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Autore: Talesteller    10/09/2012    1 recensioni
Io sono il prodotto di ciò che mi è stato fatto.
Ciò che è rimasto di me vaga bramoso di far pagare a Loro quello che hanno fatto a me.
Questa potrebbe essere una storia di magia, mostri e fantasmi, o forse qualcos'altro, decidete voi.
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Tutti ci odiano.
Tutti ci odiano per quello che siamo, per il modo in cui viviamo, senza porsi il problema che non c’è altro modo in cui possiamo vivere.
Tutti ci odiano, perché ci temono.
Tutti ci temono perché non ci conoscono, nessuno ci conosce perché ci temono.
Alcuni di noi provarono ad agire come loro, noi ci sforzavamo di essere come loro, loro ci picchiavano in gruppo per le strade e non ci concedevano di entrare nelle botteghe.
Per questo, quasi tutti se n’erano andati già prima all’arrivo degli Inquisitori, eravamo rimasti in una decina.
Una notte, poco dopo il tramonto, uscendo di casa, trovai davanti alla mia porta il cadavere di uno di noi.
Denudato. Impalato. Lapidato. Gli avevano inchiodato le ali alla facciata dell’edificio di fronte. Rimasto al sole per tutto il giorno a seccarsi, la pelle gli pendeva annerita sulle ossa.
Quella notte fu presa la decisione di trasferirci tutti al castello, una torre senza tetto e con i mobili a pezzi, ma quelle condizioni ci andavano bene, pur di restare al sicuro, uniti, tra nostri simili.
Entrammo nel castello in dieci.
E non ne uscimmo mai.
Troppo spaventati, troppa paura di ritrovarci impalati davanti al portone del castello.
Doveva essere una misura temporanea, ci eravamo ripetuti prima di infilarci sotto le coperte dei letti, riuniti tutti in una stanza in alto con le finestre sprangate, presto si sarebbero dimenticati di noi e allora noi ce ne saremmo andati.
Ma il pomeriggio seguente arrivarono, portati sulle ali di una tempesta d’autunno, con le loro tuniche nere chiuse fin sotto il naso ed i cappelli enormi con la piuma d’argento, le spade incantate dagli oracoli dell’Ovest, sul dorso dei loro destrieri neri.
Otto, quattro davanti e quattro dietro il carro con le armi dell’Inquisizione, le Reliquie degli Evocatori della Luce.
Li vedemmo sfilare sotto di noi come voi guardereste un convoglio funebre trasportare verso la vostra casa la vostra bara, vuota, pronta ad accogliervi.
Uno di Loro alzò lo sguardo verso una delle finestre da cui stavamo osservando, e ci ritirammo, più per l’abitudine di fuggire gli sguardi umani che per non essere scoperti. Se Essi erano all’altezza della loro fama infatti, sapevano già perfettamente dove noi fossimo.
Trascorsero la notte pattugliando per il paese, lasciando il carro nel mezzo della piazzetta centrale, circondato da torce e da alcuni incantesimi di protezione. Trascorremmo quella notte dormendo malgrado la fame, perché era impossibile sperare di fuggire senza essere visti da Loro.
Ed eravamo terrorizzati da quello che avrebbero potuto farci.
Alcuni dei nostri fratelli Li avevano già incontrati, i pochi che erano sopravvissuti ad un incontro con Loro ne erano usciti devastati, e raccontavano che la morte era un’esperienza preferibile all’incontrare uno di Loro.
Pensammo che sarebbero stati desti la notte per poi riposarsi durante il giorno, essendo venuti senza dubbio per dare la caccia a noi.
E così fu.
Dopo l’alba, Essi si ritirarono nel carro.
E noi scoprimmo che tutti quanti nel villaggio erano diventati come Loro.
Li vedemmo girare armati di forconi, icone sacre e paletti di quercia d’osso. Impauriti, ma ciechi nella loro follia.
Vedemmo pire alzarsi nelle piazze, vedemmo i nostri mobili, i nostri libri e i nostri quadri venire dati in pasto alle fiamme del loro fuoco blu abbagliante.
Vedemmo le nostre case bruciare, vampate blu alzarsi nel cielo, divorando le nostre vite.
E capimmo che il nostro tempo era alla fine.
Dopo due giorni di roghi, giorni passati a mangiare termiti, topi, pipistrelli e uccelli trovati nel castello, iniziarono a comparire le croci.
Loro iniziarono a crocifiggere gli abitanti del villaggio, probabilmente quelli che ritenevano ci coprissero, o quelli che non sembravano collaborare abbastanza.
Per quei due giorni di roghi gli abitanti avevano evitato il castello, terrorizzati da noi almeno quanto noi lo eravamo da loro.
Ma le crocifissioni abbatterono ogni muro rimasto tra loro e noi. La terza sera qualcuno bussò al portone, ovviamente noi non ci avvicinammo, ma nel corso della notte il bussare fu sempre più frequente, finché non ci sembrò chiaro che molte mani stessero picchiando con violenza sul portone.
Poi, all’alba, tutto cessò.
E anziché il rumore dei tonfi, nell’aria si diffuse un dolce profumo di carcassa.
Cercavano di attirarci fuori. Anche per quel giorno resistemmo, malgrado il cibo improvvisato nel castello stesse iniziando a scarseggiare, e la fame a morderci le viscere.
Il quarto giorno non resistemmo più.
Dovevano aver messo davanti al portone una nuova carcassa, perché l’odore era quello dolce, di un corpo fresco.
Si scelse a sorte chi dovesse andare a controllare. La sorte scelse un ragazzo di nome Dhar.
Lo udimmo gridare subito dopo aver udito il portone aprirsi, e poi lo vedemmo trascinato verso il carro.
Scomparve lì dentro, e non ne uscì mai più.
La quarta sera arrivammo a pensare di iniziare a mangiarci a vicenda, iniziando a piccole quantità, ma il solo pensiero, fortunatamente, bastò a farci capire che ci stavano spingendo alla follia.
Potevamo uscirne soltanto in un modo: uccidendoli.
Erano in otto, e traevano quasi tutto il loro potere dalla luce solare. Inoltre paesani non erano una vera preoccupazione di notte.
Salimmo sul tetto nell’ora più buia, con le daghe ed i coltelli che ci eravamo portati dietro fuggendo dalle nostre case, e piombammo su di loro.
All’inizio, sembrava che ce l’avremmo fatta. In poco tempo, quattro di loro erano a terra, e nessuno dei nostri.
Poi le cose cambiarono. Per ucciderne uno dovettero morire due dei nostri, per uccidere gli altri due, cinque.
E i loro incantesimi non uccidevano. Loro combattevano quasi esclusivamente con le maledizioni, incantesimi disumani, che non avevo mai visto usare da nessuno. Ad alcuni di noi, prima che morissero mancavano vari arti, altri avevano ferite sull’intero corpo.
Ne rimase solo uno, che per quanto continuassimo a combattere sembrava battersi con la stessa furia con cui ci aveva respinti quando gli eravamo piovuti addosso dal cielo nero.
Eravamo rimasti in due a combatterlo.
Senza preavviso, il mio ultimo fratello si frappose tra me e Lui.
“Non sei costretta a morire stanotte” Mi disse “Scappa, posso trattenerlo”. Senza lasciarmi rispondere, si è gettato su di Lui.
Non avrei voluto lasciarlo lì, l’ultimo dei miei simili, condannato a morte certa, una morte orribile.
Ma se fossi rimasta a combattere la stessa morte sarebbe toccata a me.
Fuggi e mi voltai solo quando sentii il suo grido.
Lo vidi accasciarsi a terra, e vidi una sola cosa di lui.
Occhi viola, occhi che solo fissandomi sembravano potermi tirare via il sangue dalle vene.
Mi voltai e continuai a correre, fino a raggiungere uno dei cavalli che avevamo portato con noi al castello.
Cavalcai verso nord per due o tre giorni, non ricordo. Ricordo che alla fine uccisi il cavallo e lo dissanguai fino all’ultima goccia, e proseguii a piedi, legandomi le ali dietro la schiena sotto la stessa veste con cui avevo combattuto Loro.
Poco prima dell’alba della notte in cui il mio cavallo aveva visto la fine, incontrai un uomo, a cavallo.
Mi chiese dove stessi andando. Alla città più vicina, risposi. Per spiegare le macchie di sangue sul mio vestito inventai sul momento che la mia famiglia era stata assassinata. Senza chiedermi altro l’uomo mi fece salire sul cavallo e mi portò ad una piccola città di nome Greystone.
L’enorme cappuccio del vestito bastò a ripararmi dal debole sole autunnale per tutto il viaggio.
Senza dire una parola, mi lasciò entrare in casa sua e mi cedette la camera che disse un tempo appartenuta a sua moglie. Era una stanza terribilmente luminosa, gli dissi che ero molto stanca e volevo dormire, e senza dire una parola chiuse i battenti di entrambe le finestre, mi disse che c’era un garzone disponibile per qualsiasi mia necessità, infilò la porta e scomparve. Non lo rividi più per giorni.
Quel giorno lo passai a cercare di addormentarmi, in vano.
Le immagini dei miei fratelli macellati mi passavano davanti agli occhi con una nitidezza tale che avevo la sensazione che allungando la mano avrei potuto toccare i loro tagli.
Se il loro odio verso di noi li aveva portati a questo, esso non doveva avere più alcun controllo. Guidati dalla paura e nutriti dall’odio, ci sterminavano senza più ragionare, in modo non dissimile da come operano le belve minacciate.
Questo erano, a questo li aveva ridotti la loro paura. Bestie.
Bestie che danno la caccia a noi, secondo loro aberrazioni della natura.
Bestie.
Questo è ridicolo.
Questo deve avere fine.
Non voglio vedere altro sangue. Non hanno motivo di avere paura di noi, non ci facciamo vanto degli umani che abbiamo ucciso come nelle loro favole.
Ma forse ci odiano troppo perché sia possibile arrivare a farli ragionare, far riaccendere in loro la scintilla di saggezza che gli ha permesso di risollevarsi dopo il Flagello.
Forse quella scintilla è spenta da tempo, forse hanno troppa paura di una nuova catastrofe per ammettere di non essere l’unica razza civilizzata degna di sopravvivere.
Penso che fosse sera inoltrata quando mi riaddormentai, e notte fonda quando mi risvegliai, strappata ad un sonno tormentato dai lamenti del mio stomaco.
Maledissi la mia natura che mi costringeva a cercare cibo a quell’ora improbabile per gli altri umani che mi circondavano e scivolai fuori dalla stanza avendo cura di non produrre il minimo suono.
Avevo quasi raggiunto la dispensa, quando dal corridoio alle mie spalle giunse una luce.
-Chi è…- La frase terminò quando mi voltai –Oh- Disse il garzone, abbassando il grosso coltello che teneva in mano –Milady. Che fate alzata a quest’ora?-
-Mi sveglio sempre a quest’ora, e non riesco ad addormentarmi se non mangio qualcosa-
-Ah. Posso farvi…-
-Non serve, so badare a me stessa, grazie-
-Ah. Come volete, milady- Fece per voltarsi, ma poi tornò a guardarmi –Posso sapere il vostro nome?-
-Ykhe Mhaelar- Improvvisai. Forse, se me l’avesse chiesto in seguito, non avrei saputo ricordarmelo e gliene avrei detto uno diverso, ma quella risposta sembrò soddisfarlo, appese la lampada al muro e se ne andò a passo rapido.
Rovistai nella dispensa fino a trovare delle bistecche sotto sale. Ne divorai una subito e me ne portai un’altra in camera, nascondendola in uno dei cassetti in fondo.
Nei giorni seguenti, ogni volta che scendevo nella dispensa trovavo su un tavolo un piatto diverso. Quasi mai si trattava di carne, di conseguenza tagliavo qualche angolo e lo lasciavo nel piatto, e il resto lo gettavo in un angolo di un viottolo sul retro della casa.
Avrei potuto mangiarlo, ma è come per un umano mangiare della neve, o della sabbia. Non da alcuna soddisfazione. Il pane, le verdure, la frutta, mangiarli lascia quelli della nostra specie affamati quanto lo eravamo prima. L’unico alimento che placa la nostra fame è la carne, preferibilmente cruda.
Lo stesso vale per l’acqua. L’acqua placa la gola riarsa e quando è fredda dà sollievo dal caldo, ma per uno di noi sopravvivere ad acqua è impensabile, in pochi giorni si ritroverebbe a strisciare implorando una goccia di sangue. Il vino poi, per gran parte di noi è assolutamente imbevibile.
È solo in queste condizioni che attacchiamo gli uomini, solo in queste condizioni ci abbassiamo al livello dei mostri descritti nelle loro favole.
Ma lo facciamo anche con gli animali.
Alcuni di noi si trattengono dal farlo a quelli vivi, ma essere predatori è la nostra natura. La nostra natura è sentire il sangue caldo scorrere nel palato e le dure fibre dei muscoli spezzarsi sotto i denti, l’aberrazione è stata abituarsi a mangiare carne fredda e dissetarsi del sangue freddo delle carcasse, per adeguarsi agli umani.
Mucche, capre, mammiferi in genere, a volte anche uccelli. Ci nutriamo di loro perché è ciò che siamo nati per fare.
Ma le mucche non hanno mai creato un gruppo di vacche addestrate esclusivamente per darci la caccia e torturarci, mai i cani hanno preso a sassate le nostre case e bruciato i nostri mobili.
Gli umani hanno dominato per tanto tempo indisturbati questa terra che forse ora credono che nulla abbia il diritto di violare la loro sacra supremazia.
Forse è il momento che qualcuno gli ricordi che non sono più soli.
Ma questa era l’idea alla base della rivolta di Vlad, ed è stata stroncata dagli altri Lord Oscuri ancora prima di nascere.
No, gli umani hanno tutto il diritto di rivendicare il loro dominio sul mondo, ma ciò non deve significare che in nome di esso i miei fratelli e sorelle debbano essere massacrati in tutta Europa.
 
  
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