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Autore: Francibella    10/09/2012    6 recensioni
Era strano.
Ridere con Theodore Nott, decisamente una cosa che Daphne non avrebbe mai pensato di fare.
In realtà non credeva nemmeno che Theodore ridesse.
«Sai, è stato molto divertente.»
«Ti dimostra che la bellezza è soggettiva, no? Voglio dire, non sono un esperto in fatto di uomini, ma Gazza certo non è bello. Eppure agli occhi di Madama Pince dev’essere una specie di Adone.»
Daphne posò una mano sulla bocca, per nascondere la risata che questo pensiero le aveva provocato.
«Non… Non nascondere la tua risata. È bella.»
«Non sta bene che una ragazza rida troppo.»
Theodore Nott scrollò le spalle.
«Almeno non puoi nasconderne il suono.»
Daphne avrebbe voluto approfondire quel discorso, ma forse no.
Forse era meglio di no.

Prendiamo un Theodore Nott silenzioso e taciturno. Una Daphne Greengrass corteggiata, ma schiva ad accettare gli appuntamenti. Mettiamoli in una domenica in cui tutti sono in gita a Hogsmeade.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daphne Greengrass, Theodore Nott
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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L'uomo senza cuore e la ballerina stanca



Era cominciato così. Per caso.

Il giorno prima erano due compagni di casa qualsiasi, che a volte si salutavano per i corridoi e a volte no. Il giorno dopo erano usciti insieme.

Lei aveva detto No, grazie, a Hogsmeade con te non vengo a troppi ragazzi.

Lui non lo aveva chiesto a nessuna.

Ora lei se ne era pentita.

Forse anche lui, ma non lo avrebbe ammesso.

Erano lì, davanti al cancello del castello. Fermi. Guardavano gli altri.

Quelli che avevano avuto il coraggio di chiedere o di accettare.

Lei era pentita, ma nessuno di quelli che gliel’aveva chiesto sembrava tenerci davvero.

Volevano solo portarla in giro, attaccata al loro braccio, come un oggetto prezioso.

Come aveva visto fare a suo padre, il giorno dopo che aveva acquistato un rarissimo esemplare di falco cacciatore.

Lui riteneva che fosse tutto troppo finto, costruito.

Ogni ragazza si aspettava un invito per Hogsmeade, ma era un copione già visto.

Se lui fosse stato preso da una ragazza, abbastanza da mostrare un barlume dei propri sentimenti, l’avrebbe invitata da qualche altre parte.

Per esempio a vedere il dipinto dell’Uomo senza cuore e la ballerina stanca. Amava quel quadro, vi si soffermava ogni volta che vi transitava davanti.

Oppure le avrebbe portato la borsa fino alla Serra.

Non l’avrebbe certo invitata a prendere un thè da Madama Piedi di Burro.

Clichè.Un tale cliché che gli faceva venire il vomito.

Però in quel momento lui non pensava a questo.

Si chiedeva solo come mai lei stesse lì. Sapeva che molti ragazzi l’avevano invitata.

Che lei avesse detto di no a tutti?

Anche lei si era interrogata sulla presenza di lui lì. Aveva ipotizzato che aspettasse una ragazza, ma non sembrava in procinto di andare a un appuntamento.

Avrebbe potuto chiederglielo, però era bello stare lì e fare ipotesi.

Una risata troppo acuta la fece voltare.

Una Tassorosso senza caratteristiche precise, tale che l’avrebbe dimenticata un secondo dopo averla vista, a braccetto con uno dei ragazzi che le avevano chiesto di uscire.

Quella  l’aveva rimpiazzata?

Orgoglio ferito, mutilato, trucidato.

Stupida Tassorosso.

Questo la fece muovere verso di lui.

Avrebbe risposto al fuoco con altro fuoco.

Non sapeva cosa avrebbe detto, perché lui era strano. Non diceva cose normali, banali.

Quando fu a pochi centimetri da lui e a pochi metri dalla squallida coppia, successe una cosa strana, che un giorno avrebbe ammesso le scaldò il cuore.

 Lui senza un perché, la baciò.

Un bacio casto, nemmeno sulla bocca, ma in un angolino.

Un bacio tenero, che non significava nulla e voleva dire tutto.

Quando la Tassorosso senza volto e l’ex pretendente di lei furono lontani, lui la guardò e si allontanò di scatto.

«Ho interpretato bene i segnali, vero Greengrass?»
«Non ti facevo così perspicace, Nott.»
«Più di lui, di sicuro. Rimpiazzare Daphne Greengrass con una tipa del genere.»
«Hai notato anche tu che non aveva volto?»

Theodore Nott sorrise leggermente, cogliendo il significato di quell’espressione.

«Forse hai fatto bene a dirgli di no.»
«Ora io sono qui da sola e lui ha un appuntamento con quella

Daphne si stupì di averlo detto davvero. Non avrebbe dovuto esporsi così tanto con Nott.

«Trovo che gli appuntamenti a Hogsmeade siano banali, squallidi. Si svolgono sempre secondo lo stesso schema. Li aborro.»
«Non è che abbiamo molto altro da fare.»

Theodore inspirò a fondo, poi mise le mani in tasca e posò lo sguardo sul volto quasi perfetto di Daphne.

«Un giorno ti mostrerò cos’altro si può fare in questo castello, Greengrass»
Chissà perché gli rispose così. Daphne non se lo spiegò mai. «Potresti mostrarmelo oggi. Ora.»
«Potrei avere altro da fare.»
«Io credo di no.»

Nott la guardò a lungo, con quello sguardo inquisitore che aveva fatto vacillare anche Draco Malfoy, a volte.

«Ci vediamo a pranzo.»

Daphne avrebbe voluto chiedergli se quello fosse da considerarsi un sì o un no, ma aveva già mostrato poca dignità chiedendogli praticamente un appuntamento, perciò ritenne meglio evitarlo.

Non c’era premeditazione.

Si erano trovati lì, per caso.

Erano sulla stessa lunghezza d’onda.

Stesso posto, stesso momento.

Ma posto giusto e momento giusto?

Nessuno dei due si era svegliato pensando di passare la giornata – o il pomeriggio – con l’altro. Era solo successo.

Anzi non era ancora successo.



Daphne si era vestita diverse volte. E poi svestita. E poi rivestita.

Strano.

Daphne Greengrass indossa la prima cosa che trova nell’armadio. E le sta bene. Dicevano di lei.

Ora si preparava.

Poi pensò di sbagliarsi, perché Nott era un tipo intellettuale, se anche lei gli fosse piaciuta, certo non sarebbe stato per l’aspetto fisico.

Un attimo.

Da quando voleva piacergli?

Erano nella stessa casa da sei anni e non si era mai interessata a lui.

Non in quel senso.

Non che ora fosse interessata.

«Ti ho tenuto un posto, Greengrass.»

C’era poca gente nella Sala Grande.

Tutti i loro amici erano nel piccolo paesino.

Intorno a Nott non era seduto nessuno, non che questa fosse una novità.

La prima regola dei Serpeverde era farsi i fatti propri.

In particolar modo, nessuno avrebbe mai pensato di disturbare Draco Malfoy, Blaise Zabini o Theodore Nott.

Daphne gli si sedette di fronte.

«Non era quello il posto che avevo tenuto per te.»
Nott la fissò con intensità, poi indicò il posto di fianco a lui.
«Che differenza fa? Qui non c’è nessuno.»

Theodore alzò le spalle e continuò a mangiare.

Daphne per la prima volta in vita propria, probabilmente, sentì il profondo desiderio di parlare.

Di solito era molto silenziosa ed era Pansy a doverle tirare fuori le parole.

E ora, mentre stava seduta con il più silenzioso dei Serpeverde, aveva voglia di parlare.

Del tempo, dei compiti, di Voldermort, di Potter. Non importava.

«Non mangi?»
«Non ho tantissima fame.» In realtà non voleva aprire la bocca per paura che le parole le uscissero di bocca.
«Dovresti assaggiare questo, è davvero buono.»

Theodore non le stava porgendo un piatto, ma una forchetta. Su cui era infilzata della carne. Voleva… imboccarla?
«Non ci sono…»
«Arachidi? No, lo so che sei allergica. Vuoi assaggiare o no?» Daphne avvicinò lentamente la bocca e socchiuse le labbra, permettendo a Theodore Nott di imboccarla. «Se fossi stata seduta accanto a me, sarebbe stato più facile, comunque. Allora com’è?»
«Buono. Molto buono.»
«Sì, questi elfi sono piuttosto bravi a cucinare.»
«Non lo sono…tutti
«Forse a casa tua, Greengrass. Da me non si mangia così bene.»

Quello era uno degli argomenti che Daphne non avrebbe voluto toccare, sebbene volesse sapere come stessero le cose in casa Nott.

Aveva letto sui giornali e saputo dal proprio padre, che il signor Nott era finito ad Azkaban dopo aver fallito l’attentato a Harry Potter al Ministero.

Nonostante ciò, Daphne non aveva mai sentito Theodore unirsi alle parole di odio e di rabbia che Draco esprimeva quotidianamente.

«Allora, cosa facciamo?»
«Avevo diverse idee, ma credo che ti porterò nei luoghi più significativi del castello per me. Potresti trovarlo molto noioso.»
«O molto interessante.»
Theodore Nott rivolse velocemente il suo sguardo negli occhi di Daphne, che si sentì come se lui volesse leggerle dentro.
«Sai, Nott, io non ho mai gironzolato per il castello. Vado alle lezioni, vado nella nostra Sala Comune o vengo qui a mangiare. Credo che non sarei in grado di trovare la cucina, né il dormitorio di Corvonero o Grifondoro. Non ridere!»
«Sul serio, Greengrass? Mai? Che noia! Ci sono molte cose belle da vedere.»
«Mia madre dice che una brava ragazza non mette il naso negli affari che non la riguardano.»
«Una brava ragazza non si concede facilmente a tutti, non tradisce il proprio ragazzo e non dice ti amo se pensa semplicemente sei simpatico. Questo fa, secondo me, una brava ragazza. Essere curiosi non è sbagliato.»
Daphne trovava molto riduttiva la definizione che lui aveva dato di brava ragazza.
«Posso dissentire?»
«Certo, è un paese libero, per ora.»
«Una brava ragazza è molto più di quello che dici tu. È una che obbedisce ai suoi genitori, sposa il ragazzo che loro hanno scelto per lei, lo rispetta fino…»
«Cazzate. Questa roba è tratta dal manuale “Come essere una brava ragazza dell’Alta Società e sposare l’uomo giusto”, lo aveva anche mia madre.»
Un’altra menzione alla sua famiglia lasciata cadere nel vuoto.
«Se lo vuoi sapere, io non sposerei mai quella ragazza.»
«Quale? Quella del manuale?»
Nott annuì convinto.
«Nemmeno Blaise. Solo Draco, forse. Perché vuole essere osannato, incensato e rispettato.»
«Tu no?»
«Decisamente, no.»
«Non che io sia personalmente interessata, ma che tipo di ragazza sposeresti tu?»
«Una intelligente, a cui piaccia tenersi informata e leggere. Una con le proprie opinioni, una che si mette in gioco e mette in discussione me. Una che non abbia paura di dire ti amo ma nemmeno è finita. Una che non si sottometta a suo marito, una che io possa fare mia pari in tutto e per tutto. E che non voglia dare ai bambini nomi tipo “Charity Diamond Hope Verity Nott” o “Hyperion Norberto Artorius Nott”.»
«Sono nomi osceni, nessuno li sceglierebbe.»
«Fidati, Greengrass, qualcuno lo farà.»
«La ragazza che descrivi tu sembra… che ne so… la Granger!»
«Troppo secchiona e so tutto io, per i miei gusti. La vera cultura non va ostentata. Ma quando ha dato un pugno a Draco è salita nella mia classifica, lo ammetto.»

Nel frattempo si erano alzati dalla Sala Grande e avevano cominciato a salire le scale.

Daphne non sapeva dove stessero andando, ma non voleva interrompere la discussione.

«Non la vuoi bella?»
«Greengrass, ogni donna è bella per l’uomo che la ama. Anche Millicent troverà qualcuno che la troverà bella.»
Daphne dubitava seriamente che questo potesse accadere, ma non aveva intenzione di discuterne con Nott.
«Non credi che siano posizioni un po’ rivoluzionarie?»
«Estremamente, ma trovo noioso rimanere negli schemi tracciati.»

Camminavano, apparentemente senza una meta.

«Io… non credo di essere d’accordo.»
«Liberissima di non esserlo. Su cosa esattamente discordi?»

Su cosa non era d’accordo?

Era una bella domanda.

Aveva solo voluto criticarlo, per vedere se lui fosse effettivamente così tollerante.

«Tu dici che ogni donna è bella per il proprio uomo, ma ci saranno sempre donne più belle. Perciò egli potrebbe preferirne un’altra o…»
«Se tutto quello che cerca è la bellezza, sì. Tutto dipende da quali sono le tue priorità nella vita, Greengrass. La bellezza è effimera, svanisce e lascia il tempo che trova. Non mi interessa.»

Daphne Greengrass avrebbe voluto potergli dire che la pensava così perché lui non era bello. Purtroppo Theodore Nott nel complesso era un bel ragazzo, perciò sarebbe stata una menzogna.

Senza che se ne rendesse conto, Daphne sbatté contro la schiena di Nott, che si era fermato.

Davanti alla Biblioteca.

Non era un ambiente che Daphne frequentasse molto, troppa gente, poco spazio. Preferiva studiare in camera sua o in qualche altro posto più silenzioso.

«Cosa ci facciamo in Biblioteca?»
«In Biblioteca, nulla. Siamo qui per vedere una persona.»

Daphne era perplessa, ma l’espressione di Nott invitava a non fare domande.

Silenziosamente entrarono, poi Theodore le prese la mano e la guidò fino a uno scaffale.

Prima che Daphne potesse fare qualsiasi domanda, Nott le indicò Madama Pince.

La donna stava bevendo un caffè in pace. Dopo che lo ebbe finito, poso la tazzina, si guardò intorno e dopo essersi assicurata che non ci fosse in giro nessuno, estrasse una foto da un cassetto.

Daphne non riusciva a vedere bene, perché Nott le copriva parzialmente la visuale. Ma prima che potesse dire qualcosa, Theodore si era spostato e la invitava ad avvicinarsi.

Quello nella foto che Madama Pince stava disgustosamente baciando altri non era che Argus Gazza, il custode.

Pansy aveva sempre sospettato che avessero una storia segreta. E come lei tanti altri nella scuola, ma nessuno ne aveva le prove. Perché nessuno aveva mai pensato di chiedere a Theodore Nott.

Quando uscirono, Daphne rideva di gusto. Anche Nott sembrava felice.

«Come hai fatto a scoprirlo?»
«Gironzolando e tenendo gli occhi aperti, si scoprono cose insospettabili.»
«Perciò hanno una storia?»
«Temo che sia un amore non corrisposto. Gazza ha occhi solo per la sua gatta.»

Era strano.

Ridere con Theodore Nott, decisamente una cosa che Daphne non avrebbe mai pensato di fare.

In realtà non credeva nemmeno che Theodore ridesse.

«Sai, è stato molto divertente.»
«Ti dimostra che la bellezza è soggettiva, no? Voglio dire, non sono un esperto in fatto di uomini, ma Gazza certo non è bello. Eppure agli occhi di Madama Pince dev’essere una specie di Adone.»
Daphne posò una mano sulla bocca, per nascondere la risata che questo pensiero le aveva provocato.
«Non… Non nascondere la tua risata. È bella.»
«Non sta bene che una ragazza rida troppo.»
Theodore Nott scrollò le spalle.
«Almeno non puoi nasconderne il suono.»

Daphne avrebbe voluto approfondire quel discorso, ma forse no.

Forse era meglio di no.

«Dove andiamo ora?»
«Scendiamo»
«Ma eravamo già giù, avremmo potuto…»
«Hai mai visto qualcuno fare la vendemmia a Gennaio? O raccogliere castagne a Giugno? No, perché ogni cosa ha il proprio momento e per apprezzarla bisogna saper aspettare e cogliere l’occasione giusta. Perciò Madama Pince bacia Gazza ogni giorno dopo pranzo.»

Nott sembrava stranamente eccitato, come se tutto quello lo divertisse.

Mentre scendevano le scale, rimasero in silenzio fino a quando Theo non si fermò all’improvviso -  di nuovo.

«Nott! Puoi evitare di fermarti all’improvviso?!»
«Se tu camminassi di fianco a me, non ci sarebbe alcun problema. E non citarmi il tuo stupido manuale.»

Daphne scosse la testa, ma decise di ribattere.

Da quel momento camminarono più o meno l’una di fianco all’altro.

Perché Nott la portava a fare quel giro?

Perché le diceva di essere più se stessa e meno la Daphne del manuale?

Perché trovava bella la sua risata?

Non poteva… innamorarsi di Nott. No, non poteva nemmeno prendersi una cotta per lui.

Fino a ieri avrebbe potuto, perché i Greengrass avrebbero potuto essere interessati a un accordo matrimoniale con i Nott. Ora Theodore aveva esplicitamente detto che non avrebbe sposato la prima ragazza che il signor Nott gli avesse imposto.

E poi stavano solo facendo un giro per il castello. Aveva fatto di più con… Draco Malfoy, e certo non pensava che si sarebbero sposati. O che si sarebbe mai potuta innamorare di lui.

«Sono le cucine?»

Theodore non rispose nemmeno. Si limitò ad annuire e ad aprirle la porta.

Le cucine erano immense, più di quanto Daphne avrebbe mai potuto immaginare. C’era una strana calma.

«Ormai hanno finito di sistemare, devono solo pulire gli ultimi piatti.»

Prima che Daphne potesse chiedere come Theodore Nott fosse così informato sugli elfi che lavorano in cucina, un piccolo e quanto mai brutto elfo si avvicinò.

«Padroncino Theodore, a cosa dobbiamo la vostra visita?»
«Ti ho detto milioni di volte di non chiamarmi così.» Nott sembrava molto irritato, ma Daphne non capiva cosa l’elfo avesse sbagliato. «Theodore e basta, non è difficile. Solo Theodore.»
«Scusi, padrone. Scusi. Ora, Burkie si punirà.»
«Burkie, ti prego. Abbiamo affrontato questo discorso milioni di volte. Non ti devi punire appena sbagli qualcosa. Ora, io e la signorina Greengrass vorremmo farci un giro, è un problema?»
«No, padr… signorino Theodore.»

Nott si addentrò nelle cucine seguito da una perplessa Daphne.

«Cerca di sopportare la vista di tutti questi elfi, Greengrass, perché ti voglio fare vedere qualcosa di molto particolare.»

Daphne sperò che non fossero due elfi intenti ad accoppiarsi, perché dopo aver visto Madama Pince baciare Gazza in foto si aspettava qualsiasi cosa.

Giunsero davanti a una piccola finestrella, quasi un oblò, posto molto in alto.

Theodore che era altro più di un metro e ottanta, riusciva a guardare fuori agevolmente. Daphne dal basso del proprio metro e sessanta scarso non vedeva alcunché. Prima che potesse lamentarsi, Nott aveva già fatto comparire uno sgabello.

Quando Daphne appoggiò la testa alla finestra, vide davvero uno degli spettacoli più belli della propria vita. Il piccolo oblò era posto in modo che metà fosse sotto l’acqua del lago, mentre l’altra fosse fuori. Si poteva vedere il pelo dell’acqua che si muoveva delicatamente.

«Oh è qualcosa di fantastico. Come lo hai scoperto?»
«Girovagando qua e là. Sai se ti guardi intorno, noti i particolari. Ne valeva la pena? Tutte le scale, gli elfi, l’odore di cibo…?»

Daphne annuì delicatamente e poi fissò Nott che stava ancora guardando fuori dalla piccola finestra. Sembrava diverso da come l’aveva sempre visto, sembrava rilassato, sereno.

«Dobbiamo andare, perché ho ancora un paio di cose da farti vedere. E non voglio sottrarti alla compagnia delle tue amiche quando torneranno.»

Theodore salutò un paio di elfi, assestò qualcosa di simile a una carezza a Burkie, poi si diresse verso la porta.

«Burkie, salutami Dobby quando lo vedi. E fai gli auguri a Winky.»


Daphne aveva mille domande che le frullavano per la testa, ma non voleva sembrare sgarbata, perciò rimase in silenzio. Questa volta stavano salendo, Daphne ignorava verso dove. Forse avrebbe potuto chiederglielo, ma non voleva che Theodore si adirasse con lei.

«Greengrass, smetti di friggerti il cervello. Dii quello che devi dire.»
«Dove stiamo andando?»
«Dalle parti della torre di Corvonero.»

Per il momento, poteva bastare. Anche se comunque Daphne non aveva idea di dove Corvonero fosse. Avrebbe potuto fargli qualche domanda più specifica, ma Theodore si fermò e disse anche a lei di fermarsi.

In mezzo al corridoio c’erano tre o quattro persone, quella più lontana era da sola, aveva i capelli lunghi e biondi, non come quelli di Daphne, più chiari, quasi argentei. Le altre sembravano più piccole, forse dell’età di Asteria.
«Nessuno ti ha invitata, Lunatica?»

Daphne sentì Theodore irrigidirsi di fianco a lei.

Le tre ragazzine avevano le bacchette puntate contro l’altra, che a Daphne pareva un’amica di Potter, ma di cui proprio non ricordava il nome.

Se con lei ci fosse stato Draco, avrebbe saputo cosa aspettarsi. Sarebbe  passato di fianco, ridendo della sorte della ragazza e lanciando un’occhiata di approvazione alle tre aguzzine. Con Nott era diverso, Daphne sapeva che lui l’avrebbe in qualche modo sorpresa.

Dopo l’ennesimo fiotto di luce diretto verso la ragazza bionda, Theodore uscì dal nascondiglio. Le tre ragazzine si spaventarono, ma quando notarono lo stemma sulla difesa di Nott parvero sollevate.

«Cosa state facendo?» era il solito tono di Nott, quello che Daphne aveva quasi dimenticato. Piatto, atono, monotono.
«Ci divertiamo sull’amichetta di Potter e di Paciock.»

Era evidente che tutte e tre avrebbero voluto l’approvazione di Theodore Nott, l’impenetrabile amico di Draco Malfoy, il figlio di uno dei più antichi seguaci Lord Voldemort, ultimo erede di una famiglia ricca e famosa.

«Nessuna vi invita fuori e voi vi sfogate con Luna Lovegood? Molto maturo da parte vostra.»
Prima che qualcuno potesse emettere un qualsiasi suono, Nott impugnava già la bacchetta.
«Dovrei farvi rapporto.»
«Ma siamo Serpeverde anche noi!»
«La legge è uguale per tutti.»

Una delle ragazze stava per rispondere, ma Theodore l’aveva già disarmata con un incantesimo non verbale. In breve la stessa sorte toccò anche alle altre.

«Andatevene prima che io sia costretto a schiantarvi. Stupide ragazzine.»

Appena le tre furono scappate, Nott si diresse celermente verso Luna Lovegood.

Daphne rimase ferma a osservare la scena. Theodore rassicurava la ragazza, nel mentre le curava le ferite. Lei sorrideva felice. Per un momento Daphne pensò che avessero una storia. Era possibile, Nott non avrebbe potuto dirlo a Draco, perciò lo teneva nascosto. A questo pensiero, Daphne si sentì molto triste e pensò di continuare il lavoro che le tre ragazze avevano interrotto. Quando però rialzò lo sguardo, vide che Nott la stava fissando. Non esprimeva alcun tipo di giudizio, sembrava un po’… deluso.

«Come stai?» la voce di Daphne era molto flebile, come se fosse stata lei quella piena di graffi. Luna Lovegood la guardò con una strana espressione.
«Ora meglio, grazie.»
«Sono state davvero… cattive, eh?» Daphne non sapeva cosa dire, ma si sentiva in un certo senso sotto esame da Nott, che però rimaneva zitto mentre curava le ferite della Lovegood.
«Lo fanno spesso.»

Daphne non sapeva cosa pensare o cosa dire. Non aveva mai aggredito nessuno. Non con una bacchetta almeno, ma immaginava che molti Serpeverde fossero soliti fare queste cose. Anche l’anno prima, quando Draco, Pansy e altre erano entrati nella squadra di inquisizione, Daphne aveva sentito di strani attacchi, ma era sempre stato più facile chiudere gli occhi e le orecchie.

«Grazie, Theodore. Mi hai salvata di nuovo
«Luna, perché non hai contrattaccato?»
«Ho provato, ma mi hanno disarmata.»
In quel momento Daphne notò a qualche metro da loro una bacchetta. Dopo averla recuperata la porse a Luna.
«Neville dov’è?»
«In una serra, credo. Si sta esercitando con qualcosa, credo.»
«Andiamo nel tuo dormitorio, Luna.»

Daphne avrebbe voluto offendersi. Si appellavano Theodore  e Luna. Mentre lei era Greengrass e lo chiamava Nott. Da dove nasceva tutta questa confidenza?

Apparentemente senza alcuna fatica, Nott tirò su Luna e la condusse verso la torre di Corvonero.

«Greengrass, non vieni?»

Daphne annuì e si affrettò a seguire Nott.


«Così… tu e Luna Lovegood…»
Avevano appena lasciato il dormitorio di Luna e si stavano dirigendo verso un punto imprecisato.
«Cosa?» Nott parve sorridere un po’ troppo «Mi stai chiedendo se ho un qualche tipo di relazione con Luna?» Daphne arrossì per il tono canzonatorio assunto da Theodore. «Diciamo che la nostra relazione è più che altro io che la tiro su dopo diatribe di questo tipo. Ecco, siamo arrivati.» Era chiaro che Nott intendeva così liquidare la questione.

Un quadro.

Ciò che Nott avrebbe voluto mostrarle era un quadro. Daphne già per rispondere a tono, quando vide l’espressione di Theodore.

Totalmente assorta da quel quadro.

Più estasiato che davanti alla finestra.

Così Daphne decise di dare a quel quadro una seconda possibilità, anche se era contrario alla propria teoria di vita.

Guardò il dipinto.

Era notte, una notte perfetta, senza nuvole in cielo, illuminata da una grande luna piena. In mezzo al quadro una torre un po’ distrutta. Ai bordi la foresta. Lì in centro un uomo con un cavallo. L’uomo era in piedi, con una mano sul petto, mentre con l’altra si reggeva alla propria lancia. A pochi metri da lui, seguendone lo sguardo, una ragazza. Il primo pensiero di Daphne fu che sembrava Luna Lovegood. I capelli lunghi, un po’ mossi, biondi, quasi argentei alla luce della luna. La ragazza ballava, seguendo una musica tutta sua. Ballava senza sosta.

Theodore copriva il titolo del quadro, perciò Daphne non aveva idea di cosa rappresentasse. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma Nott sembrava troppo assorto. Così tornò a guardare il cavaliere. Era alto almeno venti o venticinque centimetri. Daphne immaginò che nelle intenzioni del pittore avrebbe dovuto essere bello, ma non lo era. Aveva un’espressione di dolore, ma allo stesso tempo impassibile. Daphne era spaventata, impaurita da quel piccolo uomo. Istintivamente, quando egli si voltò a guardarla, si avvicinò a Theodore. Ma l’uomo – che a guardarlo bene sembrava essere diventato l’ombra di se stesso – non avrebbe nemmeno potuto muoversi, dal momento che era evidente la funzione di sostegno dell’asta. Guardare la ballerina era doloroso, per Daphne, un po’ le ricordava il corpo di Luna steso a terra, un po’ c’era qualcosa di letale in lei. L’espressione era serena, ma quasi in attesa di qualcosa di terribile. A un certo punto Nott si mosse, cambiò espressione e si concentrò sulla ballerina. La danza si era fatta più frenetica, finché dopo una rotazione completa su se stessa, la ragazza cadde con un urlo lancinante. Era morta. Il cavaliere la guardò, come se non potesse distogliere lo sguardo. Poi guardò Daphne e Theodore, come se fosse colpa loro, come per incolparli della morte della ragazza o forse solo per non dover guardare quel corpo esanime. Infine riprese la solita posizione e rimase a guardare il corpo della ragazza.

«Impressionante, eh?»

Non sapeva quanto tempo fosse passato, tra la morte della ragazza e le parole di Nott.

«Credevo…» Daphne si rese conto che la propria voce era troppo flebile, troppo incrinata. Si schiarì la gola «Credevo che avremmo visto solo cose belle.»

Theodore Nott parve guardare Daphne Greengrass per la prima volta. La ragazza si sentì tremendamente in soggezione e abbassò lo sguardo, ma prima che potesse dire altro – magari qualcosa di meno insensato, Theodore l’aveva abbracciata.

«Scusami, Daphne. Non mi ero reso conto che potesse essere così triste. Cioè so che è triste, ma non avrei dovuto mostrartelo. Si parla solo di cose felici agli appuntamenti, no?» Daphne mugugnò qualcosa, troppo a bassa voce e troppo attaccata al maglione del ragazzo, perché questi potesse comprendere. «Non ho capito»
Daphne alzò gli occhi ancora un po’ umidi verso Theodore «Mi hai chiamata Daphne.» Per la prima volta Nott parve davvero a disagio, tanto che arrossì piuttosto vistosamente.
«Ti chiedo perdono, io…»
«No, sono felice. Mi piace che mi chiami per nome. Posso…»
«Certo. Anzi, avrei voluto chiedertelo io solo che… Sono sei anni che ci chiamiamo Greengrass e Nott. È strano chiamarti Daphne.»
«Sono anche sei anni che ci ignoriamo e ora siamo qui abbracciati, perciò direi che abbiamo fatto più in un giorno solo che in sei anni. Ora che mi sono ripresa, parliamo del quadro.»

Daphne non aveva alcuna intenzione di entrare in una imbarazzante conversazione sul perché fossero finiti lì o se fosse sbagliato o cose di questo tipo.

«Secondo te come si chiama? È un titolo piuttosto… descrittivo»
Nott le concesse qualche secondo per rifletterci.
«Il cavaliere ferito e la principessa… triste.» Daphne non era sicura che lui fosse ferito, anzi non ci aveva nemmeno pensato fin quando Theodore non le aveva chiesto il titolo. E anche la ragazza, avrebbe voluto dire bella, ma poi aveva pensato che non c’era nulla di bello nella sua morte.
«Ci sei andata molto vicino. Si chiama L’uomo senza cuore e la ballerina stanca
«Ha senso.»
«Bene, ora che Daphne Greengrass ha dato la propria approvazione, siamo tutti contenti.»
Si sorrisero e Daphne si concesse un minuto in più per ammirare il raro sorriso di Theodore.
«Quando ho visto questo dipinto per la prima volta, mi ha subito colpito. Devo ammettere che sono stato fortunato, perché sono capitato qui proprio alle quattro e mezza, come oggi, in tempo per assistere alla morte della ragazza, altrimenti forse non mi avrebbe così colpito. Ho fatto ricerche di tutti i tipi, ma nessuno pareva sapere nulla di questo dipinto. Ero molto avvilito, sai? Avevo provato a chiedere a chiunque – fantasmi, professori, altri quadri. La risposta mi arrivò da dove me la sarei dovuta aspettare. Qualcuno aveva detto ad Albus Silente che ero interessato al quadro – forse credevano che avrei voluto trafugarlo, non so – e il nostro Preside venne da me per darmele. Pare sia ispirato a una storia vera. Ovviamente, Daphne, stiamo entrando nel piano delle congetture. Nessuno sa mai con certezza ciò che un artista voleva esprimere, forse nemmeno l’autore stesso. Si dice che il pittore fosse innamorato della ballerina, che era molto bella e brava. Il Pittore l’avrebbe voluta sposare, ma la Ballerina era troppo impegnata a danzare. Un giorno, un cavaliere errante che aveva perduto l’onore in battaglia, passò dalla piazza dove la Ballerina si stava esibendo. Si innamorarono, e il Cavaliere le disse che l’avrebbe sposata, perché la sua danza l’aveva fatto innamorare. Prima avrebbe dovuto recuperare il proprio onore. La Ballerina disse che l’avrebbe aspettato e che avrebbe danzato per lui ogni singolo giorno. Due anni dopo il Cavaliere ritornò, il suo nome era noto in ogni parte del mondo allora conosciuto, per le gesta eroiche che aveva compiuto. Ciò che nessuno sapeva era che per riottenere l’onore aveva dovuto cedere il cuore. Non provava alcun sentimento e non avrebbe più potuto amare la sua Ballerina. Ella non se ne capacitava, non capiva come avesse potuto cambiare idea. E di certo non avrebbe mai ritenuto che l’onore e il cuore avessero lo stesso valore. Il Cavaliere alloggiò in quella torre che vedi dipinta, perché non gli interessavano i lussi o le comodità, tanto non provava nulla. La Ballerina cominciò a danzare sotto la sua camera; il Cavaliere ricordava di aver fatto quelle promesse, ma non avrebbe potuto mantenerle, non avevano più valore per lui. Perciò la osservava senza provare alcunché. La Ballerina danzò per lui tutto il giorno e tutta la notte, sperando che questo potesse riaccendere il suo amore. Purtroppo alla fine era così esausta che si accasciò a terra, morta. Prima di spirare desiderò che il proprio cuore venisse donato al Cavaliere, così che potesse soffrire. Perciò quando la Ballerina muore, il Cavaliere si ricorda di averla amata, ma il dolore di avere un cuore sofferente è così forte che non può avvicinarsi a lei. Quando la Ballerina risorgerà all’alba, il cuore verrà nuovamente strappato dal Cavaliere e permetterà alla Ballerina di danzare ancora, per poi morire. Così sul volto del Cavaliere vedrai sempre la sofferenza della notte mischiata all’impassibilità del giorno. Mentre su quello della Ballerina vedrai l’amore del giorno insieme alla dolorosa consapevolezza della notte.»
Stretta a Theodore, Daphne piangeva. Come una stupida, si diceva. Era solo una storia, probabilmente finta. Anzi sicuramente. Eppure l’aveva toccata a fondo, soprattutto raccontata dalla voce bassa e profonda di Theodore.
«Daphne…»
«Credi che sia vero?» Nott non rispose, incapace di dire ciò che realmente pensava. «Pensi che sia accaduto davvero così? Lui l’ha dimenticata, Theo?»
Theodore sussultò al suono del proprio nome – anzi soprannome – in bocca a Daphne e dopo aver alternato lo sguardo tra il dipinto e la ragazza stretta al proprio braccio rispose.
«No, lui non l’ha dimenticata. Quando è andato alla ricerca del proprio onore, ha cercato il suo volto in quello di altre donne. Sperava di udire la sua voce, il suo respiro. Guardava le danzatrici di strada, nella muta e vana illusione che una fosse lei. Ma non la trovava, mai. Cercava di imprimersi il suono della sua voce, ma le suppliche delle persone che uccideva, il dolore delle madri a cui portava i corpi dei figli nel tempo avevano soppresso quel dolce suono. Il suo volto era confuso dal sangue, dal sudore. Non l’aveva dimenticata, ma era troppo sbiadita perché potesse riconoscerla. Perciò lui soffre alla fine, perché dentro di sé sa che è lei, ma l’ha confusa troppe volte per riconoscerla.»

Rimasero ancora qualche minuto fermi, davanti al quadro.

«Grazie, Theo.»
«Non devi ringraziarmi, io dovrei scusarmi.»
«No, tu mi hai mostrato cose che forse avrei potuto vedere, ma mai avrei guardato.»
«Sono le cinque. In mezz’ora possiamo essere a Hogsmeade per prendere qualcosa di caldo ed essere a scuola per la sette, ora in cui Gazza chiuderà i cancelli. Credo di doverti almeno una cioccolata calda.»
«Facciamo una Burrobirra ai Tre Manici di Scopa e una sosta in dormitorio per prendere il cappotto e sarà perfetto.»


«Così alla fine ci siamo uniformati alla massa, no?»

Il tono di Daphne era spensierato, lontano dalla tristezza data dal dipinto.

«Hai ragione, ma ammetto che non era mia intenzione. Non avevo pensato che il dipinto avrebbe potuto scuoterci così tanto.»
«Scuoterci? Quella che si è messa a piangere sono io, non tu.»
«Sebbene lo avessi già visto molte volte, oggi è stata molto più triste. Forse perché ho raccontato la storia a voce alta, o perché c’eri tu che piangevi o perché i capelli biondi della ragazza mi hanno ricordato un po’ i tuoi.»
«A me sembrava un po’ Luna Lovegood, no? Sarà che l’avevamo appena vista, ma i capelli argentei sciolti, il modo in cui si muoveva, come se fosse… un angelo.»

Erano ormai arrivati ai Tre Manici di Scopa, Theodore le aprì la porta, la fece accomodare e andò a ordinare. Mentre Daphne lo aspettava, notò che in un tavolo poco distante, la McGranitt, Vitious, Lumacorno e Hagrid la fissavano. Poteva indovinare cosa stessero pensando. Daphne Greengrass è una da Madama Piedi di Burro e va agli appuntamenti vestita in maniera impeccabile ed elegante. Invece lei indossava un paio di jeans e un maglioncino panna. Quando videro che era proprio Theodore Nott ad accompagnarla si stupirono tutti. Theodore non aveva quasi mai lasciato i sicuri confini di Hogwarts e non era certo interessato a quel tipo di ragazza che Daphne Greengrass pareva essere. Dopo che Theo ebbe appoggiato le BurroBirre sul tavolo, si voltò verso i propri professori e li salutò con un caloroso sorriso, facendo quasi arrossire anche l’impenetrabile Minerva McGranitt.

«Mi giudicano.»
«Chi?»
«I prof. Pensano tutti che non dovresti uscire con una come me.»
«Nessuno lo pensa. Anzi magari pensano che dovresti stare con uno più bello o popolare.»
«Sì, la McGranitt lo pensa sicuramente.» Il tono di Daphne era chiaramente ironico.
«Daphne, staranno pensando ai fatti loro. Certo non a noi che ci facciamo una Burrobirra in pace. Ti devo alcune spiegazioni.»
«Spero che non mi facciano piangere»
«Potrebbero farti scappare da me»
«Non farmi paura e parla.»
«Il fatto che io chiami la Lovegood Luna e Paciock Neville non è proprio un caso, diciamo. Insomma, non è che se sono un Nott allora…»
«Theo, per favore esprimiti bene. Sii chiaro e lascia decidere a me cosa devo pensare di te.»
Theodore Nott rimase in silenzio per molto tempo e a Daphne parve di tornare a quando non si parlavano, non si salutavano e non si calcolavano. O anche a pranzo – che era solo poche ore prima – quando avrebbe tanto desiderato che lui dicesse qualcosa.
«Non credevo che sarebbe stato difficile dirlo, ma… Non trovo proprio le parole.»
«Sei fidanzato?»
«Cosa? No!»
«Sei omosessuale?»
«No, non centra niente.»
«Ti piace Luna? Odi i broccoli? Vorresti essere Prefetto?» Daphne aveva cominciato a divagare, nella speranza che Theo parlasse, dicesse qualcosa.
«Sono dalla parte di Potter. Sì, odio Voldemort e i Mangiamorte. Non credo alle sciocchezze sul sangue puro, penso che la Granger abbia fatto bene a fondare il C.R.E.P.A. Non ho alcuna intenzione di farmi marchiare, né ora né mai. E quando ci sarà da combattere, io so già da che parte stare.»

Daphne non sapeva bene come avrebbe dovuto prendere quella dichiarazione. Cosa voleva dire?

«So che ora mi odi e pensi che io sia un traditore, ma…»
«Mi fa piacere chetu sappia cosa io pensi, perché io non lo so. Che cosa devo dire? Ammetto che davo per scontato che tu fossi… pro Voldemort, ma il fatto che tu non lo sia non cambia le cose per me.»
«Sarebbe bello da sentire, se fosse vero. Daphne prima o poi si combatterà, davvero. Prima o poi Voldemort attaccherà direttamente, quando si sarà stancato di lasciare i suoi burattini nei posti di potere. E allora sarà la guerra.»
«Tutti ci dovremo schierare?»
«Sì, Daphne. Tutti dovremo farlo. Arriva sempre un momento in cui devi decidere, in cui devi prendere posizione.»
«Se io non volessi farlo?»
«Non voglio che tu ti offenda, ma sei già schierata. I tuoi sostengono Voldemort da sempre, si aspetteranno che tu sia dalla loro parte.»
«Ma essere dalla loro parte vuol dire approvare quello che hanno fatto a Luna?»
«No, Daphne, vuol dire ritenere quel gesto poco. Quando Voldemort avrà preso Hogwarts, la gente morirà. Prima i Nati Babbani, poi i Mezzosangue, l’Ordine della Fenice, gli amici di Potter e infine tutti quelli che non si arrenderanno a Voldemort. Non so fra quanto accadrà, ma se succederà da qui a un anno non ne sarei affatto sorpreso.»
«Mi dispiace, Theo, ma io non posso decidere ora
«Non devi, nessuno te lo sta chiedendo. Ti chiedo solo di non divulgare ciò che ti ho detto. Draco sa che io non amo Voldemort, ma non immagina che io sia già pronto a schierarmi.»
«E tuo padre? Lui è ad Azkaban per colpa di Potter!»
«Questo è quello che Draco dice. Mio padre è ad Azkaban per colpa sua. Gli ha detto Potter di andare lì e rubargli la Profezia? Gli ha detto Potter di attaccare sei ragazzini minorenni indifesi? Gli ha detto Potter che avrebbero dovuto uccidere Sirius Black? Mio padre è un uomo adulto, ha preso le proprie decisioni. Io prendo le mie. Per me se sta ad Azkaban è solo meglio. Come padre l’ho amato, ma come uomo ha fatto le scelte sbagliate.»
«Se lui dovesse combattere, alla fine?»
«Sarà così. Se non dovesse morire prima. E se non dovessi morire nemmeno io e arrivassimo alla battaglia finale, saremo su campi opposti.»
«Potresti… ucciderlo?»
Theodore parve vacillare a questa prospettiva.
«Questo non lo so. È pur sempre mio padre.»

L’ansia e l’angoscia colpirono Daphne tutto d’un colpo, le calarono addosso come un macigno. Incapace di resistere, la ragazza si alzò, aggirò il tavolo e corse tra le braccia di Theodore. Il ragazzo l’accolse un po’ spaesato e la fece sedere sulle proprie ginocchia.

«Non morire, Theo.»
«Non voglio, Daph.»
«Promettimelo!»
«Amo il tuo profumo, Daphne.»

Rimasero così per un po’. Per molto, in realtà.

Quando Minerva McGranitt si alzò dal proprio tavolo, avrebbe voluto far presente che era ora anche per loro di tornare al castello, ma immaginava cosa si fossero detti. Perché sapeva che da tempo Theodore Nott aveva preso contatti con Neville. Silente aveva detto che dovevano fidarsi di lui, perché sono occhi che non mentono quelli, Minerva. Così aveva detto. Perciò la McGranitt immaginava che Theodore avesse appena aperto gli occhi alla maggiore delle sorelle Greengrass.

«Dobbiamo tornare al castello.»
«Non voglio. Se torneremo lì questa giornata finirà e tu mi chiamerai ancora Greengrass.»
«Ti prometto che non farò. Sarai sempre Daphne, per me. Un giorno forse saremo da due parti diverse, ma questo non vuol dire che da domani ti eviterò.»

Lentamente tornarono al castello, con le mani intrecciate e la testa di Daphne appoggiata alla spalla di Theodore. Quando il familiare calore di Hogwarts li accolse, si staccarono e si diresse – fianco a fianco – nei dormitori di Serpeverde.

«Sono stata molto bene, Theo. Grazie mille per questa bella giornata.»
«Avrebbe potuto essere migliore, eh?»

Daphne scosse la testa, presa alla sorpresa.

«No, nonostante tutto, sono davvero felice. Ricorderò questi momenti per sempre.»
«Per me avrebbe potuto essere migliore. Avrei potuto baciarti, sul serio

Nott disse la parola d’ordine al quadro ed entrò in Sala Comune, lasciando una frastornata Daphne ferma in mezzo al corridoio.

Theodore e Daphne non sapevano molte cose.

Come funziona un televisore.

Come fare la vendemmia.

Come cucinare un perfetto soufflé.

Come diventare Animagus.

Ma non sapevano nemmeno quando avrebbero dovuto scegliere.

Quando avrebbero dovuto combattere.

Quando si sarebbero separati.

E ancora ignoravano come sarebbe finita e se mai avrebbero potuto aprire il loro cuore.

Due mesi dopo Albus Silente sarebbe morto, ucciso da Severus Piton.

A settembre Daphne e Theodore sarebbero tornati a Hogwarts.

Lui avrebbe dato una mano – in incognito – all’ES. Avrebbe fatto il possibile per salvare i Mezzosangue. Avrebbe rischiato la sua stessa vita per strappare un piccolo Tassorosso del primo anno alle grinfie di Alecto Carrow.

Lei sarebbe rimasta sempre in disparte, dietro le quinte. A fare il tifo per lui, lui solo. Non per Potter o per Voldemort, per Theo. Gli avrebbe curato le ferite e lo avrebbe consolato quando il dolore che aveva visto fosse stato troppo.

Sarebbero rimasti vicini, uno accanto all’altra fino alla fine.

Fino a quando avrebbero dovuto scegliere davvero.

Ma quella sera non sapevano tutte queste cose, non le immaginavo neppure.

La mattina dopo, quando Daphne si svegliò, trovò sul suo comodino un biglietto.

 

Non accadrà come al Cavaliere e alla Ballerina. Anche se dovessi dare la vita per ottenere ciò che voglio, la libertà, non ti dimenticherò, Daphne.


Una firma sarebbe stata superflua.

Theodore Nott, quella mattina a colazione, sorrise mentre passava la marmellata a Blaise Zabini. 





 

   
 
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