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Autore: EvgeniaPsyche Rox    09/09/2012    7 recensioni
Axel era pazzo, ma Roxas faceva finta di non saperlo.
Axel lo amava, e Roxas aveva paura.
-
Un miscuglio di ricordi sporchi, amarezze e solitudine, sensazioni insanguinate ed emozioni soffocate, fili che intrecciano un passato sfocato e un presente inesistente.
[Mi scuso enormemente per questa mia assenza e per aver interrotto le mie long-fic in corso.]
Genere: Dark, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
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Dirty pages  

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 ''La neve potrà nascondere il sangue, ma se scaverai con attenzione troverai sempre quella pozza scarlatta sotto i tuoi piedi.'' 


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I fari di una macchina all'esterno illuminarono la stanza per pochi secondi proprio nello stesso momento in cui Roxas si stava mettendo seduto a gambe incrociate sul letto; Axel ghignò con le mani dietro la testa, socchiudendo lentamente gli occhi. «Nemmeno a te il sesso dispiace.»
Il biondo non rispose, pensando comunque alle sue parole; sì, insomma, doveva ammetterlo, Axel era davvero in grado di farlo impazzire sotto le coperte.
Sentire le sue ruvide mani sfiorargli la pelle gli mandava in tilt il cervello e le sue parole sussurrate all'orecchio lo portavano in estasi totale.

Amava il suo corpo unito al proprio, così come era estremamente imbarazzante quando lo implorava di continuare, di non smettere, di penetrarlo sempre più forte e più a lungo.
Erano attimi particolari, quelli. Erano speciali, strani, e l'orgasmo diventava l'ossigeno della sua anima.
L'odore del sesso era il profumo più dolce del loro amore nell'unione di due corpi caldi in un movimento armonioso quanto violento.
In quei momenti si scordava del fatto che Axel fosse rotto.
Gli aveva raccontato che quando era fuggito dalla sua vecchia città aveva iniziato a spassarsela a letto con le ragazze e a quanto pare tutte quelle notti infuocate avevano dato i loro frutti.
Poi lo aveva fatto con un ragazzo, chissà perché. Gli aveva detto che aveva voglia di cambiare, probabilmente. L'aveva fatto e gli era piaciuto: per questo quando si erano conosciuti non si era fatto tanti problemi a dirgli che voleva fare sesso con lui.
Si erano incontrati in un piccolo locale in fondo alla città sei mesi prima; Roxas aveva litigato con suo fratello e così era corso via di casa, rifugiandosi in quella specie di bar.
Si era seduto di fronte al barista e si era limitato ad appoggiare la testa sul bancone con aria sconsolata; dopo neanche due minuti aveva rialzato le iridi blu e si era accorto della presenza di Axel, il quale lo stava fissando intensamente. «Ehi, tutto bene?»
Lui aveva scosso debolmente la nuca, temendo di parlare perché sapeva che sarebbe potuto scoppiare a piangere come un bambino.
«Periodo difficile?», aveva azzardato il rosso appoggiando una mano sulla sua schiena.

Il giovane aveva fatto nuovamente un cenno negativo con la testa e Axel aveva sollevato automaticamente un soppraciglio, in attesa che parlasse; a quel punto Roxas si era fatto coraggio e aveva timidamente schiuso le labbra. «Vita difficile.»
Axel allora aveva sorriso, lieto che finalmente si fosse fatto sentire. «Ti capisco.»
«No, non credo.»
«E invece sì, fidati di me.», detto ciò aveva scostato la mano dalla sua schiena e aveva schioccato le dita in direzione del cameriere. «Ti offro qualcosa, dai.»
Il diciottenne si era stretto impacciatamente le spalle, a disagio. «No, non c'è bisogno, grazie.»
Axel aveva ridacchiato, ordinando una lattina di Coca cola. «Non preoccuparti, non ti voglio mica far ubriacare.»
Avevano chiacchierato per quasi un'ora e Roxas si era sentito meglio; Axel era stravagante, parlava in modo strano e aveva una risata profonda, da uomo, ma tutto sommato gli piaceva. Era sicuro di sé e sbatteva il pugno sul bancone quando voleva sottolineare un concetto importante.
Poi era sceso dalla sedia e aveva accennato un mezzo sorriso imbarazzato. «Adesso devo andare.», si era così voltato, avviandosi verso l'uscita, quando Axel lo aveva fermato, afferrandolo per una spalla.
Roxas allora non pensava che Axel fosse rotto. Magari soltanto un po' troppo strano, ecco.
«Aspetta», gli aveva detto chinandosi verso di lui. «Spero di rivederti domani. Io sarò qui alla stessa ora», e lo aveva baciato.
Lo aveva baciato sulle labbra e lui era fuggito via con le gote arrossate come due mele mature.
Nessuno gli aveva mai dato un bacio, tanto meno un uomo. Nessuno si era mai avvicinato a lui dopo la morte di sua madre.
Eppure il giorno successivo era tornato e lo aveva trovato seduto al bancone; gli aveva detto che lo stava aspettando con ansia e lui si era sentito in imbarazzo.
Avevano chiacchierato per altre due ore e prima che Roxas lasciasse il locale Axel gli aveva detto che era carino e che aveva degli occhi stupendi.
Il giorno dopo gli aveva detto che voleva fare sesso con lui e quello dopo ancora lo aveva portato a casa sua per sporgliarlo e sverginarlo sul divano rosso in soggiorno.
Dopo due mesi aveva persino iniziato a passare le notti da lui; suo padre non se ne curava e suo fratello non faceva altro che ripetergli che Axel aveva qualcosa di strano, molto strano.
Roxas però lo ignorava; pensava semplicemente che Sora fosse invidioso del fatto che per una volta qualcuno aveva scelto di amarlo nonostante tutto quello che aveva passato.
Questo prima di scoprire che Axel fosse rotto.
Un'altra auto sfrecciò tra le strade e la stanza venne nuovamente illuminata; Roxas sbarrò automaticamente gli occhi alla vista di una macchia scarlatta sul cuscino.
Si toccò così con ossessione ogni parte del corpo, impaurito di essersi ferito in qualche modo, ma non trovò nulla e questo lo spaventò ancora di più.

«Axel...», chiamò poi con esitazione; proprio in quel momento il diretto interessato aveva acceso la luce e si era voltato verso il giovane che stava guardando con orrore il cuscino macchiato.
«Cosa succede?»
«Ma non vedi?!», tuonò con evidente irritazione il biondo, indicando lo spruzzo rosso.
«Forse hai il ciclo, oppure ti ho scopato troppo forte.», rispose ghignando l'altro con affilato sarcasmo, per nulla preoccupato.
«Vaffanculo.», fece schiettamente Roxas, scocciato. «Vaffanculo con tutto il cuore.»
Axel scoppiò a ridere, estremamente divertito dalla risposta del compagno, e gli mostrò la mano sinistra che presentava un taglio rosso sangue vivo, il quale andava dal pollice al medio. «Colpa mia. Mentre lo facevamo ho cercato qualcosa da stringere e non mi sono accorto delle forbici sul comodino.»
Il biondo spostò nervosamente lo sguardo dalla sua mano e osservò le forbici grigie accanto all'abat-jour. «Perché tieni delle forbici lì?»
Il compagno lo ignorò volontariamente e si voltò verso la porta. «Vado a fasciarmi», disse poi sordamente con aria strana, abbandonando la stanza.

Roxas tornò ad osservare le forbici aperte dalla punta macchiata di rosso e prese un profondo respiro, socchiudendo gli occhi; sua madre gli aveva sempre detto che non bisognava mai tenere le forbici aperte perché portava male, molto male.
Lei aveva avuto un tumore al cervello ed era morta, abbandonandolo insieme a suo padre.
Sora era l'unico che brillava ancora; lui donava luce alla casa morta.
Morta, sì. Proprio com'erano morti sua madre e suo padre.
Per un periodo anche Roxas aveva pensato di essere morto; aveva pensato che aveva voglia di morire, di soffocarsi sotto il cuscino e di morire. Era stanco e aveva avuto voglia di morire.
Ma lui non era morto come i suoi genitori. Lui si era perso, che forse era pure peggio di morire.
Suo padre era un bell'uomo e aveva sempre avuto un certo successo con le donne; era professionale, elegante e affascinante. Parlava con le persone giuste, una volta. Andava a correre tutti i giorni per mantenersi in forma, una volta.
Era vivo e respirava, una volta.
Adesso invece era invecchiato; invecchiava ogni ora di ogni giorno, invecchiava velocemente e si appassiva come i fiori che sua madre amava annaffiare in balcone, una volta.
Suo padre era diventato un'ombra, un riflesso, e lui si era perso nel nero più assoluto del nulla.
I suoi amici si erano trasformati tutti in una macchia confusa, lontana, e le loro parole oscillavano in maniera strana nella sua testa; qualche volta gli trapanavano il cervello, soprattutto di notte, tenendolo sveglio fino alle prime luci dell'alba; mentre altre volte non se ne curava, non ci pensava, non li sentiva e basta.
Sua madre era morta e il suo mondo era scivolato nell'abisso più oscuro senza margini né confini; era precipitato nell'oblio più vuoto, accompagnato da una melodia silenziosa che aveva ammazzato tutto e tutti.
Era orribile.
Roxas aveva visto morire una persona e si era sporcato tutto.
Non riusciva a lavarsi in alcun modo.
Sospirò pesantemente e scese dal morbido materasso, afferrando i propri boxer neri dato che iniziava a sentire i primi brividi di freddo; si infilò la felpa scura che aveva portato e si guardò attentamente attorno.
La stanza di Axel aveva un perenne odore di sesso ed era abbastanza piccola; vi erano il letto ad una piazza e mezzo, l'armadio di legno, il comodino ed una piccola scrivania.
Si avviò verso la finestra che si affacciava sulla strada e appoggiò i gomiti sul davanzale, pensieroso.
In realtà quella sera non gli aveva detto perché era scappato da casa sua; non gli aveva detto perché si era messo a correre sotto la pioggia, cadendo addirittura su una pozzanghera, nonostante lui gli avesse ordinato di starsene buono ad aspettarlo.
Non gli aveva detto che aveva iniziato a curiosare in giro, preso dalla noia; non gli aveva detto che si era sentito improvvisamente male, a disagio, in ansia.
Roxas aveva paura di rimanere solo a casa di Axel.

Sentiva delle cose strane, sentiva porte che sbattevano, sentiva piatti che si rompevano e vasi che cadevano. Sentiva frasi spezzate e sussurrii agghiaccianti; udiva urla e grida, vedeva cose strane.
La sua mente aveva iniziato a lavorare da sola; si era immaginato scheletri, corpi putrefatti e cadaveri nascosti dietro l'armadio. Si era immaginato i suoi amici, i suoi amici morti nell'incidente di nove anni fa, e aveva avuto la nausea. Aveva sentito puzza di carne che bruciava e voleva soltanto vomitare, rigettare via se stesso.
Vedeva sangue, rosso, rosso ovunque.
Aveva avuto paura ed era fuggito via senza pensarci due volte.
Aveva persino pensato di rompere i rapporti con lui, ma non ci era riuscito in alcun modo.
Aveva addirittura provato a chiedergli di riconsegnargli la coppia delle chiavi di casa, ma lui si era limitato a fissarlo con uno sguardo vacuo prima di chiedere: «Perché Roxas? Ti ho fatto qualcosa di male?»
Il biondo aveva sentito un brivido percorrergli la schiena ed era rimasto in silenzio mentre Axel aveva ripreso a parlare. «Io voglio solo proteggerti dal male.»
Poi aveva cambiato argomento, stringendo le chiavi nella tasca dei suoi jeans scuri.

Sora diceva che Axel aveva qualcosa di strano; Axel, sì, quell'uomo del locale in fondo alla città, quello dalla risata profonda e dai segreti oscuri.
Quello che aveva scoperto essere una persona troppo gelosa e possessiva; così gelosa da arrivare a fargli del male, così possessiva da soffocarlo, da rubargli tutto lo spazio, da pretendere di essere l'unico nella sua vita.
Era l'ennesimo lato di Axel che lo spaventava.
Roxas aveva paura quando vedeva i suoi occhi verdi incupirsi dalla gelosia, dalla rabbia, dalla voglia di bruciare. Nei suoi occhi c'era un fuoco che ardeva e Roxas aveva sempre avuto paura delle fiamme assassine.
Era stato orribile e scioccante per lui. Si era promesso che non si sarebbe più avvicinato a nessuno tranne che ad Axel; l'aveva promesso a lui e a se stesso, l'aveva promesso perché aveva avuto una folle paura di rivederlo in quello stato.
Era successo circa quattro mesi fa; era una gelida serata di Dicembre e il vento gli stava schiaffeggiando le guance, tingendole dolcemente di rosa come segno del suo passaggio.
Aveva deciso di passare un po' di tempo nel vecchio parco a pochi isolati da casa sua; sapeva perfettamente che lì non ci andava mai nessun bambino perché i giochi erano rotti ed inutilizzabili, risultando dunque pericolosi agli occhi preoccupati delle madri.
Invece per lui era un posto perfetto per riflettere in pace e in silenzio.
Si era seduto su un'altalena blu dalle catene arruginite ed era rimasto per un po' di tempo ad osservare la neve con aria pensierosa e assorta.
La notte precedente aveva fatto un terribile incubo; aveva sognato di essere ricoperto di sangue dalla testa ai piedi, esattamente come Carrie, la ragazza posseduta di quel vecchio film horror.
Aveva sentito il pungente e forte odore del sangue riempirgli le narici, facendogli contorcere i muscoli dello stomaco e le budella stesse; successivamente si era guardato allo specchio e aveva iniziato a piangere senza alcun motivo.
Il problema però era che aveva pianto rosso; le sue lacrime erano sangue e gocciolavano proprio come i suoi capelli sporchi.
Successivamente si era avviato in bagno, i passi lenti e il pavimento che si macchiava sotto i suoi piedi scarlatti, e si era infilato nella vasca piena d'acqua limpida che in breve tempo si era tinta del colore del peccato.
Aveva appoggiato delicatamente la testa sulla vasca quando aveva sentito i propri capelli venire afferrarati con forza (troppa forza), sentendosi così tirare all'indietro; si era ritrovato nell'acqua rossa e aveva immediatamente trattenuto il fiato.
Aveva alzato le mani in alto in una richiesta di aiuto e aveva cercato di dimenarsi dalla presa mortale, senza alcun risultato; aveva allora spalancato la bocca per gridare, ma aveva ingerito l'acqua scarlatta, ritrovandosi così a tossire bolle di sangue che risalivano in superficie.

Dio mio, aveva pensato, sto per morire.
Si sentiva bruciare i polmoni, gli stavano martellando con violenza il petto e gli stavano spezzando il respiro dal dolore.
Stava morendo, sarebbe morto, ma le sue mani erano riuscite ad afferrare le sponde della vasca; allora si era spinto in avanti, verso la superficie, sfuggendo dalle braccia della morte.
Aveva assaggiato il dolce sapore dell'ossigeno prima di urlare, prima di urlare come un ossesso alla vista del volto sfigurato di sua madre.
Gli era sembrato di vivere un libro dell'orrore di Stephen King: i lineamenti del suo pallido volto erano deformi come un dipinto mal disegnato e vomitava sangue sia dalla bocca che dagli occhi.
Roxas si era svegliato gridando e suo fratello era stato costretto a rimanergli accanto fino all'alba per tranquillizzarlo.
Quel dannatissimo incubo gli aveva rubato una parte dell'anima; gliel'aveva strappata via con violenza come faceva un predatore con la carne tenera delle bestie indifese.
Aveva borbottato frasi senza senso per tutto il tempo e si era stretto la testa come un pazzo, dondolandosi avanti e indietro con le lacrime agli occhi, mentre Sora tentava in ogni modo di calmarlo, accarezzandogli anche i capelli dorati.
Sua madre era tornata dall'oltretomba e lui sapeva che se non si fosse svegliato sarebbe morto per davvero.
Lo avrebbero ritrovato la mattina successiva con il corpo ricoperto di sangue denso e fresco, la testa penzolante da una parte del letto e le labbra schiuse in una preghiera non ascoltata.
I giornali avrebbero parlato di lui; del ragazzo maledetto che era morto misteriosamente, del ragazzo che aveva perso la madre a causa di un tumore, che aveva uno zombie come padre e un uomo dagli oscuri segreti come fidanzato, il quale aveva avuto un tragico incidente a quindici anni per colpa di un fottutissimo gioco del cazzo.
Magari avrebbero riaperto il caso dell'incidente sulla strada 49 di Black Street e avrebbero scoperto la menzogna di Axel; ma non sarebbe stato un problema suo perché lui si sarebbe già trovato nell'aldilà, dove aveva voluto portarlo sua madre.
Nonostante suo fratello gli era rimasto accanto non era riuscito comunque a chiudere occhio per il resto della nottata e il volto sfigurato di sua madre aveva continuato a violentargli la mente insieme all'immagine del proprio corpo intriso di sangue nella vasca da bagno.
Quella sera aveva continuato a pensare a quel maledetto incubo anche mentre osservava il biancore della neve che addobbava il parco; l'aveva sfiorata appena con le proprie scarpe quando aveva improvvisamente sentito l'altalena muoversi e si era voltato così di scatto.
Aveva immediatamente sgranato le iridi, stupito dalla vista dell'espressione indecifrabile di Axel che era intento a stringere le catene arrugginite.
«Non mi aspettavo di trovarti qui.», aveva ammesso dopo qualche secondo di sorpresa, tornando poi ad osservare la neve; eppure non aveva udito alcuna risposta e questo lo aveva messo ulteriormente a disagio.
No, forse non era neanche una sorpresa. Non era una bella sorpresa; non era l'emozione di aprire un uovo di Pasqua o un regalo di compleanno o di Natale, no, assolutamente no.
Era una sorpresa inaspettata. Inaspettata però in senso negativo. Era lo stupore di vedere quel film tanto bello concludersi in maniera orribile; era lo stupore di scartare il regalo e ritrovarsi qualcosa che già possiedi, o che detesti con tutto te stesso.
Era quel genere di stupore.
Una brutta sorpresa.
«Che cosa ci fai da queste parti?»

Ancora silenzio. Ancora quella dannata assenza di parole di Axel che lo spaventava a morte.
«Cos'è, sei diventato sordo per caso?», non appena aveva terminato di formulare la domanda si era sentito improvvisamente afferrare per il cappuccio della giacca, accorgendosi poi che Axel lo aveva spinto in avanti con talmente tanta forza da fargli affondare il volto sotto la neve: aveva picchiato immediatamente i denti contro il labbro superiore e una scarica di dolore lo aveva scosso violentemente.
Aveva avuto seriamente paura che l'incisivo gli si fosse staccato dalla bocca; aveva avuto il terrore di rialzare il volto e di ritrovarsi il dente infilato sul labbro, spaccandoglielo completamente in un lago di sangue.
Fortunatamente aveva preso soltanto una brutta butta e così aveva sollevato faticosamente la testa, sputando uno spruzzo rosso sulla neve.
Si era appoggiato l'indice della mano sinistra sui denti e si accorto che stava perdendo sangue dalle gengive; successivamente si era voltato lentamente con le iridi tremanti e lo sguardo atterrito, incrociando gli occhi verdi di Axel.
«Ma si può sapere che cazzo ti è preso?!», aveva poi tuonato con il liquido rosso colante dalla bocca, il quale gli aveva macchiato il mento fino a scendere verso il collo e la giacca, creando una striscia rossa viva.
«Lo so», Axel aveva finalmente parlato e non aveva ancora staccato lo sguardo dal biondo. «Io so che hai fatto. Ti ho visto mentre parlavi con quella fottutissima ragazzina. Credi che io sia scemo, Roxas? Credi che sia stupido forse?!», aveva alzato gradualmente la voce fino a gridare e l'altro aveva sbarrato gli occhi, scioccato; possibile che lui avesse fatto tutta quella scenata da schizzato soltanto perché aveva scambiato due parole con una passante?
E poi come faceva a saperlo? Forse lo seguiva?
Aveva tentato di scuotere la testa, cercando inutilmente di convincere se stesso che non era così, che molto probabilmente lo aveva visto per caso.
Eppure nel suo intimo sapeva che non era la verità; sapeva che dietro di sé c'era sempre un'ombra, un riflesso, dei passi, il sibilio del vento che scuoteva le foglie e un presagio che si espandeva nel petto.
Quei passi che lo torturavano di notte e che lo seguivano di giorno.
«Tu sei fuori di testa.», gli aveva poi detto schiettamente asciugandosi il sangue dalla bocca; dopodiché aveva tentato di sollevarsi, quando Axel aveva tirato fuori un coltello dalla tasca sinistra dei suoi pantaloni.
Le sue viscere avevano fatto un violento balzo e gli erano salite in gola per un attimo; successivamente aveva alzato lo sguardo, terrorizzato, e aveva nuovamente incrociato le iridi verdi di Axel.
Stava per raggiungere sua madre, aveva iniziato a pensare; stava per raggiungere la mamma nel sonno eterno e non avrebbe più rivisto la luce del giorno.
Sua madre lo avrebbe cullato e non avrebbe più rivisto suo padre e le sue vecchie partite dei Red Sox; non avrebbe più rivisto Sora e i mostri sotto il letto, non avrebbe più rivisto la neve e la tempesta, sarebbe andato via, via per sempre, dietro la collina, in quel luogo oscuro e segreto.
Eppure era rimasto lì, nei paraggi. Aveva continuato a respirare e aveva continuato a toccare la neve.
Axel aveva lanciato il coltello accanto al ginocchio sinistro del biondo che aveva spalancato gli occhi, sentendosi mancare un battito.
Non c'era stato bisogno di parlare.
Roxas aveva letto immediatamente in quegli smeraldi che cosa Axel avrebbe potuto fare con quel coltello.
E quella notte lo aveva sognato. Aveva sognato il coltello, il volto di Axel, la sua risata e la neve sporca di rosso.
Soltanto che nel sogno Axel non buttava via il coltello; nel sogno faceva quello che aveva letto nei suoi occhi verdi e rotti e la cosa peggiore era che non riusciva mai ad aprire le palpebre in tempo per salvarsi.
«Roxas!», si sentì improvvisamente chiamare e il filo dei suoi pensieri si ruppe bruscamente come scosso una scarica elettrica; Roxas si voltò, avviandosi verso il bagno. «Che c'è?»
«Qui non c'è il disinfettante. Forse per sbaglio l'ho messo in soggiorno; potresti andare a prenderlo?»
«Va bene.», mormorò lui apaticamente prima di recarsi in salotto con passo lento; si guardò attorno con estrema attenzione, cercando di riconoscere il contorno delle figure tra le tenebre, e finalmente riuscì ad adocchiare il contenitore trasparente in un angolino, appoggiato su un tavolo di vetro ed illuminato dalla luce esterna della finestra.
Roxas gli si avvicinò e fece per afferrarlo, quando si accorse di un vecchio scatolone impolverato sotto il tavolo; lo osservò per diversi secondi, indeciso sul da farsi, e infine prese un profondo respiro, tirandolo fuori.
Se Axel lo avesse visto si sarebbe giustificato dicendo che il disinfettante era lì dentro. E poi era stato lui stesso a dirgli qualcosa come ''tutto ciò che è mio è anche tuo.''
Era una persona particolarmente curiosa, è vero, ma non tanto da frugare negli oggetti altrui.
E allora perché lo stava facendo? Perché sentiva un tremendo presagio dentro di sé che gli soffocava lo stomaco? Gli sembrò che qualcuno lo stesse afferrando per la gola e che lo stesse strozzando, rubandogli l'ossigeno.
Forse suo fratello aveva sempre avuto ragione quando diceva che Axel aveva qualcosa di strano.
Da quando aveva iniziato a frequentare il rosso litigi con Sora erano diventati sempre più frequenti e le discussioni si aprivano per il medesimo motivo; suo fratello non voleva accettare la presenza di Axel nella vita dell'altro e questo mandava su tutte le furie Roxas.
Così spesso usciva di casa sbattendo la porta, cercando rifugio dal suo ragazzo, e Axel era sempre pronto ad accoglierlo a braccia aperte; non appena il biondo suonava alla sua porta lui era lì, gli occhi verdi luccicanti di una strana luce e il sorriso sghembo perennemente stampato sul volto.
Axel lo aspettava sempre e questo lo spaventava a morte.
Era sempre lì, in casa, ad attenderlo. Ad attendere il suono del campanello, in mezzo alla pioggia, alla neve e al sole; era sempre lì, seduto sul divano rosso dove avevano fatto sesso per la prima volta, ad aspettarlo, a sorridergli, a dirgli entra pure Roxas, entra che qui c'è sempre posto per te.
Sempre. Per sempre qui.
Roxas aveva paura. Il problema è che la paura di quell'attesa non superava la paura che aveva di Axel; quindi tornava sempre, andava sempre da lui, si lasciava stringere dalle sue forti braccia e sentiva sempre un burrone aprirsi sotto di sé.
Era una sensazione strana. Era come una liberazione seguita da una delusione. Era come correre per un lungo corridoio; era come vedere la luce e riempire la propria anima di speranza prima di aprire la porta e scoprire che la luce veniva soltanto da una piccola lampadina, non dal sole stesso. E la lampadina era in una stanza microscopica, grigia, al buio, senza finestre, e lui avrebbe dovuto passare lì dentro il resto della sua vita.
Illusione. Era un'illusione in cui ci cascava sempre.
Le braccia di Axel lo salvavano e lo trascinavano nell'oblio. Lo salvavano dal mondo ma lo uccidevano comunque.
Era come essere seppelliti vivi. E lui continuava a gridare, ad urlare con tutto il fiato che aveva in gola, a graffiare la bara fino a farsi sanguinare le unghie, a strillare fino a rompersi le corde vocali, a piangere fino a soffocarsi con le proprie lacrime.
Però poi sarebbe morto. Sarebbe morto non di fame, non di sete o per carenza di ossigeno.
Sarebbe morto dalla paura. E morire di paura era la morte peggiore, la più atroce, orribile, asfissiante, soffocante, assassina.
La paura prima si nutre di te, scava le tue ossa, ti ruba gli occhi, la carne, tutto, e poi ti uccide rubandoti l'ossigeno.
Quando stava tra le braccia di Axel sentiva una strana sensazione, la stessa che stava provando in quel momento.
Qualcosa si stava aprendo nel suo petto. Una voragine. La stessa che aveva sentito quando aveva scoperto che sua madre era morta; la stessa che sentiva quando suo padre gli dava la buonanotte con i suoi mormorii insensati e la stessa che aveva sentito quando era rimasto solo in casa di Axel.
Aveva sentito cose strane. Aveva sentito strane parole e aveva voluto gridare per cacciarle via.
I suoi genitori erano morti e lui si era perso.

 

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La notte è troppo buia per noi

 

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Roxas frugò all'interno dello scatolone e improvvisamente le sua mani toccarono della carta; la tirò fuori e scoprì che era un vecchio giornale impolverato.

 

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e il vento è forte.

 

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La stessa voragine che aveva sentito quando Axel lo aveva baciato, quando aveva appoggiato le sue calde e umidi labbra sulle sue.
La stessa voragine che aveva sentito quando gli aveva detto che lo amava, che era carino, che aveva degli occhi stupendi e che voleva scoparlo.
Le voci erano in fondo ad un corridoio e rimbalzano incontrollabilmente per tutte le pareti, poi tornavano indietro e lo assalivano, lo soffocavano, gli toglievano l'ossigeno. 

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Quella notte Axel aveva aperto lentamente la serratura della porta e lo aveva accolto a casa sua senza accendere la luce.
«Sarà tutto più romantico, vedrai», gli aveva sussurrato all'orecchio prima di condurlo in soggiorno, togliendosi velocemente la giacca rossa.
Roxas si era seduto sul morbido divano ed era rimasto in silenzio ad osservare l'imponente figura dell'altro che gli si avvicinava,

sdraiandosi sul suo esile corpo senza smettere di sorridere.
«Ti piacerà da impazzire.», aveva bisbigliato con ambiguità, privandolo lentamente dei vestiti, passando poi alla biancheria intima.
«Ti piacerà così tanto che mi chiederai ancora, ancora e ancora»
Roxas non si era mosso e aveva sentito soltanto il violento battito del proprio cuore e aveva avuto paura di perderlo.
Aveva avuto paura di vomitarlo via, di rimanere senza cuore.
Si era sentito nudo, non solo fuori, ma anche dentro. Si era sentito nudo, schifosamente nudo,
privato di tutto di fronte a quegli occhi verdi che continuavano a scrutarlo, a spogliarlo di tutto.
Si era sentito come in trappola e se n'era accorto troppo tardi.

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Alzò il giornale per avvicinarlo alla luce della finestra e scoprì quelle parole nere stampate sulla carta.
Chi cosa dove quando perché.
Si può morire più di una volta, lo sapeva, lo sapeva fin troppo bene.

Si può morire anche senza smettere di respirare, si può morire anche se il cuore continua a battere e in quei momenti speri soltanto di morire anche fisicamente, lo speri, lo speri perché è orribile.
Lo speri perché il corridoio è troppo buio e sei a terra, cercando di trascinare le tue viscere verso l'uscita di quell'inferno mascherato.
Stava per vedere il volto del ladro, dell'assassino.
Si può morire più di una volta, Roxas.
Suo padre era morto, sua madre era morta.
Quando sarebbe toccato a lui? 

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Aveva goduto come non mai e si era accorto che Axel aveva ragione.
Gli aveva chiesto davvero ancora, ancora e ancora. Gli aveva chiesto di più, di non smettere, di continuare.
Si sentiva amato e nudo ed era una sensazione fantastica.
La voragine si era aperta e lo aveva squarciato, aveva messo in mostra i suoi organi interni, ma lui si era sentito bene.

Orribilmente e schifosamente bene.
Per questo gli aveva chiesto di più, ancora, ancora e ancora.
Lo aveva implorato, pregato e aveva urlato.
E Axel lo aveva accontentato.
Gli aveva detto che lo amava e che fare sesso con lui era stato bellissimo.
Si era sentito lusingato. Axel gli aveva detto ancora una volta che aveva degli occhi splendidi e lui si era sentito lusingato.
Si era sentito bello per la prima volta.

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Aveva cercato di rimuovere sua madre dalla propria mente e ci era riuscito fino a quel momento.
Aveva tentato di dimenticare i suoi occhi blu, i suoi capelli lunghi e biondi, la sua pelle chiara e nivea; le sue guance scavate sul letto dell'ospedale, le ossa evidenti, la stanchezza, la magrezza, le sue iridi spente e vuote.
Sua madre era morta e lui lo aveva capito prima di vederla morire. Prima di vedere i medici correre da una parte all'altra della sala, prima di sentire l'ora del decesso, prima di vedere Sora piangere e prima di vedere suo padre morire.
Erano morti tutti. Una strage, erano tutti morti e lui era sopravvissuto.
Suo fratello si era costruito una maschera e lui era sopravvissuto.
''Sono forte, Roxas. Ho sconfitto la morte e sono qui.''
Adesso invece si era ricordato tutto.
I ricordi erano riemersi dall'alta marea e sua madre era risorta dalla tomba per andare a trovarlo.
Lei lo aveva guardato a lungo prima di morire. Lo aveva guardato con i suoi occhi spenti e scavati; aveva schiuso le labbra e aveva borbottato qualcosa, ma lui non era riuscito a sentirla perché sapeva già che sarebbe morta.
Avrebbe distrutto le pareti del corridoio buio e avrebbe aperto la porta.
Lo doveva fare.
Si sarebbe tolto la benda.
Non gli interessava delle conseguenze.
Lo avrebbe fatto. Lo avrebbe fatto perché lui era forte ed era sopravvissuto alla morte.
Strinse la carta tra le mani e lesse, lesse le parole nere, si lasciò divorare dalla voragine e si lasciò svuotare da tutto, per sempre. 

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''Tragedia sulla Black Street. Coinvolti un uomo e tre ragazzi.
7 luglio.
Quella che per un gruppo di amici doveva essere una semplice gita fuori città, si è trasformata nelle più terribili delle tragedie.
Alle ore 15.30 circa una vecchia automobile rubata nel deposito ormai chiuso di Castle Feysh è finita improvvisamente sulla strada 49 di Black Street, colpendo in pieno un'altra macchina guidata da Rey Gordes (Quarantacinque anni), padre di due bambine.
- - dell'altra vettura - - perso la vita; Demyx Hernandez, secondo figlio degli imprenditori della fabbrica Louis, ...''

 

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Le parole si trasfomarono improvvisamente in un'unica macchia nera e Roxas fece cadere il giornale a terra, percosso da violenti brividi lungo tutto il corpo; barcollò e colpì involontariamente il disinfettante con il piede che si rovesciò immediatamente sul tappeto.
C'era un errore. Doveva esserci uno sbaglio, uno scherzo, un errore, un errore di stampa, uno sbaglio, un brutto scherzo.
Una risata. Doveva sentire una risata e avrebbe capito che era uno scherzo.
Chi era morto? Chi, chi Roxas? Cos'era successo a sua madre?
Non ricordava, era tutto confuso.
Sapeva solo che si poteva morire più di una volta.
I cadaveri sotto il letto erano stati scoperti e i mostri erano saltati via dall'armadio per azzannarlo, per soffocarlo.
Gli avevano rubato l'ossigeno e il pavimento del corridoio era ceduto sotto di lui.
La stella si era spenta e le tenebre gli avevano risucchiato il corpo, l'anima, tutto.
Tutto era schifo, tutto si era distrutto e lui era vuoto, un cadavere vuoto senza niente dentro, il tutto era andato e l'aveva lasciato lì a marcire.
Continuò a barcollare, a cercare di reggersi in piedi, mentre la voragine non smetteva di risucchiarlo.
C'era. Lo stava guardando e lo sapeva.
Alzò gli occhi blu, quegli occhi blu che gli piacevano tanto, gli occhi blu così simili a quelli di sua madre, atterrito e terrorizzato, ma non incrociò nessuno spruzzo verde.
Vide soltanto due voragini nere. Le vide, le sentì, lo stavano soffocando, gli stavano rubando l'ossigeno.
Osservò. Osservò meglio, aprì l'armadio e infilò la testa sotto il letto; non vide più la ferita alla sua mano. Non c'era. Non c'era il sangue. Non c'era nessun sangue, non c'erano le forbici, il cuscino non era macchiato. Era pulito, pulito, pulito perché non c'era nessuno che lo aveva sporcato.
Indietreggiò e continuò a guardare. Il cuore che gli violentava l'anima da quanto forte stava battendo e il respiro che gli tagliava la gola, affilato e assassino.
Gli oscuri segreti lo stavano picchiando, gli stavano bruciando il cervello ed era orribile, si sentiva orribile e temeva di dimenticarsi come si respirava.
Perché respirare se si è già morti, poi?
Prima lo vedeva, dopo nulla. Era una luce buia intermittente. Una luce rotta di Natale, mal funzionante, nessuno aveva avuto tempo di aggiustarla, quella povera luce buia abbandonata sulla soglia del soggiorno.
Svaniva e riappariva. Talvolta non gli vedeva più le braccia, altre volte scomparivano le gambe.
Non c'era nessuno lì. Eppure lui lo vedeva, lo vedeva e non lo vedeva, era una luce ad intermittenza rotta, era rotta, Axel era rotto e si stava rompendo di fronte ai suoi occhi.
Le voragini nere invece rimasero per tutto il tempo. Quelle furono le uniche a non svanire. Erano lì, a guardarlo, a risucchiargli via l'anima, anche se ormai lui si sentiva un cadavere vuoto.
Le guardò a lungo, si tuffò nel nero, si sporcò delle tenebre e per un attimo gli sembrò di vivere quell'incidente, quell'orribile incidente di nove anni fa sulla strada 49 di Black Street.
Udì lo schianto, le urla, il sangue, le ossa sporgenti e l'odore di carne morta mescolata alla benzina che bruciava.

Volle urlare, buttare fuori dai polmoni tutti i schifosissimi segreti oscuri, ma non ci riuscì. La voce era bloccata, era incastrata tra le sue corde vocali e non voleva uscire; era troppo impaurita, preferiva rimanersene nascosta nella sua gola, zitta zitta, silenziosa come non mai.
Fece un altro passo indietro e i suoi piedi nudi toccarono qualcosa di liquido; abbassò lo sguardo e vide una pozza rossa sotto di sé.
Sbatté ripetutamente le palpebre e cercò di guardarla meglio, accorgendosi che era il disinfettante rovesciato poco prima.
Alzò le iridi e fissò di nuovo il nero, l'incidente e il sangue.
Successivamente Roxas tornò per la terza volta a fissare il pavimento e non vide più nessuna pozza. Non c'era nessun disinfettante e nessun tavolino di vetro.
La stanza era vuota e c'era un fastidioso odore di muffa che sapeva di vecchio; un brivido gli percorse la schiena e si voltò, notando che la finestra era ancora lì a donare una fioca luce.
Le si avvicinò lentamente e anche gli oggetti del soggiorno iniziarono a trasformarsi in luci di Natale rotte; a tratti vedeva il divano, quel divano rosso in cui aveva perso la verginità, o almeno, così pensava.
Vide la sagoma della televisione per qualche secondo prima che essa si trasformasse in buio, unendosi al resto del nero; non appena giunse alla finestra vi appoggiò la mano sinistra, scrutando con estrema attenzione la strada.
Era tutto surreale. Gli sembrava di galleggiare nella sua vita, c'era stato un errore, uno sbaglio.
Doveva tornare indietro.
Si voltò e le voragini si trasformarono nel verde smeraldo; vide di nuovo il volto spigoloso di Axel, il suo sorrisetto un po' storto, la risata che nascondeva oscuri segreti, i suoi sussurrii e quel ragazzo che gli piaceva, quello del locale in fondo alla città che gli aveva chiesto se stava bene.
No, ancora più indietro, Roxas. Ancora più indietro.
Guardò ancora la finestra. Graffiò il vetro, il respiro sempre più spezzato, il corpo scosso e il cuore impazzito.
Prima, Roxas.
Si avvicinò al vetro appannato e vi appoggiò appena il naso, cercando di focalizzare la vista.
Sbatté velocemente le palpebre e vide se stesso in quella piccola stanza bianca dell'ospedale, vide sua madre sdraiata sul letto con lo sguardo spento e il volto scavato dalla stanchezza; si avvicinò lentamente, si inoltrò nel ricordo, si immerse nella nebbia e questa volta la sentì.
«Roxas», lo aveva chiamato, aveva sentito la sua voce bassa e rotta in mezzo ai suoi ultimi respiri corti e affannati. «promettimi che rimarrai qui. Devi rimanere qui, nei paraggi, a girare con la bicicletta che ti ho comprato l'anno scorso»
Poi la vide morire di nuovo di fronte ai propri occhi.
La vide di nuovo chiudere le palpebre, la vide di nuovo rubata dalle mani troppo fragili della vita, la vide volare via, la vide accompagnata dalla morte.
Roxas Jasser indietreggiò, lo sguardo inorridito e il volto terrorizzato; indietreggiò fino a raggiungere la soglia della stanza vuota dove non c'era nessuno. Indietreggiò, continuò a camminare e trovò la porta d'ingresso; cercò di girare la maniglia ma la trovò chiusa a chiave.
Era bloccato.
Era incastrato. Era in trappola e se n'era accorto troppo tardi.
Morire di paura era la morte più orribile di tutte e questo Roxas lo stava imparando sulla propria pelle.
Si inginocchiò sul gelido pavimento impolverato e gridò con tutto il fiato che aveva in gola, spezzando il silenzio surreale della casa; si mise le mani sulle orecchie, inorridito dalle proprie urla, e strillò ancora, strillò e vomito via la sua paura prima di trascinarsi nuovamente verso quello che doveva essere il soggiorno.
La stanza era vuota. Non c'era niente, nessun mobile, niente di niente, soltanto la flebile luce della finestra.
Roxas strizzò gli occhi lacrimanti e si impose di vedere, di vedere meglio almeno il giornale, il vecchio giornale nello scatolone invisibile.
E infatti dopo un po' lo vide.
Lo vide e lo afferrò, piangendo, dicendo a se stesso che questa volta doveva leggere per davvero, senza bugie, senza fantasie. Doveva leggere veramente, senza prendersi in giro, doveva guardarsi allo specchio, doveva schiantarsi contro la realtà anche se quest'ultima graffia, violenta, brucia, taglia.
E' più facile la verità detta dagli altri. E' più facile sentirla da un'altra voce umana, sentirla scivolare lungo le orecchie, è più facile, sì.
Ma scoprirla da soli è orribile. E' orribile e surreale, è terrificante e potrebbe ucciderti.
E Roxas Jasser ormai lo sapeva fin troppo bene.
Lesse. Questa volta lesse per davvero e pianse, pianse fino a soffocarsi nelle sue stesse lacrime, morì di paura e morì annegando nella vasca rossa, morì ucciso da quel coltello.
Lesse e le stelle si spensero per sempre nel cielo rotto, mentre lui tentava di pensare un'ultima volta a quel vecchio locale in fondo alla città.

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''Tragedia sulla Black Street. Coinvolti un uomo e tre ragazzi.
7 luglio.
Quella che per un gruppo di amici doveva essere una semplice gita fuori città, si è trasformata nelle più terribili delle tragedie.
Alle ore 15.30 circa una vecchia automobile rubata nel deposito ormai chiuso di Castle Feysh è finita improvvisamente sulla strada 49 di Black Street, colpendo in pieno un'altra macchina guidata da Rey Gordes (Quarantacinque anni), padre di due bambine.
Due ragazzi dell'altra vettura hanno perso la vita; Demyx Hernandez, secondo figlio degli imprenditori della fabbrica Louis, e Axel Lewis, giovane studente della scuola superiore St'James.
Il ragazzo al volante, invece, ha riportato gravi danni celebrali e i medici non sanno ancora se sarà in grado di risvegliarsi o meno.
In realtà il vero mistero della faccenda è che il corpo dello studente Lewis non è stato ritrovato in mezzo ai resti dell'auto; questo rimane un grande punto di domanda anche per gli esperti e per coloro che hanno assistito all'incidente...''

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*Note di Ev'*
Già, sono ancora viva. Assurdo, uhm. Non ci speravo neanch'io, sapete?
E' un gran bel periodo di merda per me. Mi sono persa, gente. Questo labirinto mi ha risucchiata e io... Beh, io cerco di essere comunque nei paraggi, sì.
Anyway, penso che la mia vita privata non freghi assolutamente a nessuno, quindi, andiamo avanti.
Sono partita dall'idea di continuare ''Insidie Interiori''; la prima parte del capitolo successivo era già pronto e l'ispirazione non mi mancava, ma... Ma non so, ho pensato a questa storia e ho voluto assolutamente continuarla.
Gran parte del capitolo l'avevo già scritto un po' di settimane fa, ma ero bloccata di brutto nel finale. Cioè, sapevo già come terminare la storia, però non sapevo come impostarlo. Ero disperata, ve lo assicuro. Però alla fine sono riuscita ad impostare tutto in codesta maniera e... Sì, insomma, spero che sia risultata abbastanza buona come idea.
Bene, adesso andiamo all'analisi di quest'ultimo capitolo.

La prima scena si apre con il suddetto 'presente'; Roxas e Axel hanno appena finito di fare le loro belle cosette e iniziano il solito scambio di battute contornato da discorsi riguardanti il sesso, sangue e 'fanculi (?) volanti da parte del biondo.
Mentre Axel si reca in bagno, Roxas fa l'ennesimo tuffo nel passato e ritorna alla sera in cui è scappato dalla casa di Axel; insomma, lui è fuggito perché ha avuto paura. Si potrebbe benissimo pensare che già quella sera abbia trovato il famoso frammento giornale e che di conseguenza sia rimasto sconvolto, in un certo senso.
Successivamente si parla della gelosia morboda di Axel nei confronti del biondo; dopo aver parlato di un incubo di quest'ultimo riguardante sua madre, si parla di una gelida serata di Dicembre nella quale il più grande minaccia l'altro addirittura con un coltello.
Finiti i flash-back si torna al presente e Roxas si sente chiamare da Axel che ha bisogno del disinfettante; così il primo si reca in soggiorno e... Sorpresa! Trova un vecchio giornale e sente uno strano presagio impossessarsi del suo corpo.
Gli da una prima occhiata ma non bada veramente alle parole e non per nulla vi sono delle parti quasi censurate dalle righe; questo simboleggia appunto il fatto che lui non abbia voluto vedere la realtà in faccia, nonostante lui l'abbia capita.
E' scioccato, scandalizzato, e, anche se lentamente, inizia ad aprire gli occhi. E' tutta una finzione, la sua vita, o almeno, quello che riguarda il rapporto con Axel.
Si guarda attorno e comprende che in realtà quello ad essere rotto non è Axel, ma lui stesso. Così torna indietro alla morte di sua madre e capisce che è stato quell'evento a sconvolgere la sua vita anche se ha cercato di non darvi importanza.
Alla fine cerca di salvarsi dalle proprie fantasie che invece di aiutarlo lo hanno fatto sprofondare nelle sue stesse paura, ma la porta è chiusa a chiave e questo simboleggia che ormai è troppo tardi per lui.
Così decide di riprendere il giornale un'ultima volta e questa volta legge per davvero ciò che c'è scritto, scoprendo così che in realtà Axel era morto in quell'incidente di nove anni fa.
Il mistero del suo corpo scomparso può semplicemente simboleggiare il fatto che forse il suo spirito vaghi ancora nei paraggi e che abbia torturato la mente rotta di Roxas.
Insomma, sì, interpretate un po' la situazione come volete. L'unica cosa che desideravo era di sconvolgere tutta la situazione iniziale con questo finale shock -O almeno, così spero che sia stato.-
Quello rotto era Roxas, già. Il morboso rapporto che aveva con Axel era un mondo di fantasie che si era creato per sfuggire dalla realtà, dall'assenza di una figura materna e da suo padre che praticamente è uno zombie vivente.
Roxas probabilmente, nel suo profondo inconscio, sapeva di essere rotto, ma ha cercato di 'scaricare' la sua pazzia ad una fantasia inesistente.


Che altro dire... Sì, mi scuso per la mia assenza. Sono mortificata, ve lo assicuro, ma questo periodo è così e io non so più dove sbattere la testa.
Comunque sto cercando di ricrearmi, lentamente. La prossima pubblicazione sono quasi certa che sarà 'Insidie Interiori.'
Mmmh... Oh, sì; ringrazio di cuore coloro che hanno recensito il capitolo precedente. Siete state davvero deliziose, sul serio. Non immaginate quanto io abbia apprezzato le vostre parole. C': Una recensione rende felice uno scrittore. <3
E ringrazio anche tutti coloro che hanno messo la storia tra le seguite e le preferite, anche se vorrei tanto che commentassero.
Spero che quest'ultimo capitolo sia stato di vostro gradimento e... Vi prego di recensire, dato che ci tengo ENORMEMENTE a sapere un vostro parere riguardante questo finale.
Beh, insomma... Per tutti coloro che rientreranno a scuola in questi giorni auguro buona fortuna.
Uhm... Ma sbaglio o hanno nuovamente cambiato l'impostazione della pubblicazione delle storie? D: Boh.
Alla prossima, gente.
E.P.R.

 

   
 
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