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Autore: Wiwa    12/09/2012    0 recensioni
Tempo: Anno 3035.
Trama: -Non ero mai uscito da lì.- -Da New Rome?-chiese Leila, per nulla sorpresa da una notizia del genere. La maggior parte delle persone tendeva ad accettare passivamente la tirannia che governava la città al di sopra di Rome per poter vivere nel lusso.-No, dal laboratorio-. Leila quasi si strozzò con la minestra. -Mi stai dicendo che in diciotto anni non sei mai uscito da lì?- -Neanche una volta.- Una città futuristica oppressa da un regime soffocante , fili invisibili che si muovono dietro le apparenze. Un ragazzo con un segreto nascosto che gli ha rovinato la vita. Unica via d'uscita : Una città sotterranea dimenticata da Dio, popolata da chi non si vuole ancora arrendere.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Mi aspettavo che prima o poi accadesse,

cominciò sua madre, armeggiando per prepararle qualcosa di caldo. Leila, bagnata fradicia, alzò le sopracciglia scettica.

-Che mi portassi un ragazzo a casa, intendo dire.

Si voltò, un piatto di minestra fumante stretto in mano, mentre la figlia alzava gli occhi al cielo per nulla convinta dal suo umorismo.

-Ma non così, insomma.

Leila affondò avidamente il cucchiaio nella brodaglia verde davanti al suo naso che la madre aveva appena poggiato sul tavolo arancione.

-Te l'ho detto, credo sia caduto nell'Ampelion. É spuntato fuori all'improvviso, bagnato fradicio e mi è caduto addosso!

Mimò il gesto con le mani, facendo ridere la madre.

-E tu sei...

-Caduta nel fiume? Sì. Non hai idea di quanto pesi.

-Comunque è un gran bel ragazzo.

Commentò, indicandolo con la testa. Leila fino ad ora non ci aveva fatto caso, troppo preoccupata per la sua salute, ma ora poteva permettersi di osservarlo meglio. In effetti, anche se svenuto nel suo letto faceva la sua figura. Alto come una pertica, era biondo con gli occhi azzurri e una fossetta sul mento, zigomi dritti... Insomma, il classico principe azzurro. Che pesava una tonnellata. Portato a casa la madre l'aveva rassicurata, dicendo che era solo svenuto ed infreddolito. Gli avevano tolto la maglietta, i pantaloni se li era dovuti tenere anche se bagnati poiché Leila aveva proibito alla madre di levarglieli anche se a fin di bene e l'avevano ficcato nel letto. Ora aspettavano solo che si svegliasse.

-Non importa. É un Electi.

Indicò il simbolo sulla maglietta azzurra in cotone che gli avevano tolto . I cosiddetti “Electi” erano tutti i familiari del tiranno o tutte quelle famiglie appartenenti alla cerchia più nobiliare di New Rome, ed erano odiati lì sotto. Per questo non aveva potuto portarlo in un ospedale, probabilmente l'avrebbero come minimo cacciato fuori a calci. La madre alzò le spalle, come a dire che non sapeva e Leila continuò a mangiare in silenzio, mentre Gwineth accanto a lei divorava l'energia di delle batterie teutoniche recuperate in una discarica di New Rome. I rifiuti della città superiore giungevano lì e venivano riutilizzati nei modi più vari. Non si lamentavano visto che erano l'unica risorsa che avevano,l'unica cosa che poteva essere riutilizzata per migliorare la loro vita. Questo è il prezzo della libertà di pensiero . Si udì un colpo di tosse ed un gemito. Leila e la madre si voltarono di scatto: Il ragazzo si era svegliato e tossendo cercava di porre fine al fuoco che gli distruggeva le vie respiratorie. Si guardò intorno, spaesato e confuso, come ovviamente doveva essere.

-Stai bene caro?

Chiese sua madre, con un tono gentile. Lui trasalì così violentemente da farle sobbalzare ed indietreggiò fino a quando gli fu possibile, sulla testata del letto.

-Per favore non chiamate i Vigilanti!

Le pregò terrorizzato, con una disperazione nella voce talmente palpabile da far intenerire anche una roccia.

-Se è di questo che ti preoccupi...Qua sotto non vengono mai.

Lo tranquillizzò svogliata, tornando alla sua zuppa, rimestando col cucchiaio di legno scheggiato.

-Qua sotto?

Chiese lui, non capendo.

-Sei a New Rome, caro. Credo che tu fossi caduto nel fiume.

In un flash di immagini distorte e scure, il poverino ricordò a grandi linee cos'era successo. Il terribile incontro col Vigilante, il fiume, la perdita di sensi...

-é vero ero...Ero caduto nel fiume...Grazie.

Sua madre le lanciò un'occhiata come per dire: “Almeno è educato. Prendi esempio”. Il silenzio che seguì fu interrotto dal fatto che si accorse di avere freddo al petto.

-Ehm...Scusate...Dove sono i miei vestiti?

Leila rimase voltata per non far vedere che stava arrossendo e sua madre gli portò la maglietta ormai asciugata.

-Vuoi venire a mangiare qualcosa, te la senti?

Lui fece cenno di sì, alzandosi anche se un po' incerto sulle gambe. La prima cosa che fece, entrando nella stanza, fu di sbattere sullo stipite della porta, come faceva sempre suo fratello. Questo ricordo fece tremare le labbra di Leila, ma si morse le labbra a sangue per ricacciare via la tristezza. Il ragazzo si sedette pesantemente sulla sedia, facendola traballare pesantemente e la superava, anche da seduto, di una buona spanna. Non appena si fu seduto si guardò intorno, come se non avesse mai visto nulla del genere e Leila si sentì in imbarazzo, presa sotto analisi. La loro non era una grande casa erano povere e sole. Una casina piccola e malandata, con una cucina, un bagno e tre stanze da letto così minuscole da starci solo un letto striminzito. L'aveva costruita suo padre con amore e sua madre l'aveva riempita di colore e di allegria. Erano talmente tanti i mobili, i soprammobili, le decorazioni colorate che a malapena potevano entrarci loro. Ed ogni volta che sua madre tornava da un mercatino o una bancarella con l'ennesimo oggetto strampalato, lei faceva finta di sbuffare e di protestare, quando in realtà già lo amava anche lei. Ma per quanto quella casa fosse bella, sapeva che lui l'avrebbe trovata squallida o piccola, visto a ciò che era abituato e furiosa, stringeva il cucchiaio talmente forte da farle male.

-Avete una casa bellissima.

Leila si era già voltata di scatto, pronta a riempirlo di insulti, quando si bloccò:

-Che hai detto?

-Avete una casa bellissima.

Sorrise e Leila seppe che non stava mentendo. Sorrideva con così tanto candore e delicatezza che era semplicemente impossibile che in quel cervellino fosse anche solo mai nato il pensiero di mentire. La sua voce, mentre era immersa in questi pensieri, entrò nel suo pensiero di soppiatto.
-Non ero mai uscito da lì.

-Da New Rome?

Chiese Leila, per nulla sorpresa da una notizia del genere. La maggior parte delle persone tendeva ad accettare passivamente la tirannia che governava la città al di sopra di Rome per poter vivere nel lusso.

-No, dal laboratorio.

Leila quasi si strozzò con la minestra.

-Mi stai dicendo che in diciotto anni non sei mai uscito da lì?-

-Neanche una volta.

-Ma sei malato o cose del genere?

Chiese preoccupata, temendo che un malato terminale fosse fuggito dall'ospedale, unico luogo dove avrebbero potuto tenerlo in vita.

-Mai stato mai malato in vita mia.

Leila si scambiò un'occhiata sconvolta con sua madre.

-Ci stai prendendo in giro!

Proclamò decisa, puntandolo con il cucchiaino, rifiutandosi di crederci. Lui alzò le spalle.

-Perchè dovrei?

-Mi stai dicendo che tutta la tua vita l'hai passata crescendo in un laboratorio?

-Bè, sì. Che c'è di strano?

Faceva saettare lo sguardo dall'una all'altra, preoccupato dal loro comportamento. La madre di Leila gli poggiò una ciotola fumante di zuppa davanti.

-Niente caro, niente, mangia su.

Lo incoraggiò, cercando di sembrare naturale. Lui fissò la tazza confuso e ricominciò a guardarsi intorno. Le altre due erano sempre più sorprese e spaventate.

-Dov'è la flebo?

Chiese infine lui.

-La flebo?

-Per nutrirmi no?

-Ma non ce n'e bisogno!

Ed indicò la zuppa. Lui la guardò come lo studente interrogato in crisi ed il fatto che non sapesse la risposta alla domanda le scombussolava sempre di pi.

-Che...Che dovrei farci?

-Ma senti coso...Come hai detto che ti chiami?

Gli chiese sbrigativa Leila.

-Robert.

-Bene Robert, non hai mai mangiato in vita tua?

Lui fece cenno di no. Ci volle un po' per spiegarglielo, anche se inizialmente era scettico, ma piano piano capì e non appena ebbe afferrato il meccanismo da farlo da solo, la madre la prese da parte.

-Leila, io non so cosa stia succedendo, ma questo ragazzo non sta scherzando.

-Credi sia davvero possibile che qualcuno possa passare tutta la sua vita in un laboratorio?

Le chiese Leila, rendendosi perfettamente conto della gravità della situazione. La donna scosse la testa.

-Non lo so, non lo so. Quello che so è che quel ragazzo ha bisogno di aiuto.

Leila la guardò: Come al solito sua madre aveva il cuore troppo tenero, voleva occuparsi ed aiutare chiunque nel raggio di un chilometro, ma in fondo, neanche lei poteva biasimarla.

-Che intendi fare?

La madre aveva sempre una risposta per tutto, una soluzione pronta da tirare fuori dal cappello al problema più spinoso. Ma per al prima volta nella sua vita, Leila vide sua madre esitare.

-Cerchiamo di prendere tempo.

La figlia acconsentì.

-Che ne dite di andare a dormire?

Propose Leila, ricevendo un pieno assenso da parte di tutti e così, Leila dormì nel letto matrimoniale con sua madre, offrendo il suo a Robert. Non voleva farlo dormire nella stanza di suo fratello.

 

Il giorno dopo, Leila si svegliò con tutta calma. Stranamente sua madre non era venuta a svegliarla, nonostante la discussione del giorno prima. Ancora intontita, si alzò, scarmigliata e stravolta dirigendosi verso la cucina. Sentiva già del movimento venire dalla stanza accanto.

-Buongiorno.

Borbottò, sedendosi al tavolo, ancora in pigiama.

-Buongiorno tesoro. Che dici di andare a cambiarti?

Le rispose la madre, con un tono un po' forzato nella voce che Leila non capì.

-Perchè dovrei?

-Perchè abbiamo un ospite.

Leila si voltò, ritrovandosi seduto accanto Robert che cercava di guardare da un'altra parte. Arrossì violentemente. Rendendosi conto che la sua t-shirt viola coi cuori rossi ed i pantaloncini rosa corti non erano certo la cosa migliore da portare.

-ME N'ERO DIMENTICATA!

Urlò a mò di scusa, mentre correva nell'altra stanza a cambiarsi. Mentre si ricambiava in tutta fretta, era sicura di poter sentire le altre persone nella stanza ridacchiare. Quando fu degnamente vestita, poterono parlare.

-Perchè non mi hai svegliato oggi?

-Oggi niente lavoro.

-Perchè?
Chiese sconvolta, protendendosi sul tavolo. Avevano bisogno di soldi ed il fatto che la madre le permettesse di lavorare solo in estate era un problema.

-Perchè devi mostrargli la città, portarlo in giro, aiutarlo...

-Ma non posso! É un Electi! La gente si arrabbierà!

-Non necessariamente. Dirai che...Ecco, che è un tuo amico che ha un amnesia , per questo te ne occupi tu!

Leila aprì la bocca, cercando qualche replica, non trovandone, si azzittì immusonita per il resto della colazione. Ecco di nuovo la solita madre: Un problema, una soluzione. Quanto a Robert, che era stato lì per tutto il tempo ad ascoltare, certo era praticamente nuovo alla vita, ma non era stupido ed aveva capito benissimo di star creando dei problemi. Ma cosa poteva farci?

 

Il segreto andava tenuti con tutti, certo, ma non con Erys. Erys era la sua migliore amica, di origine giapponese, aveva quel nome poiché i genitori erano dei fanatici della mitologia greca ed a lei non andava troppo a genio.

-Quindi, adesso andate in giro dicendo questa storia?

Chiese la sua amica, continuando ad armeggiare dietro una motocicletta. La giapponese aveva la passione dei motori ed era molto più brava di alcuni tecnici veri e propri, visto che passava tutto il suo tempo libero a lavorarci sopra. A dire il vero anche il tempo che tecnicamente non doveva essere libero, cioè quando doveva andare a scuola.

-Sì. Non posso dire la verità, lo riporterebbero indietro senza tanti complimenti ed ho paura che...

-Che lo rinchiudano di nuovo in quel posto dove dice di venire?

Leila fece cenno di sì con la testa. Quella mattina avevano fatto un giro veloce dei luoghi più conosciuti della città, che stranamente lui aveva trovato bellissimi e poi erano andati da Erys. Suo padre aveva un'officina e se la volevi vedere, sicuramente dovevi andare a cercare lì.

-Ma non sappiamo ancora cosa fare...

-Io non ti capisco.

Leila si curvò sorpresa sopra la moto per vederla in faccia:

-Che intendi dire?

-Un ragazzo bellissimo ti casca praticamente dal cielo e tu fai tutte queste storie!

-Ma non notate nient' altro?

Sbuffò Leila in risposta. L'amica ridacchiò.

-Anche tua madre?

-Sì.

-Si vede che siamo le uniche ad avere gli occhi allora.

Ridacchiò, contenta. Leila invece non vedeva tutta questa positività in questa storia, anzi. Per stare dietro a quel bambinone aveva perso al sua ultima giornata di lavoro e non poteva lasciarlo solo neanche un secondo per paura che si mettesse nei guai. Non sapeva neanche di dover camminare sul marciapiede, ma aveva dovuto spingerlo via in tutta fretta un paio di volte per evitare che venisse investito.

-Accidenti!

Berciò scontenta Erys, spuntando finalmente in piedi da dietro la motocicletta, il naso sporco di grasso.

-C'è qualche problema?

Robert comparve così improvvisamente alle sue spalle che Leila trasalì, saltando di lato.

-Diavolo, mi hai spaventato!

Lui si scusò, mentre Erys metteva via gli attrezzi.

-No, niente. Il guaio è che il guasto si trova in un punto a cui non posso arrivare è troppo in basso. Dovrei usare la piattaforme per i sollevamenti, ma mio padre non me la lascia usare.

-Posso aiutare?

-No, non credo è troppo pesan...

Neanche finì la frase che il ragazzo si avvicinò alla moto, si abbassò sulle ginocchia, l'afferrò e rialzandosi la sollevò tranquillamente.

-Così va bene?

Il suono di due mascelle cadere a terra in simultanea poteva essere udito anche da fuori.

-S-sì, ma mettila giù è pesante...

-No, ti assicuro non lo è.

Allibita, Erys si posizionò sotto la moto, talmente in alto da poter essere aggiustata in piedi. E dopo un quarto d'ora, li assicurò che poteva metterla giù. Lui lo fece, senza neanche un minimo segno di affaticamento. Leila e l'amica si scambiarono un'occhiata fra il terrorizzato e lo sconcertato. Desideravano poter parlare di lui, ma naturalmente se era lì sarebbe stato poco educato, così aspettarono il momento buono, mentre la giornata andava avanti lenta e normale. New Rome era sprofondata secoli fa nel sottosuolo, ma come abbiamo già visto era stata riprodotta e migliorata in superficie, ma l'originale era lì: nascosta dentro un'enorme caverna, i contatti con la superficie erano minimi: chiunque era libero di andarsene, ma si guadagnava il pubblico disprezzo. Gli edifici erano anneriti, sporchi, ma erano resistenze e di buon materiale, perfino il Colosseo era ancora in piedi, come un gigante che aspetta ben altro per crollare. Stavano quindi a Villa Borghese, nel parco che un tempo rigoglioso e florido, adesso era piuttosto malridotto, ma ricco di persone e bambini che giocavano felici.

-Credo che giudichi normale il fatto di essere cresciuto in un laboratorio, non si è mai posto il problema di uscire.

Sussurrò Leila, mentre erano sedute su una panchina vecchia e malandata, con Robert poco distante che osservava il passaggio di dei cigni-lepre che nuotavano sul un laghetto sporco.

-Bhè, se gli è stato cresciuto così...Sai, ognuno crede in ciò che gli insegnano.

-Ma non capisco Perché rinchiuderlo così...

-Che cosa intendete fare?

La ragazza alzò le spalle:

-Mia madre ha intenzione di parlarne a Deritus.

Deritus era un membro del concilio dei sette, coloro eletti dai cittadini che amministravano la città. Era addetto la difesa ed era molto rispettato ed ammirato nella comunità. In passato era stato uno dei migliori Vigilanti di New Rome, ma rendendosi conto di come i suoi superiori agissero, si era licenziato ed aveva cominciato una nuova vita lì sotto.

-Tu pensi che lo rimanderebbe indietro?

Chiese, improvvisamente ansiosa. Erys corrugò la fronte.

-Non credo: Lui è contro il tiranno, non gli riconsegnerebbe mai un ragazzo innocente, se è vero ciò che dice...

Entrambe fissarono di nuovo lo sguardo sulla strana figura massiccia davanti a loro. Quello strano ragazzo, con il viso così semplice ed aperto, innocente come un bambino ed incapace di mantenere un segreto, era un mistero insolubile per loro. Ma in fondo, quale essere umano potrebbe essere semplice da decifrare?

 

Si tormentò le mani, nervoso. Avrebbe voluto evitarlo, con tutto il cuore. Ma il suo senso dell'onore lo spingeva a dire la verità, a non mentire ai suoi superiori.

-Quindi, cadetto...

Il tono gelido con cui il suo superiore parlò, lo fece trasalire.

-Il soggetto è caduto nell'Ampelion?

-Sì signore.

La corrente l'aveva spinto subito giù, non aveva potuto fare niente per aiutarlo. Il signor Delavez, il degno fratello dell'Illuminato Regnante era l'addetto alla sicurezza ed alle questioni belliche. Era una specie di idolo, con la sua barba folta e scura ed il suo fisico massiccio, la sua guida forte e risoluta ed il suo coraggio da leone, era davanti a lui. Con una calma affettata e studiata, iniziò a far scorrere, usando lo schermo touch a mezz'aria fra loro, le scritte in neretto.

-Il suo rapporto è piuttosto confuso su un punto, invero.

Il Vigilante rabbrividì, sapeva che quella domanda sarebbe arrivata.

-A quanto pare, lei aveva catturato il soggetto eppure... Non saprei dire...

Il suo voler lasciare a metà le frasi lo stava uccidendo. Nell'ufficio del suo superiore più importante, aveva pensato di finirci per elogi, non certo per un fuggitivo ucciso per sbaglio. Eppure, seduto su quel divano bianco dalla forma lineare, davanti a quella scrivania di cristallo, sentiva di voler morire.

-Sembra che... “L'aria divenne solida, sbalzandomi lontano ed io caddi.” che significa?
Non aveva descritto la scena in modo più esplicativo perché sapeva l'avrebbe preso per pazzo, ma in quella situazione non poteva più nascondere la verità.

-Ecco signore io... Lei mi prenderà per matto.

-Continui.

Lo incoraggiò stranamente lui, come se fosse ansioso di arrivar alla fine di quella storia.

-Ecco è come se... Se fosse scattato una sorta di meccanismo difensivo ed il suo grido...

Lui continuava a guardarlo attentamente e lui si sentì incoraggiato a continuare.

-Il suo grido fosse diventato talmente forte da avere potenza solida!

Tirò fuori tutto d'un fiato, deciso a passare tutto il resto della sua vita in un manicomio. Calò un silenzio pesante, interrotto solo dal filo dei loro pensieri.

-Molto bene.

E gli indicò la porta. Qualcosa, nel cervello del Vigilante, già pronta a cercare scuse e a giurare che era vero, si bloccò.

-Come?

-é tutto.

Rispose il suo superiore, indicando la porta, con fare infastidito. Perplesso oltre ogni dire, il giovane si alzò dal divano molto lentamente e si diresse alla porta automatica in plexiglass. Prima ancora di porre la mano sul pentacolo luminoso per far scorrere il divisore trasparente, si voltò indietro: L'uomo stava lavorando al videofono, già immerso nei suoi affari. Alzando le spalle, uscì. Non appena il signor Delavez fu sicuro che l'uniforme bianca del giovane fosse scomparsa nel corridoio, digitò febbrilmente un numero al telefono. Dopo un paio di squilli, qualcuno sollevò la cornetta.

-Pronto?

-Prometheus inveni ignum.

Prometeo ritrovò il fuoco.

Angolo dell'autrice: Piccole spiegazioni: Robert avendo vissuto da sempre in un laboratorio, è stato nutrito solo per flebocrisi che dà il giusto numero di nutrimento a seconda della percentuale di varie sostanze di cui il metabolismo ha bisogno senza tutte quelle piccoli complicazioni fastidiose. Inutile dire che trovo la cosa disumana, negare ad un poveraccio una bella pastasciutta U.U. Comunque, ben presto scopriremo varie piccolo cosuccie riguardoa  questo strano ragazzo che gridando è capace di gettare una persona a terra...

  
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