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Autore: Kanda_90    09/09/2012    2 recensioni
Il mondo di D.Gray-man...la sua storia...i suoi personaggi...
Ma come si sarebbero svolti gli avvenimenti, come sarebbero cambiati gli equilibri tra i membri dell'Ordine, se fin dall'inizio ci fosse stata un'esorcista in più?
Tutto ha inizio in una calda e limpida mattina, alla alba. Una ragazza e il suo cavallo nero si concedono una lunga cavalcata...
Sostano sulle rive di un piccolo specchio d'acqua....
Lei non ricorda il suo passato...non pensa al suo futuro...ma sta per fare un incontro che le cambierà drasticamente la vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Yu Kanda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ce l'ho fatta!!! 6° capitolo di questo delirio mentale!!! XD
Devo dire che scegliere di dividere questa parte dal capitolo precedente è stata una buona idea....un capitolo di 20 pagine poteva essere nocivo XD
Detto ciò:
a) si rivede da un'altro punto di vista una scena già letta. Adoro questo tipo di cose XD
b) Non so perchè certi personaggi spuntano anche quando io non avevo previsto la loro presenza =.="
Grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono!! Continuate a farlo, se vi va e vi piace =D
Buona lettura gente!!!

Hikari

6th Night: Nuova Vita

Percorro l’ingresso, sotto i candelieri lavorati...
Odo il suono dei miei passi riecheggiare nell’atrio...
Parlo...ma con chi?...
Ricordo di aver già visto questa scena...certo, ieri....quando sono arrivata...
Eppure questo momento...ho l’impressione sia accaduto molto tempo fa...
Non sto parlando con Reever...ad accogliermi è un’altra persona...
Scorgo i suoi capelli biondi...raccolti in un’acconciatura che le lascia libero il collo...non ne vedo il volto...
Si rivolge di fronte a sé...sorride?...
Istintivamente ne seguo lo sguardo...un uomo in fondo al corridoio...una croce sul petto...un Esorcista?...
Anche il suo volto è annebbiato...non so chi sia...
Mi volgo verso di lei...cerco risposte...
Una luce inonda la mia visuale...non distinguo più nulla..
.

Aprii un occhio, infastidita. La luce del sogno era dunque reale, un misero e molesto raggio di sole, il primo dell’alba, filtrava dall’ampia finestra. In quel momento non m’importava granché della sua presenza, ero troppo impegnata nel cercare di raccapezzarmi. Non avevo mai fatto un sogno simile prima d’ora. Solitamente, ripetevo in continuazione la stessa visione, in cui mi pareva di galleggiare...in cui il mondo intorno a me sembrava tutto indistintamente rosso. Il mio sogno ricorrente, nonostante più volte avessi cercato di venirne a capo, era quanto di più incoerente la mia mente avesse mai potuto partorire. Ma questo...era totalmente diverso, aveva senso, logica. Ero quasi certa che la bionda che avevo sognato, fosse la stessa che mi aveva accolto al portone dell’Ordine, quando quella visone mi aveva prepotentemente aggredita settimane prima, a casa mia. Ricacciai indietro la tristezza che minacciava di travolgermi, di nuovo, e mi concentrai sul lato onirico della mia mattinata. Non l’avrei mai ammesso, nemmeno a me stessa, ma quegli strani “sogni” cominciavano a crearmi una leggera angoscia.
Scossi la testa con fermezza ed emersi dalle coperte. Non erano state altro che immagini create dal mio subconscio, un puzzle dei ricordi ed esperienze delle ultime settimane.
Ci credevo davvero?
Preferii non rispondermi.
Mi alzai ed indagai meglio la camera, distraendo la mente. La notte precedente non mi ero soffermata poi molto sulla mia nuova sistemazione, il sonno, misto a nervosismo, aveva avuto la meglio. Non c’era poi molto da notare, comunque. Oltre al letto, al quadro sopra di esso ed alla finestra, facevano parte dell’arredamento un appendiabiti, un piccolo armadio ed una scrivania, su cui era appeso un modesto specchio. Semplice ed essenziale, ma al contempo sufficientemente accogliente. Raccolsi il mio misero bagaglio da terra ed estrassi una spazzola ed un paio di forbici, dirigendomi allo specchio.
Pettinare i miei capelli era una delle poche azioni in grado di rilassarmi completamente. Per quanto ne sapevo, non avevo impegni, quindi mi presi tutto il tempo necessario. Come avevo sospettato, un esercito di nodi era lì ad attendermi, più agguerrito del solito. Impiegai un buon quarto d’ora per districarli tutti, vagando tra mentali imprecazioni. Quando furono sufficientemente disciplinati, misi in ordine anche la frangia, eliminando le punte in eccesso. Non ero affatto una maniaca dell’estetica, ma ero convinta che la prima impressione fosse fondamentale e, siccome intuivo che avrei conosciuto diversi volti nuovi nei giorni a seguire, desideravo presentarmi in modo accettabile.
Dentro l’armadio trovai pochi abiti, per la maggior parte camicie e pantaloni. Ne infilai un paio neri, insieme ad una delle mie casacche, dal taglio orientale. Non trovai scarpe o simili nel guardaroba, quindi riciclai i miei logori stivali da viaggio, ormai scoloriti.
Quando la mia mano si appoggiò alla maniglia, pronta a catapultarmi definitivamente in quella vita, avvertii il bisogno di prendere un gran respiro. Espirando, emisi anche tutta la tensione, calmandomi, per quanto possibile.
Uscii, chiudendomi la porta alle spalle.
Non avevo idea di dove avrei dovuto recarmi, o se qualche mansione già richiedesse la mia presenza, così decisi di andare nell’unico luogo di cui in quel momento io, o meglio, il mio irriverente stomaco brontolante, aveva bisogno, la mensa.
I corridoi mi apparvero esattamente come la sera prima: un intricato ed irrisolvibile labirinto! Non riuscii a tenere il conto delle svolte e dei corridoi per cui passai, per non parlare del tempo che persi. Irritata, con la testa tra le mani, mi appoggiai ad una delle ringhiere che si affacciavano sul pozzo centrale, cercando di ricordare a strada fatta il giorno prima.
“Il primo giorno è difficile orientarsi, non sei l’unica ad esserti persa tra questi corridoi.”
Trasalii al suono di quella voce, ma non fu nulla in confronto al salto che feci quando mi ritrovai il volto sorridente, appoggiato sui gomiti, di un giovane dalla capigliatura ribelle e rossa, a dieci centimetri dal mio naso.
“Dico, ma ti sembra il modo?! Mi hai fatto prendere un accidente!”
Per tutta risposta mi guardò con aria interrogativa, come se pensasse di aver fatto la cosa più ovvia e normale del mondo. Ma non c’erano soggetti normali in quel maledetto posto?!
Mi portai una mano alla fronte, sconsolata. Se quello era solo l’inizio della mia prima giornata all’Ordine, preferivo non conoscerne il seguito.
“Che hai? Non ti senti bene?”
Levai la mano...e me lo ritrovai di nuovo appiccicato a pochi centimetri! Istintivamente inarcai la schiena, ritraendomi, con uno scatto così improvviso che, per poco, non capitolai per terra.
“Che diamine! Ma il concetto di distanza non te l’hanno mai insegnato?!” gli sbraitai contro. Quello non fece altro che sorridere, divertito.
Era demente, o cosa?
Ero già sufficientemente alterata, senza che ci si mettesse anche quel bizzarro rosso a rovinarmi la mattinata. Dopotutto, però, non era colpa sua se avevo smarrito me stessa in quel labirinto, non era proprio educato scaricare la mia bile addosso a lui, malgrado il suo assurdo comportamento. Cercai, nonostante l’imbarazzo, di rimediare.
“Senti...cerco la mensa, sai dirmi dove si trova?”
“Certo! Ti ci accompagno.”
Mi rispose, con un gran sorriso che raggiunse anche l’unico occhio.
Senza che potessi minimamente prevederlo, mi cinse le spalle con un braccio e cominciò a camminare. Quel tizio mi stava facendo letteralmente uscire da ogni grazia. Non ero mai stata tipo da contatto fisico, nemmeno tra i miei amici più fidati d’infanzia, ed un simile comportamento, ricevuto da un completo sconosciuto, mi metteva parecchio a disagio. E se mi sentivo a disagio, mi innervosivo. Ero fatta così.
Con movimento fluido e cercando di non sembrare troppo scortese, presi il suo polso destro e mi districai dal suo abbraccio, continuando poi a camminargli a fianco, ma a debita distanza.
“Non offenderti, ma non sono il tipo che da così tanta confidenza agli sconosciuti.”
Il rosso si strinse nelle spalle, senza perdere la sua espressione allegra.
“Nessun problema. Una stretta di mano me la concedi?” mi chiese, volgendosi verso di me per presentarsi.
Aveva uno sguardo davvero limpido, sincero, il tipo di persona che avrebbe ispirato simpatia a chiunque, indistintamente. Se fossi stata una persona diversa, forse gli avrei sorriso di rimando, automaticamente...ma quei tempi erano ben lontani e mi abbandonavano sempre più, da quando avevo messo piede in quel luogo.
Gli porsi la mano destra, stringendo la sua con decisione. Mi ritrovai a pensare che era davvero un bel ragazzo...quell’unico occhio verde smeraldo avrebbe fatto capitolare almeno la metà delle ragazze del mio villaggio, in più era alto e dal fisico atletico. Decisamente all’Ordine si trattavano bene. Non ero comunque quel genere di ragazza che cascava ai piedi del primo belloccio che le si presentava dinanzi, anzi, al momento attuale i ragazzi erano totalmente fuori dalle mie priorità.
“Piacere, io sono Lavi, il futuro Bookman.” Si presentò il rosso.
“Kris Hikari.....Bookman? Cosa sarebbe?” La faccenda mi incuriosiva, quello era un nome che, da che ero giunta lì, non avevo ancora sentito, perciò il mio bisogno d’informazione ebbe la meglio sulla mia abituale noncuranza.
Lavi si guardò un attimo intorno, prima di avvicinarsi e sussurrare la risposta. Era proprio un tipo strambo.
“Dato che sei dell’Ordine te lo posso dire, ma in effetti non potrei...”
Fu un attimo.
Un secondo prima il rosso era di fronte a me, un momento dopo era scomparso, travolto da un proiettile bianco e nero, troppo veloce da poter distinguere. Udii un forte frastuono alla mia sinistra e, quando volsi lo sguardo, vi trovai Lavi, disteso tra le macerie del muro che era andato ad “abbracciare”, che assorbiva una sequela di improperi da un vecchietto che esibiva un vistoso ricciolo di capelli bianchi, il quale, supposi, doveva essere colui che contro quel muro ce l’aveva spedito.
Credo che ciò che si leggesse sul mio volto fosse qualcosa di più della semplice incredulità. Quel posto era letteralmente una gabbia di matti! Mi ritrovai a desiderare la compagnia di Linalee, l’unica, fino a quel momento, che aveva dimostrato normali capacità intellettive.
“Non parlare di Bookman, quando Bookman non è presente!!”
Il vecchio non dava tregua al malconcio rosso, continuando a rovesciarli addosso la sua ira.
Stavo quasi per allontanarmi di soppiatto, evitando di continuare ad assistere a quello spettacolo ben poco edificante, quando il vecchietto notò la mia presenza, rivolgendomisi con un tono e dei modi tanto cerimoniosi da smentire la sua precedente sfuriata. Doppia personalità?
“Scusi quest’asino, signorina, non ha ancora appreso cosa gli è premesso rivelare e cosa no.”
“Vecchio panda...” Udii bisbigliare Lavi.
“Taci!” L’urlo del vecchio fece trasalire anche me. Doveva essere un uomo capace di farsi rispettare senza tanti complimenti...
“No, non si preoccupi,” Tentai di replicare, sperando di svignarmela il prima possibile, “tanto me ne stavo comunque andando...”
“Già te ne vai? Peccato, stavamo facendo una bella chiacchierata...”
“Taci, stupido coniglio! Il tuo problema è che chiacchieri troppo! Quante volte dovrò ancora ripeterti che...!”
Approfittando della ripresa della discussione, voltai l’angolo, coprendomi le orecchie col palmo delle mani. Quel vecchio aveva una voce poderosa per la sua statura.
Ero all’Ordine da meno di ventiquattr’ore ed avevo già avuto modo di comprendere che la mia vita, in quel luogo, sarebbe stata tutto fuorché agevole. Maniaci del lavoro, scienziati pazzi, vecchi urlanti che assaliscono giovani nei corridoi...nemmeno nelle mie più bizzarre aspettative avrei pensato di potermi ritrovare in un posto del genere. La mia vita aveva davvero preso una piega ancor più inaspettata del previsto...
Con questi pensieri a vagarmi nella mente, mi incamminai alla cieca, imboccando uno dei tanti corridoi che si dipanavano dal pozzo centrale. Dubitavo seriamente di aver preso la strada giusta, ma non disperavo in una lieve ed inaspettata dose di fortuna...in fondo la meritavo. Percorsi scale, vicoli bui ad altri fitti di lumi, invano cercando un segno, un mattone più scrostato o una ragnatela dalla forma particolare, che potessero aiutarmi a capire se fossi mai passata o no per quei luoghi. Cominciavo a sentirmi piuttosto scoraggiata e, di quel passo, la colazione non l’avrei vista nemmeno col binocolo.
Mi fermai, appoggiandomi ad un muro, cercando di chiarirmi le idee, quando udii un lieve fruscio d’abiti, proprio dietro l’angolo. Finalmente qualcuno cui poter chiedere un’indicazione!
Senza pensarci un attimo voltai velocemente in quella direzione...ed il mio naso pagò quell’avventatezza. Nel buio di quel misero corridoio, andai ad urtare direttamente contro ciò che immaginai dovesse essere una persona, malgrado la botta presa mi fece per un attimo supporre tutt’altro.
Infastidita da quell’ennesimo evento negativo, nella mia già pessima mattinata, alzai lo sguardo verso il mio “ostacolo”...ma quello che vidi mi lasciò interdetta...
A malapena udii le parole seccate dell’individuo di fronte a me...la testa mi girava...più lo osservavo, più i suoi contorni mi apparivano sfumati...ero certa di conoscerlo, o, quantomeno, di averlo già incontrato, eppure quegli occhi scuri dal taglio allungato, quei lineamenti orientali, quei lunghi capelli corvini sfumati di blu...mi erano totalmente ignoti...
Fu la sua espressione seccata, da me prontamente ricambiata, a riportarmi alla realtà. Di sfuggita, in un primo momento, i lunghi capelli raccolti in una coda mi avevano tratta in inganno, facendomi pensare di trovarmi di fronte ad una ragazza, ma osservando meglio l’individuo che mi si parava di fronte mi dovetti ricredere. Quelle spalle larghe e lineamenti marcati, benché smussati dall’etnia, non potevano certo appartenere ad una donna, per quanto mascolina. Non ero mai stata incline a sopportare occhiatacce prive di fondamento, se poi le suddette provenivano da un uomo, peggio ancora. Aveva appena acceso una miccia esplosiva.
Non ricordavo con quali parole si fosse rivolto a me, anche se pensai non fossero state certo amichevoli. Dopotutto gli ero piombata addosso...ma non era comunque una scusa sufficiente per squadrarmi dall’alto in basso in quel modo.
“Prego?” mi rivolsi, seccata.
“Ti ho detto di guardare dove cammini.” Mi rispose, tra i denti. Era come se improvvisamente un’aura oscura avesse cominciato ad avvolgermi. Tentava di spaventarmi? Aveva decisamente sbagliato persona.
Piegando lievemente la testa verso l’alto, per compensare la considerevole differenza di statura, gli risposi per le rime, con uno sguardo irritato che non gli avrebbe promesso nulla di buono.
“Vedo benissimo dove cammino, grazie. Magari, se tu non ti mettessi nascosto agli angoli dei corridoi, la gente non ti verrebbe addosso, non ti pare?”
“Mi metto dove mi pare.”
Avrebbe potuto gelare una fiamma con quello sguardo e quel tono e dovetti ammettere a me stessa che un lieve brivido freddo si era insinuato lungo la mia spina dorsale. Chi diamine era quel tizio? Notavo un che di assassino nel suo sguardo e modo di fare...sperai fosse solamente una mia impressione dato che, come avevo visto poco prima, indossava una lunga uniforme da Esorcista e, probabilmente, mi sarebbe anche potuto malauguratamente capitare di lavorarci insieme.
Mi accorsi che in una mano stringeva saldamente una katana...mi augurai non volesse usarla sulla sottoscritta. Nonostante il danno che avrebbe potuto infliggermi sarebbe stato minimo, non mi andava di cominciare il mio primo giorno in un bagno di sangue o con una sequela di insulti.
In ogni caso, non ero assolutamente intenzionata a lasciar cadere la questione.
“Ed io cammino dove mi pare.” Fu la mia inflessibile risposta.
Continuammo a squadrarci, nessuno dei due intenzionato a cedere di fronte all’altro. Non staccai lo sguardo da quegli occhi scuri e profondi, nonostante mi sentissi parecchio a disagio. Quel ragazzo aveva qualcosa di strano, qualcosa che, per motivi che nemmeno io comprendevo, sentivo affine...ma che, nel contempo, mi urlava di allontanarlo il più in fretta possibile. Ma forse quest’ultima sensazione era solo l’istinto di sopravvivenza...
“Ora, se permetti, devo passare.” Tagliai corto.
Con un movimento rapido lo sorpassai, urtandogli volontariamente il braccio, irritata.
Che razza di maleducato, intrattabile ed attaccabrighe! L’avevo incontrato solo per pochi minuti, ma già sentivo dentro di me montare un odio profondo per quel giovane. Erano diversi mesi che non sentivo un così forte desiderio di picchiare qualcuno.
Cercando, con profondi respiri, di recuperare un minimo di calma, imboccai un corridoio più grande, da cui udivo provenire un gran chiacchiericcio.

La mia ultima scelta si era rivelata corretta. Seguendo le voci ero riuscita a raggiungere la mensa.
Che sollievo! Finalmente, varcai il portone...
La sala era enorme. File interminabili di lunghi tavoli e panche lignee, circondate da possenti pilastri, a sorreggere le poderose crociere del soffitto. Gli stessi candelieri che avevo notato nell’atrio, illuminavano a giorno l’immenso spazio.
Su un lato del grande salone notai una finestrella, da cui partiva una breve coda di persone, che immaginai fosse il luogo da cui ritirare le ordinazioni. Velocemente mi affrettai, seccata, a prendere parte alla fila di gente in attesa del pasto. Tra le file di tavoli, infatti, avevo notato, seduto solo, in compagnia della sua katana, il moro decerebrato di poco prima, perciò avevo deciso di evitare che notasse la mia presenza. Un’altra discussione con quel tipo e sarei uscita da ogni grazia.
Non ebbi nemmeno il tempo di decidere cosa avrei preso per colazione, che mi ritrovai davanti all’apertura.
“Uuuh, ma chi è questa bellissima ragazza?”
Tutto mi sarei aspettata, tranne che un energumeno con gli occhiali da sole, paludato in un grazioso grembiulino da cuoca, spuntato cinguettando dalla finestrella della cucina. Non potevo vedermi in volto, ma immaginai di avere gli occhi fuori dalle orbite per la sorpresa e l’incredulità.
“Salve...sono una nuova Esorcista...sono arrivata ieri...”
Era difficile mettere insieme un discorso coerente dinanzi a tanta bizzarria.
“E come ti chiami, tesoro?” Chiocciò il cuoco...o la cuoca...?
“...Kris...”
“Che bel nome! Io sono lo chef Jerry, cosa vuoi che ti prepari? Posso cucinare tutto ciò che vuoi.”

Era simpatico, nonostante fosse piuttosto buffo. Mi venne quasi spontaneo accennare un mezzo sorriso.
“Veramente non saprei...vorrei fare colazione...ma non ho idea di cosa prendere...”
“Nessun problema, ti porto io qualcosa.”
E sparì nella cucina, tornandone pochi attimi dopo con un vassoietto fumante.
“Ecco qua, cara. Cappuccino e brioche!”
“Grazie...”
“Di nulla. Il prossimo!”

Mi avviai col mio vassoio alla ricerca di un tavolo libero. Non fu difficile trovarne uno, la sala non era troppo affollata, così mi accomodai in fondo ad una panca occupata, all’altro capo, da un gruppo di uomini dalle uniformi beige, che salutai con un lieve cenno del capo.
Mi concentrai su quella strana colazione, mai provata prima in vita mia. Era squisita! Immediatamente decisi che quella sarebbe stata la mia colazione-tipo, da quel giorno in avanti. Quel Jerry era davvero un genio in cucina.
Mentre assaporavo il mio pasto, lasciai che occhi e mente vagassero per quel salone. Non vedevo molti Esorcisti, la maggior parte dei presenti era formata da uomini con la stessa uniforme che avevo visto indosso ai miei compagni di tavolata, di cui ignoravo totalmente le mansioni, e da uomini in camice bianco, che immaginai essere membri della scientifica. C’era una netta sproporzione. Se, come mi aveva detto il Generale, quella era davvero una guerra all’ultimo sangue, come poteva essere che i prescelti dell’Innocence fossero così pochi? Come poteva un esiguo manipolo di persone, per quanto dotate del potere divino, combattere l’esercito di Akuma che le forze del Male andavano creando? Magari mi stavo sbagliando...forse era solo un caso che in quella sala, al momento, non ci fosse un gran numero di Esorcisti, probabilmente la massima parte era in missione, o non era ancora uscita dalle camere...un ragionamento che non convinceva nemmeno me. L’amara verità era che eravamo pochi...
Mi accorsi che i miei pensieri ormai erano passati al “noi”. Nonostante detestassi questa mia nuova sistemazione, mi ero oramai rassegnata ad accettare la mia attuale condizione. Sarei diventata un’Esorcista e su questo c’era ben poco da fare, era una situazione che, malgrado non l’avessi scelta consapevolmente, non sarebbe cambiata. Combatterla non sarebbe servito a nulla...anche se ciò non voleva dire che l’avessi completamente accettata, anzi...
Mentre ancora mi soffermavo su queste considerazioni e sulla crema della mia brioche, un urlo colmo di rabbia squarciò la sala, facendomi voltare immediatamente.
“Cos’hai detto?! Ehi! Prova a ripeterlo!”
Tre tavoli dietro di me, un energumeno in divisa chiara si era alzato, troneggiando colmo d’ira...sul moro! Ciò in un certo senso mi provocò un lieve sorriso di soddisfazione. Allora, non ero l’unica cui aveva fatto perdere le staffe, era proprio un vizio.
Non riuscivo ad udire cosa l’Esorcista gli stesse replicando, ma a giudicare dal tremito che scuoteva l’uomo dietro di lui, visibile persino a me, da quella distanza, non doveva essere stato nulla che l’altro potesse aver apprezzato.
“Dannato...Come osi dire certe cose su dei compagni morti in missione?! Noi Finder dell’unità di ricerca rischiamo la vita per essere di supporto a voi Esorcisti...”
Quindi era questo il compito di tutte quelle persone? La situazione cominciava se non altro a chiarirsi...
“...e questo ti farebbe peggiorare il gusto del cibo?!!”
Senza alcun preavviso l’energumeno portò indietro il braccio destro, pronto a vibrare il micidiale colpo sul moro sottostante. Per un attimo trattenni il fiato, ma nemmeno per un momento mi sognai di intervenire. Quell’uomo non stava facendo altro che realizzare ciò che io, nel mio autocontrollo, mi ero imposta di evitare. Mi sarei goduta un bello spettacolo.
Il tempo di un battito di ciglia e la situazione, però, si era ribaltata.
Con un movimento impercettibile, l’Esorcista era riuscito a schivare il colpo, ed ora stringeva la gola del suo avversario nella morsa della sua mano destra.
“Ma come...!”
Pensai che l’avrebbe fatto a fette con la sua katana, ma, oltre a pronunciare parole, per me incomprensibili data la lontananza, non fece. Se mi fossi lasciata andare, quella mattina, avrei fatto la stessa fine di quell’uomo? Non ne ero del tutto sicure, ma, certo, la possibilità c’era ed era alta...chi era quel ragazzo?...
Il volto dell’energumeno cominciava a mostrare i segni della mancanza di ossigeno, ma quel pazzo non accennava a mollare la presa. Non eravamo tutti dalla stessa parte lì dentro?! Non mi ero mai preoccupata troppo degli altri, ma avevo imparato a mie spese quanto anche l’aiuto più inaspettato possa rivelarsi utile, anche se non richiesto. Non m’importava granché di tutta la gente che affollava quel salone, ma combattevano tutti per un fine comune ed azzuffarsi tra di loro come cuccioli immaturi era quanto di più stupido potesse esserci. Inoltre, a quanto vedevo, quel tipo non pareva farsi molti scrupoli circa il suo avversario. Ebbi l’impressione che, se anche fosse soffocato, per lui non avrebbe fatto differenza. Era davvero orribile.
Arrivata a quel punto, non riuscii più a trattenermi. Mi alzai in piedi, scavalcando la panca e feci per dirigermi verso i due contendenti, quando...
“Stop.” Risuonò nell’aria.
I miei passi rimasero bloccati sul posto. Qualcun altro mi aveva preceduta, fortunatamente.
Un ragazzino dai capelli bianchi ed una strana cicatrice sul volto, aveva preso il polso dell’Esorcista, facendogli mollare la presa. Il Finder cadde a terra, allo stremo, prontamente soccorso dai suoi compagni, che lo misero sdraiato su una panca. Ridurre una persona in quello stato, senza una motivazione...una rabbia senza senso mi montava dentro e, più posavo lo sguardo sul moro, più quest’ira cresceva. Quello aveva proprio bisogno di qualcuno che gli rispondesse per le rime. Ma che diamine di problemi aveva?!
L’atmosfera tra i due ragazzi sia era fatta alquanto incandescente e già immaginavo l’inizio di un’altra inutile lite furibonda, quando la voce del caposezione Reever ruppe il silenzio che si era creato, come uno spiraglio di luce a cacciare le tenebre che stavano avvolgendo quell’angolo del salone.
“Kanda! Allen! Finite di mangiare entro dieci minuti e venite in Sala Comando. Andate in missione.”
Come fosse stata pronunciata una parola magica, i due si separarono, non senza una debita dose di occhiatacce e, immaginai, insulti mentali, andando ognuno per la propria strada. Se il destino non avesse mandato in missione quei due, probabilmente l’infermeria sarebbe stata parecchio affollata quella mattina.
In cuor mio mi augurai di aver assistito ad un episodio isolato. Il solo pensiero di dover sopportare ogni giorno una tale tensione, mi fece quasi passare la fame...ma l’abilità di Jerry ai fornelli era decisamente più potente di quel pensiero. Finii con calma ciò che restava della mia colazione, voltando occasionalmente lo sguardo in direzione dello sventurato Finder, il quale stava cominciando a riprendersi, aiutato dai suoi compagni.
“Kris Hikari, giusto?”
Decisamente non mi era concesso completare in santa pace il mio pasto.
In piedi, al mio fianco, stava un giovane, da vistosi occhiali tondi, che quasi gli occultavano il volto, incorniciato da una capigliatura decisamente ricciuta. Doveva avere già passato la ventina, eppure era mingherlino, con una corporatura da adolescente. Dal camice bianco lo identificai come membro della Scientifica.
“Si...?” Gli risposi, titubante. I miei limitati incontri con quella Sezione non mi avevano lasciato buoni ricordi.
“Piacere, io sono Johnny.” Si presentò, sorridendo cordialmente. “La tua Innocence e la tua uniforme sono pronte. Dovresti seguirmi alla Sezione Scientifica, per la consegna.”
La mia Innocence...era pronta.
Eccolo.
Il punto di non ritorno.
La fine della possibilità di scelta circa la mia vita.
Era un momento che attendevo con curiosità, ma angoscia soprattutto, l’attimo in cui sarei diventata ufficialmente un’Esorcista, legata ad un potere che nemmeno comprendevo appieno...e forse non ci sarei mai riuscita...
Respirai a fondo. Pensarci non avrebbe giovato ai miei nervi.
“Va bene.”
Mi alzai e seguii il giovane, ormai dimentica del vassoio di cibo che poco prima assorbiva tutta la mia attenzione. Ogni passo che compivo era un brandello del mio passato che veniva rinchiuso per sempre nell’angolo più remoto del mio cuore, destinato a non venire dischiuso mai più. I corridoi si susseguivano, nel loro intrico, come i pensieri che mi affollavano la mente, senza un apparente ordine, trasportati dalla turbolenta forza delle mie sensazioni...delle mie paure ed ansie...
In quello che mi parve un attimo, ero lì, di fronte al Supervisore, la mente al margine di quel sottile confine tra la coscienza e l’oblio...
Il giovane che mia aveva accompagnato mi porse un pacco informe, che immaginai essere un capo di vestiario.
L’Uniforme.
Lo aprii, con mai tremanti che cercai di non mostrare. Era semplice, ma al contempo pratica ed elegante: un paio di stivali neri al ginocchio, pantaloni lunghi del medesimo colore ed un soprabito di media lunghezza. Il colletto rimaneva alto, bordato ai margini da una linea bianca, gemella di quelle del medesimo colore che solcavano verticalmente la giacca, fino all’altezza della cintura. Tutti i bottoni argentei risplendevano, lucidi e sul retro di ognuno potevo scorgervi il mio nome inciso...sul petto, così fastidiosamente splendente, la Rose Cross.
Una voce, no...una presenza, che stava lentamente insinuandosi nel mio subconscio, fece cadere momentaneamente l’interesse per ciò che mi era appena stato consegnato. Voltai la testa nella direzione in cui quella strana sensazione, che già una volta avevo provato, mi suggeriva, incontrando con lo sguardo il fodero splendente che faceva bella ostra di sé, proprio lì...sul tavolo, a pochi passi da me.
“Hebraska ha conversato a lungo con lei, per capirne l’attidutine, inoltre abbiamo avuto qualche informazione dal Generale Cloud circa la tua prima evocazione. È stato deciso che questa fosse la forma ideale.”
Meccanicamente mi avvicinai al tavolo. Una spada occidentale, lucida e perfettamente lavorata, faceva mostra di sé, chiamandomi, come se mi avesse sempre conosciuta. Non ne capii il motivo, ma mi parve quasi di stare salutando una vecchia amica, dopo una lunga separazione...il che era assolutamente ridicolo.
Tralasciando il fodero marrone, decorato da fini inserti argentei, i miei occhi si diressero subito all’elsa, ad una mano e mezza, proprio come le spade di tipo occidentale che fabbricava mio padre. In fondo ad essa, una limpida pietra di un azzurro simile al mare, rifrangeva la forte luce della stanza, riflettendola sull’incastonatura che l’avvolgeva, per poi arrotolarsi a spirale sull’impugnatura e dividersi, infine, in due magnifiche teste equine, prive di criniera, con due pietre del medesimo colore al posto degli occhi. Il ricordo del mio amato Seishin fu inevitabile, come inevitabile fu il moro di rabbia che provai verso coloro che me l’avevano portato via.
“L’Innocence risiede nella lama, sfoderala.”
Komui mi riportò alla realtà. Impugnai l’elsa, fredda al tatto, ed estrassi l’arma. dovetti constatare che era splendida, nemmeno il mio esperto padre avrebbe saputo far di meglio. Era una lama di tipo tipicamente occidentale, non fosse stato per il lieve allargamento in prossimità di un terzo della sua lunghezza, che le dava un aspetto più snello ed elegante. Ma ciò che più di ogni altro particolare la rendeva diversa da qualsiasi spada avessi mai maneggiato, era il colore della lama, il medesimo delle pietre dell’elsa, unito ad una trasparenza che mi permetteva di scorgere ciò che era al di là della lama stessa...ma tutto ciò che di esteriore avevo potuto osservare, non era altro che il sontuoso involucro costruito perché io e “lei” potessimo diventare un’unica entità...anche in quel momento, la sentivo sussurrarmi il suo immenso potere, tramite quella lama lucida...
“Apocalypse, custode delle fiamme purificatrici dell’Inferno.”
L’Innocence ancora saldamente tra le mani, lo sguardo smarrito che mi era impossibile nascondere, fissai Komui.
“E’ il nome della tua Innocence.”
Con gesto rassicurante, pose la mano destra sulla mia spalla, sorridendomi.
“Benvenuta all’Ordine Oscuro, Kris Hikari.”

Lo so, è un capitolo lunghissimo, chiedo venia...
Ho messo tutto il mio amore nel descrivere Jerry <3 <3 <3 e tutt'ora non so perchè sia apparso Lavi...non ci doveva essere nella mia idea originale! O.o mah...
Attendo con ansia i pomodori!! XD

   
 
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