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Autore: nals    12/09/2012    2 recensioni
C’erano cose che voleva dirgli, o dire e basta. Qualche stupido grosso segreto da confessare, un paio di caffè annacquati da restituire...
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tante cose.
 

 
 
 
 
 
 
C’erano cose che voleva dirgli, o dire e basta. Qualche stupido grosso segreto da confessare, un paio di caffè annacquati da restituire.
E poi guardarlo, guardarlo fisso e urlargli senza aprire bocca che in qualche modo i suoi segreti, il ciarpame che aveva in testa, e le parole, tutte, tutte quante erano per lui. Come i cartoni dei vinili annegati nella pozza d’acqua, impilati all’angolo della stanza.
Ma negli occhi non lo ha guardato mai, Filippo. Gli ha fissato le ciglia scure quando socchiudeva gli occhi, e le labbra, le labbra, sì. Un paio di volte, così, senza volerlo – un errore, è stato un errore.
E poi la fossetta sulla guancia, quella merda.
Non aveva un bel sorriso, Stefano, no. Aveva i denti un po’ storti e non troppo bianchi. Ma poi spuntava quella conca scura proprio all’angolo della bocca ed era facile, facilissimo, cazzo, rimanerne incantati. Non aveva un bel sorriso Stefano, ma Filippo avrebbe voluto che quella bocca si arricciasse di felicità, sempre. Come quando suo fratello lo abbracciava non abbracciandolo, come i pomeriggi a scorrazzare per il quartiere sul motorino, come quando chiudersi in camera e fumare senza aver bisogno di dire nulla bastava, come quando il mondo girava un po’ anche per loro.
C’erano cose che voleva dirgli, Filippo. Qualcuna gli si era ficcata in gola e non voleva uscirne più.
“Ciao”  forse, e poi “scusa”.
“Scusa”, esatto. “Scusa perché ti ho baciato, scusa perché non dovevo, scusa perchè, cazzo, non desideravo altro, da anni. Scusa. Scusa, dannazione. E fottiti. Vai al diavolo perché ti amo e perché non possiamo. Non puoi, tu non puoi, me lo hai detto proprio in faccia, sì, e io ti amo.”
E non saper più piangere fa schifo, perché gli occhi bruciano e non smettono ed è come aver sempre sonno, ma non riuscire ad addormentarsi mai. E c’è quello spillo tra gli alveoli, piantato tra le costole che non fa respirare e una stupida pietra bianca, schifosamente bianca, coperta di petali raggrinziti.
Il bacio, Filippo, glielo ha rubato quando il cielo pioveva. Stefano non ha mosso un dito. Ha lasciato che quasi si sciogliesse assieme al fango. Poi lo ha guardato e glielo ha restituito, mordendogli prima il mento.
È  durato tutto l’acquazzone, quel bacio, o la lunghezza dell’ombra del lampione rotto sull’asfalto.
Stefano si è tirato indietro dopo avergli leccato le labbra per l’ultima volta. Gli ha stretto le dita attorno al collo, ad occhi chiusi; li ha riaperti, ha sospirato e ingoiato altro fiato. Poi lo ha baciato di nuovo.
“Non posso.” Ha sussurrato. “Non posso”.
Ed è scappato via. Se n’è andato, e il cielo non pioveva più. Come non piove da settimane. Ma poi Stefano non è tornato. E Filippo... Filippo vorrebbe non tornare più, neppure lui.
 C’erano cose che voleva dirgli. Tante, tante cose. “Sei un cretino.” E “Torna.” E “Ti amo.” E “resta con me, continua a sorridermi, anche se non ti vedo.”
E c’è quello spillo tra gli alveoli, piantato tra le costole che non fa respirare e una stupida pietra bianca, schifosamente bianca, coperta di petali raggrinziti. Raggrinziti come la felpa grigia e la carcassa del motorino sull’asfalto.
Raggrinziti come le notti spese a sognarlo, quel bacio, e a non prenderselo mai. Proprio mai; mai davvero.
C’erano cose che voleva dirgli, Filippo. Tante, tante cose.
“Mi manchi. Sono innamorato di te da una vita. Sei morto senza sapere un cazzo.”
Tante cose, sì.
Cose crepate, un po’ in coma, leggermente amare. E continuano a bruciare e bruciare e bruciare.
“Sei morto senza sapere un cazzo.”

Bruciare.
   
 
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