaliere non era uno che amasse in particolar modo la gente. La gente in generale. Fosse la gente uomini, elfi o nani. O di qualunque altra specie. Era davvero poca la gente che il cavaliere amasse. Suo fratello. La ragazza di suo fratello. E forse il suo unico mentore. E poi c’era un’altra cosa. C’erano loro. Le anime instabili. C’erano i cavalli. Ma il cavaliere non aveva mai amato nessuno con la sua anima. Non ne aveva mai avuto il modo. Ed il suo cuore era già troppo arido. A quel tempo il cavaliere era ancora molto solo. Non aveva un uomo da amare. Un uomo. già, perché il cavaliere non era un elfo come gli altri. Il cavaliere era un’elfo. Un’Elfa.

Gli abiti da uomo, ma lunghi e quasi ingombranti, cadevano dolcemente sui fianchi del mansueto cavallo color paglia che accompagnava il cavaliere. Un cavallo vecchio. Ma non stanco. Un cavallo che avrebbe vissuto altre cinque o sei volte la sua vita. Solo per il suo cavaliere. Chiaramente se avesse potuto. Il nome del cavallo, che un tempo avrebbe dovuto essere dorato, era Feren. Ma più di lui sarebbe passato alla storia il suo padrone.

Il cavaliere si guardò attorno. Dio quanto amava la notte. Dio quanto odiava la solitudine. Dio quanto non poteva farne  a meno. Gli faceva quasi freddo. I vestiti da generale erano allo stesso tempo leggeri ed ingombranti. A volte il cavaliere si chiedeva se ella stessa fosse davvero un’elfo. A volte la paura prendeva il sopravvento. E lo sconforto. E la debolezza. Ma ora non era così. Era arrabbiata, ma non disperata. Arrabbiata col suo stesso padre. Odioso vecchio. Non aveva mai capito nulla. Non avrebbe mai capito nulla.

Il profumo della notte stava riempiendo le sue narici e i suoi pensieri. Era andata via per non pensare. E stava facendo il contrario. Stupida. Il colore dei suoi stessi vestiti le dava il mal di stomaco. Il rosso più acceso che avesse mai visto. Odioso. Chiunque l’avrebbe vista nella notte più a Sud. Ma qui il buio era incredibilmente profondo ed insuperabile. Non aveva certo paura di essere vista. Non aveva paura di essere attaccata, né tanto meno di essere uccisa. Anche se erano davvero pochi quelli che attaccandola avrebbero potuto ucciderla.

Il cavallo nitrì piano

‘Forse ha fame’ pensò il cavaliere. Ma non aveva alcuna voglia di fermarsi. Feren avrebbe mangiato a giorno fatto. Fortunatamente per lui Feren non aveva fame. Feren aveva sentito un odore. Non aveva ancora il naso di un vecchio dopotutto. Ed infatti dopo pochi istanti era lì. Un cavaliere vestito di nero. Era lì. E il cavaliere vide per la prima volta qualcuno che non sarebbe stata in grado di abbattere. Non nelle sue attuali condizioni, almeno. Feren fu colto da una paura che solo dopo poco tempo avrebbe avuto un nome. E fuggì portando con sé il cavaliere. E il cavaliere gliene fu grata. Perché anche nella sua forza, il cavaliere vestito di nero aveva creato scompiglio e paura.

Feren corse veloce come non ricordava di poter fare. Eppure il cavaliere lo sentiva, quello nero. Dietro di se. Ma era lontano. Era lontano. Si era fermato? Il cavaliere  non sentiva più la sua forza malvagia. Lasciò che il cavallo color paglia, originario di Rohan si fermasse.

“Non c’è più pericolo, ora” gli sussurrò all’orecchio. Ma non ne era affatto sicura. Feren ansimava. Si, era diventato vecchio. A dire il vero anche il cavaliere ansimava. Era stato un inseguimento breve ma molto intenso.

“Scusami Feren, la sfortuna mi segue ovunque” mormorò accasciando la sua figura alta ed esile allo stesso tempo, sul collo dell’animale.

“Chi sei?” disse la voce severa, fredde eppure melodiosa, di un elfo. Non l’aveva sentito. Una cosa quasi impensabile. Il cavaliere si voltò. L’elfo, dai tratti forti nascosti dall’ombra era in piedi dietro di lei. Tendeva un arco che non aveva nulla di elfico.

“Chi sei tu piuttosto, da avere il coraggio e l’impertinenza di chiedermi una cosa del genere “ rispose il cavaliere con aria di sufficienza. Prima che l’elfo potesse rispondere il cavaliere era sceso da cavallo e gli aveva puntato la spada ricamata finemente contro il collo.

“Fareste meglio a presentarvi per primo” disse il cavaliere.

L’elfo trasse la spada dal fodero, spostando quella del cavaliere. Probabilmente solo in quell’istante si era accorto che il suo avversario   era una donna. Il cavaliere spostò il busto all’indietro. Le due figure perfette si scontrarono in un paio di battute. Alla fine della terza, Il cavaliere era a terra dopo aver inciampato su di una radice. L’elfo fece quello che il cavaliere aveva fatto solo pochi istanti prima. allungò la spada contro il collo dell’elfa. Ma il cavaliere non si sarebbe mai fatta sconfiggere. Con un balzo all’indietro ed una capriola in aria, fu di nuovo in piedi. Le due spade si sfiorarono di nuovo. Freddo rumore di metallo. Due cuori forgiati dallo stesso materiale.

“Sei molto magra” disse l’elfo “e molto forte. Non posso lasciare che tu scappi. Perdonami.” Allungò la mano sinistra contro il collo dell’animale color paglia. Contro Feren. Il caro Feren. Il cavaliere non poteva combattere se era in gioco la vita di Feren. Ripose la spada nel fodero, lentamente alzando le mani.

“Una mossa piuttosto vile” disse poi, posando a terra la spada con tutto il fodero e tutte le sue armi.

“Ti ho già chiesto di perdonarmi”

“Nessuno ti assicura che ti perdonerò” il guerriero elfo non doveva avere i nervi molto saldi. Estrasse il pugnale , questa volta di fattura chiaramente elfica, e lo puntò alla gola di lei.

“Il tuo nome” disse

“Non m’importa. Che tu mi tagli la gola. Ma prima dovrai essere tu a dirmi il tuo”

“Io sono Reimer, il Maledetto.”

“Nacque ai Porti grigi, colui che detto è

il Maledetto

la sua famiglia distrutta

la sua amata rubata

ed uccisa

e la sua anima perduta

tra i mortali si nasconde

in cerca di sé stesso, dicono.

questa e la storia di Reimer il Maledetto” così parlò il cavaliere. Una filastrocca per bambini. Almeno così credeva.

“Quel Reimer. Ma ora mantieni la tua promessa” il viso dell’elfo era diventato scuro. Il cavaliere pensò che dovessero essere molte le ferite nel suo cuore.

“Il mio nome” disse il cavaliere “è Leannel. Ma se tu stesso non hai memoria del mio nome non ti svelerò la mia identità.”

“Sembra che io abbia incontrato qualcuno di più Maledetto di me” mormorò Reimer. Le sguardo di Leannel, di Bosco Atro, figlia di Thranduil, divenne ardente. Lo sentiva che già non poteva più sopportare quell’elfo.

 

Passò qualche ora. Il Maledetto sembrava non avere alcuna voglia di cavalcare nella notte, quindi attesero il sorgere del sole. Reimer decise che non ci sarebbe stato alcun bisogno di legare Leannel, perché questa sembrava essere una donna d’onore e non sarebbe mai scappata senza il suo cavallo.  I due guerrieri e Feren partirono non appena il giorno glielo rese possibile. Sembrava che anche Reimer avesse un cavallo. Legò il suo a quello di Leannel. Così non avrebbe mai potuto scappare.

“Come hai fatto a sapere che non avrei reagito se te la fossi presa col mio cavallo”

“Non è da tutti parlare al proprio cavallo” rispose freddamente Reimer. “ma ditemi, che ci fa una guerriera elfo come voi in un posto desolato come questo. Per di più così lontano da casa sua” Leannel l’aveva dimenticato. Il voi. Come se parlare liberamente con quell’elfo fosse stato normale. Stupida, si disse.

“Non amo casa mia, né i posti affollati. Ma non era mia intenzione giungere a questa steppa infinita..” infatti. Ora la poteva vedere chiaramente. La steppa. Un incredibile mare di erba  e di paglia dorata. Poche montagne lontane, le cui cime dovevano essere perennemente innevate. Un paesaggio meraviglioso. Non ne vedette più così.

“Non so nemmeno se faccio bene a  lasciare che voi vediate la strada…” mormorò Reimer. Leannel non capiva, ma era molto presa da quell’ambiente nuovo “Comunque non mi avete ancora detto che ci fate qui”

“Ero sola, non molto lontana da qui. Ad un tratto ho visto un essere come non ne avevo mai visti. Era vestito di nero e non potevo vedere altro. non il suo viso. Non il suo fisico. Solo un mantello nero. Gridava. Un grido da mettere i brividi. Il mio cavallo si è spaventato molto. Ed è scappato. E siamo arrivati dove ci avete trovati.”

“Un cavaliere nero. Forse un Nazgul. Voi avete una forza non comune. Una strana energia. Forse è stato attratto da quella. Ma non sapevo fossero liberi di andare dove preferissero. Siete senza dubbio una persona molto strana.”

Un cavaliere nero. Una Nazgul. Roba da libri. Forse la stava solo prendendo in giro. Forse era solo un sogno. In effetti ora aveva un gran sonno. Gli occhi si socchiusero e la figura si accasciò. Riemer le dava un certo senso di sicurezza.

 

Reimer aveva deciso di fermarsi. La strada non era molto lunga in fondo. E sembrava che il cavaliere non avesse intenzione di svegliarsi. Era molto bella, Leannel. Non ricordava quanto un elfo potesse essere bello. Tutto ciò che riusciva a ricordare della sua vita tra gli elfi era solo la morte della sua famiglia. Nessuno di quei fottuti elfi gli era venuto in contro. Solo quelli della stirpe degli uomini. Erano amici di suo padre. Aveva abitato a Numenor. Aveva amato la futura regina, Tar-Miriel. Ma le era stata portata via. E Numenor era caduta. Tutta la sua vita era caduta di nuovo. E di nuovo degli elfi nessuno che fosse disposto ad aiutarlo. E gli ultimi numenoreani erano diventati la sua famiglia. Eppure quella donna gli faceva tornare alla mente tutte le cose belle degli elfi. Tutta quella pace. I suoi fratelli. Sua madre. Non mentiva sul fatto che fosse strana. Aveva quegli occhi tra il blu ed il grigio. Così taglienti. Così tristi. Ora sentiva solo che avrebbe voluto sapere più cose su quella donna elfo bellissima. Non sapeva neppure se stava facendo bene a portarla alle montagne, tra i suoi. Ma pensava che infondo non fosse malvagia. E , nonostante fosse l’individuo meno innocuo cha avesse mai incontrato, non credeva che le avrebbero fatto del male. A una donna così bella. Chi avrebbe mai potuto fare del male.

 

Leannel si svegliò. Doveva essere passato molto tempo. E molto tempo era passato anche da quando aveva dormito così tanto l’ultima volta. Si sedette. Poi si guardò attorno. Mura di pietre. Non una palazzo sfarzoso, non una candida reggia.  Faceva un po’ freddo a pensarci. Sul letto molte coperte. E pensare che adesso era estate. In inverno il freddo doveva essere insopportabile. Ma non era questo l’importante. L’importante era sapere dov’era. Sapere dove fosse il suo accompagnatore. Leannel sbuffò. Stupida, si disse, va a cercare quel Maledetto Elfo.

Si alzò. Ora le sue vesti erano divenute bianche. Qualcuno doveva essersi appropriato degli abiti rossi. E per quanto gliene importava, poteva anche tenerseli, questo qualcuno. Aprì la porta violentemente. Sembrava essere una rude copia di un palazzo. Tutto in pietre grigie. Esercitava comunque un certo fascino. Leannel fece qualche passo. Quel posto le dava ai nervi. Si sentiva completamente persa. Per una sola volta avrebbe voluto essere riconosciuta per quello che era. Una principessa. Che qualcuno si ricordasse di lei.

“Sto cercando Reimer, qualcuno vuole sentirmi?” gridò

“Devo chiederti scusa un’altra volta” disse l’elfo, di nuovo alle sue spalle.”Ho lasciato che si dimenticassero di te. Ma sono brave persone. Non avere paura” Leannel avrebbe ribattuto se Reimer glielo avesse permesso “ora ti devo portare dal mio signore. Poi potrai dirmi quello che vuoi.” I due si mossero con passo veloce e silenzioso. Reimer era molto diverso. Come se quelle mura di pietra gli avessero dato un po’ di serenità, il sentimento che era completamente assente nei suoi occhi solo la sera precedente. Quel sorriso lontano aveva dato anche a  lei un po’ della sua forza. Doveva aver vissuto molte cose, Reimer.

I passi chiari si avvicinarono alla sala più grande del palazzo.

Un uomo piuttosto alto, ma dal viso ormai vecchio, i capelli ingrigiti dal tempo, e i due occhi azzurri taglienti e chiari. Un uomo che certamente non si aspettava chi sarebbe entrato da quella porta.

“Rimani in silenzio” sussurrò Reimer. Ma forse sapeva che era pressoché impossibile che questo avvenisse.

Leannel lo superò. Il passo di lei era quasi più silenzioso di quello di lui.

“Eccomi, mio signore. L’ho trovato” disse l’elfo, rivolto verso l’uomo dai capelli grigi che, di spalle guardava il fuoco scoppiettare allegro nel grande caminetto. Sembrava un uomo piuttosto semplice.

“Colui che aveva attraversato la barriera” mormorò l’uomo, voltandosi. Ma quando la vide, Leannel, bellissima, la sua reazione fu ben diversa da quanto avesse previsto.

“ma chi? Questo è il prigioniero?”

Reimer fece cenno di si col capo. Sorrideva. Leannel comprese che i due dovessero essere molto amici.

“Sono stata spinta in queste terre da un cavaliere nero, Nazgul, l’ha chiamato il suo servitore”

“Un Nazgul?” Reimer fece di nuovo cenno di si col capo. Il suo viso era diventato grave.

“Non trattatela come una prigioniera. Prenditene tu cura. Lasciala andare quando vorrà” Reimer sbuffò. Non aveva nessuna voglia di prendersi cura di Leannel. Non che Leannel fosse tipo di cui doversi prendere cura. Ma nessuno laggiù sapeva chi fosse Leannel. E forse questo fu uno dei punti a favore del rapporto con Reimer.

 

 Uscirono in silenzio dalla grande stanza di legno che agli occhi di Leannel occhi non appariva affatto sfarzosa. Pelli appese alle pareti di pietra. Un focolare nel centro della sala. Il trono scolpito nel legno. Era piuttosto irritata. Sembrava che là nessuno conoscesse nulla del ‘suo mondo’ . sembrava che nessuno la conoscesse. Si assicurò di essere lontana dalla sala del re. Afferò quel piccolo pugnale che ogni elfo è solito tenere in un luogo nascosto, in modo che non gli possa essere portato via, che nel suo caso era negli stivali, e lo puntò alla gola dell’interlocutore.

“Primo punto: spero fermamente per il tuo collo che non sia stato tua  cambiarmi.

Secondo: spero tu sia contento ora che ho parlato col tuo sporco re Barbaro. Ora che hai intenzione di fare? Vuoi farmi ballare su un tavolo per divertirti?”

Col dorso della mano destra Reimer spostò quel pugnale sottile.

“Avevo ragione. Tu sei più maledetta di me” il suo viso era incredibilmente grave. Si voltò. Non aveva voglia di parlare. Voleva solo restare solo. Ma in quel posto che non conosceva, e soprattutto dove nessuno conosceva lei, Leannel non aveva intenzione di allontanarsi dall’unico di cui conosceva il nome.

“Ti ha detto di prenderti cura di me, il re Barbaro”

“Non ho mai avuto intenzione di obbedire ai suoi ordini”

“Ah no? E allora ce ci fa un elfo come te, sotto l’ala di un re barbaro? Un pulcioso mortale che non ha mai combattuto una battaglia in vita sua?” Leannel sapeva essere molto provocatoria quando lo voleva. A Reimer ora faceva solo molto male la testa. Ma sapeva di doverle dire una cosa.

Con l’avambraccio spinse la donna elfo contro il muro.

“Quello che voi chiamate Re Barbaro, è l’unico erede dei fidi. Sangue reale degli uomini. E sarebbe un uomo incredibilmente giusto e valoroso se qualcuno volesse restituirgli quello che gli appartiene” Leannel rimase in silenzio. Non solo il ‘re Barbaro’ non era un Barbaro. Ma forse era anche il più importante dei mortali viventi. Doveva esserci un motivo per cui Reimer fosse lì. Ma le storie di Reimer il Maledetto non erano altro che filastrocche.

“Adesso portami in un bel posto solitario dove si possa parlare.” Disse lei con tono inusualmente tranquillo. Reimer si allontanò con un’espressione incerta dipinta sul viso.

 

Reimer obbedì. Non sapeva nulla di quel cavaliere elfo. Salvo il suo nome ed il fatto che i suoi occhi fossero incredibilmente tristi.

Un posto solitario e silenzioso. Il Re gliel’aveva donato appena era arrivato. In effetti il Re aveva un’altissima considerazione di Reimer.

La sua stanza. Piccola a dire il vero. Piccola e buia. Il Maledetto non necessitava di troppa luce, pensò Leannel. Sul fondo della stanza una grande porta bianca. L’unica cosa grande e bianca nella camera. Il disordine regnava su ogni altra cosa. Il Maledetto non doveva curarsi molto di quello che lo circondava. Doveva essere molto triste. Reimer aprì la porta fissando Leannel. L’elfa non poteva credere che Reimer stesse sorridendo. Reimer non era uno che sorrideva. Ma sembrava emanare tranquillità, ora. Leannel pensò che dovesse essere passato molto tempo dall’ultima volta che aveva visto un elfo.

Eccolo. Un luogo solitario e silenzioso. Leannel non ricordava che fosse calata la notte. Aveva dormito molto più a lungo di quanto credesse. Leannel pensò che se solo fosse stato giorno, quella finestra sola avrebbe dato a tutta la stanza una luminosità incredibile.

Il piccolo cortile sembrava essere circondato da mura di pietre bianche. Qualche albero e dei fiori bianchi.

“Quella è una tomba?” chiese la donna elfo fissando quei fiori bianchi.

“Si, lo è” rispose Reimer ermetico.

la sua amata rubata e uccisa. Un uomo legato al passato.”

“Vorrei non esserlo” Reimer prese a fissare il vuoto. Se Leannel non fosse stata tanto eloquente forse avrebbe provato a replicare.

“Bravo a scrivere ma non altrettanto a voltare pagina. Questo è quello che avrebbe detto Galadriel di uno come te”

“Non parlarmi di signori Elfici. Non ne conosco né ricordo i loro nomi altisonanti.”

“Sei schivo. Non è affatto facile parlare con te”

“Tu mi hai chiesto di portarti in un posto dove si potesse parlare.”

“Questo posto è piacevole” mormorò Leannel. Non aveva ascoltato quello che aveva detto Reimer. Ora le era facilmente comprensibile perché il Maledetto si fosse rifugiato in un luogo come quello. Socchiuse gli occhi. Sarebbe rimasta là per tutto il resto della sua vita se avesse potuto. Ma si doveva fare quello che si doveva fare. Non doveva nemmeno pensare di poter rimanere per un tempo così indeterminato come ‘tutta la vita’ tanto lontana da casa. Tanto vicina alla felicità. Riaprì gli occhi. Reimer era seduto accanto a le sue gambe. Decise che era decisamente più saggio sedersi.

“Tu non mi ascolti..” Reimer non era affatto uno stupido. Leannel si voltò verso di lui. Sorrideva. Ma nel suo sorriso erano.. Lacrime. Reimer non aveva mai visto un sorriso tanto triste. Nemmeno negli occhi della sua donna mentre moriva. Come se le avessero impedito di prendere ciò che le avrebbe che le avrebbe donato pace, o gioia, o qualunque altra cosa d cui avesse bisogno. Per un istante ebbe pena di lei. Inconsapevole di avere a che fare con la sua parte più remota.

“La prima volta che ci siamo incontrati hai detto” riprese Leannel che ora sentiva solo molto freddo “che avevi incontrato la persona più maledetta di te. Tu non sai nulla.”

“L’ho letto nei tuoi occhi. Dolore. Tu hai tentato di ucciderti più di una volta. Ti ho sognata” Leannel non sapeva quanto i suoi occhi potessero spalancarsi. Era stupita.

“Sembra che ci si possa intendere, tra maledetti” rispose Leannel, ridendo.

“Forse” rispose Reimer allo stesso  modo. Sembrava che davvero tra maledetti ci si potesse intendere. Reimer non aveva mai pensato di trovare una persona come Leannel. Non credeva che esistesse davvero quella donna dei suoi sogni.

Un silenzio breve. Reimer aveva fame. Decise che era giusto andare a prendere qualcosa da mangiare. “Aspettami qui” mormorò.

Leannel si perse di nuovo nella brezza leggera e nell’odore dolce che riempivano il piccolo cortile.

 

Reimer non cercava cibi particolari. Nulla più di pane e formaggio. Fu presto di ritorno. Non avrebbe mai immaginato di trovare quello che vide. Leannel dormiva. E Leannel non aveva il viso di chi dormisse con facilità. Reimer sorrise. Non ricordava di aver sorriso tanto in una sola giornata da quando Lei era morta. Ed ormai era passato del tempo. Reimer si compianse.

“Sei uno stupido” sussurrò “Saper scrivere ma non voltare pagina”

 

Leannel si svegliò. Non ricordava quanto potessero essere calde le sue guance. Pensò che era la seconda volta che si addormentava. Forse era Reimer. L’elfo guardava il nulla con un’espressione indecifrabile dipinta sul viso.

“Hai fame?” chiese lui. In effetti Leannel aveva notato che Reimer stesse mangiando. Non aveva molta fame. Ma neppure il contrario. Reimer non era affatto di appetito vorace. Leannel annuì. Reimer le passò del pane.

“Chi è la donna sepolta?” chiese Leannel, col garbo e la delicatezza sufficienti per avere una risposta. Reimer la fissò. Leannel non guardava qualcosa in particolare. Quasi la sua anima le imponesse di fare quella domanda, non la sua curiosità o qualcos’altro di terreno.

“Una donna famosa. Il suo nome era Tar-Miriel. Anche se a me era concesso chiamarla con la sola seconda parte del suo nome”

“E’ morta durante la caduta”

“Dove hai vissuto?” Reimer non si rendeva conto di quanto la sua interlocutrice fosse realmente interessata e consapevole degli eventi che non la riguardavano. Probabilmente conosceva la caduta solo attraverso i canti, nonostante fosse sicuramente più vecchia di lui. Leannel lo guardò negli occhi, con aria offesa. Reimer decise che era meglio andare oltre. In fondo forse il suo era solo un modo per guadagnare tempo.

“Quando ero un bambino” riprese “vivevo ai Porti Grigi. Ma la mia famiglia fu sterminata. Venni rapito da un gruppo di orchi. Da quel momento venni detto il Maledetto. E gli alti elfi, e tutti i tuoi amici famosi, dai nomi altisonanti, fecero finta che io non esistessi. E gli unici che ebbero pena di me furono i signori di Numenor. Fu così che andai a vivere laggiù. E quando nacque Miriel crescemmo, e credetti di essere tornato felice. L’amavo molto. avremmo regnato assieme e sarebbe stato bellissimo. Ma non mi fu dato. Venne promessa a colui che è ricordato come Ar-Pharazon ed egli regnò al suo posto e al mio. E accaddero tutte quelle cose che conosci. Io ero lì quando la città cadde. Ero lì quando lei morì. Ero lì quando il mio mondo cadde. Salvai un buon numero di cittadini, ma poi compresi che non avrei potuto vivere più con quella gente. Vagabondai a lungo. Fin quando arrivai qui. Questa gente sincera.”

“Non ti avevo chiesto di parlarmi della tua vita” disse Leannel

“Non ha importanza” rispose. Leannel non potè nascondere di provare una grande tristezza nei confronti dell’elfo. Si assomigliavano davvero. Si sentì in colpa verso se stessa per non avere mai amato qualcuno come aveva fatto Reimer. Silenzio. Ma ora nessuno aveva voglia di rimanere in silenzio. “Forse anche tu avresti bisogno della stessa gente sincera” concluse l’elfo dai capelli corvini.

Leannel non perse mai di vista il niente che stava fissando. Forse aveva davvero bisogno della stessa gente. Forse.

“E’ un bel posto per redimere le proprie pene” disse

“Lo è” rispose. Leannel si accorse di avere più sonno di quanto si ricordasse di aver mai avuto. In qualche modo Reimer comprese quello che la donna voleva dirgli.

“Va pure a dormire nelle mie stanze. Troppi ricordi sono tornati alla mia mente questa notte. Non dormirei neppure se volessi.”

Leannel si alzò. A condizioni normali, con una persona normale, probabilmente non sarebbe mai andata davvero a dormire. Ma Reimer le ispirava molta sicurezza. E quelle ferite sul ventre ed ai polsi non si erano ancora rimarginate. Leannel si fece spazio nella caotica camera. Sul letto erano un paio di libri aperti e delle cartine. Ma Leannel non se ne preoccupò. Gli gettò tutti a terra, nascondendosi sotto le coperte calde. Non ricordava una notte tanto fredda.

 

Freddo. Ma ora il freddo era diventato umido. Freddo. Come se avesse avuto l’acqua fin sopra le caviglie. E così era. Dove si trovava? Era tutto così assurdo. Come se il suolo attorno a lei stesse sprofondando. Era così. Senza dubbio. L’acqua salata saliva e saliva. Un brivido freddo attraverso la schiena. Dov’era. Chi era. Odiava da sempre quel genere di sogni. Quei sogni dove dalle sole circostanze doveva intuire chi fosse o quale ricordo stesse percorrendo. Correva. Doveva correre da qualche tempo. Il suo fisico era forte ma affannato. Correva assennatamente.

“Miriel!!” gridò. E in effetti c’era. Miriel. Era molto bella. La più bella mortale che Leannel avesse mai visto. I freddi occhi chiari ed i cappelli nerissimi, e  la pelle bianca. Ma ora la pelle bianca era macchiata di sangue. Una casa sotterranea. Di pietra. Là sotto l’acqua arrivava fin sopra le ginocchia. E Miriel era al suolo, sotto il peso di un masso o un grosso brandello di muro. Allungava le mani. Aveva il viso di chi non lo avrebbe fatto se l’uomo che le andava incontro non fosse stato qualcuno di immensamente caro.

“Miriel”

“Cosa diavolo ci fai tu qui?!” rispose la donna con fare duro e deciso.

“Lo sai che non avrei mai potuto lasciarti”

“Stupido. Non è mai andato nulla come avrebbe dovuto. Non lo è stato nemmeno per il mio popolo oltre che per me.”

“Non dire mai più nulla del genere. Io e te scapperemo. La colpa è solo di tuo cugino”

“Pharazon è mio marito. Io e quelli che gli hanno creduto siamo destinati a morire. Porta la mia gente in salvo” Freddo. Lo sentì chiaramente. Il gelo nel cuore di Reimer. Reimer si rendeva conto che le parole della donna che aveva amato erano veritiere. Che lei era morta e che tutto era finito. Forse era davvero Maledetto e portava sfortuna. Leannel si promise che avrebbe chiesto spiegazioni a Galadriel o a Gandalf dei fatti che scorrevano davanti ai suoi occhi.

“Cosa sarò io, da solo?” mormorò Reimer

“Come sempre, da solo sarai più di chiunque altro. E se ora con me non ti è concesso, un’altra volta morirai per colei che ami”

Era finita. Ora Leannel non sentiva più il freddo dell’acqua salmastra sulle caviglie. Eppure non era sveglia. Non era il mondo Reale. Era ancora il sogno. E ora lo sentiva. Quell’odore. Quell’odore che aveva sempre cercato. L’odore carnefice della battaglia. L’odore che una volta nel tuo naso, non ne usciva  più. Ma era un odore lontano. Quasi un evento che dovesse ancora accadere. Reimer era di fronte a lei. Teneva un braccio lungo il fianco, probabilmente era ferito. Nell’altra mano impugnava una lucente spada elfica. C’era un guerriero dalle piccole fattezze a  terra. Sembrava ferito. Sembrava una donna, invero. Le parve irreale che due elfi in battaglia portassero armature. Un suo stesso ordine. Dall’elmo dell’elfo a terra cadevano opachi capelli neri. Gli occhi erano marrone nocciola. No, non sembrava affatto un uomo. Reimer, il volto segnato dagli anni passati e da qualche battaglia, le si avvicinò. A Leannel parve che l’elfo a terra piangesse. 

“Non farlo Reimer” supplicò.

“Mi dispiace, piccola mia, mi dispiace. Ma qualcuno di noi deve morire. E questa volta devo poter essere io a farlo.” Rispose Reimer. In quel momento Leannel si sentì avvolta da un vortice oscuro. Quasi prevedesse quello che le avrebbero portato la morte di Reimer e di tutti gli altri.

 

Si svegliò. Succedeva sempre quando i sogni si facevano troppo realistici. Reimer sedeva accanto ai fianchi di Leannel. Leggeva un libro, ma non aveva mai smesso di lanciarle occhiate preoccupate. Non aveva mai sentito un sonno tanto assennato. Si voltò

“Siete sveglia”

“Si, lo sono” risposerei alzandosi a sedere.

“Hai fatto un sogno”

“Già. E considera che questo è un periodo nel quale non sogno molto” Reimer sorrise. Incredibile davvero quanto si assomigliassero.

“La ragazza di mio fratello ha lo stesso nome della tua”

“Pensavo che Miriel fosse un nome in disuso”

“Miriel è un nome elfico in realtà”

“Miriel è la madre di Feanor”

Leannel annuì sorridendo. Ora l’ipotesi di poter rimanere lì per tutta la vita non era più tanto lontana ed irraggiungibile.

“Che ore sono?” chiese la donna

“E’ presto. Cosa vuoi fare?”

“Fammi conoscere questi luoghi.” Reimer annuì, incerto. Cominciava a comprendere quali fossero le intenzioni di Leannel. Ma sapeva, l’aveva sognato, che non sarebbe potuta rimanere davvero in quei luoghi.

 

Nonostante fosse ormai primavera inoltrata, sul freddo bosco circostante la città perduta, continuava a perdurare una brina leggera ed un vento gelido. Ogni arbusto era argentato da questa. Leannel non aveva mai visto un bosco invernale. Nelle sue terre aveva sempre risplenduto un sole caldo ed estivo, tranne che in pochi isolati casi di pioggia.  Leannel non sapeva se quel regno era fatto solo di luoghi così perdutamente belli, ma per adesso ne conosceva solo quella faccia.

“Ma come non ci fermiamo?” disse

“Non è ancora questo il posto” rispose freddo Reimer. Leannel pensò che Reimer avesse intenzione di farle una specie di sorpresa. Non aveva idea di che luogo si trattasse. E non aveva neppure idea del motivo per il quale Reimer le aveva fatto portare con sé le armi.

“E’ un posto bellissimo ma pericoloso” disse Reimer, indovinando i pensieri di lei. Pericoloso?

E infine eccolo. Reimer spostò i pruni di more e passò oltre. La stessa cosa fece Leannel. Non aveva mai visto nulla di simile. Nulla che fosse allo stesso tempo tanto aspro e tanto meraviglioso. Una perfetta sintesi di Reimer. Una specie di Canyon. Leannel non ne aveva mai visti. Due enormi rocce rossastre, ma forse erano montagne in principio, scavate al loro frammezzo da un fiume, ora ridotto a pochi zampilli, mentre il resto era catturato dal ghiaccio. Sulle cime dei massi rocciosi era la stessa brina. Poche piante. Era meraviglioso. Avrebbe voluto che ci fosse qualcuno a dipingerlo per lei. Ma quel posto era maledettamente pericoloso. E infatti eccolo, uno spettro. Un cavaliere nero come quello che l’aveva aggredita notti prima.

“Maledizione” mormorò Reimer in preda alla rabbia “Maledetto! Ora Leannel è meglio che io vada. Lo respingerò. Quei bastardi hanno cominciato a vanire sempre più vicini.”

“Posso darti una mano”

“No, ho visto le tue ferite. Rimani qui. Tornerò presto.”

Probabilmente se avesse conosciuto solo un poco più Reimer, Leannel si sarebbe messa a gridare. Ma c’era qualcosa nella sua voce che diceva che Reimer sapeva quello che faceva. E per una volta Leannel si arrese all’idea che davvero la sua ferite potessero impedirla.

Si sedette. Poi si guardò attorno. Lo vide. Un piccolo pugnale d’acciaio lucido. E la sentì. Quella stessa voragine oscura. Che l’aveva avvolta in sogno e dalla quale si sarebbe lasciata avvolgere, ora, da sola.

Si allungò ad afferrare il pugnale. Era così. Era lucente. Era incredibilmente vicino al suo polso.

No, non era giusto. Perché? Perché avrebbe dovuto sentire il bisogno di uccidersi? Aveva conosciuto Reimer. E quei luoghi bellissimi. Perché. Dai suoi occhi tristi sgorgarono gocce argentee. Non poteva fermare l’altra sua mano. Era forte. Mai lo era stato tanto. La sofferenza riaffiorò sulla sua pelle. Quella sofferenza che aveva dimenticato sostituendola con quella di un’altro. ecco perché. Ecco perché Reimer e Leannel non si sarebbero mai potuti amare. Reimer non dava abbastanza tranquillità. Reimer era doloroso ed assennato, esattamente come lei. Ma più forte. Ancora più vicino al suo polso. La lama sfiora la pelle. Piccole gocce rossastre. Il polso piange. La carne piange. L’anima stessa piange. Si chiese come era riuscita a fare in modo che il pugnale non entrasse nella carne. Ma non ebbe tempo di darsi una risposta. Il pugnale stava entrando nella carne. E in quel momento giunse provvidenziale Reimer. In quel momento, mentre Leannel sveniva.

 

Per la seconda volta Leannel si svegliò nel letto di Reimer. Cercò di sedersi facendo leva sui polsi, ma quello ferito era incredibilmente dolorante e bruciava. Non aveva idea di cosa c’avessero messo  per fare in modo che non morisse. Pensò che Reimer non aveva detto sicuramente a nessuno com’erano andate davvero le cose. Era un elfo discreto.

Reimer si voltò. In qualche modo percepì che Leannel si era svegliata. Aveva fatto bene a farla portare in camere sua mentre dormiva. Ed aveva fatto bene a non parlare a nessuno di come si era fatte quel taglio profondo sul polso. Lo scontro col cavaliere, aveva detto. Si disse che era uno stupido. Ma ora doveva chiederle spiegazioni.

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di Leannel la maledetta” canticchiò entrando nella stanza. Leannel lo guardò con sofferenza. Reimer capiva. Ma non aveva intenzione di lasciare che lei non gli parlasse dei motivi.

“Sono successe molte cose. Molte cose che non mi permettono di vivere” disse lei. A Reimer poteva bastare in qualche modo la spiegazione di Leannel. Avrebbe scoperto poi la cosa in dettagli. “Scusami” continuò lei “ti ho costretto  a mentire, solo perché sono una debole”

“Non devi farlo mai più” Reimer non era molto comprensivo in situazioni simili

“Non posso farti questa promessa”

“Per lo meno, allora, cerca di non ferirti più” Leannel non rispose. Con la mano sinistra si sfiorò la fronte. Se avesse fatto una promessa del genere avrebbe dovuto impegnare ogni centimetro della sua volontà

“Lo farò. Se tu mi lascerai rimanere qui”

“Non posso farlo e lo sai. Non è qui il tuo destino” Era finita. Un’altra volta. Non potava esistere qualcuno che davvero la capisse. Leannel si alzò, rivestendosi.

“Dove stai andando?”

“Devo tornare a casa” rispose. Si sentiva incredibilmente stupida. Come aveva potuto. Sembrava tutto andare fin troppo bene, in effetti. Magari avrebbe potuto rimanere la, per sempre, e poi innamorarsi di Reimer,e  vivere di nuovo. Infondo era sempre stato il suo sogno. Cominciare una nuova vita. Lontano. E poter decidere esattamente chi essere. Ma aveva rovinato tutto. Come sempre. Aveva trovato qualcuno che almeno provasse a capirla. Ma era tutto finito. Doveva andare. Si era rovinata la faccia di nuovo. Leannel si alzò. Forse era lei ad essere troppo veloce a girare le pagine. Troppo spaventata.

Reimer non immaginava quanto potesse essere veloce. Lo odiava. Come odiava chiunque altro. ora correva. Non sapeva nemmeno lei per dove. Era seminuda in realtà. Ma non le interessava. Faceva freddo. Le aveva sempre fatto freddo. Ma forse non sarebbe mai dovuta giungere in quei luoghi. Forse. Vagò un po’ mentre si sforzava di non piangere. Non le interessava cosa pensasse quella gente. Quei barbari. Smise di correre non appena fu sicure che Reimer avesse smesso di inseguirla. Ma non le trovava. Maledette stalle. Faceva davvero freddo. Eccole. Eccole, finalmente. Per puro caso le aveva trovate. Forse se non lo avesse fatto avrebbe costretto qualcuno a dirle dove si trovavano. Ma eccole. A terra paglia. Bucava i piedi. Ma non le interessava. Pochi passi. Ecco Feren. Ma non era solo. Un uomo alto, dai lunghi capelli neri. I vestiti di pelle consumata. Carezzava il cavallo.

“Sei arrivata” disse

“Non è giusto che tu mi stessi aspettando” rispose Leannel

“Era più che prevedibile” riprese Reimer “dove avrei potuto trovarti”

“Io non ho nessuna intenzione di parlarti”

“Ti costringerò a farlo” Reimer sfoderò la spada puntandola al collo dell’animale “ti ricordi? Sei molto magra e molto forte. Non posso lasciare che tu scappi. Perdonami.”

“Ricordo. Ed è stata una cosa vigliacca anche la prima volta” Leannel si sporse avanti. Sapeva perfettamente che Reimer non avrebbe mai ucciso il suo cavallo. “Non essere stupido” spostò il braccio di lui, tornando al dorso del suo cavallo. Maledetta. Era troppo intelligente. Non l’avrebbe fermata con un mezzo tanto stupido. Ora Leannel era sul suo cavallo. Reimer aggrappò le briglie.

“Dimmi perché” aveva il suono di un ordine più che di una richiesta.

“Non devo dirti niente.”

“Parla” era diventato incredibilmente minaccioso. Leannel lo fissò in istante nel profondo degli occhi neri. Deglutì.

“Una lunga serie di avvenimenti spiacevoli.”

“Una serie qualunque di avvenimenti spiacevoli non porta a quello che hai fatto tu” la interrupe Reimer

“Sappi che mia madre era la signora di Bosco Atro, un tempo” Lo sguardo di Reimer divenne scuro. Tutti conoscevano la storia della signora di Bosco Atro. Una storia molto triste. Come triste era la storia di sua figlia.  L’elfo in effetti non le aveva mai chiesto da quale contrada provenisse. Ma era indubbio che Leannel fosse una principessa. Forse avrebbe potuto arrivare da solo all’identità di lei. Reimer non aveva mai pensato che il suicidio fosse cosa da affidare ai geni. Adesso qualcosa di nuovo era nel cuore di Reimer. Come se avesse scoperto in quel solo istante cosa avrebbe dovuto fare nella sua vita a seguire.

“Ora puoi lasciarmi” disse Leannel accortasi che il suo compagno aveva lo sguardo ben distante.

“Potrei” rispose lui “ma non posso.”  Quindi, si lasciò le briglie dell’incerto Feren

“Cosa intendi?” chiese lei

Reimer saltò velocemente sul dorso del cavallo più bello che vide nelle stalle.

“Andiamo insieme a Bosco Atro”

Ora avrebbero girato insieme le pagine del loro libro. Per sempre.

  
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