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Autore: fabyoletta    12/09/2012    1 recensioni
"Credete veramente che l’immortalità sia un dono? Desiderate sul serio vivere nascosti nell’oscurità, nutrendovi solo della vita degli altri, per il resto dell’eternità? Molti di coloro che diventano servi della notte, dicono di essere stati salvati. Di aver ricevuto una nuova vita. Ma io, io non volevo essere salvata..."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prova a vivere

 

Credete veramente che l’immortalità sia un dono? Desiderate sul serio vivere nascosti nell’oscurità, nutrendovi solo della vita degli altri, per il resto dell’eternità? Molti di coloro che diventano servi della notte, dicono di essere stati salvati. Di aver ricevuto una nuova vita. Ma io, io non volevo essere salvata. Tutto ciò che desideravo era continuare ad amarlo per altri trenta, quarant’anni. Non di più. Invece, qualcuno aveva pensato bene di “darmi una nuova vita”. Avrei voluto ricordare  qualunque cosa avesse potuto dare un volto al mio assassino. Già, assassino. Perché io non ero rinata: ero morta. Morta per sempre. Abbandonata in un piccolo vicolo buio e sudicio. Nessuno però avrebbe ritrovato il mio corpo. Nessuno avrebbe pianto sulla mia bara. Semplicemente sarei “scomparsa”. Certo, la mia famiglia non si sarebbe data pace. I miei amici avrebbero pianto gli unici vicini agli altri, stretti nel loro dolore, cercando il perché, di questo mio folle gesto. Scomparire nel nulla. Ma chi avrebbe consolato lui? E soprattutto, si sarebbe mai dato pace?  Probabilmente avrà pensato che sia stata rapita. Per quanto tempo? E senza riscatto? Impossibile. L’ipotesi più plausibile era che fossi scappata. Forse con qualcun altro. No, non avrebbe mai potuto crederlo. Lo amavo. Lo amavo con tutta me stessa, ed avrei continuato a farlo per l’eternità. L’eternità … volevo davvero continuare a vivere cosi a lungo? Potevo sempre lasciarmi morire. Non bere più sangue. Oppure pestare i piedi a qualche pezzo grosso. Sarebbero stati ben contenti di fare fuori una pedina inutile come me. In fondo, ero sempre l’ultimo gradino della catena alimentare.
“A cosa stai pensando?” mi domandò d’un tratto Kat con il suo fare gentile.
 “Saresti capace di uccidermi?” risposi, mentre fissavo il cielo scuro sopra di noi.
“Assolutamente no” si stizzì lanciando un sasso verso il buio.
“Questo posto fa schifo. Perché non ce ne andiamo in Europa? Mi hanno detto che li la vita per i vampiri è molto più facile” continuò poi con la voce piena di entusiasmo, tipica della sua età.
“Non credo di aver voglia di viaggiare cosi lontano”
“Ma dovremmo” insistette, continuando a lanciare sassi nel nulla.
“Tu dovresti” rimarcai mettendomi a sedere. L’erba era umida e intorno a noi si stendeva una folta coltre di nebbia. Le luci fioche delle abitazioni sembravano tanti piccoli lumini. Un grosso, gigantesco cimitero, pensai.
“Non voglio andare senza di te. Non conosco nessuno”
“Ti farai dei nuovi amici, sicuramente con più voglia di vivere la tua vita immortale” tentai di chiudere il discorso. Kat era un bravo ragazzo di appena diciassette anni. Da quello che mi aveva raccontato, e vi giuro, se ne sarebbe potuto scrivere un libro, la sua vita era stata parecchio movimentata. Sua madre era una prostituta e suo padre un facoltoso manager di qualche società sull’onda del successo. Aveva passato tutta l’infanzia da solo a casa, tra i cibi precotti e i rumori, sconosciuti per un bambino, provenienti dalla camera della mamma. A tredici anni era riuscito ad andare via di casa per vivere da solo di espedienti qua e la. Poi, un giovane uomo nel locale dove faceva il cameriere, l’aveva notato. Si era presentato come uno “cacciatori di talenti”, convincendolo ad andare a casa sua per contrattare la sua ascesa alle passerelle. Di certo non poteva immaginare, il piccolo Kat, che l’unico desiderio di quell’uomo era farne il suo schiavetto personale, tramutandolo in un vampiro. Fortunatamente, dopo qualche mese di prigionia in una lurida stanza di motel, era riuscito a scappare. L’ultimo capitolo della sua storia infinita si era poi concluso con l’incontro di una giovane donna di trent’anni sull’orlo del baratro. Non molto convincente come finale di un best seller.
“Cosa dovrei farmene di altri amici quando ho te, stupida?” rise dandomi un colpetto sulla spalla.
“Dico sul serio Kat. Vattene”
“Non riesci proprio a capire vero?” sussurrò poi piano, alzandosi.
“Forse non voglio farlo” conclusi gettandomi nuovamente sull’erba umida e fredda. In realtà non percepivo più il freddo, ma tentavo di ricordarne la sensazione. I suoi occhi dorati mi fissavano dall’alto, pieni di dolore. Perché non cerchi di capire stupido ragazzino? Non posso darti ciò che desideri. Vorresti  restare insieme a me? Impossibile. Inaccettabile. La mia vita, il mio cuore, sono rimasti in quel vicolo. Tutto ciò che mi resta è un copro fatto di carne morta e una mente piena di ricordi.
“Riusciresti a provare a vivere?” mi domandò poi all’improvviso, con un sguardo che non gli avevo mai visto prima. Il dolore, quello vero, quello intenso e freddo, percorse nuovamente il mio corpo. Vivere? Mi stava chiedendo di vivere? Povero piccolo Kat. Vorrei prestarti i miei occhi, almeno per qualche ora, mostrandoti finalmente a cosa si è ridotto il mondo per me. Un mucchio di legno, ferro, metallo, asfalto, rumori, e niente più. Dovrei vivere per chi? Per cosa? A che serve tirare avanti senza amore? Senza quel calore, quella gioia di fare progetti insieme, si addormentarsi l’uno vicino all’altro, sapendo che i giorni sono corti e che, domani potrebbe essere l’ultimo, da vivere intensamente come il primo.
“Mi dispiace Kat. Mi dispiace tanto. Devi cercare qualcun altro da amare”.
Le sue dita delicate si poggiarono sulla mia guancia fredda, mentre il suo alito fresco e dolce mi penetrava dentro. Non farlo Kat. Devi fermarti. Ma le sue labbra furono più veloci e si poggiarono delicatamente sulle mie. Un bacio. D’un tratto ripensai al mio primo bacio con lui. Al college, sotto una panchina all’ombra di un grande albero carico di foglie. “Ti amo Jane” mi aveva sussurrato all’orecchio. “Ti amo anche io” avevo risposto, mentre le mie guance si tingevano di rosso. Basta, basta! Perché questo dolore perché? Maledetto ragazzino. Era tutta colpa sua.
“Non farlo mai più!” urlai, mentre ogni fibra del mio corpo desiderava solo correre via, lontano.
“Allora fingi anche che non sia successo!” replicò lui freddo alzandosi.
“Sei solo un bambino! Non puoi capire!” continuai ad urlare “Vattene in Europa, vattene dove diavolo vuoi ma lasciami sola!”. I suoi occhi diventarono scuri, quasi impercettibili. Lo stavo facendo di nuovo: stavo stracciando i suoi sentimenti come un foglio di carta totalmente inutile. Era necessario, continuavo a ripetermi, era necessario. Pochi secondi dopo, accanto a me, non c’era più nessuno. Il silenzio della notte era diventato ancora più profondo. Il cielo ancora più scuro. Decisi cosi di correre lungo la strada deserta davanti a me. Non avevo la più pallida idea di dove andare, ma volevo lasciarmi dietro tutto. Il vento mi accarezzava piano la pelle fredda e pallida. Le lacrime rosso sangue scorrevano giù, fino sotto il collo. Nessuno avrebbe potuto darmi conforto. Nessuno.  Ogni giorno era uguale all’altro. Ogni notte triste e solitaria. E sarebbe rimasto tutto cosi, per l’eternità. Dal mio bellissimo e nuovissimo appartamento all’ultimo piano di un palazzo di città, fissavo attraverso il vetro dell’enorme vetrata del salotto, la luce dell’alba. Quanto avrei voluto percepire il calore di quei raggi del sole, come in una bella giornata al mare. Invece, tutto ciò che mi pervase fu il freddo. Chissà che starà facendo Kat, pensai poi. Distrattamente raggiunsi il mio cellulare cercando il suo numero. Ero stata davvero troppo dura con lui. Nonostante tutto, mi mancava. Non vederlo gironzolare con quel suo fare maldestro. Sentire il profumo dei sui capelli appena lavati, e le sue risate davanti alla tv, mentre io rannicchiata sul divano, lo osservavo silenziosa. Come aveva fatto ad innamorarsi di una persona vuota come me? Il telefono squillò a vuoto. Che fosse ancora arrabbiato? In fretta e in furia, presi il mio impermeabile ed uscii di casa, diretta al parco, il nostro solito ritrovo. Intorno a me solo donne e uomini intenti a fare  jogging e anziani con il cane al guinzaglio. Poi, una frase mi attraversò la mente: potremmo prendere l’aereo. E cosi, per la seconda volta nella mia vita, riprovai la paura dell’abbandono. Corsi più veloce del vento per centinaia di chilometri. Dovevo fermarlo …. dovevo fare qualcosa. Prova a vivere. L’aeroporto era stracolmo di gente. Potevo percepire l’odore del sangue di ogni individuo presente. C’erano anche diversi vampiri, ma nessuno che fosse Kat. Distratta, confusa, impaurita, continuai a girare per il gate, fermando gente a me sconosciuta per chiedere se avessero visto un ragazzino pallido e con occhi dorati diretto verso qualche imbarco. Ma che stavo facendo? Probabilmente era già su qualche aereo. Quella ricerca inutile non mi avrebbe riportato Kat. Se n’era andato. Andato per sempre in qualche bellissimo paese Europeo. Forse, era meglio cosi. Forse … Prova a vivere.
Perdonami Kat. Non l’avevo capito. Quello che cercavi di dirmi. Prova a vivere … per me.
 
 
“E’ andata via?” domandò Kat alla vicina di casa di Jane, intenta a fumare una sigaretta sul pianerottolo.
“Si. Mi ha lasciato le chiavi qualche ora fa, dicendo che si sarebbe trasferita. Non ho idea di dove possa essere andata però ragazzo. Mi dispiace” concluse, per poi fare un altro tiro.
“Capisco. La ringrazio” rispose cordialmente. Era andata via. Via da lui. Via da loro. Il cuore fece un sussulto. Il freddo si impadronì di lui come la prima volta in cui si era ritrovato solo, fuori di casa. Non poteva sapere Jane, quando quell’unico anno insieme, gli avesse cambiato la vita. Si era sentito “amato”. Ora però, era tutto finito. Avrebbe dovuto continuare a vivere solo per sé, e non più per entrambi. E l’eternità sembrò una prigione dalla quale scappare.
 

  
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