Introduzione
CCCIAAAAAAAAAAOOOOOOO a
tutti!!! Anche se vi arriverà in ritardo sappiate che questa e l’altra su
Reimer sono state scritte in momenti molto vicini.
Il carattere della cosa è
molto simile a quello precedente. La storia tratta di Talmaye e Salmaye e di
come conoscano Leannel e Reimer. È meno movimentata da un punto di vista fisico
della prima. non ci sono veri e propri combattimenti. In realtà si parla di
bambini per cui non sarebbe stato bello fargli combattere contro Reimer o
Leannel. Notare come, apparte Galadriel io mi stia lentamente allontanando dal
mondo classico tolkeniano. Reimer è sempre più bello e forte. È sempre più il
mio tipo. Forse l’uomo dei miei sogni. Mi piace molto anche Talmaye, però. La
storia dei gemelli è molto toccante. L’ho sognata. Anche se all’inizio era nata
da una cosa simile di sayuki. Per Salmaye mi sono ispirata ad una persona che
conosco veramente. È un bel personaggio. In Leannel non appare tanto una bella
persona. Forse perché ancora non conoscevo la ragazza sulla quale l’ho
costruito. E non conoscevo una persona tanto forte. In effetti alla sua prima
apparizione non sembra molto forte, ma lo è e questo è l’importante.
Sempre in ‘Leannel’ ho scritto
che lei forse non aveva mai visto il volto di un bambino. Qua sotto Tal e Sal
sono nomati come tali. In effetti quando scrivevo quelle cose in ‘Lea’ pensavo
ad un bambino nel vero senso della parola. Un neonato, insomma.
Un altro punto che non
capirete è il rapporto tra Lea e Rei. Sembra che si amino, poi non sembra più e
così via. La cosa sarà chiarita. Comunque il loro non è amore convenzionale.
Come ho già scritto volevo trattare di una mia forte amicizia. Forse questa lo
è ancora di più dato che Rei è quasi l’unico amico di Lea e si comportano in
maniera strana.
Buona lettura
A tutte quelle persone
incredibilmente forti che superano le loro croci semplicemente affrontandole.
A tutte le persone che non
riescono ad affrontare le loro croci
A tutti i piccoli Talmaye e
Salmaye che stanno leggendo queste righe
With love
Zoozy
I gemelli
Reimer percepì il leggero
frusciare del vento sulle frasche. Stava sognando di combattere contro un
improbabile se stesso, vestito di bianco. Odiava questo genere di sogni. Quei
sogni cui tutti cercavano di dare un senso logico senza mai riuscirvi. Strano
che si fosse svegliato. Reimer dormiva piuttosto pesantemente. Quei boschi gli
avevano riportato la voglia di dormire. Come la voglia di vivere. Davvero
strano, pensò. Si sedette. Ora le testa girava leggermente. Era stato svegliato
da un sogno. Non aveva più voglia di stare a sedere. Voleva dormire di nuovo.
Il sole non era ancora sorto. E nessuno oltre Leannel, era sveglio a quell’ora.
Voleva solo un po’ di riposo. Un po’ di riposo prima che il padre di Leannel
gli affidasse il compito di seguirla, apertamente o di nascosto, in uno dei
suoi assurdi viaggi. Reimer era certo che Leannel percepisse la sua presenza
anche quando non avrebbe dovuto. Ma in fondo bastava che fosse Thranduil a
pensarla in un certo modo. Tornò sdraiato con la testa tra le mani. Ora fissava
il cielo chiaro. Non ricordava quanto potesse essere meraviglioso il cielo
subito prima dell’alba. Forse era il posto. Forse aveva fatto davvero bene a
seguire Leannel, quella volta, forse aveva fatto bene a seguire il suo istinto.
Si, aveva fatto la cosa migliore. Forse tutti quei mortali lo opprimevano
davvero. O forse stava solo giocando alla volpe e l’uva. Ma il cielo sereno di
quel luglio caldo era davvero meraviglioso. Si, lo era. Reimer sorrise
socchiudendo gli occhi. Poi si girò di profilo. Non c’era dubbio sul fatto che
avesse bisogno di dormire. Ma fu nello stesso gesto che si accorse del motivo
che lo aveva portato a svegliarsi. Sulla sua guancia sinistra scricchiolò della
carta sottile. Carta elfica. Ma cosa diavolo ci faceva della carta elfica
accanto al suo bel profilo sinistro?
Nessuna folata di vento,
quindi. Solo un messaggio. Una lettera. I caratteri elfici. Scritto con
minuzia. Un grande signore. Uno di quei signori dai nomi altisonanti che aveva
sempre odiato. Non aveva idea di cosa si trattasse. Ma adesso era diventato più
che altro un fatto personale. Chiunque fosse riuscito a porre una lettera a suo
fianco senza che se ne accorgesse era un nemico conto il quale doveva
combattere.
‘Sto diventando vecchio’ pensò
‘si fanno in molti quelli capaci di battermi’
afferrò la lettera di carta
bianco panna.
Leannel era scritto a
caratteri argentei. Quindi era per lei. La lettera. Evidentemente il mittente
lo aveva sottovalutato. Ma ora era più importante che Leannel venisse a sapere
della faccenda della lettera. Non tutti i particolari. Non quelli che Reimer
riteneva imbarazzanti e disonorevoli. Ma doveva passarla nelle mani del
destinatario. Solo poi avrebbe scoperto con chi doveva combattere. Chi l’aveva sfidato.
Probabilmente aveva firmato la sua condanna a morte. Ma Reimer restava uno cui
non era facile far prendere la mano. Rimase tranquillo in apparenza. E si avviò
passeggiando nelle aule della sua signora.
Leannel aveva l’aria
tranquilla. Forse l’aria più tranquilla che si riuscisse a ricordare sul suo
viso. Erano Reimer e Legolas e Miriel. Era tutta quella pace. Tutta quella pace
che detestava. Era inutile. Adesso avrebbe preferito tornare al travaglio di
qualche tempo prima. Non era certo questo il genere di pace che andava
cercando. Sebbene esistesse un genere di pace adatto alla sua persona. Scoccò
la freccia, che si andò a puntare nel centro esatto del bersaglio. Era troppo
facile colpire un bersaglio immobile, pensò. C’era davvero bisogno di una missione
degna di questo nome. Di una missione che quel vecchio stupido di suo padre le
offrisse. Avrebbe mentito per andarsene. Ma per andarsene dove ormai? Conosceva
le sue terre come nessun altro. e se avesse chiesto di andarne fuori suo padre
avrebbe fatto in modo che Reimer la seguisse. E poi certo, non cercava un
viaggio tranquillo durante il quale chiedersi l’utilità della propria
esistenza.
Un’altra freccia. Lo stesso
centro si dovette dividere in due frecce. Nonostante tutto non amava
particolarmente l’arco. Uno strumento piuttosto anonimo. Doveva poter guardare
negli occhi chi uccideva. Era una donna di spada. Era una donna crudele,
infondo.
Il terzo colpo volò in una
direzione indecifrabile. Leannel gli sentiva. Dei passi. Silenziosi, ma li
sentiva. La freccia attraversò i capelli di lui che rimase fermo, impassibile.
“Non attaccare prima di
conoscere l’identità del tuo nemico”
“La prossima volta, Reimer”
rispose “pensavo stessi dormendo”
“Era quello che avrei voluto.
Ma io sono stato sfidato. E questa è chiaramente indirizzata a te”
le porse la lettera bianco
panna. Con aria stupita Leannel si avvicinò al bersaglio, staccando le due
frecce. Si avvicinò e prese la lettera.
“Di chi è?”
“Non lo so. Una figura che mi
ha preso allo scoperto. Stavo dormendo”
“E non te ne sei accorto? Stai
diventando vecchio. Oppure il tuo avversario è molto forte.” Reimer sorrise
annuendo.
Leannel aprì il sigillo
sottile di ceralacca. Riconosceva bene la grafia del mittente:
“Cara Leannel
Signora di Bosco Atro
Mi scuso per la maniera
scortese con la quale vi è stato recapitato il messaggio. Colui che lo ha
portato è anche motivo della mia lettera. O meglio uno dei motivi. Perché i
motivi sono due. Portate con voi anche il vostro servitore, o meglio guardia
del corpo, Reimer, e ditegli che avrà la sua vendetta.
Saluti, ci vedremo presto alle
mie dimore
Galadriel”
Incredibile quanto la signora
di lorien riuscisse a leggere nei loro pensieri.
“E’ passato molto tempo
dall’ultima volta che andasti” disse Reimer. Leannel fece qualche passo avanti
a lui, poi si voltò, sorrise
“So benissimo che lo fai solo
per te stesso” rispose lei. Anche Reimer sorrise. Un compagno prezioso, pensò
Leannel. Prezioso anche quando lottava per se solo. Reimer non era una persona
particolarmente altruista.
Galadriel fissava il tramonto,
cercando nelle stelle la risposta alle sue domande. Non credeva di essere
ancora capace di porsene. Ma infondo era una sensazione che aveva dimenticato.
E le aveva fatto bene viverla di nuovo. I ragazzini erano arrivati dal nulla. E
non sembravano avere intenzione di andarsene. Ragazzini. Erano comunque elfi. E
non avevano sicuramente meno di una cinquantina d’anni. Anche se in confronto a
lei, una delle più antiche tra i viventi, erano davvero dei bambini. Temeva per
la loro vita. Temeva per quella di Leannel. Non riusciva a provvedere neppure a
se stessa, come avrebbe fatto con tra le mani quelle di altri due? O forse la
sottovalutava solamente. O sottovalutava i due ragazzini.
In quel momento passi chiari
nel lungo e luminoso corridoio di legno bianco.
“Ho fatto quello che mi avete
chiesto. Adesso potete ritenervi contenta”
“Lo sono. Arriverà presto.
Tieniti pronto”
Leannel trasse un respiro.
Certi messaggi ermetici dalla signora di Lorien non la convincevano affatto.
Berehid era una cavallo ancora acerbo. Feren era morto poco tempo prima dopo
aver consumato fino alla fine il tempo che gli era concesso. Reimer stesso lo
aveva scelto al posto suo. Era andato a Rohan e aveva scelto il nuovo cavallo
della stirpe dei guerrieri. Perché questo era Berehid, un guerriero. Un
guerriero che combatteva senza mai fermarsi. E soprattutto senza essere mai
sconfitto.
Posò la sella di cuoio scuro
sulla schiena corvina del cavallo.
“Partiamo allora” mormorò la
voce secca di Reimer
“Avevo intenzione di partire
sola”
“Un primo luogo tuo padre non
lo permetterebbe mai. In secondo ho tanto diritto quanto te di sconfiggere chi
mi ha sfidato”
“Non ti facevo tanto
vendicativo”
“Lo sono” Reimer rise. Forse
non era vendicativo. Ma doveva vedere negli occhi chi era riuscito a farlo
tanto arrabbiare. Leannel si voltò di nuovo verso il suo cavallo nero.
“Un bell’animale. Ho fatto
bene a fidarmi di te” disse mentre saliva sul dorso di Berehid. Reimer rise di
nuovo. Leannel non aveva capito, o forse non voleva far capire, che il cavallo
non era comune. Proprio per il fatto di appartenere alla stirpe dei guerrieri
lo rendeva differente da ogni altro cavallo vivente. Lo rendeva quasi
immortale. Gli era possibile vivere incredibilmente a lungo. Per lo meno
Leannel avrebbe sofferto il meno possibile.
I due compagni cavalcavano
ormai da ore, se non da giorni. In quella speciale compagnia le parole non
erano abusate. In effetti non parlavano d quando erano partiti. Il sole caldo
del tramonto illuminava le loro nuche. Leannel cavalcava con notevole grazia,
nonostante il suo cavallo non avesse sostato che poche volte. Il cavallo di
Reimer non era certo al livello di quello della sua signora. Ma non aveva certo
bisogno di fermarsi. Erano così vicini, in realtà. Le poteva vedere le aule
chiare di Galadriel.
Iol sole poteva illuminare
solo quei luoghi con una tale intensità. Leannel amava dal più profondo della
sua anima quella luce. Quella luce che sembrava venire dal passato, cui
Galadriel era sicuramente più legata che al proprio presente.
“Mi fermo. Troppo a lungo il
mio cavallo ha seguito il tuo. Non penso che continuerà con questo passo ancora
per molto.” Leannel non si voltò. Ora il sole ed il vento non glielo
permettevano. Vi era legata indissolubilmente. Quei boschi. E Reimer non era
tipo da curarsi di certe cose. Così fece quanto aveva detto.
Non era certo colpa del suo
cavallo se Reimer aveva deciso di fermarsi.
Era quel luogo. Tanto Leannel l’amava, tanto Reimer lo odiava. Gli
odiava. Quegli odiosi elfi dai nomi altisonanti. E lo ricordava bene. Il viso
di lei, Galadriel, col suo viso chiaro e lontano, quel giorno tanto tempo
addietro. Quando quegli elfi avevano deciso di riunirsi per decidere del suo
avvenire. E poi cos’avevano deciso? Niente. Perché lo avevano lasciato solo.
Così era stato. E così Reimer
era divenuto diverso. Era divenuto il maledetto. Reimer non era tipo0 da amare
di dare colpe inutili a chi non le meritasse. Ma quegli elfi avevano potuto
farlo essere come gli altri. Avevano imposto se stessi a lui. E gli faceva male
dover fare qualcosa per loro.
“Mi avevano detto che non
eravate un elfo vendicativo” disse una voce chiara e sottile dalle fronde scure
“ma mi avevano anche detto che sareste venuto”
“Dunque siete voi colui che mi
ha sfidato” rispose Reimer “Ora gradirei che vi identificaste”
“Io non sono nessuno” rispose
dura la voce. Il figura sottile uscì allo scoperto. La figura non era più di un
bambino. Agli occhi di un mortale poteva sembrare poco più di un
diciassettenne. Ma Reimer, che non era tale, sapeva che non poteva avere meno
di cinquant’anni. E a quanto poteva leggere erano stati cinquant’anni di
sofferenze.
“Il mio nome è maledetto”
disse la voce
“No, non lo è. Sei solo un
ragazzino”
“Se fossi un mortale sarei
vecchio e saggio”
“Sembra che tu non lo sia”
rispose Reimer “Sei un elfo. E per un elfo è incredibilmente difficile essere
vecchio e saggio. Come essere maledetto” Reimer rimase un istante in silenzio.
Non credeva che le parole fossero davvero sue come non credeva di essere lui
stesso a star sorridendo benevolmente. Egli stesso era maledetto. O almeno si
riteneva tale. Non credeva che tutto sarebbe potuto cambiare così velocemente.
Leannel gli aveva dato la sua pace, se era questo il modo di chiamarla.
“Mio fratello l’ha sognata,
colei che ti ha accompagnato. Ma io non conosco il nome di quest’uomo vendicativo”
il ragazzino aveva cambiato discorso. Ora era la luce di Lorien ad illuminarlo.
Reimer lo poteva vedere. Era alto e molto esile. I tratti femminei e i lunghi
capelli scuri. Ma ciò che più lo colpì furono gli occhi di lui. Di un blu
profondo e allo stesso tempo impenetrabile. Solo un uomo come Reimer sarebbe
riuscito a leggervi tanto dolore. Sembrava che fosse confuso. Sembrava che si
fosse costretto ad essere forte ogni istante della sua breve vita. Reimer si
sentì triste. Come da tempo non accadeva. E da quell’istante comprese che non
sarebbe tornato solo con Leannel da quella missione.
Leannel cavalcava. Quei luoghi
riuscivano a renderla immensamente felice. Dimenticava la sua missione.
Dimenticava chi fosse. Quale fosse il suo nome. Qual’era il suo nome?
“Quella principessa
dagli occhi grigio mare
Chi è?
Conoscete il suo nome?
E’ Leannel. È la principessa
triste.
È lei che cavalca silenziosa
Cosa porterà il suo arrivo?”
Una voce sottile. Bella e
melodiosa. Ma il testo mancava di fantasia. Non una bella storia. La sua
storia. Senza accorgersene era arrivata alla dimora di Galadriel. E quella
voce. Penetrante.
“Chi sei?” Leannel non era in
condizione di non perdere la pazienza. La spaventava, qualcuno che la
conoscesse senza averle mai parlato. Perché non aveva mai sentito quella voce.
L’avrebbe ricordata. “Come sai chi sono io?”
“Vi ho sognata.” Rispose la
voce seduta tra le fronde di un albero. “spesso la signora di queste terre ha
fatto il vostro nome”
“Non mi avete risposto”
sembrava che non ne avesse nessuna intenzione. Silenzio. Leannel non lo
sopportava. Come non sopportava di essere presa in giro. Sapeva bene da quale
albero venisse la voce. E non le fu affatto difficile raggiungerla. In pochi
istanti fu davanti alla voce, seduta su di un ramo, e puntò il coltello al
collo della voce.
“Sarebbe un peccato impedire
che tu canti di nuovo” disse “non prendermi in giro” rimase immobile. Per la
prima volta stava puntando un coltello al collo di un bambino. Il bambino
rimase con la stessa espressione immobile e persa.
“Ti prego fallo” disse. Era la
stessa voce. Quella voce che Leannel aveva amato dal primo istante. Avrebbe
fatto qualunque volta per rendere felice quella voce. Ma si accorse che gli
occhi blu profondo del bambino, dall’aspetto androgino ed i capelli scuri,
legati in una coda semplice, erano pieni di lacrime. Non l’avrebbe mai uccisa.
“Chi sei tu?” chiese Leannel
sillabando le parole.
Reimer era solo. Non capiva
come fosse possibile che fosse arrivato prima di Leannel. In qualche modo lo
spaventava il fatto che lei fosse sola. E lo spaventava anche quello di dover
entrare solo in Lorien. E nonostante la preoccupazione si facesse strada in lui
si sentiva felice. Non era davvero un uomo vendicativo. Il ragazzino era libero
ora. Ma cosa avesse ritardato Leannel, lui non lo sapeva. Ed era l’angoscia a
prendere il posto delle sua domande. Lasciò il cavallo. Ora doveva trovarla.
Leannel. Camminò per qualche tempo. Ma era facile sapere che non era molto
lontana. Leannel era sempre stata attratta dall’acqua, quando era triste. Era
sola sulla riva del Nimrodel dalle acque argentee. Stava piangendo.
“Leannel” disse lui “penso che
ci stiano aspettando”
“Aspetteranno ancora.” rispose
lei asciugandosi le lacrime. Reimer non si era comportato con qualcuno come
faceva con Leannel. Si sedette accanto a lei.
“Che è successo, capitano?”
“Oggi pensavo di essere
felice. Eppure un bambino con la voce più meravigliosa che io abbia mai sentito
mi ha chiesto di ucciderlo.” Reimer comprese che Leannel non avrebbe smesso d
piangere. Passò la mano accanto alla spalla di lei.
“Era un bambino.” Leannel
pianse più forte “non aveva più di cinquant’anni e parlava come se fosse stato
già morto.” Leannel la strinse e avvicinò la sua fronte a quella di Leannel.
“Non è questo. Che ti prende”
“Anche io la cerco. Ma quante
volte ho io i suoi anni? Quante volte? E qual è la risposta? Il mondo è brutto
Reimer!”
“Non lo è. Non lo è, stai
tranquilla. Non ancora.” rispose lui “E’ per loro che siamo qui.”
“Loro?”
“Ho incontrato colui che mi ha
sfidato. Devono essere fratelli. Ma non mi ha detto il suo nome.”
“Neppure l’altro l’ha detto a
me” Leannel si asciugò le lacrime. Sembrava che fosse passata
“E’ per loro che Galadriel ci
ha detto di venire”
“E’ probabile. Pensa che ci
somiglino. A te per la loro storia e a me per la loro debolezza.”
“Quello che mi ha parlato non
era affatto un debole. Diventerà un uomo incredibilmente intelligente.” Reimer
sorrise “E poi, non lasceremo che diventino come noi”
“Saranno forti. Torneranno con
noi a casa” Leannel si alzò in piedi “ora Galadriel ha smesso di aspettare”
“Chi sono i ragazzini?” disse
Leannel sulla soglia della sala più chiara del palazzo ora illuminata dalla
luce del tramonto.
“Non pensavo che avessi smesso
di salutare”
“Ci sono cose più importanti
di ‘salutare’” rispose con voce dura.
“Già” Galadriel stava bagnando
i fiori sul balcone. Una figura che non le si addiceva decisamente. Sorrideva,
ma come sempre il suo sorriso era colmo di angoscia. Solo una volta Leannel
credette di vederla sorridere davvero. Ma sarebbe passato molto tempo ancora.
“Entrate” disse. Lo stile
telegrafo ed ermetico di Galadriel non era mai cambiato. E non aveva mai smesso
di lasciarla stupefatta. Come non riusciva a spiegarsi il fatto che la signora
di quelle terre avesse percepito la presenza di Reimer alle sue spalle.
Leannel entrò in silenzio,
seguita da Reimer. Per la prima volta il guerriero elfo si sentiva in profonda
difficoltà. Ma pensò che avrebbe affrontato Galadriel come aveva sempre fatto
per ogni altra cosa. L’avrebbe lasciata passare senza farsi toccare. Ma forse
con Galadriel non avrebbe funzionato.
“Non ti sentire a disagio,
Reimer, perché della complessità del nostro rapporto solo mia è la colpa”
Galadriel. La voce armoniosa e triste. Le parole scelte con cura. Galadriel.
Reimer abbassò il capo. Si
disse che non sarebbe mai riuscito ad odiare quel pomposo elfo dal nome
altisonante.
“Li avete incontrati?” disse
la bianca dama
“Si” rispose Reimer, parlando
per la prima volta “entrambi”
“E conoscete i loro nomi?”
“Non ce li dissero. Uno mi
chiese di ucciderlo e l’altro a Reimer di sfidarlo. Noi rifiutammo entrambi. Ma
il loro nome non vollero dircelo.”
“I loro nomi sono Talmaye e
Salmaye. Ma non gli conosco dalle loro labbra. Essi non avevano mai parlato a
nessuno straniero o meno che fosse.”
“Talmaye e Salmaye.. altrove
ho sentito i loro nomi. Sono del Nord. Mi dissero che c’era una minaccia
laggiù, tempo fa. Ma poi venni a Sud con Leannel e non ne seppi più nulla”
Reimer si era seduto su di una sedia bianca, ricamata finemente.
“Ebbene, qual è la loro
storia” interruppe Leannel che detestava quella certa chiave discorsiva che
stavano affrontando “E qual è la nostra parte nella loro storia?”
“Loro padre fu convocato da
Elrond. Venne mandato a Sud, tra i mortali e nel male più grande. Ma tornò
molto cambiato. Dissero che non era tornato alle aule di Elrond. Tornò alle sue
dimore. E dissero che entrato nel suo palazzo andò a cercare sua moglie e
l’uccise. Poi cercò i suoi due figli. Aveva intenzione di ucciderli. Ma quello
che ti ha sfidato, Reimer, quello, ha ucciso suo padre. Per salvare se stesso e
chissà quanti altri elfi. Di contro non sapremo mai cos’avesse visto loro
padre. E di contro ancor maggiore, i due figli divennero solitari e presero a vagare
per i boschi. Abbandonarono il loro regno. Fin quando non fu deciso che non era
giusto. E gli alti elfi si riunirono. E siccome già sbagliai una volta” il suo
sguardo si spostò su Reimer, finche i loro occhi s’incontrarono “decisi che
sarebbero venuti con me. Ma da quando sono qui la situazione non è cambiata.
Non parlano, mangiano molto poco, e dormono sugli alberi. Salmaye soffre mentre
Talmaye è divorato dal rimorso. L’uno sembra essere l’unica ragione di vita
dell’altro” Leannel pensò che fosse molto triste. Erano solo dei bambini.poi
pensò che la sua stessa storia non era molto differente. E pensò che davvero
lei e Reimer avrebbero dovuto impedire che quei due bambini diventassero come
loro.
“Quindi?” mormorò
“Dovrete parlargli. Dovranno
tornare con voi a Bosco Atro, tra qualche tempo.” Leannel annuì fece un cenno
col capo, si voltò per poi uscire dalla stanza.
“Eccola, la nostra prima
missione importante” disse a Reimer, alle sue spalle.
Reimer pensò che Galadriel era
una donna molto maliziosa od una molto intelligente. Non era comune che due
elfi dormissero nella stessa stanza di un palazzo tanto grande, insieme, senza
avere un rapporto amoroso che li legasse. Eppure quello era stato il loro caso.
E se Galadriel fosse stata una donna maliziosa avrebbe avuto molte cose da
pensare. In fondo a Reimer faceva molto più piacere stare in una sola grande
camera dal grande giardino, che in una più piccola da solo. Perché in realtà il
sentimento che legava lui e Leannel non aveva nome. E allo stesso modo non
aveva peso, non aveva forma. Non era amore. Non era un qualche legame fraterno.
Pareva che fossero identici eppure abbastanza lontani da non togliere l’uno
all’altro la libertà di cui aveva bisogno.
Leannel fece i primi passi
dentro la stanza chiara. Era stanca, in viso. Si sedette sul letto grande.
“Devo vederlo” Reimer la
guardò confuso. Leannel era solitamente una persona piuttosto arida. Non era
facile che i sentimenti scorressero veloci nelle sue vene. Eppure con quel
bambino era stato diverso. Reimer comprese. C’erano sempre delle cose diverse.
“Vuoi che lo mandi a cercare?”
“No, arriverà” a volte Leannel
si chiedeva se Reimer avesse spontaneamente acquisito quella forma di
servilità. A volte sembrava che più che un confidente fosse una guardia del
corpo. Questa era una di quelle volte. Non che a Leannel non piacesse. Magari a
qualcun altro avrebbe dato ordini impossibili, o fatto altre cose puerili del
genere. Ma Reimer era Reimer. E Leannel amava Reimer in modo differente da ogni
altro.
Reimer capì quello che Leannel
diceva. Forse era vero. Ma non gli andava di stare fermo. Quel posto lo rendeva
inquieto.
“Va, se vuoi. Hai un conto da
regolare..” disse Leannel distogliendolo dai suoi pensieri.
“Non posso regolare un conto
con un ragazzino, ma forse gli parlerò.”
“Comunque sia, non ti chiedo
di restare qui” Reimer annuì debolmente. Sorrise tra se e se. Giunto sulla
porta si voltò verso la compagna. Era bellissima quando non era certa di ciò
che le veniva in volto. In quel momento concepì che non era possibile che
Leannel fosse davvero una persona tanto arida da non essere mai riuscita ad
amare. Le luci attorno a lui si fecero opache. Reimer camminava solo nel
corridoio di fronte alla stanza. O forse non era la stessa stanza. Chissà
dov’era.
Leannel appoggiò il capo alla
spalliera del letto. Trasse un profondo respiro.
“E’ solo un ragazzino” si
disse “anzi sono due”. Vero. Erano due. Due ragazzini. Non uno. Non aveva
ancora visto gli occhi di colui che aveva ucciso suo padre. Gli occhi freddi di
chi è cresciuto prima del tempo. Gli occhi di chi aveva scelto prima del tempo.
Leannel pensò a cosa avrebbe fatto se suo padre avesse ucciso sua madre e
avesse puntato il pugnale contro Legolas. Probabilmente non le sarebbe stato
tanto difficile uccidere suo padre. Si sentì crudele. Non era una brutta
sensazione dopo tutto. Amava uccidere e odiava suo padre. Le due cose andavano
d’accordo. Questo era orribile. Si disse che era una stupida. Forse non
l’avrebbe mai ucciso per solo rispetto. Forse. Leannel si ricordò di detestare
i ‘se’ ed i ‘forse’. Era stata una giornata pesante.
Si alzò e si sedette nel
giardino. Era bello. Molto piccolo. In fondo non le interessava.
Passi. Passi lenti leggeri ma
decisi. Nonostante avesse sonno Leannel gli sentiva chiaramente. Non conosceva
quel passo. Non l’aveva mai sentito.
“Chi siete?” mormorò. Il volto
magro si affacciò dalla portafinestra. Un elfo molto giovane. Quasi un
ragazzino. Non poteva avere più di cinquant’anni. Aveva già visto quel viso. Ma
era stato molto diverso. Ora inspiegabilmente quel viso si era dipinto di
forza. Di gioia. Quel volto di quello stesso bambino che ore prima le aveva
chiesto di ucciderlo era solare. Era forte. Era Salmaye. Non poteva essere lo
stesso. Forse il fratello di cui parlava Reimer. No, era Salmaye. Era lui. Non
aveva lo sguardo freddo. Il suo sguardo era pieno di lacrime versate al fine di
rimarginare le ferite. Sembrava che in parte le ferite si fossero rimarginate.
Leannel pensò che magari avrebbe potuto farlo anche lei qualche volta, piangere
per rimarginare le ferite, e poi, sorridere.
“Io devo chiedervi scusa”
disse la voce flebile del ragazzino. Quella voce bellissima. Leannel lo guardò
un istante. Aveva i capelli legati. Come la prima volta. “Avrete avuto un’idea
sbagliata di me, oggi.” Leannel fece cenno di no col capo. Non c’era nulla di
strano. Per lei. Per lei che aveva cercato di uccidersi in più di un’occasione.
Ma pensò fosse meglio non parlarne.
“Non è successo. Io non ho
alcuna idea di voi”
“Talmaye dice che Galadriel vi
ha già detto tutto”
“Talmaye ha ragione. Non ho
bisogno che tu mi parli di tuo padre”
Il ragazzino sorrise. Era
molto bello. Forse più del suo canto. Il sorriso dipinto in un volto tanto
sofferente. Una sintesi perfetta di quello cui Leannel non sapeva dare nome.
Una sintesi perfetta della forza. Salmaye. La pesona più forte che Leannel
avesse mai conosciuto.
“E’ una donna molto buona.”
Disse il ragazzino, sempre sorridendo. “ci ha portato qui con buone
intenzioni.”
“Ma siete distanti. Avete
bisogno di altro.” il bambino sorrise di nuovo. Non era un sorriso imponente o
invadente. Era devastante. Il sorriso di un cuore lacerato. Leannel si sentiva
oppressa. Meritava forse questo bambino tutto i dolore che aveva subito? Rabbia. Per la prima volta Leannel ebbe
voglia di piangere per qualcuno all’infuori di se stessa. No, non era una
persona arida. Talmaye si sedette accanto a Leannel. Non si faceva molti
problemi a prendere confidenza.
“Cos’avevi?” chiese Leannel
“Mio fratello. Ieri sera se
n’è andato. E ancora non avevo potuto rivederlo. Quando mio fratello non dorme
con me faccio dei brutti sogni. Non so se lo si può definire ‘dormire’” Leannel
aveva appena conosciuto qualcuno che sognasse come lei. Era molto strano. La
faceva sentire un po’ meno sola. Ma le faceva sentire quanto fosse ingiusta la
vita.
“Cosa sogni?”
“Sogno cose brutte, cose
tristi”
“Tuo padre?”
“Si, poi ci sono altre cose.
Cose che non conosco. Persone.” La fissò un attimo negli occhi grigi smaltati
di blu “Ti ho sognata ieri notte. Mentre ti chiedevo di uccidermi.”
“Sarei una cosa brutta” disse
Leannel sorridendo. Il ragazzino sorrise a sua volta nonostante Leannel si
fosse resa conto che ridere forse non era la cosa migliore. “No, suppongo di
essere una cosa triste” lo sguardo di lei si perse. “Cosa farete, tu e tuo
fratello?”
“Non tocca a me decidere cosa
faremo. Certe cose sono di sua competenza.” Leannel sorrise di nuovo. Quel
bambino era incredibilmente puro. Incredibilmente tenero. Come avrebbe mai
potuto ucciderlo?
“Di sua competenza…si. Allora
suppongo che dovrò parlare a questo vostro rigidissimo fratello”
Reimer si appoggiò al muro.
Era da molto tempo che non si sentiva così. La testa girava e la vista era
offuscata. Sentiva come un grosso peso gravargli sul petto ed il respiro si era
fatto affannoso. Si appoggiò con la schiena strisciando, per poi cadere a terra. Seduto. La testa non faceva meno
male. Maledetta, stupida Leannel. Era colpa sua. Era quel posto. Era quel
posto. Erano gli elfi. I pomposi elfi dai nomi altisonanti. Erano le mura
candide di quel palazzo. Come se avesse bevuto per tutta òla serata precedente.
E fino a prova contraria non era così. Era molto tempo che non faceva una
bevuta degna di quel nome, pensò. Ma si accorse che non aveva più la forza di
pensare. chissà cos’era.
“Voi… Reimer non siete certo
nelle migliori condizioni” era la voce sobria di Galadriel. Per un attimo
l’aveva scambiata per Leannel. La loro tonalità di voce non era poi tanto
differente.
“Non ho bisogno di essere
giudicato”
“Chissà cos’avete. Forse vi
basterebbe avere un po’ di riposo. Non dev’esser facile avere Leannel come
padrona.”
“Leannel non è la mia padrona.
Leannel è nata dal mio stesso albero” lo sguardo di Reimer era diventato duro.
Evidentemente non aveva alcuna voglia di parlare con Galadriel, bianca dama di
Lorien.
“Non avete ancora
dimenticato..” si abbassò in ginocchio e afferrò il braccio di lui, passandolo
attorno alle sue spalle.
“Come avrei potuto”
“Sbagliano. Voi siete un uomo
molto vendicativo” la voce della dama aveva assunto come un tono di rimprovero.
“Dove mi portate?”
“Alle vostre stanze. Allora
fui costretta ad abbandonarvi. Ma eravate forte. I ragazzini nuovi non saranno
abbandonati.” Per la prima volta Reimer abbassò lo sguardo. Quella donna aveva
il potere di metterlo a disagio. Non ne parlò ma infondo pensava che non era
molto bello che volessero lasciare a loro i due bambini. Forse Galadriel lo
sapeva. Senza bisogno che Reimer ne parlasse. Reimer si rese nuovamente conto
di essere tropo stanco per pensare.
Galadriel lo condusse alla
porta della stanza chiara. L’elfo non avrebbe mai creduto che Galadriel
l’avrebbe accompagnato veramente.
“lei mi aveva mandato a
chiamare l’altro fratello” mormorò Reimer, chiaramente allo stremo delle sue
forze.
“Quel ragazzino è un mistero.
Penso che allora non potrete riceverlo entro questa sera.” Galadriel sorrise.
Reimer lesse in quel sorriso un numero indefinito di sentimenti, che tutti
assieme prendevano nome proprio. E nonostante Reimer non conoscesse questo nome
il suo cuore fu pervaso da altrettanti sentimenti.
Galadriel bussò. Reimer
l’osservò un istante, appoggiato contro mil muro chiaro. Non aveva mai visto
bussare a quel modo. Era irreale. Lontana e candida. Era diversa da ogni altro.
per un attimo si chiese come era riuscito ad odiarla per così tanto tempo.
Quell’essere che sembrava tanto capace di fare del male, dall’alto della sua
candidezza.
Leannel aprì la porta. Nei
suoi occhi una luce strana. Gli ricordava un po’ quando si erano conosciuti.
“Il vostro compagno sta male.
Penso che basterà che dorma.” Reimer le lanciò uno sguardo furtivo. Galadriel
sorrise.
Leannel con la fronte
aggrottata fissava ora Reimer mentre lo accompagnava a sedersi sul suo letto.
Reimer si sdraiò passando una mano sopra la fronte.
“Cos’è successo?” chiese lei,
seduta accanto a Reimer
“Che è successo a te” rispose lui “di tanto importante da
far dormire un ragazzino nel mio letto”
Leannel sospirò. Reimer era
letteralmente crollato. Si chiese cosa l’avesse portata a pensare che il suo
compagno potesse non avere limiti. Reimer era un elfo comune, dopotutto. E non
doveva essere semplice stare accanto ad una come lei. Non aveva neppure
aspettato la sua risposta. Leannel sapeva che non avrebbe dormito. Non sapeva
quello che era successo a Reimer, e questo l’infastidiva. Solo più tardi
avrebbe sviluppato una sorta di apatia.
Ora fissava il ragazzino,
Salmaye, disteso nel letto candido di Reimer. Era un ragazzino molto strano.
Leannel sapeva che non avrebbe potuto separarsene. Era candido come la neve.
Leannel cercò di ricordare quanto potesse essere fredda e candida la neve. Era
passato molto tempo. Da quando era andata al nord e aveva visto la neve. Forse
Reimer la ricordava più nitidamente.
Leannel mise su la casacca
nera di Reimer ed aprì la porta sottile. La tranquillità non era certo parte
del suo ambiente ideale.
Passeggiò. Non si ricordava
bene quei luoghi. Infondo era sempre stato così. Ogni volta. Era sempre stato
come un sogno. Le voci erano lontane ed i colori confusi. E poi c’era sua
madre. Gli occhi della donna elfo si velarono di lacrime. Ma sua madre era
morta davvero molto tempo addietro. E
Leannel vide di nuovo Galadriel e Miriel e quei pochi elfi che sapevano della
sua esistenza unirsi a lei in quel breve segno di lutto. Infondo sua madre era
già morta una volta. Per molti. Leannel pensò che la sua fosse davvero gente
stupida.
Ora era fuori dal palazzo. Ora
vagava per il bosco che attraversato dalla luce del giorno era risultato tanto
differente da come appariva ora. Faceva un po’ freddo, ora. Leannel aveva
deciso di dimenticare il discorso del non avere freddo. Forse in realtà non era
un elfo. O forse erano tutti gli elfi a mentire. Il fatto rimaneva. Lei aveva
freddo. Ora come in passato. E le
piaceva, avere freddo.
“Chi siete” una voce tagliente
da un albero sulla sua testa. Un corpo esile atterrato al suolo. Un pugnale
sottile al collo di Leannel “Chi siete per portare tanto scompiglio nelle
nostre viste?”
Leannel trasse il suo pugnale
bianco e disarcionò quello della figura
“Il mio nome penso che lo
conosciate. Per il resto non era mia intenzione portare scompiglio. Mio
obiettivo era anzi l’opposto” Con movimenti tanto veloci che l’occhio faticava
a seguirli Leannel puntò il pugnale bianco alla gola del ragazzino. Troppo
tardi si rese conto di aver esagerato. E si rese conto anche che il suo
avversario non era da sottovalutare. Il ragazzino scomparve per riapparire alle
spalle di lei. Nonostante tutto Leannel rimaneva più veloce e lo costrinse a
cadere a terra.
“Finalmente ci conosciamo”
Leannel sorrise allungando la mano. Il ragazzino non accettò il suo aiuto.
“Anche se controvoglia ora noi dovremo parlare” mormorò Leannel.
Salmaye alzò il viso caldo dal
cuscino candido. Si chiedeva come avesse potuto addormentarsi. Stava parlando
con una donna bellissima. E si era addormentato come uno stupido. Era già
accaduto una volta. Con Galadriel. Forse le donne belle gli facevano venire
sonno. E lui che pensava di essere un materialista. Sorrise. A volte si faceva
paura da solo. Era entrato nel letto di una delle donne elfo più belle mai
nate. E ora rideva solo. Si alzò in piedi. Afferrò quel nastro che Leannel si
era curata di togliergli prima di coricarlo. Non gli piaceva affatto avere i
capelli lunghi. Aveva sempre pensato di tagliarli, una volta o l’altra. Ma
vivendo alla corte di Galadriel, la più convenzionale delle dame elfiche, non
ne aveva mai avuto la possibilità. Si guardò intorno. Leannel non c’era.
Salmaye era triste. Si guardò attorno di nuovo. Non era solo. C’era un’uomo
vestito di quelli che non dovevano essere i suoi abiti da notte. Dormiva
spossatamene nel letto di Leannel. Salmaye si avvicinò. L’elfo era molto bello.
Gli ricordava un po’ suo padre. Non era una bella cosa infondo. Suo padre era
un mostro. Reimer era un uomo forte, duro e autoritario. Ma certo non era un
mostro.
L’uomo scuro si mosse. Forse
aveva sentito il suo respiro, pensò Salmaye. Doveva essere un guerriero. Il
ragazzino saltò all’indietro per cadere a terra. Se era un guerriero ora
l’aveva sentito sicuramente. Difatti Reimer, dall’aria stordita si era alzato a
sedere. Passò le dita sugli occhi e
fissò lo sguardo impenetrabile sulla figura del bambino.
“Tu sei Salmaye” disse. Il
ragazzino annuì. “Avresti fatto meglio a riflettere prima di piombare nella sua
vita”
Leannel si rese conto che lo
sguardo del ragazzino ricordava incredibilmente quello di qualcun altro.
Leannel gli aveva detto di entrare nel palazzo, ma il ragazzo aveva reagito
solamente agitando il capo. Sembrava non averne intenzione.
“Se vuoi che ti porti via con
me farai meglio a parlare” disse lei. Non capiva perché Talmaye avesse preso
questo atteggiamento. Reimer non aveva detto che era un ragazzo remissivo.
Eppure questa era la realtà. Il ragazzino sedeva a terra e sembrava non aver
alcuna intenzione di parlare.
“Hai capito?” Leannel si
sedette accanto al ragazzino “Voglio che tu mi parli”
“A che pro dovrei parlarti?
Per farmi accompagnare nelle tue dimore fredde e dovere abitare per sempre in
un luogo sconosciuto, come ospiti? Ho già vissuto metà della mia vita in questo
modo. Non ho intenzione di farlo ancora” Leannel rimase in silenzio. Era una
delle prime volte che si sentiva sicura di qualcosa. O per lo meno più sicura
del suo interlocutore. Pensò che Talmaye non parlasse affatto come un
ragazzino. Pensò che Talmaye non avesse nulla di un ragazzino.
“Non vivrai a Bosco Atro come
hai vissuto qui. Bosco Atro è la mia casa e tutti fanno quello che io gli dico
di fare. Questa non è la mia casa ma tu farai esattamente quello che io ti dico
di fare.” Leannel sorrise. Lo sguardo del ragazzino invece fu intristito, e a
Leannel parve essersi riempito di lacrime. “Che succede?” chiese la dama
“Non avrò mai un'altra casa.”
Il suo sguardo non era pieno di lacrime. Era alto. Come se avesse dovuto
difendere il suo onore da qualche cosa. “Ho fatto qualcosa di troppo terribile”
“Non avevi altra scelta. Ho
fatto cosa incredibilmente più terribili di quella che hai fatto tu, eppure io
ho una casa. E voi verrete con me. E combatterete per me” Talmaye si sentì
tranquillo. Solo ora vedeva Leannel. Solo ora che il sole stava sorgendo.
Leannel era bellissima. E adesso sul suo volto era la cosa più simile ad un
sorriso che Leannel riuscisse a ricordare.
“A mio fratello non piace
combattere. Lui vuole solo cantare”
“Questo dovrà aspettare. Fin
quando non sarò io a decidere il contrario voi farete esattamente quello che io
vi ordinerò. Quando lo deciderò Salmaye potrà fare quello che preferisce.”
Talmaye sorrise. Non era un bambino scostante e remissivo. Era molto triste. Ed
era divorato dal rimorso. Ora riconosceva il suo sguardo. Uno sguardo simile a
quello impenetrabile di Reimer. Pensò che in realtà non sapeva nulla del suo
compagno. Perché negli occhi di Reimer avrebbe dovuto esserci rimorso?
“Dov’è mio fratello?” chiese
Talmaye. Senza neppure accorgersene Leannel era volata lontano.
“Prepara la vostra roba,
Salmaye è da me” Leannel si voltò “aspetta” mormorò “C’è altro che devi dirmi.
Devi dirmi di tuo padre”
“Non so nulla. So solo che ho
dovuto ucciderlo”
“Non cambiare mai” disse
Leannel voltandosi di nuovo. Senza potersene accorgere una lacrima calda scorse
sul suo viso chiaro.
Salmaye si sentì
improvvisamente stupido. Reimer lo guardava dall’alto con lo sguardo più severo
che riuscisse a ricordare.
“Avete combinato un bel caos,
voi, tu, tuo fratello e Galadriel. Spero solo che il gioco valga la candela.”
Reimer si alzò. Allungò la mano a Salmaye che sedeva ancora a terra. “Se non
altro tu e tuo fratello siete fatti della stessa pasta. Sarete dei buoni
allievi, mi auguro” L’elfo uscì frettolosamente dalla stanza chiara. Salmaye si
chiese in che razza di guaio fossero andati a cacciarsi lui e suo fratello.
Reimer camminava velocemente.
Sapeva perfettamente cos’avrebbe dovuto fare. E l’avrebbe fatto prima se la
stanchezza non l’avesse fermato. Eccola. Leannel. Chissà cos’aveva fatto.
Piangeva. Non la vedeva piangere da un sacco di tempo ormai. Si trovarono l’una
di fronte all’altro.
“Ora penserai che sono una
stupida” sussurrò Leannel “forse hai ragione” appoggiò il viso contro la spalla
nera di Reimer.
“Che succede” rispose Reimer
“I Bambini verranno con noi”
“Questo non è un male, né
qualcosa di stupido” Reimer passò la mano destra tra i capelli di Leannel.
“Quei bambini mi fanno male”
“No, non è così. Sono solo
bambini. Non è una responsabilità eccessiva. Sono intelligenti.” Leannel trasse
un profondo respiro. Si allontanò dalla spalla. Reimer sorrise. “Va a parlare
con Galadriel. E poi va’ a preparare i cavalli” Leannel sorrise a sua volta
“E tu dove andrai?” chiese. Ma
era tardi e Reimer se n’era andato. Leannel si chiese cosa avrebbe fatto quando
lui l’avrebbe abbandonata davvero.
“Avete visto Talmaye?” chiese
Reimer dall’aria impaziente. La serva, una piccola donna elfo dai capelli
chiari arrossì dolcemente, facendo cenno di no col capo. Non era importante,
pensò Reimer, l’aveva visto. Il ragazzino portava delle borse.
“Cosa fai?” chiese Reimer
sarcastico
“Dobbiamo partire. È questo
ciò che volevate”
“Si, è questo” Reimer prese a
fumare del tabacco “Tu sei decisamente troppo piccolo” sorrise. Il ragazzino
rispose allo stesso modo.
“Quindi mi insegnerai tu a
combattere”
“Sembra di si. Ma non dovrò
essere troppo bravo. Abbiamo un conto in sospeso. Aspetterò solo che tu sia
abbastanza grande da risponderne”. Reimer si allontanò. Per la prima volta dopo
tanto tempo si sentiva leggero. I ragazzini erano solo una ventata di novità
nella loro vita triste.
“Con chi abbiamo a che fare?”
chiese Salmaye seduto dietro suo fratello.
“Non lo so.” Rispose il
fratello dal volto scuro
“La cosa sembra comunque
entusiasmante” Salmaye sorrise. Talmaye sorrideva sempre quando lo faceva suo
fratello.
Sembrava davvero che ora
fossero in quattro.