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Autore: namedemme    12/09/2012    1 recensioni
Chloe è una giornalista di una nota testata scandalistica pubblicata in tutto il Nevada, il "Scandal Today".
Vive in un villaggio sperduto nel deserto, Cheap Town.
Una mattina come altre il suo capo la chiama nel suo ufficio e le affida un nuovo compito: deve andare a Las Vegas e indagare su un presunto vasto traffico illegale di droga, armi e denaro sporco.
A Chloe sembra una cosa da nulla, non è la prima volta che sente parlare di cose simili.
Eppure, una volta arrivata, scoprirà che sotto si cela ben altro...
4° classificata al contest "Un treno per..."
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crime and Love «...ha capito, signorina Stevenson?»
La giovane donna annuì.
Il suo capo l'aveva voluta in ufficio per parlarle di un nuovo incarico importante, a detta sua.
Invece si era rivelato esattamente come gli altri.
Per Chloe Stevenson, ventisei anni, un vasto traffico illegale di droga, armi e denaro sporco non era una novità.
Eppure sembrava molto importante per l'uomo che aveva davanti.
Chloe era una giornalista e scriveva per il "Scandal Today", una nota testata scandalistica pubblicata in tutto il Nevada.
Viveva a Cheap Town, letteralmente "città a buon mercato" (nome di cui non ha mai capito il senso), un piccolo
villaggio sperduto nel deserto.
L'incarico prevedeva che lei si recasse a Las Vegas per un certo periodo di tempo, documentasse tutto e tornasse
in tempo per pubblicare un articolo in prima pagina del numero di agosto.
«Per quando è prevista la partenza?» chiese.
«Partirà fra due giorni, alle due del pomeriggio. Le ho già prenotato un autobus, il viaggio durerà otto ore.»
«Va bene», rispose.
«Questo è tutto, puoi andare», disse.
«Arrivederci», salutò neutra, allontanandosi.
Il suo orario lavorativo si era concluso, perciò potè tornare nella piccola casetta della cittadina in cui viveva.
Al suo arrivo trovò la madre intenta a cucinare e il padre a leggere un quotidiano sportivo.
«Sono arrivata» annunciò mentre si accingeva a togliersi le scarpe sull'uscio e ad appoggiare la borsa su un tavolino
vicino.
«Tesoro! Sei arrivata giusto in tempo, sto preparando il brodo di pollo che ti piace tanto», disse allegra la donna.
«Com'è andato il lavoro oggi?», chiese suo padre, staccando gli occhi dal giornale per puntarli sul viso scarno della
figlia.
«Mi è stato affidato un nuovo incarico, più importante degli altri, almeno secondo quello che dice Smith».
Harold Smith era il capo di Chloe, con cui quella mattina aveva avuto il famoso colloquio; un uomo sulla quarantina,
alto, né magro né particolarmente robusto, sempre con la risposta pronta e poco propenso alle battute.
«Di che si tratta?» domando la madre, curiosa e preoccupata allo stesso tempo.
«Las Vegas. Si dice ci sia un grosso traffico illegale di armi, droga e denaro sporco. Niente di nuovo, insomma, non
capisco perché sia così importante. Parto tra due giorni.» Rispose osservando i volti stupiti dei genitori.
«Di già? Ma come vai? Con chi?», ecco che il lato iperprotettivo del signor Stevenson veniva a galla.
«Smith mi ha prenotato un autobus, e vado da sola. Papà, non sono più una bambina e nemmeno una ragazzina, non
preoccuparti per me!», disse sorridendo.
«Tuo padre non ha tutti i torti, potrebbe essere pericoloso, tra tutti quei malavitosi», disse la signora Stevenson, e a quelle parole, inconsciamente, prese a mescolare più velocemente il brodo che ancora bolliva nella pentola.
«Mamma... insomma, ho già svolto incarichi simili, perchè vi preoccupate così tanto?», chiese.
Chloe era coraggiosa, una tipa sveglia e allegra, ma anche seria quando era necessario. Alta nella media, magra, da due anni aveva esaudito il suo desiderio: diventare una giornalista. Era stata felicissima quando aveva saputo di essere stata assunta al "Scandal Today". Le era sempre piaciuto leggere di scandali e cronaca nera, l'affascinava.
Puntò i grandi occhi scuri sui volti dei genitori, uno alla volta.
«Dovete stare tranquilli. Forse scrivere questo articolo sarà d'aiuto per la mia carriera, potrei definirla una "spintarella", e me la sono cavata in ogni caso, perciò state calmi".
«Amore, non sei mai andata oltre dieci chilometri da Cheap Town, e qui non circolano criminali lontanamente paragonabili alla gentaglia che si può trovare in una città come Las Vegas! Non per niente è detta "la città del peccato!», disse la signora, in un sussurro.
Chloe accennò un sorriso furbetto. «Me la caverò», disse.


Cerco con tutta me stessa di non sentire,
ma parlano così forte.
I loro suoni penetranti mi riempiono le orecchie
e cercano di riempirmi di dubbi,
malgrado sappia che il loro intento
è quello di impedirmi di cadere.


Due giorni dopo, alla fermata delle corriere di Cheap Town
La giovane donna aspettava sotto il sole cocente, dal momento che la piccola tettoia della fermata non proteggeva un granché, appoggiata al trolley che conteneva l'occorrente per due settimane lontana da casa.
Ogni tanto scostava la frangetta che non era riuscita a racchiudere nella coda di cavallo con cui aveva domato i lunghi capelli neri.
L'autobus arrivò con un ritardo minimo; l'autista l'aiutò a caricare il bagaglio, poi salì.
Nonostante tutto il viaggio non fu così lungo come aveva previsto, le otto ore passarono in fretta.
Scese nell'ultima fermata, in pieno centro. Percorse qualche metro trascinandosi dietro il trolley, poi chiese informazioni a un passante poichè non sapeva di preciso dove fosse il suo hotel.
Dovette stare attenta: le macchine passavano alla massima velocità, i passanti spesso la urtavano e le miriadi di luci caratteristiche della città disorientavano chiunque arrivasse per la prima volta.
In poco tempo si trovò davanti ad un albergo a tre stelle, cinque piani, la cui insegna riportava, in caratteri cubitali, la dicitura "Freedom Hotel". Entrò e domandò se ci fosse una prenotazione a nome "Harold Smith". Il ragazzo della reception, non più di vent'anni, annuì sbrigativo e le diede una chiave in mano.
La osservò: vi era riportato il numero 23. «Al terzo piano», disse il ragazzo, riprendendo a svolgere le sue mansioni.
Chloe prese l'ascensore e premette il pulsante 3. Mezzo minuto dopo si trovò su un corridoio abbastanza sfarzoso:
per terra, per tutta la lunghezza, si estendeva un tappeto rosso acceso. Alle pareti bianche erano appesi dei quadri di qualche artista emergente e per terra, ogni tanto, si potevano trovare dei vasi di terracotta contenenti fiori di varie specie. L'ambiente le piacque subito.
Raggiunse la sua stanza, e non era certo da meno: pareti bianche, come di defeault, moquette di mogano, un letto singolo sempre di legno con delle coperte di un beige anonimo, accanto al quale vi era un comodino con una candela sopra. La finestra che troneggiava al centro era ornata da tende dorate, di un qualche tessuto leggero.
Un semplice armadio e un acquerello appeso alla parte opposta della stanza completavano il tutto.
Le sembrava quasi di essere a casa; cominciò a sistemare le sue cose.
In bagno trovò delle saponette, qualche flacone di bagnoschiuma/shampoo e un paio di bicchieri di plastica.
Decise di rilassarsi e pensare a se stessa, almeno per quella notte.

Il giorno dopo...
La giornalista si vestì in fretta e furia, doveva recarsi nel covo dei malviventi quella mattina.
Indossò vestiti anonimi, raccolse i capelli e li nascose sotto un cappello a tesa larga. Indossò occhiali da sole scuri e uscì. Il capo non le aveva pagato i pasti, perciò doveva arrangiarsi nei vari locali, così fece colazione in un bar vicino.
Poi, dopo una lunga camminata, si trovò nei pressi dell'edificio che fungeva da quartier generale dei criminali:
si trattava di una vecchia fabbrica ormai in stato di completo abbandono da diversi anni.
Entrò di soppiatto e non trovò nessuno. Strano. Salì sulle scale, salì un paio di piani prima di udire delle voci che discutevano. Si mise accanto alla porta che permetteva l'ingresso al piano in cui si trovava, un tempo adibito a magazzino. Tastando il muro scoprì una piccola fessura attraverso la quale riusciva a osservare qualcosa.
«Per quanto dobbiamo mandare avanti tutto questo?», domandò un tipo smilzo e pelato a un omaccione alto e muscoloso, con un paio di folti baffi in viso e un'espressione da duro costantemente dipinta in faccia, abbigliato con jeans e un giubbotto in pelle nera. Le venne naturale pensare che fosse il capo.
«Ancora per un po'», rispose, rivelando una voce grossa e pesante.
«Dobbiamo essere pronti, fermeremo tutto a pochi giorni dal suo arrivo. E dopo... eh eh eh» continuò, mentre tutti lo ascoltavano come se fosse un dio.
«BUM! E il negraccio creperà», disse uno sghignazzando.
Un giovane uomo li guardava tutti con aria schifata. Doveva avere la sua età, era alto, di corporatura normale, occhi azzurri, capelli castani e lisci, gli stessi capelli dell'uomo che aveva parlato poco prima, e una barba dello stesso colore ben curata.
«Cos'hai, Jean?», domandò proprio quest'ultimo.
«Mi fate pena», rispose duro.
«Tsk. Sei della stessa pasta di tua madre: debole, tutto onestà e bontà. Non sembri quasi mio figlio», concluse.
«Non so nemmeno perchè mi hai portato qui, lo sai che questo genere di cose le detesto.»
«Sei qui perchè un giorno prenderai il mio posto, quando sarò vecchio!», sbottò l'uomo.
«E IO NON VOGLIO, OK?», gridò e corse fuori, scoprendo così Chloe nell'atto di guardare attraverso la fessura. Si era alzata di scatto e, per sbaglio, lo aveva urtato.
«Scusa, scusa, scusa!», gli aveva bisbigliato, attenta a non alzare la voce per non farsi scoprire.
Lui parve non udirla «e tu chi sei?», chiese stupefatto.
«Te lo posso spiegare, ma non qui», rispose.
«Vieni con me, non sei al sicuro», disse guardandola.
Lei si perse dentro quegli occhi chiarissimi, non molto diffusi in quella zona.


Ma qualcosa è successo
per la primissima volta con te.
Il mio cuore si è sciolto nel terreno
ed ha trovato qualcosa di autentico.
E tutti si guardano intorno,
credendo che stia diventando matta.


«O-ok» balbettò confusa.
La portò fuori da quel posto e andarono in un parco vicino, lontano da occhi indiscreti.
«Allora, dimmi chi sei e cosa ci fai qui», fu la prima cosa che le chiese.
«Sono Chloe Stevenson, sono una giornalista e scrivo per il "Scandal Today».
Oddio, perchè gli sto dicendo queste cose?.
«Mi trovo qui per indagare su un grosso traffico illegale e farne un articolo per il mio giornale».
Stupida! Stupida! Stupida!
«E questo è tutto.»
Il giovane fissò un punto indefinito nell'erba, come ipnotizzato. «Voglio aiutarti», sussurrò.
Chloe rimase esterrefatta. Voleva aiutarla? Non le lasciò nemmeno il tempo di fiatare che riprese.
«Mi chiamo Jean Mureau, come avrai capito sono il figlio di quell'uomo che stava pianificando tutto. Lui è John Pack,
uno dei più grandi boss di Las Vegas, ne avrai sentito parlare. Ma io non sono affatto d'accordo su ciò che fa.»
John Pack. Sì, le pareva di ricordare qualcosa a proposito, qualche collega aveva già parlato di lui nel giornale.
«Se vuoi davvero aiutarmi, dimmi cos'ha realmente intenzione di fare tuo padre.», disse sicura di sé.
«Vuoi la verità? E così sia.» rispose. «Domani fatti trovare qui all'una, avremo occasione di parlarne meglio», aggiunse.
Lei annuì, Jean fece per andarsene quando gli fece un'ultima domanda.
«
Come mai il tuo cognome è diverso da quello di tuo padre?».
«Come ti ho già detto, non vado d'accordo con lui. Lo odio, così ho cambiato cognome. Mureau è il cognome di mia madre.»
Chloe rimase in silenzio e lui se ne andò.
Lei, ancora un po' intontita per tutto ciò che era successo, fece ritorno all'hotel.
Quella sera decise di accendere la candela posta sul comodino, dava un'aria tetra e contemporaneamente accogliente alla stanza.

Il pomeriggio seguente
La giovane prese posto su una panchina dello stesso parco e accavallò le gambe aspettando Jean.
Poco dopo arrivò.
«Ciao», lo salutò timidamente.
«Buongiorno bellezza.», rispose, facendola diventare rossa.
«Cominciamo?», chiese lei titubante.
Perché mi fa quest'effetto?
«Certamente. Dunque... intanto, il famoso traffico su cui stai indagando è solo una copertura di mio padre per fare ben altro», iniziò.
«Quali sono le sue intenzioni?», lo esortò a continuare.
«Tra una settimana il presidente Obama verrà qui a inaugurare una nuova, grandissima filiale di una nota società finanziaria americana, la JP MorganChase.
È così grande che sarà seconda solo alla sede principale, a New York. Per non so quali motivi qui tutti i criminali lo odiano e lo vogliono morto.
Ed è questo che vuole fare: ucciderlo in un attentato. Hai presente John Kennedy? Ecco, una cosa simile
».
Lei rimase a bocca aperta. Ecco perchè era così importante! Ma perchè il capo glielo aveva nascosto?
«Ti aiuterò a ottenere tutte le informazioni che vuoi per il tuo articolo se mi aiuterai a sventare il suo piano».
«Ci sto!», esclamò, stavolta senza esitazioni.

Nei giorni seguenti Chloe incontrò molte volte Jean e misero in atto il loro accordo.
Era difficile: erano solo in due contro un sacco di persone, e di certo non potevano avvisare la polizia locale. Ma niente è impossibile.
Jean aveva scoperto in quale maniera suo padre voleva uccidere il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti della storia.
Un cecchino si sarebbe nascosto e avrebbe sparato una minuscola pallottola contenente poche gocce di una miscela letale, che lo avrebbe ucciso
nell'arco di pochi giorni. Aveva anche sentito parlare di un "piano B", ma non sapeva di cosa si trattasse, e di certo John non sarebbe venuto a dirlo proprio a lui.
«Come facciamo allora?», chiese Chloe durante il primo di quegli incontri.
«Io un piano l'avrei...», e le spiegò tutto per filo e per segno.
La giornalista prese nota su un block notes che portava sempre con sé, e nell'arco della settimana perfezionarono tutto come meglio potevano.
Alla sera, quando fu ora di andare a dormire, si accorse che la candela era ancora accesa e si stava consumando pian piano. Decise che l'avrebbe spenta
il giorno dopo, ma se ne scordò.

Due figure si introdussero nella vecchia fabbrica. Avevano il volto nascosto da un passamontagna e salirono fino al quarto piano.
Lì Pack e i suoi erano in procinto di sistemare gli ultimi dettagli, prima di mandare il cecchino sul posto.
«Hai capito tutto tu?», ringhiò il boss all'uomo che aveva accanto.
«Sì, capo», rispose terrorizzato. A Chloe parve di essere tornata indietro nel tempo al colloquio col capo, quando le aveva affidato quell'incarico.
«Bene, ora vai, tra poco il bersaglio arriverà», concluse.
L'uomo si alzò e uscì dalla stanza, il fucile ben nascosto in un grosso zaino.
Chloe e Jean lo seguirono fino a quando si trovarono poco distanti dalla meta. Fu allora che gli saltarono addosso,
immobilizzandolo e legandolo come si deve.
Lui cominciò a urlare di tutto e di più, ma ciò che diceva non era molto comprensibile dal momento che era stato anche imbavagliato.
I due lo trascinarono fino a una stazione di polizia dove lo lasciarono in balia della giustizia.
«Missione compiuta!», sorrise soddisfatto il giovane uomo.
«Non ancora... il "piano B"», rispose preoccupata la compagna.
«Che intendi dire?», chiese.
«Pack ha parlato di un "piano B", non è meglio andare a controllare?», sussurrò.
«Hai ragione... andiamo».
Si recarono all'inaugurazione. C'era abbastanza gente, molti dei quali erano curiosi, venuti a vedere il presidente.
Tutto filò liscio finchè Jean non si accorse di alcuni movimenti sospetti.
Qualcosa non andava.
Poi accadde tutto all'improvviso... Chloe sentì il compagno stringerla forte e spingerla via, poi dolore e sangue.
Infine, morente, le sfiorò appena le labbra.

Ma niente è più splendido
dell’impeto che viene con il tuo abbraccio.
E in questo mondo di solitudine
vedo il tuo viso.
Ancora ognuno attorno a me
pensa che stia diventando matta (forse, forse).


Rimase basita e al contempo felice. Si accorse che sia lei che Jean stavano perdendo sangue copiosamente.
Riusciva appena a muovere la testa, ma guardandosi attorno capì tutto: aveva cercato di salvare sia lei che il presidente.
L'aveva spinta più in là e contemporaneamente si era parato davanti all'uomo.
Lo guardò: era bianco come un cencio. Tutto attorno a lei sfocava lentamente, si accorse a malapena dei soccorsi e del
volto sconvolto di Barack Obama.
In quel momento, nella stanza d'albergo, la candela si spense del tutto. 


E si sta prosciugando tutto di me.
Oh, lo trovano difficile da credere.
Porterò queste cicatrici
in modo che ognuno le veda.

   
 
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