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Autore: Gaspard    12/09/2012    0 recensioni
Ambientata in un mondo popolato da zombie, Scarlett la nostra protagonista, sarà costretta ad indurre al suicidio una donna e la sua bambina
Genere: Drammatico, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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Pelle verdastra, occhi iniettati di sangue e cranio spaccato, quella cosa avanzava verso di me, trascinandosi con entrambe le mani. Cercava di raggiungermi nonostante l’assenza di gambe, lo sguardo affamato e privo di qualsiasi emozione umana a parte l’ingordigia. E io non potevo muovermi.
Non ero ferita, non ancora almeno, ma le mie gambe sembravano non funzionare. Ero come paralizzata dal terrore, il che era impossibile dato tutto quello che avevo fatto. Ne avevo uccisi tanti di quegli esseri, così tanti che avevo perso il conto. Eppure non potevo muovermi.
Osservavo con gli occhi sbarrati il non morto, chiedendomi quanto ci avrebbe messo a raggiungermi e se avrebbe fatto molto mare sentire i suoi denti chiudersi sulla mia pelle. Mi sentivo come una volpa la cui zampa era rimasta bloccata in una trappola.
Lo zombie ormai era poco distante dal mio viso. Aveva afferrato la mia gamba e mi aveva tirato verso di lui, probabilmente con l’intenzione di mordermi una guancia. Il suo viso putrefatto continuava ad avvicinarsi e fu solo allora che iniziò a mutare. I pochi capelli, prima grigi, iniziarono a divenire scarlatti e gli occhi diventarono più chiari, fino a raggiungere un bel azzurro. E solo allora la riconobbe. Quell’ essere non umano che stava cercando di mangiarla era in realtà..sé stessa.
Scarlett aprì gli occhi di scatto, ansante.
Impiegò qualche secondo per capire che non c’era nessuno zombie nelle vicinanze, che si trovava nel rifugio sotto terra, nel suo letto,insieme alle sopravvissute che aveva trovato qualche giorno prima.
Qualche altro secondo e i suoi occhi iniziarono ad abituarsi al buio della stanza, completamente di colore bianco. Non per scelta sua ovviamente. A quanto pareva i tizi dell’ organizzazione per cui lavorava in passato non avevano molta fantasia, ma a lei non interessava molto, visto che a quei tempi l’unica cosa a cui doveva pensare era uccidere i bersagli designati.
Si distese sulla schiena e il suo sguardo vagò sulle altre due ragazze con cui condivideva la stanza.
Charlotte, sul letto alla sua destra, le dava la schiena e di lei poteva solo vedere i lunghi capelli color del grano.
Poteva vedere invece il volto di Shawnee, apparentemente tranquillo.
“Cosa stai sognando Nee? Ripensi ai bei tempi andati vero? Quando l’unica tua preoccupazione era quella bestia del tuo capo che ti faceva la guerra ogni volta che entravi in ufficio?”
Scarlett prese un lungo respiro e si alzò, convinta che ormai non sarebbe più riuscita ad addormentarsi.
Si diresse nel piccolo bagno e poggiandosi ai bordi del lavandino, guardò il proprio riflesso allo specchio, quasi timorosa di vederci uno dei morti viventi che stavano in superficie.
Fece un respiro di sollievo non appena vide che non era cambiato nulla della sua immagine.
Capelli lunghi e ricci, di colore rosso contornavano un viso dai lineamenti delicati. Grandi occhi cerulei, naso piccolo e dritto, labbra strette ma carnose, rosee e  ben delineate.
L’aspetto innocente di Scarlett celava un identità tutt’altro che mite. Quando ancora c’era una vera vita sulla terra, era un agente segreto. Una assassina provetta, ma dai buoni principi morali. Non era cambiato molto dopotutto, doveva ancora uccidere per vivere, con la differenza che i suoi bersagli erano zombie e che tutto il mondo ne era pieno zeppo.  “Prendi l'aspetto del fiore innocente, ma sii il serpente sotto di esso.” Citazione di Shakespeare che in quel caso era decisamente adeguata
Niente acqua corrente, cibo e acqua quasi inesistenti e perenne sensazione di pericolo, ecco come si viveva di sopra. Per fortuna, nel rifugio potevano permettersi alcuni “lussi” come l’acqua (anche se non calda),cibo e armi in quantità e completa assenza di zombie. Un paradiso direte voi, ma vivere in una casa per il resto dei tuoi giorni non è proprio il massimo, soprattutto se la casa in questione non è molto grande! Per cui, qualche volta le tre si arrischiavano ad uscire per un po’ di luce solare. L’obiettivo di Scarlett, era quello di ripulire completamente il piccolo paesino dove si era rifugiata, in un luogo privo di morti viventi. Un luogo dove potessero ricominciare. Ma per fare quello ci voleva molto tempo, soprattutto se era l’unica a sapere uccidere!
Aprì il rubinetto e chiuse la mano a coppa sotto il piccolo getto d’acqua. Si portò le mani al viso, bagnandolo e rinfrescandolo.  Rigirò la manovella e si asciugò il volto, poi si diresse verso la cucina, per il suo solito rito.
Da un po’ di tempo infatti, continuava a fare quegli strani incubi e ogni volta che si svegliava di notte, accendeva la radio e cercava notizie di altri sopravvissuti. Ogni notte, sperava che qualcuno si facesse vivo e comunicasse la posizione alla radio, perché magari se era abbastanza vicino, avrebbe potuto provare a salvarlo. A dargli un rifugio nonostante le dimensioni ridotte del loro rifugio.
Portò indietro la sedia (bianca per la precisione) e si sedette. Iniziò quasi senza speranza a cambiare frequenza, sperando che il fastidioso rumore della radio non svegliasse le sue compagne.
Stava per chiudere quando improvvisamente sentì una voce femminile parlare disperata
-aiuto! Qualcuno mi sente?...C’è..c’è qulacuno?-                   
Stava dicendo la donna, che sembrava in procinto di mettersi a piangere.
Scarlett rimase pietrificata per un’ attimo prima di schiarirsi la voce, premere il pulsantino e avvicinare le labbra al microfono.
-Qui Scarlett, ti sento forte e chiaro-
Rispose la rossa, cercando di illudersi troppo. Quella donna sarebbe potuta essere in qualsiasi parte del mondo. Certo, aveva un’ accento tipicamente Americano, ma l’America era grande e le probabilità che fosse proprio nel paese dove si trovava Scarlett erano molto basse.
-Oh mio Dio! Tu puoi aiutarmi? Ti prego, ti prego aiutami!- 
Stava per rispondere quando sentì un lamento infantile e la voce di una bambina. Deglutì e cercò di capire cosa stesse dicendo, ma riuscì a capire solo qualche parola sconnessa. Tra queste però, riconobbe “mamma”
-spero di si, indicami la tua posizione-
Rispose pratica, iniziando a pregare chiunque ci fosse lì sopra che non fosse troppo distante da loro.
-Sono sul palazzo del New York Times-    
Socchiuse le labbra, sentendo la delusione crescere. New York, enorme cittadina probabilmente piena di zombie e troppo lontana per essere raggiunta a piedi.. No, non c’era proprio nessuno lì sopra. Strinse i pugni e osservò le nocche sbiancare.
-non posso raggiungerti, mi dispiace..sono troppo lontana-
Seguì un lungo silenzio, durante il quale iniziò a pensare che la donna avesse spento la radio. E come biasimarla? Aveva appena perso la sua unica speranza di uscire viva da quel putiferio.
-E ora cosa faccio? C’è mia figlia qui con me!-  
Alzò le sopracciglia sorpresa nel risentire la sua voce
-descrivimi la situazione-   
Non poteva raggiungerla, ma avrebbe cercato di aiutarla a distanza, magari indicandole le mosse da fare in modo da evitare gli zombie. Avrebbe potuto trovare un mezzo di trasporto ancora in funzione e…
-sono sul tetto, quelle..cose premono contro la porta...cercando di sfondarla..vogliono arrivare a me..ti prego! Non so cosa fare!-    
Se c’era qualcuno là sopra, di sicuro li odiava tutti.
Quella donna era intrappolata su un tetto con una massa, sicuramente enorme, di zombie che cercavano di mangiarla. E in più non era sola, ma c’era anche la sua bambina!
Fece un profondo respiro, cercando di rilassarsi e di far suonare ferma la sua voce
-Hai due possibilità..o aspetti che gli zombie sfondano quella porta, e raggiungano te e tua figlia..e vi mangino vive..oppure prendi coraggio..e salti giù da quel tetto.-
Disse tutto lentamente, cercando di essere più chiara possibile. Le stava dicendo la verità, non c’era una terza porta. O ti suicidi oppure diventi uno zombie.
Altro momento di silenzio.
Sentì una mano sulla spalla e si girò, ritrovandosi a guardare le due compagne che la guardavano comprensive e che senza alcuna parola prendevano una sedia e si sedevano accanto a lei.
-non..posso..io non..-    
-Hai intenzione di lasciare che quegli essere si mangino tua figlia e poi che lei si trasformi in uno zombie?-
Forse era stata troppo dura, l’occhiata severa che le stava lanciando Charlotte era piuttosto esplicita, ma voleva essere sicura che facesse la scelta giusta.
-va bene io..-
Ma non fece in tempo a finire che si sentì un forte rumore, poi delle urla seguite dai versi degli zombie, che con ogni probabilità avevano appena sfondato la porta.
Scarlett continuò a guardare confusa e preoccupata la radio, come se questa potesse magicamente animarsi e spiegarle cosa diavolo stava succedendo.
Ad’un tratto non si sentì più nulla se non il rumore del vento e una voce in lontananza
-mi sono bu..-
Seguì il solito fruscio fastidioso della radio.
Si era buttata, e a quel punto Scarlett non poteva fare altro che pregare. Pregare che la ragazzina fosse con lei e che una volta morte, trovassero finalmente pace.
Non avrebbe mai pensato che il mondo potesse finire in quel modo. Avrebbe mille volte preferito che il sole esplodesse o che un gigantesco meteorite collidesse con la terra. Sarebbe stato sempre meglio di quella situazione. Orde e orde di zombie contro pochi umani. Gente che moriva di fame, che veniva mangiata, costretta al suicidio. Alla fine sarebbero morti tutti e la terra sarebbe diventata solo una landa desolata, popolata da quei mostri.
E fu proprio su quelle allegre note che Scarlett scoppiò. Aveva trattenuto le lacrime per troppo tempo, fin dall’età di cinque anni, quando aveva scoperto di essere stata adottata.
Iniziò a piangere silenziosamente, senza la forza di alzare un braccio per asciugare quelle gocce salate che continuavano a rigarle il viso.
Le sue amiche la guardarono stupite e la strinsero in un abbraccio che in altre situazioni avrebbe giudicato soffocante. Invece Scarletti si limitò e continuare a piangere e a rifugiarsi fra le loro braccia. Non l’avevano mai vista ridotta in quello stato. La credevano una specie di roccia irremovibile, ma in fin dei conti era sempre umana. 
  
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