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Autore: Chaike    12/09/2012    2 recensioni
'Solo in quel momento mi resi conto per davvero con che razza di donna mi ero sposato anni fa, quando vedevo in lei una stupenda ragazza che mi amava nonostante i miei difetti.
Adesso era una donna che mi odiava nonostante i miei pregi.'
Non è un Bennoda dove Chaz e Mike si amano, solo dove sono semplici amici! u.u
Genere: Sentimentale, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Chester Bennington, Mike Shinoda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Ciao a tutti :3 Questa è per farvi vedere che sono ancora viva, e che nonostante il mio pc stia andando a puttane io non demordo! Cooomunque ... Questa è una songfic :3 C'è Mike, ma per vostro spiacere non è una Bennoda tutto sesso, mi dispiace ma sto cercando di ... Boh, di censurarmi un po'. Peccato che sto lavorando ad una long-fic rossa proprio su di loro Enjoy :3

Roads Untraveled


Weep not for roads untraveled.
Weep not for paths left alone.
Cause beyond every bend is a long blinding end,
it’s the worst kind of pain I’ve known.
 
Give up your heart left broken
and let that mistake pass on,
Cause the love that you lost wasn’t worth what it cost
And in time you’ll be glad it’s gone.
 
Weep not for roads untraveled
Weep not for sights unseen
May your love never end and if you need a friend,
there’s a seat here alongside me.
 
SBAM! è l’unica cosa che sento provenire dalla porta di casa, il suo sbattere così violentemente e poi tremare, per l’ultima volta.
Lo so cosa vuol dire, lo so cosa mi toccherà adesso.
Almeno penso di sapere cosa mi tocca affrontare. Forse non lo so veramente.
Non mi è mai capitato.
È la prima volta che succede, per lo meno con una donna del genere, una che ho amato veramente fino a sposarla, fino ad avere un figlio fatto con coscienza, non per gioco come feci quando ero ancora un teenager.
E adesso lei se n’è andata. Per sempre.
Ha chiuso definitivamente con me, non ci sarà alcun suo ritorno, alcuna scusa, alcun perdono. È veramente finita.
Sono solo, solo con la mia droga. Sono sul divano, con la polverina bianca sul tavolino di vetro di fronte a me, divisa in tre strisce candide ed invitanti.
La guardo e sono indeciso, come ogni volta che mi ritrovo con un pezzo di carta arrotolato su sé stesso per formare un piccolo cilindro che la inietterà direttamente al mio cervello non appena tirerò su col naso.
Adesso dovrei farmi un esame di coscienza, di capire se è giusto drogarmi di nuovo o meno, soprattutto in questo momento. Soprattutto adesso che sto soffrendo, che ho bisogno di qualcosa che mi faccia stare bene, che mi faccia passare la maledetta voglia di piangere disperatamente.
Ho bisogno di qualcosa che mi faccia passare il dolore, ma l’unica cosa che conosco, adesso, è questa.
È questa che mi dirà assuefazione, che mi farà dimenticare per qualche minuto cosa è appena successo.
Scorderò quello che ho detto a Samantha, che tra di noi non poteva continuare così, litigio dopo litigio, ogni santo giorno, gridarci contro tutti gli insulti esistenti sulla faccia della terra, sgolandoci come dei matti fino ad accorgerci, ovviamente troppo tardi, che nostro figlio di appena un anno piangeva spaventato da noi.
Non devo piangere, non devo. Devo solo dimenticare, non devo ripensare alle mie parole, a quello che le ho detto, a quello che mi ha detto lei, quello che è appena successo.
No …
 
 
« Sam, dobbiamo parlare. » mi parai davanti al suo muso, lei accoccolata sul divano a guardare la televisione, con ancora il viso rosso per le troppe urla che avevamo appena finito di fare per l’ennesima litigata.
Lei alzò lo sguardo neutro dal mio bacino, che era all’altezza del suo viso, alla mia faccia. Ho sempre odiato quello sguardo, quella sua faccia del cazzo che mi chiedono ‘Perché cazzo mi devi infastidire?’.
« Dimmi. » rispose lei con la sua solita voce fredda, che usava sempre quando parlava con me, ogni volta, anche quando mi chiedeva di farlo ed io ovviamente rifiutavo sempre, non solo perché ormai mi faceva schifo avere rapporti con lei, ma anche perché era fastidioso il modo con cui me lo chiedeva. Sembrava più dovuto che voluto.
Mi allungai abbastanza per spegnere il televisore dal suo interruttore, vedendo la lucina verde dissolversi ed essere sostituita con quella rossa intensa, come il fuoco caldo, come il sangue che le ribolliva nelle guance per la rabbia.
Quando mi rigirai verso di lei, mi stava fissando incredula, quasi non credesse che avessi spento la tv, anche se era normale dato che avevamo bisogno di parlare, di confrontarci, quindi necessitava un certo clima.
« … Perché l’hai spenta? » bofonchiò lei irritata, come al suo solito. Ogni cosa che facevo la irritava, chissà come mai.
« Perché adesso dobbiamo parlare. Seriamente. » il suo sguardo si fece cupo, sapeva cosa dovevo dirle, dovevamo affrontare il problema e lei non voleva. Aveva sempre preferito girare attorno ai problemi, non affrontarli di petto e superarli, li evitava il più possibile, ma non riusciva a non crearne.
« Adesso non mi va. » fece per alzarsi dal divano con i suoi soliti movimenti sconnessi dopo essere stata anche per soli cinque minuti seduta, ma io ovviamente non la lasciai andare. Le diedi uno spintone alla spalla, facendola ricadere sul sofà, mentre lei mi fulminò con uno sguardo non solo pieno di rabbia, ma anche di irritazione. Come al suo solito.
« Complimenti. » ringhiò lei per aver usato troppa forza nel farla ritornare seduta dov’era « Già che ci sei, perché non mi tiri uno schiaffo? » in quel momento ebbi seriamente la tentazione di lasciargli il rossore a forma delle mie cinque dita sulla sua guancia un po’ arrossata per la rabbia e per i kili di cipria con cui s’impolverava il viso, rendendola ancora più puttana di quanto non sembrasse già con quelle sue labbra gonfie che sembravano rifatte.
Ma non solo le labbra la rendevano troia: anche i suoi occhi che a volte assottigliava credendosi attraente erano un fattore, che ogni giorno truccava con mille colori diversi tra matite, eye-liner, ombretti che grazie a ME poteva permettersi; poi c’era il suo seno, che già da prima che avessimo un figlio era grande, ma dopo la nascita di Draven si era ingrossato ancora di più; infine le sue smanie di protagonismo, le quali la portavano a mettersi in mostra spudoratamente perché non riusciva a sopportare che nessuno la notasse.
Solo in quel momento mi resi conto per davvero con che razza di donna mi ero sposato anni fa, quando vedevo in lei una stupenda ragazza che mi amava nonostante i miei difetti.
Adesso era una donna che mi odiava nonostante i miei pregi.
« Che cosa ci sta succedendo, Sam? » chiesi disperato « Prima non eravamo così in conflitto, era tutto diverso una volta. » mi sedetti affianco a lei sul divano cercando di farle passare quel minimo di rabbia che le circolava nelle vene, come a me del resto. Ma almeno io cercavo di trattenermi dal saltarle addosso e sgozzarla seduta stante.
« Ti ricordi, quella volta in cui litigammo perché io dovevo partire per il secondo tour e non potevo portarti con me come feci col primo? » lei sbuffò girando il capo dall’altra parte, facendo finta di non prestarmi attenzione, ma io lo so che stava solo cercando di non far riaffiorare quel ricordo.
« Urlammo come dei pazzi, insultandoci finché non perdemmo quasi la voce. Poi ci guardammo negli occhi, offesi ed arrabbiati entrambi, ma scoppiammo a ridere per come ci eravamo ridotti per una questione così stupida. » mi lasciai scappare un leggero sorriso sulle labbra che scomparve non appena vedi lei non ricambiare affatto.
« Che fine ha fatto la Samantha di allora? Quella che ho sposato per la sua bontà, per il suo amore, per la sua comprensione? »
« L’hai uccisa tu. »
Mi si gelò il sangue quando il suo animo algido ed il suo freddo sguardo piombò su di me accompagnato da quella frase, che incolpava me di tutto ciò che stava succedendo. Com’era possibile che ad ogni cosa che succedeva, lei trovava sempre il coraggio per scagliare la colpa a me?
« Io? » chiesi incredulo « E come avrei fatto? »
« Con il tuo solito fare da superiore, da quello che si crede chissà chi ogni volta che apre bocca, che deve essere sempre posto in cima a tutti. Tutto solo perché sei un cantante. Ma ti sei visto? Sei solo una persona normale con un determinato talento, non sei Dio. » rispose stizzita.
Quelle parole mi lasciarono spiazzato, perché dopotutto erano vere, dicevano la realtà, ciò che facevo. Ogni volta imponevo di essere visto come superiore degli altri, del mio gruppo o di chi  altro.
« Già, perché tu non sei da meno. » mi lasciai scappare una risata ironica.
« Con questo cosa vuoi dire? » i suoi occhi mi fecero paura da come mostravano la sua freddezza.
« Lo sai benissimo cosa intendo dire. Parlo delle volte in cui cerchi di attirare attenzione in tutti i modi, perché vuoi sempre essere notata. Chissà come mai soprattutto dagli uomini! Mettendoti sempre quelle minigonne da ragazzine sedicenni e delle calze a rete che fanno vomitare addosso a te! » mi alzai in piedi per urlare meglio, dato che tanto la calma che volevo mantenere era scomparsa.
Sapevo che avrei dovuto mordermi la lingua, era per questo che non riuscivo mai a finire una litigata prima di cominciarla, perché ogni cosa che dicevo non passava due volte per il mio cervello, usciva direttamente appena la realizzavo.
I suoi occhi si sgranarono talmente tanto che sembrava una psicopatica che da lì a poco sarebbe corsa in cucina a prendere un coltello grande ed affilato con il quale avrebbe potuto ridurmi in mille pezzetti.
« SEI UN LURIDO PEZZO DI MERDA, CHESTER! » sbraitò alzandosi a sua volta, mentre nostro figlio riprese di nuovo a piangere dalla sua cameretta, spaventato per l’ennesima volta dalle nostre grida che a lui giungevano come disumane.
« E TU SEI SOLO UNA TROIA! » le urlai dietro mentre lei si ritirò in camera nostra, non andando nemmeno a calmare il bambino nella sua piccola culla che gridava a pieni polmoni di smettere con il suo pianto senza lacrime.
Come poteva essere lui l’unione tra me e lei? Come poteva esistere veramente un bambino nato da noi due, dal nostro amore che stava piano piano sgretolandosi nelle nostre impotenti mani?
Era qualcosa che avevo iniziato, un percorso, una vita che avevo deciso di farmi propria, ma che stavo lasciando marcire da sola, ma non per colpa mia. Io avrei pure voluto continuarla, ma a quanto pare la mia unica compagna che avrebbe dovuto starmi accanto non aveva il mio stesso pensiero.
Non avevamo più scelta a quanto pare, lei non voleva ragionare, aveva già preso una decisione che sarebbe dovuta piacere anche a me, per forza. Ero in un vicolo cieco, non potevo svoltare da alcuna parte, non potevo nemmeno tornare indietro e rimediare ad alcun errore fatto in passato che ci aveva portati in quel momento.
E ciò mi fece stare peggio tra tutto.
Dovetti andare io da Draven e cercare di calmare il suo pianto che continuò per più di mezz’ora, dondolandolo tra le mie braccia tatuate e sussurrandogli parole dolci nel tentativo di placare il suo spavento. Ma aveva riconosciuto la mia voce e adesso aveva paura di me.
Quella mezz’ora bastò a Samantha per tirare fuori una valigia, riempirla di tutti i suoi stupidi e costosi vestiti che avevo pagato io e guadagnati altrettanto io. Tutti, chissà come mai, che la facevano sembrare una prostituta pronta per mettersi sotto al lampione.
Chissà a quanti uomini l’aveva data quando io ero nel tour di Meteora.
Dopo aver messo i suoi averi nella MIA cara macchina viola che l’avevo pagata quanto la mia vita, mi strappò dalle braccia Draven che subito ricominciò a piangere dopo essere riuscito a calmarlo una volta per tutte, correndo fuori di casa, mentre io cercavo d’inseguirla, inutilmente, non riuscendo a capire che intenzioni avesse.
Ma lo capii non appena uscì di casa, sbattendo con forza la porta, e partendo in macchina con una sgommata che lasciò un segno indelebile sul nostro vialetto, come lei l’ha lasciato dentro di me.
 
 
Un tiro profondo e via, il naso mi prende a frizzare come il cervello al contatto della magica polverina bianca che ho sempre tenuto nascosto inutilmente nel cassetto del comodino situato dalla mia parte del letto matrimoniale, che fino a sta mattino ho condiviso con lei. Peccato che quest’ultima l’abbia scoperto mesi fa, litigando come per giorni e giorni, offendendosi addirittura sia per avergliela nascosto e sia per averla usata.
A lei non fregava veramente ciò che doleva alla mia salute, ma ciò che non le dicevo. Pensava che se avesse fatto la parte di quella che ci tiene a sapere tutto, sarebbe riuscita a nascondere tutte le sue più grandi bravate da me. Ancora oggi mi chiedo se Draven sia veramente mio figlio, sangue del mio sangue, o magari di un altro uomo da cui si è fatta scopare in preda ad una sua finta sbronza, perché chiedere direttamente di farselo mettere dentro era troppo indignitoso, vero?
Troia. Ecco cos’era.
I miei sensi partono per non so quale destinazione, la vista oscurata dai miei occhi chiusi mi mostra soltanto colori psichedelici con forme ambigue che compaiono e svaniscono, variando ogni volta.
Un’altra.
Riprendo la proprietà dei miei arti e dei miei movimenti, chinandomi per la seconda volta in una giornata ed ennesima nella settimana sul tavolino, seguendo col tubetto di carta nel mio naso la striscia candida della felicità.
Ansimo con un sorriso da ebete sulle labbra che mostrano i miei denti un po’ ingialliti per le troppe sigarette, mentre il mio cervello fa scontrare i miei neuroni l’uno con l’altro, facendomi stare bene, in un certo senso. So che questo mi fa stare bene solo all’apparenza, ma all’interno mi sta corrodendo piano piano.
« Stronza. » sussurro all’aria come se le stessi confessando un segreto, ma che adesso vorrei urlare al mondo intero.
Te ne sei andata, sei felice adesso? Hai finito di patirmi fino alla fine dei tuoi giorni?
Adesso puoi accogliere tutti gli uccelli che vorrai tra le tue gambe, come se non l’avesti mai fatto in tutti questi anni in cui sei stata con me.
Rido, non so perché ma rido, e anche di gusto. La mia voce fintamente felice echeggia nella casa vuota.
« Tornerai strisciando! » grido ridendo ancora, come se adesso potesse sentirmi.
Oh, ma un giorno mi sentirà, eccome se mi sentirà. Mi guarderà dal basso verso l’alto, pregandomi di tornare indietro, di dimenticare, di tornare assieme e ricominciare da capo.
Illusa.
E se pensa di aver raggiunto il paradiso nell’andarsene, si sbaglia di brutto. Io le farò patire l’inferno. Sentirà il mio avvocato, sentirà cosa vuol dire mantenere un bambino. Peccato che non possa anche provare a mantenere pure una prostituta viziata e lamentosa, che appena può mette corna a destra e a manca.
Il bambino …
Mio figlio. Merda, se l’è portato via.
Solo adesso che spalanco gli occhi pieni di terrore capisco che me l’ha strappato non solo dalle mani ma anche dalla mia vita.
Oh no, io questo non glielo permetto. Non lo lascerò da quella stronza! Che non ci pensi nemmeno un attimo, lui è mio figlio – forse –, ma anche se fosse di un altro uomo sono stato io a mantenerlo, a farlo crescere nel lusso!
Io gli ho dato l’amore, l’affetto e l’attenzione che ogni bimbo necessita! Io mi sono sempre alzato dal letto alle quattro di notte per dargli il latte caldo! Io gli ho cambiato il pannolino, io l’ho curato quando aveva la varicella, io lo facevo giocare e divertire!
Quella lurida bastarda non ha alcun diritto di portarmelo via!
Mi alzo di scatto, provocandomi un forte giramento di testa assieme all’offuscamento della vista che mi fanno crede di morire per un attimo, ma che non mi fermano abbastanza per correre su per le scale, nella piccola stanzetta blu di mio figlio, piena dei giocattoli e pupazzi con i quali passava intere giornate.
Pareti blu come gli abissi del mare, mobili bianchi in legno pieni dei suoi piccoli vestiti che ogni volta che doveva mettere piangeva perché preferiva restare con la sua solita tutina del pigiama azzurro che gli risaltava gli occhi color caffè.
C’è il suo largo box pieno di sonagli e pupazzi, dove lo mettevamo quando si stancava di stare nella culla. Quest’ultima vuota.
Non c’è più, se l’è portato via, quella stronza.
E stronza com’è gli ha lasciato pure il suo orsacchiotto preferito, qui nella culla. Dio solo sa quanto la vorrei morta in questo momento, perché sono sicuro che il mio piccolo starà piangendo come un matto, legato forza nel seggiolino sui sedili posteriori, si starà dimenando come un matto, con gli occhi lucidi e rossi, la sua bocca che perde un po’ di bava dove mancano i denti.
Tutto perché ha lasciato qui il suo orsacchiotto. Ma non è uno qualunque, è il suo preferito, glielo avevamo regalato per il suo primo Natale e da lì non l’ha più mollato. Piangeva ogni sera e non voleva dormire finché non lo stringeva fra le braccia.
Il mio amore che sta soffrendo come un cane per colpa nostra. Anzi per colpa di lei.
Afferro delicatamente l’orsacchiotto, come se stessi prendendo in braccio lui, per l’ultima volta. Lo guardo, contemplando i suoi occhi di bottone neri e lucidi, brillanti come i suoi, il suo sorriso fatto da una riga che si divide in due curve, che mi ricorda il mio bambino sorridente quando gli facevo uno spettacolino con le marionette che gli avevo regalato una volta tornato da un concerto in India.
Stringo il pupazzo di pezza tra le mie braccia, ispirando il suo odore che sa di mio figlio, che ho paura di non rivedere più. Anche se è stupido pensarlo, lei non avrebbe alcun diritto di nascondermelo per sempre, non può, così è la legge.
Non piangere Chester, non farlo. Sarà pure la prima volta che succede, ma devi essere forte, come sempre. Stringi i denti, guarda avanti e combatti, ma non lasciare a niente e nessuno il permesso di ferirti in questo modo, d’indebolirti e di cedere definitivamente.
Non lasciarla vincere, non questa volta.
Sento il campanello rintoccare due volte con il suo suono docile ma un po’ stridulo che mi fa sobbalzare, facendomi riconnettere al mondo reale ed inducendomi a scendere a vedere chi è.
Non è lei, sicuramente, non ho sentito alcun rombo della macchina. Oppure gli si è bucata la gomma e si è dovuta a fermare. Oppure è finita la benzina. Oppure è venuta a prendere l’orsacchiotto di Draven dopo che gli è esplosa la testa con le sue stridule grida di neonato. Oppure si è pentita.
Sì, la mia vendetta. Adesso che stai strisciando da me per chiedermi scusa ti sbatterò la porta in faccia, solo dopo aver ripreso mio figlio.
Ma quando apro la porta non vedo lei. Ma un uomo.
E sinceramente me lo sarei dovuto aspettare, sapevo che sarebbe arrivato. Lui è sempre puntuale, anche se non gli ho dato alcun appuntamento giorni fa o senza che gli dicessi di venire. È come se avessimo due antenne collegate fra di loro, che percepiscono quando è il momento di muoversi, di andare uno dall’altro, perché uno dei due sta male per qualsiasi motivo. Una specie di telepatia nonostante ci siamo conosciuti circa otto anni fa, anche se non sono affatto pochi.
E lui si sarà sentito frizzare le chiappe, avrà sentito qualche sensazione strana, qualche brivido lungo la schiena e il suo senso di pericolo si sarà attivato istintivamente. Oppure gli si è attivato il sensore Chester, come io ho il sensore Mike.
Lui non sorride, mi guarda solamente preoccupato con il suo solito viso da empatico che mi fissa, capendo già da subito che qualcosa non va dal mio mezzo sorriso tirato ed amaro.
Gli occhi gli ricadono sull’orsacchiotto sorridente che circondo col braccio tenendolo stretto al petto in maniera possessiva, e ritorna a guardarmi con occhi sgranati pensando che sia successo qualcosa a mio figlio.
Beh, dopotutto non ha tutti i torti, qualcosa a lui è successo: è stato strappato da casa sua, da suo padre e dal suo migliore amico inanimato.
Non servono i soliti modi convenevoli che si usa con un semplice amico, gli faccio solamente spazio affianco alla porta e lui entra direttamente, senza che gli dica qualcosa perché sa già che deve fare.
Si dirige verso il salotto, mentre io chiudo di nuovo la porta amareggiato dal fatto che dietro ad essa ho trovato lui invece di lei. Anche se sinceramente non mi dispiace, preferisco qualcuno che mi consoli che qualcuno che mi faccia solo arrabbiare.
Lo ritrovo paralizzato di fronte al tavolino di vetro, mentre fissa sbiancato come un cencio le ultime strisce di cocaina che ho lasciato poco prima.
Lui non lo sapeva. Sapeva che avevo smesso, ma non che avevo ricominciato.
Questa giornata sarà piena di sorprese per lui come lo è stata per me.
E al solo pensiero di quello che è appena successo mi fa venire voglia di prendere tutto e spaccarlo in mille pezzi, tirare giù le tende color sabbia e darle fuoco perché mi ricordano troppo lei. Spaccare i vasi, ribaltare il divano, far esplodere la casa intera facendo saltar per aria la cucina.
Ma non posso, devo mostrarmi più forte di lei, fronteggiarla in pieno petto e batterla una volta per tutte.
Si gira guardandomi stupito, mentre io non posso fare altro che sedermi sul divano che graffierei come un gatto impazzito dalla rabbia, tenendo la testa china e vergognandomi come un pazzo omicida.
« Perché? » chiede lui con un filo di voce, ma non di accusatore, non userebbe mai quel tono con me, perché sa che sono solo una vittima.
« Per colpa sua. » e sa di chi parlo, gli ho sempre raccontato delle mie memorabili litigate con lei.
Allunga una mano sul tavolino, tirando su delicatamente con due dita quella polverina bianca, per poi portarsele vicino agli occhi per contemplarla meglio con il suo solito sguardo da curioso mentre io lo fisso quasi divertito.
Almeno qualcuno riesce a farmi sorridere in un momento come questo in cui l’unica cosa che voglio fare è piangere ed uccidere la mia, ormai, ex moglie.
Si porta le dita all’altezza del naso, sentendone appena l’odore pungente e poi sfregandosele con aria schifata, mentre la polverina cade come neve dalle sue dita e ricadendo sul pavimento.
Non ha idea che spreco sta commettendo, ma in questo momento non riesco ad essere arrabbiato con lui per questo, so che lui è qui per salvarmi, per farmi stare bene e consolarmi, cose che ha sempre fatto ed io ho ovviamente ricambiato.
« Dov’è? » mi chiede con tono freddo non vedendola in giro, pronto per darle una bella strigliata.
« Se n’è andata. Per sempre. » sussurro queste due ultime parole con un nodo alla gola che mi soffoca e smorza il mio respiro, le mie corde vocali, facendomi bruciare gli occhi più di quanto una canna potrebbe fare.
Lui si butta sul divano, affianco a me, cingendomi le spalle con le sue grandi braccia, accogliendo la mia testa sul suo petto, mentre i singhiozzi si stanno facendo strada dentro di me, facendo largo alle lacrime incolmabili che premono sulle mie palpebre per uscire definitivamente.
Non devo piangere.
« Ehi, va tutto bene. » mi dice lui carezzandomi i capelli che fino a qualche giorno fa erano ancora biondi, ma che adesso stanno di nuovo riprendendo il mio colore castano scuro naturale.
« Non va bene un cazzo, Mike! » singhiozzo sulla sua felpa « Se n’è andata, capisci? È finita, non tornerà più. Tutto è andato a puttane, l’unica cosa in cui ho sempre sperato si è disintegrata tra le mie mani! La mia vita si è distrutta, tutto! » non mi trattengo più, sfociando in un gemito doloroso ed in un pianto che mi ricorda quello di mio figlio, stringendo sempre di più il suo orsacchiotto attorno alle braccia.
« Si è portata via Draven! E questo mi fa star peggio! Ha detto che era solo colpa mia, che io avevo mandato all’aria il nostro matrimonio, che lo avevo rovinato in non so quale modo. E tutto questo dopo aver cercato di capire cosa non andasse tra noi due, quando stavo cercando di riparare ogni errore, mio o suo che fosse! »
« Sh, sh … » mi fa zittire lui, cullandomi tra le sue braccia non tanto forti ma tanto accoglienti, stringendomi a sé come un vero amico saprebbe fare.
Aspetta un po’ di minuti, tempo in cui le mie riserve d’acqua salata cessa e smette di colarmi dagli occhi, e l’unica cosa che rimane non sono più i miei singhiozzi ma il mio respiro affannato, mentre lui continua a dondolarmi dolcemente, facendomi posare la mia testa sulla sua spalla.
« Sai che disperarsi non la farà tornare indietro? » rompe il silenzio con la sua solita voce serena e risolutiva « Piangere ti farà solo smaltire un po’ di quella rabbia che ti ha creato lei, facendo la vittima delle situazione anche se non lo è affatto, strappandoti dalle mani tuo figlio che è tuo diritto poter vedere. Ti ricordi quando hai scritto Don’t Stay? »
Oh sì che me lo ricordo.
« L’hai fatto perché già sapevi come sarebbe finita questa storia, anche se tu speravi che continuasse lo stesso, perché tu ci credevi davvero nell’amore che provavi per lei dopo tanti anni che avete passato insieme. Ma sai anche che nonostante tutto il tempo che avete passato ad amarvi, quando una storia finisce, finisce e basta. Non ci sono ma o perché, alcuni amori non sono per sempre, e si sa. »
Dio mio se ha ragione. Me lo ricordo benissimo a che stavo pensando quando l’ho scritta. Pensavo proprio a quello che sta dicendo adesso, che nonostante il tempo che passi assieme ad una persona, non puoi farci niente se l’amore che provi per lui o lei svanisce, sono cose che succedono.
E così è successo con lei.
« È stato il mio più grande errore. » ammetto afflitto.
« No, affatto. » mi contraddice facendomi rialzare dalla sua spalla, ponendomi di fronte a lui « Questo non è stato un errore Chester. È stata una lezione di vita, perché sebbene tu abbia già quasi trent’anni non si smette mai d’imparare.
Hai perso questo tuo grande amore, ed è difficile da capacitarsene, ma dopotutto non hai sbagliato affatto. Hai fatto bene ad amarla, perché tu provavi qualcosa per lei. E con il vostro imminente divorzio forse capirai che alla fin fine hai fatto bene a farlo finire. Hai capito finalmente che con lei non poteva continuare, non in quel modo, ma uno alternativo non c’era quindi era il momento di dire basta.
Lei non meritava veramente quello che le offrivi, tu meriti di più che una donna del genere. Chester, io te lo dico da amico, e non voglio assolutamente offenderti: ma veramente, con tempo vedrai che sarai felice che tutto questo sia finito. » le sue parole entrano nelle mie orecchie inondandomi il cervello con la stessa forza di un fiume in piena.
Un po’ mi stordiscono, ma la maggior parte delle sue frasi sensate mi fanno capire quanta ragione abbia.
È incredibile come questo giovane uomo riesca a farmi ricredere in pochi minuti, con un semplice discorso, ma chiaro e coinciso. Mi ha fatto ritrovare la voglia di ripartire, anche se ancora sono un po’ distrutto per quello che è successo.
Ma infondo ha ragione: devo ricominciare da zero, ma è meglio così, cercando di creare una nuova vita con una donna che probabilmente mi amerà per sempre e non mi mentirà quando me lo dirà, cosa che a quanto pare ha fatto lei.
Lo abbraccio a me, tenendo sempre il pupazzo di mio figlio stretto nella mia presa della mano, stringendomi questo ragazzone che non riesce a farmi star male, non sarebbe capace, ci scommetto.
« Grazie Mike. Io ti auguro tutto il bene del mondo, spero che tu ed Anna viviate una storia d’amore più bella e felice della mia, duratura, perché quando vi siete sposati ho visto come vi amate veramente. » lo sento sorridere compiaciuto sulla mia spalla « E sappi, che qualunque cosa potrà accadere, io ci sarò, come sempre. Se avrai bisogno di me, sarò al tuo fianco, sarò sempre un amico per te. E ti posso assicurare che terrò sempre un posto nel mio cuore per te, che potrai usare come e quando vuoi. »
Ci sleghiamo dal questo abbraccio, sorridendoci l’un l’altro anche se lui ha un espressione un po’ stordita per colpa della mia ultima frase che mi fa apparire un po’ dell’altra sponda, ma lui sa che preferisco una donna che un uomo.
« Sei pronto per ricominciare la tua vita da capo? » mi chiede dandomi delle pacche affettuose sulla schiena.
« Circa. » ammetto « Dove ancora farmi passare questa storia. Dopotutto io non capisco ancora cosa ho sbagliato in lei … »
« Tu non hai sbagliato. È lei che ha commesso un errore abnorme. A quanto pare non sapeva cosa volesse dire ‘amare’. » sempre a pararmi il culo, eh?
Domani forse non sarò pronto, nemmeno tra una settimana o tra un mese. Credo che mi ci vorrà davvero un po’ di tempo prima di ripartire. Ma devo pensare che quando ricomincerò sarò meglio di prima, me lo prometto.
   
 
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