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Autore: madnesslight    12/09/2012    12 recensioni
Micheal non c'era più.
Io ero ancora viva, e lui era morto, ed era peggio della morte stessa.
In un istante mi passarono in mente tutte le risate, i litigi, tutte le volte in cui avevamo fatto la pace. I lunghi silenzi, le ore spese a parlare di niente. E i baci. Gli abbracci. Le notte a fare l'amore. Tutti i ti amo. Non ti lascerò mai. Sei l'unico per me. Staremo insieme per sempre.
L'istante dopo, tutto era sparito.
Restava solo il dolore. L'amore. Una promessa.
Ti amerò per sempre. Giurai, a me stessa e a lui. Non ci sarà mai nessun altro. Soltanto tu, amore mio. Soltanto tu.
Quel genere di promessa che è impossibile mantenere, quando guardi negli occhi di un'altra persona, quegli occhi che incroci una sola volta nella vita e senti l'amore forte, vivo, vero dentro di te. Quando guardi negli occhi dell'altra persona e ti senti amata di nuovo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Si, lo so che non ci credete eppure eccomi qua. Scusate, davvero. Non avrei voluto fare tutto questo ritardo, ma cause di forza maggiore (alias io che mi scordo il quaderno col capitolo al mare *coff*) mi hanno impedito di postare quando avrei voluto ç_ç Perdonatemi vi prego u.u

Comunque, detto questo. Ma... siete sicuri? Cioè, non è che magari avete lasciato le recensioni convinti che fossero per un'altra storia? No, perchè a parte che non me ne aspettavo così tante, e poi ciò che avete scritto... Le avrò rilette tutte almeno tre volte, e ogni volta mi sono commossa. Avete avuto delle parole meravigliose per me, che davvero non penso di meritare. In ogni caso, vi giuro che farò di tutto per essere all'altezza delle vostre aspettative perchè, ripeto, tengo moltissimo a questa storia e il fatto che vi piaccia mi fa congolare che manco ve lo immaginate. LOL

AHAHAHAHAHAHAH okay, basta parlare, vi lascio al capitolo che tra l'altro è pure un po' deprimente xD ma porella, ha appena perso il suo ragazzo, concediamole almeno un capitolo di disperazione U_U

Vabbè, ciao. Buona lettura :)

Ah, e vipregovipregoviprego non ridete mentre leggete la prima parte del capitolo. Cioè io al solo pensiero muoio dalle risate ma non avevo idea di come renderlo diversamente e... Boh, niente, voi non ridete e basta u.u

 

She will be loved

 

Alive or just breathing?

 

Il finestrino abbassato. L'aria fresca sul volto in quella serata calda e afosa. Il mio sorriso, rivolto al cielo, a Mike, alle nostre mani intrecciate. La sua risata. La mia risata. Parlavamo, scherzavamo, ma non sentivo le nostre voci. Perché non le sentivo? Eppure ne ero sicura. Ci vedevo, eravamo proprio lì, di fronte ai miei occhi. Le nostre labbra si muovevano. Io risi di gusto ad una sua battuta, ma non mi sentivo divertita. Era più come se fossi una spettatrice. Era più come se fossi in un sogno.

Improvvisamente due fari mi accecarono gli occhi. Osservai attentamente la mia espressione e la sua mutare, in un misto di consapevolezza e terrore, mentre quei fari diventavano sempre più grandi, sempre più luminosi.

Gridai. Spostatevi. Maledizione, spostatevi. Ma non riuscivano a sentirmi.

E mentre le luci dei fari promettevano tutto l'orrore di cui erano capaci, fu allora che capii. Non si sarebbero spostati. Non ci saremmo spostati. Perché quelli non eravamo noi, Kristen e Micheal non esistevano più. Quello era solo un sogno, e sapevo esattamente come si sarebbe concluso.

Così iniziai a pregare. Svegliati. Ti prego, ti scongiuro, svegliati. Svegliati.

Ma non mi svegliavo. Ero costretta a rivivere tutto ancora e ancora. Non riuscivo mai a svegliarmi. A dir la verità, era come se non mi fossi mai svegliata, come se si ripetesse tutto nella mia mente milioni di volte senza che potessi farci nulla.

Osserva in silenzio, piangendo lacrime che nessuno avrebbe asciugato, mentre guardavo la fine di Mike, la mia fine, finché tutto non si fece buio.

I fari scomparvero, al loro posto una luce fioca, così tanto che credetti di immaginarla. Ma la luce si faceva sempre più intensa. Non sapevo cosa avrei trovato dopo la luce. Volevo restare lì, al buio. Il buio era confortevole, al buio sapevo che ci sarebbe stato solo il buio. Solo il dolore. Solo la sofferenza. Non era una bella prospettiva, ma almeno non avrei ricevuto sorprese.

Non sapevo cosa avrei trovato dopo la luce, eppure la seguii. Era intensa, troppo. Come quella dei fari, ma era diversa. Mi spaventava, ma non allo stesso modo.

Strinsi gli occhi quando la luce mi circondò completamente, impedendomi di vedere. Vedere cosa? Non c'era nulla da vedere. Se prima c'era solo il buio, ora c'era solo la luce. Il bianco.

Tremai. Volevo tornare al buio. Non mi piaceva, lì. Era tutto troppo bianco, E dopo il bianco, ancora bianco. E dopo la luce, ancora luce.

Non c'era luce, per me. Eravamo morti. Lo avevo visto. Avevo visto l'auto che si schiantava contro di noi, rubando tutto ciò che avevamo. Tutti i nostri sogni, le nostre speranze, i progetti. Tutto era svanito, come il buio. In mezzo a tutta quella luce non riuscivo a vedere nulla, nemmeno me stessa. Avevo perso il mio corpo, non lo sentivo più. Non sentivo altro che dolore. Ma se ancora soffrivo, allora dov'era il buio? E io? Dov'ero io? E Mike?

Tutto era svanito.

Per favore, ridatemi Mike. Rinuncerò a me stessa, ma a lui no. Ridatemelo, vi prego.

Ma lui non tornava. Nulla tornava, niente si muoveva. Era insopportabile. Mi agitai. Strinsi gli occhi ancora più forte, magari il bianco se ne sarebbe andato. Ma non se ne andava.

Tutto restò uguale per un tempo infinito, finché non sentii delle voci. Le conoscevo? Non ne ero sicura, ma non importava. Mi aggrappai a quelle voci per fuggire da tutto quel bianco. Magari mi avrebbero riportata da Mike. Quelle voci... Che si facevano sempre più nitide nella mia mente, e io facevo di tutto per non perderle.

Continuavo a tenere gli occhi sbarrati, ma non ce la facevo più. Combattevo per non aprirli, ma fui vinta dal bianco che mi circondava e aprii finalmente gli occhi.

Fu strano, come rientrare nella propria pelle dopo un'esperienza extracorporea. Era stato improvviso, ma allo stesso modo dovevo abituarmi, come se non mi sentissi ancora me stessa. Come svegliarsi da un incubo... E trovarsi dentro un'altro. Sapevo che l'incubo non era finito. Per me, doveva ancora iniziare.

Misi a fuoco e riconobbi il volto di mia madre segnato dalla stanchezza. I capelli erano in disordine, e aveva il volto scavato, come se non mangiasse o dormisse da chissà quanto.

Ma non importava. Tutto scomparve quando i miei occhi incrociarono i suoi. Non avevo mai visto degli occhi così vivi. Felici non bastava a descriverli, non gli rendevano giustizia. Ma se stava così allora forse non avevo capito niente. Forse Mike non erra stato inghiottito dall'oscurità, forse ce l'aveva fatta.

"Bambina mia. Bambina mia. Stai bene, grazie a Dio sei sveglia. Stai bene."

Io stavo bene. Non ne ero del tutto certa.

Mia madre continuava a ripetere frasi sconnesse e senza senso, a piangere, a sorridere, ma io avevo bisogno di sapere. Non mi importava di me. Dov'era Mike? Perché non era con lei?

Provai a parlare ma avevo la gola troppo secca. Lei capì e dopo aver asciugato il suo viso mi avvicinò alle labbra un bicchiere colmo d'acqua. Provai a deglutire, ma la gola bruciava.

Ignorai il dolore.

"Mamma...", biascicai.

"Oh, si amore mio. Sono qui. Non ti preoccupare, andrà tutto bene. Chiamo un medico, si occuperanno di te. Starai bene, vedrai."

Scossi la testa, o almeno ci provai. Non era ciò che intendevo.

"Mi.. Mike... Dov'è Mike..."

Le mie parole si persero nell'aria, ma capii che aveva capito. E capii anche che non avevo capito niente. Mi aveva mentito. Non sarebbe andato tutto bene, io non sarei stata bene.

Non avevo bisogno di altre conferme, l'ombra che si posò sul suo viso fu più che sufficiente, ma parlò comunque,

"Non ce l'ha fatta."

Avevo chiesto il buio ed ero stata accontentata. In un secondo l'oscurità calò su di me.

Mike era morto. Era davvero la fine.

**********

I giorni successivi al mio risveglio furono tutti uguali e tutti diversi.

Ero stata in coma per due giorni. Lo venni a sapere quando  fui abbastanza lucida quantomeno da capire ciò che mi succedeva intorno, dopo essermi risvegliata la seconda volta, quando mi avevano dovuto sedare per calmarmi. Probabilmente non volevano darmi notizie scioccanti tutte insieme. Ma il fatto di essere stata in come non mi aveva scioccata. Sapevo di essere rimasta incosciente per un po'. Volevo solo che durasse più di quel che è durato effettivamente. Per sempre mi sarebbe andato più che bene.

In compenso era tornata l'oscurità, il buio. Ma era tutto nella mia testa.

Non sopportavo l'idea di dover rimanere in ospedale troppo a lungo, così non appena stetti meglio firmammo i moduli e tornai a casa mia.

Ma casa era piena di colori. Non li volevo, mi ricordavano troppo ciò che avevo perso... Tutta la mia vita. Stridevano col mio reale stato d'animo e mi facevano stare anche peggio. Mi dicevano "Ehi, c'è un mondo intero lì fuori, fuori della tua finestra. C'è una vita intera. Che aspetti a viverla?"

Mike. Aspettavo Mike.

Anche mia madre me lo diceva sempre. Non a parole, no. Ma i suoi occhi... Quegli stessi occhi così pieni di vita al momento del mio risveglio mi imploravano di aprire uno spiraglio a quel mondo che stava fuori della mia finestra. E vedevo la vita scorrere via anche da lei, man mano che il tempo passava e io mi sentivo sempre più morta.

Come mi sentivo morta quando gli avevo detto addio.

Avevano aspettato a fare il suo funerale. Non so chi prese la decisione. Forse sua madre, che non era ancora pronta a salutare suo figlio; forse la mia, come a sperare che mi sarei svegliata presto per potergli dire addio. Mi ero svegliata, ma non potevo comunque. Non ero pronta. Nessuno lo era.

Ascoltai le parole di parenti, amici, perfino un paio di colleghi di lavoro. Avevano tutti parole così belle per lui. Ma erano così tristi. Come se fosse la loro ultima possibilità.

Tutti si facevano avanti mentre io restavo seduta sulla mia sedia a rotelle alla quale ero costretta per il momento. Respiravo a fatica, guardavo il braccialetto d'argento che mi aveva regalato per i miei sedici anni, ascoltavo.

Quando tutti smisero di parlare, strinsi il bracciale tra le dita come se fosse la sua mano.

"Kristen?"

Riconobbi il mio nome e alzai lievemente il capo per guardare dritto negli occhi del prete, che mi guardava con sguardo compassionevole.

Non risposi. Non rispondevo più a nessuno da quando mi ero svegliata.

"Vuoi dire qualcosa? Dare il tuo ultimo saluto a Micheal?"

Un conato di vomito mi bloccò il respiro per un secondo. Quello non sarebbe stato il mio ultimo saluto.

Scossi il capo iniziando a tremare.

"No.. No.. No, no. No.."

Erano le prime parole che pronunciavo da giorni.

"Non voglio. Non posso, non è un addio... Non... Noi ci amiamo. Lui tornerà da me, tornerà..."

Provai ad alzarmi ma sentii una fitta lancinante alle costole, che ignorai. Non era nulla a confronto della fitta che avevo al petto, e poco aveva a che fare con le mie ossa rotte.

Una presa decisa ma delicata allo stesso tempo mi impedì di farmi male alzandomi dalla mia sedia a rotelle.

Mio fratello si chinò e mi abbracciò con dolcezza, attento a non ferirmi, carezzandomi lievemente il capo, mentre avvertivo intorno a noi la presenza del resto della mia famiglia.

"Shh, basta. Kris, basta. È finita. Non puoi fare nulla."

Una parte di me se ne rendeva conto, ma tutto il resto semplicemente non era pronto ad accettarlo.

Mi appoggiai alla spalla di Cam e piansi.

Piansi mentre tornavamo a casa. Piansi quando andai a dormire e sognai dei suoi occhi prima che si chiudessero per sempre. Piansi quando mi svegliai e rivissi tutto nella mia testa.

Piansi, finché ormai non mi restavano più lacrime da versare.

Ma il mio cuore... Quello avrebbe continuato finché avessi avuto sangue da pompare.

Ogni battito era una pugnalata, ognuno in più del mio cuore era uno in meno del cuore di Mike.

**********

Non puoi continuare così.

Devi andare avanti.

Devi dimenticarlo.

Lui non vorrebbe questo.

Quante volte avevo già sentito quelle parole? Centinaia, migliaia di volte. Le detestavo.

Cosa ne sapeva la gente di quello che avrebbe voluto? Come si permetteva di dirmi come avrei dovuto sentirmi? Non ero un robot, non funzionavo a comando. Non potevo mettere in stand-by il cuore anche se mi sarebbe piaciuto. Non sentire niente. Sarebbe stato meraviglioso. Mille volte meglio che sentire tutto quel dolore.

Tutto ciò che volevo era riavere Mike indietro. Sarebbe stato l'unica cosa in grado di scacciare via il male che avevo nel petto, ma sapevo che non sarebbe mai successo.

A volte invece accadeva che davvero non sentivo nulla. Vuoto totale. E invece avrei voluto sentire, sentire qualunque cosa. Non c'era spazio per niente nel mio cuore. Spesso mi sembrava di non avercelo nemmeno più, un cuore, sepolto sotto lo strato di corazza che lo avvolgeva, proteggendolo da altro dolore. Quello per Mike era più che sufficiente.

Qualcuno bussò alla mia porta.

Non diedi alcun consenso, ma evidentemente quel qualcuno aveva interpretato il mio silenzio come un invito ad entrare.

"Kristen, tesoro? Vieni a mangiare?"

"Si, arrivo", sospirai.

A dirla tutta, non avevo affatto fame. Ma avevo già saltato il pranzo con la scusa di aver fatto un'abbondante colazione, che in realtà consisteva in mezzo pacchetto di cracker al riso soffiato. Non potevo saltare anche la cena.

Mi alzai e camminai svogliata verso la cucina. La sedia a rotelle era fortunatamente ormai un lontano ricordo, e tutte le mie ferite, o almeno quelle visibili, erano guarite.

Mi misi a tavola senza dire nulla e presi a giocare col cibo nel piatto.

La sola vista di quei maccheroni mi dava allo stomaco, ma tentai un boccone per far contenti i miei.

Indossavo sempre vestiti un po' larghi, e con tutto il peso che avevo perso Taylor una volta aveva scherzato dicendo che di quel passo sarei scomparsa dentro la mia felpa. Sapevo però che la sua era solo una battuta, sapevo che erano realmente preoccupati per me.

Imboccai un'altra forchettata, e poi un'altra e un'altra ancora. Erano senza sapore ma mi riempirono lo stomaco. Non sarei riuscita a mangiare anche il polpettone che aveva preparato.

Restai comunque a tavola a far loro compagnia anche se non parlai molto.

Nemmeno loro erano così loquaci da un po', temevano sempre di dire qualcosa di sbagliato.

"Kris, allora?"

"Come?", chiesi confusa sentendo il mio nome farfugliato. Sorrisero come a dire non importa, poi Dana proseguì.

"Stiamo uscendo. Vuoi venire anche tu?"

Sbattei le palpebre. La tavola era già sparecchiata e loro erano pronti per uscire. Beh, lo erano già da prima in realtà, ma ci facevo caso davvero solo in quel momento.

"Io..."

"Dai, vieni. Ti farà bene uscire un po'"

Mi morsi un labbro, non del tutto certa delle loro parole.

"Non mi va", bisbigliai.

Non mi va era più o meno la mia risposta fissa per tutto.

I loro sguardi tristi e delusi mi attraversarono. Quanto avrei voluto che non mi toccassero davvero. Ma non era così. Dio, non era già abbastanza quello che provavo? Perché dovevo sentirmi anche peggio quando facevo solo quello che mi andava di fare - niente? Perché gli volevo bene, e loro ne volevano a me. Ecco perché ci provavano ogni volta, nonostante la risposta fosse sempre la stessa, non mi va.

Avevo perso parecchio. Molti dei miei amici dopo un po' si erano stufati di aspettare che guarissi e avevano smesso di telefonare per sapere come stessi. Io non li avevo mai richiamati. Certo, quella era la mia famiglia, ma il modo in cui si preoccupavano per me mi commuoveva ogni volta, come se ci fosse ancora qualcosa in me che valesse la pena.

E immaginai che se non mi aveva ancora ucciso l'incidente, con tutte le sue conseguenze, una serata fuori accompagnata da un gelato non lo avrebbe fatto di certo.

"Okay, come vuoi. Vuoi che rimanga qualcuno con te?"

Stavo torturando il mio povero labbro mentre rispondevo "No, io... Vengo con voi."

Lo sguardo di mia madre e mio padre si illuminò.

"Davvero?", chiesero, e potevo vedere uno stralcio di quella vita che scorreva nei loro occhi quando avevano saputo che sarei stata bene, prima di scoprire che in realtà il peggio che potesse capitarmi era ancora iniziato.

Annuii debolmente.

"Datemi solo il tempo di andare a mettere qualcosa."

Salii le scale senza troppo entusiasmo, mentre infilavo un paio di jeans e delle scarpe da ginnastica, ripetendomi che lo facevo per loro, soltanto per loro, e che avrei dovuto sforzarmi un po', visti tutti gli sforzi che facevano per me.

"Eccomi."

Ricambiai debolmente il loro sorriso.

Erano così felici, nonostante un'uscita non fosse questa gran cosa. Perché non potevo esserlo di nuovo anche io? Un tempo riuscivo a trovare la felicità anche in un gelato, ora non ricordavo nemmeno cosa si provasse ad esserlo.

Camminavamo per le strade di Los Angeles lentamente, parlando un po'. Arrivammo alla solita gelateria, dove il proprietario mi salutò per nome.

"Kristen! Era un po' che non ti si vedeva da queste parti. Il solito?"

Annuii ringraziando mentre mi porgeva il mio gelato, fragola e nocciola.

Lo conoscevo, più o meno. Da bambini andavamo sempre in quella gelateria, e poi ci fermavamo a giocare al parco lì di fronte per delle ore. La tradizione è andata avanti per un po', e spesso ci tornavamo a fare una passeggiata, a chiacchierare, a respirare la vita dell'uomo che stava dietro al bancone e trovava la forza di sorridere nonostante gli fosse stata portata via la moglie da una malattia, la vita di tutte le persone che passavano di lì.

Eppure non riuscivo più a sentirmi così.

Mi portava sempre bei ricordi passare del tempo lì, anche solo per pensare. Invece da un po' gli unici ricordi che la mia mente riusciva ad evocare erano tristi, brutti, e sempre gli stessi. Ovunque.

"Ricordo che da bambina passavi giornate intere qui. Ci venivi sempre, ti fermavi a chiacchierare col proprietario del bar, prendevi il tuo gelato. Eri così spensierata. Eri così... Viva."

Sussultai alle parole di mia madre.

Eravamo usciti per andare a sederci su una panchina poco lontano.

Lei si era seduta accanto a me, aveva il suo cono in mano ma lo stava lasciando squagliare, persa nei ricordi, proprio come me. Allora non ero l'unica ad averci pensato.

"So che lo hai fatto per noi", continuò. "Ma devi capire... Che non devi farlo. Non se non è per te stessa. Non devi uscire solo perché fa piacere a noi, ma perché ti fa bene. Respirare un po' di aria pulita... Magari aiuta a scacciare i brutti pensieri."

Scossi le spalle. Nemmeno io stavo più mangiando il mio cono. Ascoltavo le sue parole, riflettendo sul loro peso.

"Sono sempre lì, mamma. Sempre. Non basta una passeggiata e di colpo svanisce tutto."

"Lo so. Ma non puoi nemmeno continuare in questo modo, sai? Tu non... Non sei più tu. È come se fossi morta in quell'incidente, come se non ti fossi mai davvero svegliata."

Strinsi un pugno e iniziai a muovere il ginocchio, in una sorta di tic. Ero a disagio, non sapevo come rispondere per cui scelsi di restare in silenzio. E cosa avrei potuto dirle?

"Mi dispiace" fu tutto quello che riuscii a sussurrare.

Lei sospirò. Capì che andando avanti con quel discorso non sarebbe arrivata da nessuna parte.

"Lo so. Anche a me."

La sua voce era leggermente incrinata, e capii che quella di prima era solo una facciata. Come potevo sperare di farli contenti uscendo una sera se era come se non fossi lì con loro? Non gli bastava, eppure era tutto ciò che ero in grado di offrire loro.

Tornammo a casa poco dopo.

Io corsi subito in camera mia, senza dar loro il tempo di dir nulla. Non che ce ne fosse il bisogno. Sapevano che in fondo non è stato un grande passo in avanti. Me ne ero restata per conto mio tutto il tempo.

Quella sera, però, avevo un motivo diverso. Non ero riuscita a togliermi dalla testa le parole di mia madre.

È come se fossi morta in quell'incidente, come se non ti fossi mai davvero svegliata.

Riuscivo a rendermi conto quanto avesse dannatamente ragione.

Io stessa lo pensavo sempre.

A volte mi trovavo, stupidamente, a chiedermi se fossi davvero io, se non mi trovassi in un universo parallelo o qualcosa del genere. Magari ero ancora in coma e non lo sapevo. Non che facesse molta differenza.

Avevo i ricordi confusi. È stato come svegliarsi da un grande incubo, ma non ricordare cosa fosse successo, cosa mi aveva davvero spaventata. Ricordavo però il senso di smarrimento, la paura, il vuoto che nulla riusciva a colmare. Il buio dentro e la luce fuori. Mi circondava ma dentro era sempre e comunque solo buio, non mi scalfiva nemmeno. Riusciva a mettermi solo una gran paura. Come il mondo. Come la vita che prima davo così per scontato e ora invece non riuscivo nemmeno a pensarla.

No, effettivamente non era poi tanto diverso da quel limbo.

 

 

 

Okay, come avrete capito (spero .-.) Kristen è rimasta in coma per un paio di giorni, nulla di grave. Non ho approfondito l'argomento perchè so che avrei finito con lo scrivere una marea di stronzate per cui è tutto molto accennato. Il periodo del "durante" però l'ho voluto scrivere e mi sa che facevo meglio a farmi gli affari miei perchè, come vi ho detto, tutto quel "vedo una luce" mi fa ridere troppo LOL spero che voi siate un minimo più normali di me e cogliate la vena drammatica della scena xD a meno che non sono proprio io a essere un'incapace, cosa probabile.

Tranquille, comunque, che già dal prossimo capitolo le cose si movimenteranno un po' :)

Comunqueeeeeeee niente, grazie ancora davvero per le recensioni, le seguite, preferite eccetera. Mi fate un monte felice ç_ç

Vabbè, io non penso di avere altro da dire, a parte che ovviamente se volete lasciare una recensione e dirmi che pensate del capitolo non vi morde nessuno u.u

E poi vi ricordo:

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Il gruppo facebook, per spoiler, o per chiedermi quello che vi pare, o anche solo per rompermi xD (io fossi in voi non mi perderei lo spoiler del prossimo capitolo u.u)

Ciao a tutti!

XOXO Giuls

   
 
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