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Autore: marig28_libra    12/09/2012    3 recensioni
Lutti, incertezze, paure, lotte. La vita dell'apprendista cavaliere si rivela assai burrascosa per Mu che ,sotto la guida del Maestro Sion, deve imparare a comprendere e ad affrontare il proprio destino. Un destino che lo condurrà alla sofferenza e alla maturazione. Un destino che lo porterà ad incontrare il passato degli altri cavalieri d’oro per condividere con essi un durissimo percorso in salita.
Tra la notte e il giorno, tra l’amore e l’odio, Mu camminerà sempre in bilico. La gioia è breve. La rinuncia lacera l’anima. Il pericolo è in agguato. L’occhio dell'Ariete continuerà però a fiammeggiare poiché è il custode della volontà di Atena ed è la chiave per giungere al cielo infinito.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Aries Shion, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'De servis astrorum' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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  Lo gel che m’era intorno al cuor ristretto
spirito e acqua fessi e con angoscia
de la bocca e de li occhi uscì del petto”

( D. Alighieri- Purgatorio, canto XXX )
 

 

- Voglio vedere mio figlio! Subito! -  urlò irata di disperazione Medea.

- Signora Koriassis, vi preghiamo…

- Portatemi da Aiolia!! Aiolia!! Avete capito?!

I medici non riuscivano a contenere il panico furioso della donna.
Versava lacrime d’angoscia.
Era pallida di dolore e di sfinimento.

- Ho visto il mio bambino condotto in barella…- diceva con voce affannata ed esasperata – e-era coperto di sangue! Aveva la testa fasciata! E’ da cinque ore in quella sala operatoria!!Che cosa gli è successo?!

- I chirurgi del Grande Tempio, stanno tentando il tutto e per tutto per salvarlo.

- Già…il Grande Tempio…. 

Medea si morse il labbro con violenza.
Era fuori di sé.
Non era una persona che  ostentava le proprie sofferenze in pubblico. Dura, estremamente riservata, metteva a tacere i ricordi  laceranti dell' esistenza con il  lavoro nei campi  e la conduzione della casa.

Sta volta era giunta davvero al culmine.

- Sempre il Grande Tempio…- mormorò con tono furibondo – prima mi ha tolto Aiolos, ora…vuole togliermi pure Aiolia?! Fatemi entrare in quella sala!!

Con uno scatto tentò di spalancare le porte del reparto rianimazione ma i dottori l’afferrarono bruscamente per le braccia e la misero a sedere su una delle panche dell’atrio d’attesa.

- Maledizione!! Lasciatemi!! Io lo sapevo! Lo sapevo!! Perché?! – gridava isterica – Aiolos e Aiolia, cavalieri!! Cavalieri!!No! No!No!

Scoppiò a piangere per l’ennesima volta.
Aveva la gola corrosa dalla paura.
Aveva il torace che le doleva enormemente per i singulti.

I suoi occhi verdazzurro… gonfi d’abbattimento: desideravano svegliarsi da quell’incubo.
Il viso… stravolto. Di collera. D’angustia. Di vecchiaia.

Un tempo era stata una fanciulla graziosa. Con la morte del marito, nelle cave di marmo a Nasso, aveva lentamente iniziato a decadere. Sulla sua pelle alcune  rughe s’erano depositate, facendola appassire giorno dopo giorno. Le preoccupazioni di piombo, il fardello della condanna d’Aiolos, il piccolo Aiolia alle prese con i durissimi addestramenti di guerriero…

A trentanove anni, pareva ne dimostrasse cinquanta.

La crocchia le si era sfatta lasciando alcune ciocche di capelli fuori posto.
Quella chioma castana era sbiadita da parecchi fili grigi.
Indossava un vecchio golfino chiaro e uno sciatto vestito blu scuro. Da anni ormai non si curava più dell' aspetto.
Che importanza aveva in fin dei conti?

- Signora Koriassis.

Un chirurgo uscì dalla sala operatoria con aria grave e  tesa.
Sforzandosi di restare freddo rivelò:

- Io e miei assistenti siamo profondamente mortificati.

Medea levò lo sguardo.

- Vostro figlio…è in coma irreversibile… Abbiamo dichiarato morte cerebrale.

Silenzio.
Silenzio, silenzio.

Silenzio d’irrealtà.
Silenzio d’un assurdo squartamento.

Scricchiolii.
Scricchiolii d’un animo che si stava disintegrando.

Quei brandelli di carne, quei filamenti di cuore precipitarono nelle acque melmose   d’un baratro.

Medea si alzò in piedi.
Muta.
Cadaverica come una luna moribonda.

-Vi prego- sussurrò  consumata - v-voglio vedere…il mio Aiolia…

Il capo dei chirurghi chinò il capo e la lasciò entrare nella camera.

Ella schiuse le porte.

Vide il letto sul quale era adagiato il ragazzino.

Si avvicinò febbrilmente.

Solo dieci anni…dieci anni…

Non aveva più l’aspetto di un bimbo piccolino, però…quel suo bel viso incrostato dal sangue e sudicio di polvere era ancora un po’ tondo, morbido.
Il  corpo gl’ era cresciuto  ma le membra conservavano una dolce puerizia e un vigore acerbo.

Medea  gli accarezzò le guance, i capelli castano chiaro come faceva prima che si mettesse a dormire.
Era severa, un po’ accigliata… pareva dispensare tenerezze di rado…in realtà si scioglieva sempre dopo le luci del crepuscolo…

- A-Aiolia…- disse con voce vacillante mentre gli stringeva le mani fasciate- tesoro, p-perché n-non apri gli occhi?

Il bambino rimaneva con lo sguardo serrato. Cereo.
Soltanto le ciglia nere sembrava che emettessero qualche guizzo d’illusione.
La bocca esangue era pietrificata.

Con dita tremanti, al pari di rami secchi, la madre gli coccolò nuovamente le ciocche ondulate e sporche della folta capigliatura.

- Aiolia…su…smettila di dormire…

L’elettrocardiogramma era atrocemente piatto.

- Aiolia…

Medea posò la fronte su quella del figlio, singhiozzando.
Lo ricopriva di baci e lacrime.

Incredula. Distrutta. Squarciata…

Abbandonò silenziosamente quella sorta di sepolcro asettico che odorava di ferri e anestetici.

Una sovrumana e inquietante desolazione albergava nei suoi occhi divenuti vitrei come coperti da  cataratte...


“ Non mi ricordo se in quel momento mi sentivo davvero morto…non so descrivere di preciso le mie sensazioni…avevo abbandonato il mio corpo… Sì, l’avevo proprio abbandonato perché ho ancora in testa l’immagine di me, sdraiato sul letto senza vita. Mia madre…mia madre che voleva che mi svegliassi e io che tentavo di rassicurarla… inutilmente.
Dalla mia gola non usciva nessun suono.
E lei piangeva.
No. Non volevo vederla così per nulla al mondo.
Volevo urlarle che ero ancora lì… però, maledizione, ero diventato completamente muto.
E lei piangeva,piangeva…
Improvvisamente venni risucchiato in un’altra dimensione.
Strana, nebbiosa, triste, spaventosa…una luce, comunque, provenne da un punto indefinito dell’orizzonte…si allargò sempre di più fino a che non mi comparve avanti una specie di portale.
Un enorme arco di marmo…
Dall’altra parte…uno splendido e sfocato prato verde.
Scorsi una persona  che stava camminando.
All’inizio non la conobbi poi, a mano, a mano che mi si faceva avanti…non potei più confonderla:
era mio fratello! Aiolos!
Era impossibile non distinguere il suo sguardo scuro tremendamente profondo! Quegli occhi che mi avevano sempre accompagnato, protetto al pari d’ un padre…
Era serio, oh, com’era serio!E… com’era abbattuto…mi disse che me ne dovevo andare da lì…non era giunto il mio momento…io non volevo lasciarlo…desideravo così tanto riabbracciarlo…mi era stato strappato via, dannazione! Ero e sono più che demolito nel guardare la casa del sagittario vuota…
Un’altra figura comparve in quello spazio di foschia luminosa e opaca..non riuscii a distinguerla perché Aiolos mi spinse al di fuori del portale…l’ultimo suo ricordo: un sorriso.
Un sorriso che avrebbe voluto stringermi. Un sorriso privo di gioia. Un sorriso che svanì subito…

Mi risvegliai…ripiombai nel letto…le prime parole che suonarono disciolte, impastate alle mie orecchie  furono che mi ero ripreso miracolosamente dopo dodici ore…

Le prime parole che mi fecero a pezzi e morire dissanguato nel petto furono che avevano…ritrovato mia madre.

Schiantata sugli scogli.

In quel momento mi sarei voluto spaccare la testa e cadere di nuovo in coma.” 
 

I suoni dei pensieri d’Aiolia scivolavano dalle guglie spigolose di  quel dirupo massiccio e scarno.
Erano  una cascata che si gettava  nei boati delle onde suicide.
I loro gemiti , che si fracassavano sugli scogli, parevano bagnare  il giovane guerriero…

Si rivelava una tortura  tornare lì, ma era impossibile non farlo.

La saliva rossastra del giorno esauriente  si mescolava come  polvere di rubini sul dorso del mare agitato…
Aiolia contemplava quello spettacolo affranto e atterrito. La scia scarlatta del sole sull’acqua era  il sangue della madre  che riaffiorava sulla superficie del presente…
Il passato si svelava veramente una strana ed inquietante creatura. Pareva scomparire tra le fronde dei giorni, dei mesi, degli anni . Pareva, insomma, morire.
No.
Il tempo remoto non aveva consistenza concreta. Non aveva corpo.
Era uno spettro, pura essenza immateriale. Immateriale in quanto parte dell’anima.

Aiolia lo sentiva pulsare dentro di sé.
Avvertiva il brivido vuoto di Medea prima di gettarsi da quel dirupo.

“ Egeo  preferì fondersi col mare piuttosto che accettare un’esistenza senza   Teseo…si buttò dal precipizio senza sapere che  in realtà suo figlio non era rimasto ucciso dal minotauro…Mamma…perché anche tu non sei stata in grado di aspettare? Quella prova a cui mi ero sottoposto non era riuscita ad ammazzarmi…solo tu l’hai fatto…”

Pegasus Ryuseiken!!

Il cavaliere del Leone si scostò fulmineo.
La roccia dinanzi alla quale si trovava finì crepata in due parti.

- Seiya!!

Giunsero trafelati una sacerdotessa guerriero dalla fulva chioma mossa e un bambino di nove anni.

- Mi dispiace tanto Maestra Marin!!

- Seiya, ti avevo detto di controllare la potenza del tuo attacco! È da due mesi che ci stiamo lavorando!

Aiolia sorrise divertito lasciando dissipare dal suo viso la tristezza.

- Senpai!! – esclamò imbarazzato  Seiya inchinandosi ripetutamente – scusami!! Non volevo colpirti!! Non volevo farti del male!!

- Tranquillo! – rise il giovane scompigliandogli i capelli castano scuro- sono abituato ad ogni tipo di assalto!

- Perdonaci, Aiolia – disse Marin affiancandosi al suo piccolo allievo – ci stavamo esercitando qui nei dintorni e…la situazione è un attimo scappata di mano.

- Ah!Ah! Ah! Un cosmo così impetuoso è una mareggiata che occorre padroneggiare  in più di due mesi!

Seiya sorrise ilare al guerriero del Leone: era il suo mito. Ogni volta che la Maestra gli permetteva d’assistere ai suoi addestramenti era al settimo cielo. Ammirava più che mai la nobiltà di quel giovane. I dilanianti lampi di luce del Lighting Bolt e del Laighting Plasma gli irroravano di potenza l’animo. Sembrava di tastare e prendere tra le braccia l’ influsso della costellazione del Leone. Era come sentire il ruggito della belva dorata entrare nei timpani e nei ventricoli del cuore.
Marin, da dietro  la pallida maschera, osservò il bambino e poi Aiolia…   I  begli occhi nocciola , che nessun ragazzo  poteva rimirare, erano inteneriti e impensieriti.
 Seiya, ogni volta che fissava il cavaliere del Leone, faceva rilucere maggiormente lo sguardo e lo spirito. La carica positiva che gli veniva  trasmessa era un arcobaleno che si propagava dalle facce d’un diamante.
Per lei era un po’ diverso. Certo, stimava profondamente Aiolia…conservava dei ricordi incancellabili. Quando , da bambina,  s’era ritrovata perduta nella misteriosa dimensione del Gran Santuario, era stato lui a sorriderle per primo e a rassicurarla. In quel traumatico periodo, in cui s’era vista scaraventata dal Giappone  alla Grecia, soltanto egli s’era sollevato come un sole a levante.
Tante volte le aveva dispensato consigli sulla lotta, sulle tecniche d’attacco e di difesa. Era successo che si fossero addestrati assieme. Mai violento. La sua forza era costituita solo da dardi brillanti.

- Allora, Marin – le chiese il giovane interrompendo i suoi pensieri -  tu e Seiya vi allenate ancora un po’ prima d’andare a cena?

- Sì,  proseguiremo ancora per mezz’ora. Tu, invece, eri in pausa? Ti avevo visto dileguarti dall’arena del Grande Tempio…

- È da sta mattina presto che io, Milo, Camus e Al ci alleniamo … mi sono concesso un attimo di tregua prima d’ultimare le  scazzottate che  Scorpio si merita!

Risero.

- Sempre a gonfiarvi di botte e calci ? Non potete cambiare copione?  – domandò scherzosa Marin.

- È lui che è un rompiscatole…mi sfotte dicendomi che sono solo buono a passarmi il filo interdentale tra le zanne! Io invece penso che sia molto bravo a mettersi lo smalto rosso sulla sua cuspiduccia da aracnide…

Seiya rideva a crepapelle.

- Scommetto che vi volete un gran bene! – fece la ragazza.

Aiolia sorrise, esibendo la sua bella dentatura alla luce del sole tramontante…
 Sì…per il piccolo Seiya era un eroe…per lei era il giovane più stupendo che avesse mai contemplato.
Non lo considerava soltanto un valoroso compagno di lotte.
Studiava ogni suo  gesto da donna.
Non vedeva in lui alcunché d’infantile: il mondo delle battaglie l’aveva fatto allontanare rapidamente dalle frivolezze puerili.
Sembrava già un uomo.
Il suo corpo rispecchiava tutta la nobiltà e la bellezza degli armigeri e dei semidei scolpiti dagli artisti dell’età d’oro della Grecia. Potenza, grandezza, gloria. Non c’era nulla di cui meravigliarsi se quel ragazzo riusciva a conquistare miriadi di fanciulle…Marin doveva sopprimere la propria gelosia  e mettere da parte l’ immensa tristezza che le notti la risvegliava col cuore pesante e uggioso…
Non era un’adolescente normale.
Portava la maschera da sacerdotessa guerriero.
Nessun uomo doveva guardarle il viso. Nessuno doveva leggere la sua femminilità. Se per errore qualcuno  avesse commesso un tale atto due erano le alternative: ucciderlo o innamorarsi di lui.

“ Solo per uno sbaglio ti potrei amare liberamente, Aiolia…” pensò con l’alone  d’amarezza in  sé “ basterebbe che tu mi facessi volare via la maschera in un combattimento. Finalmente avrei la possibilità di appartenerti come una ragazza normale…purtroppo…non posso…le leggi sono leggi…siamo guerrieri d’Atena prima di tutto…io…sono una sacerdotessa e…tra l’altro… non so se provi i miei stessi sentimenti“.

Continuò a guardarlo.
Seiya gli chiedeva suggerimenti riguardo tecniche di lotta.
La giovane non era mai stanca di saziarsi dei suoi occhi verdazzurro : brillanti d’acqua, di piante estive…brillanti, a volte, dei riflessi notturni della mestizia. Sebbene egli fosse abile a celare le ombre della sofferenza , lei udiva dal profondo di quello sguardo i rintocchi delle lacerazioni.
Come sarebbe stato accarezzargli i capelli castano dorato, abbracciarlo affinché ogni nube finisse polverizzata?
Come sarebbe stato appoggiarsi contro il suo petto per non addormentarsi in un deserto buio di lenzuola ruvide e gelide?

- Marin, tutto bene? – le domandò con la sua  voce protettiva, Aiolia.

- Oh, certo! Certo…

- Sicura?

Marin sentì il cuore balzarle via del petto: il ragazzo riusciva ad entrarle dentro nonostante non la guardasse direttamente negli occhi.

- Sì…- mormorò lei ridendo piano – riflessioni di poco conto, niente di che.

- Maestra Marin, sei stanca? – le chiese Seiya andandole vicino.

- No, furbacchione-  rispose pizzicandogli la guancia – sono ancora abbastanza sveglia da farti fare tre giri di corsa attorno all’acropoli.

- Cosaaa?! M-ma…non è tanto?

- Per un cavaliere non esiste la parola “ tanto”. Nessun allenamento è mai sufficiente per la perfezione.

Il bambino deglutì sgomento.

- Maestra…io….io  p-però…

La ragazza rise.

- Su, scherzavo…ti concedo solo mezzo giro e basta. Dopo andiamo a cenare e alle nove a letto! Guai a te se ti becco ancora sveglio a giocare alle dieci e mezza!

- Sì, Maestra…

Delle urla belligeranti  sovrastarono i boati delle onde del mare.
Appartenevano ad una…ragazza.

Seguirono delle altre grida sghignazzanti.
Erano famigliari e…maschili.

Aiolia sbuffò alzando gli occhi al cielo.

- Oh, mamma…che cavolo sta combinando quel deficiente di Milo?

- Non si starà affrontando mica con…

Marin non ebbe tempo d’ultimare la frase che piombarono fulminei, rotolando giù dal sentiero  che conduceva all’arena, due lottatori: una sacerdotessa guerriero dai capelli biondo-verdino e il cavaliere dello Scorpione.
La giovane, a cavalcioni, sul suo avversario, tentava furiosamente  di prenderlo a pugni.
L’altro ridendo, con la schiena per terra,  parava tutti i colpi.

- Bastardo!! Credevi che mi fossi scordata di pestarti come un cane?! – sbraitò la guerriera.

- Su, tesoro! Non ce l’avrai con me per quella cosa di due giorni fa?

- Non sono  una di quelle sgualdrinelle che va in  fibrillazione  per i tuoi complimenti e si struscia  a letto con te!

- Esagerata! T’avevo solo detto che hai messo su un gran fisico e che sei sexy quando spari il thunder clow!

- Razza di…

- Emh…Shaina?

- Che vuoi, Marin?!

- Ti faccio  presente che…sei in una posizione un po’ sconveniente…

Shaina si riprese un attimo dall’impeto collerico e guardò le proprie cosce attorno al ventre di  Milo…in effetti quell’ atteggiamento si poteva equivocare  e inoltre lei era una sacerdotessa…
Per fortuna la maschera le coprì il violento rossore dell’imbarazzo.
Scorpio rise malizioso dicendo:

- Non t’agitare serpentella! Continua pure a divertirti sulla mia giostra! Non mi dai certo fastidio!

La ragazza gli sferrò un pugno e s’alzò in piedi.

- Porca zozza! Humor zero, eh? Sei più acida d’un limone!- si lamentò Milo massaggiandosi la guancia arrossata.

- Non è colpa mia se sei un cretino di prima classe.

- Stronza!

Shaina gli diede un calcio nel fianco.

- La prossima volta miro ai testicoli  così non farai il puttaniere  per un mese…

Seiya rimase un po’ spaventato dalla ragazza…se già si mostrava una leonessa in quel frangente in quale altra terribile fiera mutava in battaglia?
Aiolia , intanto, s’avvicinò all’amico guardandolo con un sopracciglio inarcato.

- Sai, Milo – osservò carezzandosi il mento –  non sei un cretino di prima classe…sei proprio un  fuori classe di coglionaggine.

Il guerriero, dimentico del fianco dolente, scattò in piedi sbottando:

- Ma che cacchio! Uno non può neanche constatare  cose positive?

- Ricominci?! – esclamò Shaina  avvicinandosi minacciosa.

- Tu hai le cervella frullate! Che male c’è se ti dico che sei uno schianto  di ragazza?

- Io sono una sacerdotessa guerriero, non l’ultima oca giuliva che ti ronza attorno!

- Ti sembra normale assalirmi come un’arpia isterica, dopo che sono andato a pisciare?! Beh, comunque avere le tue gambe attorcigliate ai fianchi è stata  una bella sensazione…

- Brutto maniaco…

Marin trattenne Shaina per una spalla.

- Milo, dacci un taglio – sospirò – Shaina , calmati.

- Non posso sopportare gli atteggiamenti di questo imbecille!

- D’accordo…Milo poteva evitare le sue uscite da gradasso, tu però , come al solito,  vuoi spaccare  tutto…

- In che modo non dovrei spaccargli la testa?! 

- Respirando profondamente e prendendola con filosofia.

- Tzè…filosofia…filosofia…ma per favore…

Fiera e temibile al pari d’ un’amazzone, girò sui tacchi e prese la direzione del campo d’addestramento delle Sacerdotesse Guerriero. Nonostante non fosse particolarmente alta, era quasi impossibile che passasse inosservata. I suoi capelli,  lasciati indomati come crine di cavallo sulle spalle, avevano la tonalità splendente e letale del veleno. La maschera argentea che portava era decorata attorno agli occhi con un motivo sfrangiato color viola. La corazza,  che le avvolgeva il busto snello, e la calzamaglia verde scuro , che le esaltava le gambe toniche e lunghe,  la rendevano misteriosa e attraente. Shaina, tuttavia , si faceva temere: si comportava duramente, parlava in tono scarno oppure in modo scorbutico. Le piccole apprendiste avevano paura di lei. Gli altri guerrieri si  tenevano alla larga.
Marin , all’inizio del proprio  addestramento, s’era scontrata col suo carattere difficile ma alla fine aveva condiviso assieme a lei l’aspra condizione del loro ruolo.

- Shaina s’infiamma subito – disse guardandola mentre s’allontanava – bisogna saperla prendere in un certo modo…non è facile…

- E ti credo! – aggiunse Milo – è più assassina del serpente della sua costellazione!

- Tu sei geniale… – lo canzonò Aiolia – fare il figo con Shaina che ti può sfrappolare per bene…

- Il pericolo è il mio mestiere! Bisogna  rischiare!

- Rischiare  di ricevere il prossimo calcio dritto nelle biglie?

-  Vai a cagare!

- La tua cristalliera stava per essere messa a repentaglio, eh.

- Cristalliera a parte, secondo me, la serpica è tutta da scoprire…

Marin sorrise lievemente da dietro la maschera e asserì:

- Hai ragione,Milo…ci vorrà tempo ma anch’io penso che Shaina non abbia ancora mostrato se stessa completamente…

Stettero un breve istante in silenzio.
Seiya, alla fine,  domandò timidamente:

- Emh…Milo?

Il ragazzo gli rivolse i  vivaci occhi azzurri sorridendo.

- Dimmi.

- Tu…e Shaina…tornerete di nuovo a combattere?

Il bambino era  pieno d’entusiasmo e di speranza.
Milo si mise a ridere con Aiolia.

- Caspita! Non sai quanto mi piacerebbe un bel corpo a corpo…

- Sempre ai corpo a corpo pensi…- sorrise il cavaliere del Leone.

- Micione,  non fare il santerellino che anche tu sai  andare egregiamente all’assalto…

- Cosa? – chiese Seiya perplesso.

- Niente, niente…non ascoltarli…- fece Marin posandogli una mano sulla spalla – scusate  ma  dobbiamo finire l’addestramento d’oggi.

La ragazza e il suo allievo si congedarono prendendo la direzione dell’acropoli.
Aiolia rimase , per alcuni  minuti , incantato a scrutare la graziosa e slanciata figura della sacerdotessa. Indossava la leggera armatura d’addestramento, le ginocchiere, i guanti eppure…lasciava vagare nell’aria una tenerezza indescrivibile. Marin era una guerriera potente, agile, fulminea come l’aquila  delle sue stelle…quando,  però , camminava sui sentieri di sabbia e ciottoli , si sedeva sui massi , si fermava a riflettere dinanzi  al mare pieno d’ammassi schiumosi,  diventava una rondine in gabbia alla ricerca d’un cielo in cui migrare.

“ Marin…di che colore sono i tuoi occhi? Come sono le tue labbra? Come sei quando sorridi, quando piangi, quando t’arrabbi? “

- Oh! Aiolia! Ti spicci? – lo scosse Milo che si stava avviando verso l’arena.

- Sì, arrivo!

- Meglio che raggiungiamo Camus e Al…non vorrei che combinassero qualche casino.

- Infatti…già da sta mattina c’era puzza di tensione…dovevamo stare attenti che non venissero disintegrate troppe cose!

- Guarda, mi sto rompendo di sta’ situazione ! Camus continua a fare lo stronzo e se Al s’incazza definitivamente son cavoli amari…

La terra tremò.
Seguirono echi rabbiosi d’ingiurie, minacce e maledizioni.
Le urla stentoree di Aldebaran erano inconfondibili.

- Ecco! – esclamò Aiolia – come volevasi dimostrare…

- Perfetto! Oggi è il giorno dei giramenti di palle!

I due corsero febbrilmente e giunsero all’arena.
Il guerriero del Toro ruggiva furibondo con  le gambe intrappolate in spessi monoliti di ghiaccio.
Cercava di colpire Camus  con il great horn ma questi evitava abilmente il suo attacco assaltandolo con raffiche di calci.
Il colosso aveva braccia potentissime con cui difendersi però l’ intensità  dei colpi del francese si mostrava altrettanto micidiale.

- E tu avresti la potenza del Toro? Fai pena – affermò Camus sarcastico e gelido.

- Hai reso, bastardo!

Aldebaran distrusse le colonne ghiacciate che gli impedivano i movimenti e sferrò un violento pugno che procurò una fenditura nel terreno profonda parecchi metri.

- Al! Camus! Smettetela!! – gridarono invano Aiolia e Milo.

Il gigante continuò a bersagliare Camus che prontamente si schermava con dure barriere gelate.

- Idiota. Credi di potermi finire con la tua tecnica del cavolo? – lo beffeggiò il guerriero dell’Acquario.

- Tappati quella fogna  se non vuoi finire col cranio fracassato, stronzetto!

- Pensa a non finire col culo per terra.

Alla velocità della luce Camus diede forma ad un tornado di gelo che scaraventò il rivale in aria facendolo precipitare al suolo.

- Camus! Piantala! – gli urlò Milo strattonandolo bruscamente.

Aldebaran si rialzò, sporco di polvere, irato e umiliato.
Stringendo i denti in una terribile smorfia, tentò di scagliarsi contro l’avversario ma Aiolia lo trattenne con incredibile forza per un braccio.

- Mollami,  Aiolia!! – esclamò – devo spezzare la schiena a quel pezzo di merda!

- Basta con ste’ scemenze! Datevi una regolata e chiudetela qui! Siamo e saremo compagni di battaglie! Se facciamo gli stupidi non andremo da nessuna parte!

- Aiolia, ha ragione! – ribadì Milo – vi ricordo, teste di cacchio,  la Triade Templare d’Occidente! Cerchiamo di cooperare in modo decente!

- Dillo al bestione…- disse Camus squadrando con aria di sufficienza Aldebaran – sono seriamente preoccupato di avere un cervello vuoto in squadra…i suoi attacchi, tra l’altro, non sono tutto sto’granché.

- Anche io sono seriamente preoccupato d’avere un francesotto rompiballe in squadra – ringhiò con sguardo torvo l’enorme ragazzo.

- Siete un trituramento di nervi! – s’esasperò il guerriero dello Scorpione.

- Sono convinto  – appurò indolente Acquarius – che  i bovini dovrebbero pascolare ed evitare di confrontarsi con chi ha,  magari, raggiunto livelli più alti di loro.

- Vola basso, surgelato d’esportazione russa!- ribatté l’apprendista del Toro.

-  Sai, Aldebaran – sorrise velenoso il francese – mi domando in che modo tu sia sopravvissuto nelle paludi amazzoniche e nella tua baracca di rottami pericolanti…

Pensando alla sua adorata  famiglia, il brasiliano strinse rabbiosamente i pugni e rispose  colmo di fiele:

- Perché non pigli un volo di sola andata per l’Antartide?! Ah,  già! Dimenticavo!  Non ne sei capace visto che te la fai ancora sotto alla vista d’un aereo! 

I lineamenti di Camus vennero stravolti da una collera profonda.
Un dolore remoto si propagò nel sangue.
Gli occhi blu impallidirono di tuoni. Le sopracciglia corrugarono la fronte in un’espressione spaventosa.
Le mascelle si serrarono metalliche.
Era raro vedere l’adolescente  perdere la calma in quel modo.

Aurora execution!! – gridò adirato il Cavaliere dell'Acquario.

Great Horn!!- urlò Aldebaran.

Lighting Plasma!

- Scarlet Needle!

Saette di velocità.
Aiolia , con la sua potente barriera luminosa,  scongiurò l’assalto del Cavaliere del Toro. Milo, colpendo  Camus, deviò nel cielo la traiettoria dell’aurora.
Erano stati estremamente tempestivi.

- Camus…- Scorpio s’avvicinò all’amico che si stava rialzando lentamente da terra. Non gli aveva inferto la cuspide scarlatta nella maniera letale dei combattimenti.
Gli porse la mano per aiutarlo ma lui gliel’allontanò in malo modo.

- Ce la faccio da solo! – sibilò aggressivamente scrollandosi la polvere di dosso e allontanandosi dall’arena.

- Camus, aspetta!

Milo lo raggiunse afferrandolo per una spalla.
Venne spinto ruvidamente via.

- Che se ne andasse all’inferno, quello stronzo! – proruppe Aldebaran, fissando con disprezzo la figura di Camus che s’avviava verso le Dodici Case.

- Aldebaran! Che diamine! – lo riprese Aiolia fissandolo duramente.

- Non me ne frega niente di quello lì! Può anche rompersi il naso scivolando per le scale!


Milo irritato gli andò contro.

- Razza di scemo! Quella battuta del cazzo  te la potevi risparmiare!

- Ma buttatevi a mare!

Aldebaran se ne andò via con il fumo che gli schiumava da tutti i pori.

 

 

Camus salì velocemente le scale delle Dodici Case.
Il cuore  gli batteva all’impazzata gonfio di rabbia e d’ematomi di tristezza.
Non poteva soffrire le arterie che minacciavano di stracciarsi al pari di fogli di carta inumiditi.
Dov’era il freddo?
Dov’era il gelo che intrappolava ogni ansito di tremolio?
Dov’era il ghiaccio?

Il ghiaccio, il ghiaccio, ghiaccio…

Sotto le sue lastre qualunque coccio di lacrime si fossilizzava ibernandosi come un’antica creatura preistorica.
L’inverno però si scioglieva.
Cos’era la neve se non acqua disperata, leggera e affranta che solidificava per non disperdere le  sue fragili molecole?
Il petto del cavaliere dell’Acquario ansimava  per lo sforzo della corsa e per la fatica di sopprimere il pianto.
Le lacrime tentarono di rovesciarsi fuori dalle palpebre. Lui se le asciugò irosamente ma tutto parve inutile.
Era fastidioso vedere i gradini di marmo bianchi e ciechi  sfocarsi.


Giunse trafelato dinanzi all’Undicesima Casa.
Vide le navate vuote e gelide del tempio.

Le guancie si bagnarono…rivoli di pioggia scivolarono simili a fili di diamanti disciolti…
Vinto dal bruciore che gli aveva squagliato l’iceberg su cui dimorava, il ragazzo crollò a sedere sulle gradinate dell’ingresso.

Prese a singhiozzare come un bambino.

Era da tanto che non lo faceva e s’era ripromesso di non farlo.
Le lacrime non s’addicevano ad un guerriero d’Atena, ma in quel momento l’armatura d’oro era troppo lontana. In quel momento  si trovava faccia a faccia solo con se stesso.
Le labbra gli tremavano inumidite e salate di pianto.
Gli occhi totalmente allagati erano ancora più blu, più oceanici…erano dotati una mestizia talmente splendente che un pittore pareva li avesse dipinti  col suo colore ad olio più trasparente e tragico.Le ciglia che li ornavano erano fronde d’albero nero cosparse di brina.
Camus sollevò al cielo il bel viso smarrito, esausto e frustrato.
Voleva fondersi con l’indaco del crepuscolo, divenire vapore e diluirsi tra le mani delle nuvole…
Alcuni gabbiani disegnavano invisibili cerchi d’aria…
Sotto il firmamento che cantava il requiem al giorno morente, il mare d’Atene ondeggiava di riflessi di setoso piombo.

Il giovane con voce smorzata e opaca sussurrò le parole d’una canzone:
- Je vois le ciel, je vois les mouettes , je vois les bateaux qui dansent  sur la mer. C’est comme ça quand je te regard, cherì …

Deglutì chinando la testa e abbracciandosi le ginocchia.
Non ebbe più il coraggio di proseguire…
 

Le abat-jour di quella  stanzetta d’albergo canadese  ninnavano le  ombre dorate della notte.
Sul grande letto matrimoniale il piccolo Camus stringeva felice il suo regalo di compleanno: uno splendido orsacchiotto bianco.
Era il sette febbraio. Aveva compiuto sei anni.
Nessuna festa. Nessuna torta.
Solo Rosalie. Solo la madre e la sua insostituibile luce.
Per il bimbo era la donna più bella del mondo. Il volto delicato e un po’ pallido era quello delle fate delle fiabe, gli occhi blu , aleggianti di malinconia, cullavano con i loro flutti di sogno. I capelli  lunghi erano dello stesso colore delle castagne e incredibilmente leggeri come foglie d’autunno.

- Su, amore è tardi. Domani dobbiamo tornare a Marsiglia, a casa nostra.

- Io però non ho sonno.

La donna rise e gli accarezzò teneramente il faccino.

- Dici sempre così quando divori come un animaletto la tua cena! Alla fine poi crolli! Avanti, infilati il pigiama…

- Ma sta volta…

- A  nanna,  Camus.

Un po’ abbacchiato  si lasciò sfilare il maglioncino, la camicia e i pantaloni.
La mamma gli fece indossare la tenuta da notte e gli rimboccò infine le coperte.
Camus afferrò il morbido peluche e se lo mise affianco.

- Mamma?

- Sì?

- Mi canti la canzone azzurra?

Rosalie sorrise dolcemente, sdraiandosi affianco del figlio che le posò sul petto la testolina  dai capelli verde acqua.
Tra il sapore d’una carezza e l’altra la giovane schiuse le sue sottili labbra rosate e intonò morbida la ninna nanna:

- Je vois le ciel,
 je vois les mouettes ,
je vois les bateaux qui dansent  sur la mer.
C’est comme ça quand je te regard, cheri,
parce que tu es mes étoiles.
Tu es mes fleurs de printemps.
Dors- toi tranquille, mon petite.
N ’avais pas  peur de l’hiver.
Je suis à coté de toi,
avec tous le chaleur,
avec tous l’amour.

 

Fuoco.
Un’esplosione.
Vetri. Pezzi di lamiere.

L’aereo partito dal Quebec non giunse mai in Francia.
Sull’Oceano Atlantico un terribile guasto alle ventole delle ali  squarciò tutto.

Pochi minuti.
Minuti che erano bastati per crivellare per sempre un cuore, una mente che non aveva mai temuto le perturbazioni artiche.

Furono esigui istanti.
Il ragazzo aveva impressa nella memoria l’ala dell'aereo plano  che saltò in aria frantumando i finestrini dei passeggeri.
L’ultima immagine prima del buio: Rosalie che lo abbracciò  disperata  coprendolo dall’ondata infernale di denti di vetro e metallo acuminati. 

Le tenebre.
Tenebre.
Tante tenebre. Troppe tenebre.

Infine una flebile luce.
Un piccolo neon freddo.
Quattro pareti scure.
Il rettangolo d’una finestra che mostrava il volto della notte.
Il ticchettio acido e gelato d’un orologio.

La camera d’un ospedale.
Solo un letto.
Nessuna canzone.
Nessuno sguardo blu  di coccole e protezione.

All’inizio Camus non comprese nulla…
Le cose gli vennero sgusciate come grigie uova poco per volta.

Era stato condotto ad Atene, nell’ospedale del Gran Santuario.

Gran Santuario… Una parola cava al pari d’una grotta oscura….

Una nave di Cavalieri proveniente dalla Siberia e diretta in Grecia l’aveva visto galleggiare sui brandelli della carcassa carbonizzata dell’aereo.
Un miracolo…impossibile…straordinario…i guerrieri avevano percepito la presenza del suo cosmo che , per la prima volta, sulle acque degli abissi, s’era acceso…

L’unico sopravvissuto.
L’unico emerso, sommerso dal buio.
Quando il piccolo realizzò di aver perso l’amore lasciò morire la propria voce.

Desiderò vivere muto, fingendo di vedere e d’ascoltare.
Le uniche cose che camminavano per davvero: le lacrime che bagnavano la federa del cuscino inerme.
Il resto era tappezzato di facce di giornale che tentavano di raccontargli futilmente il mondo.
I mesi successivi trascorsero uguali a chicchi di grano secchi trascinati dal vento.

Le infermiere osservavano  preoccupate e intristite.
Il bambino disegnava convulsamente sui fogli che gli davano solo esplosioni rosse, nere e arancioni.
Solo fumo, pezzi di metallo.
Se lo conducevano nella sala dei giocattoli  non toccava  nulla.

Una calda mattina invernale a novembre…
 

Camus era assiso su una delle panche del cortile del retro ospedaliero.
Era un luogo pulito ma asettico e smunto.
Alcuni cespugli di piantine ornavano il lungo rettangolo di ghiaia giusto per spruzzare qualche macchia di misero verde.
Il cielo era azzurro e insensato.
Il sole era un lampadario dimenticato acceso su un soffitto troppo alto.

Silenzio.
Qualche uccellino che canticchiava per non venire assordato dalla solitudine…

Un leggero rumore.

Il bimbo si voltò verso la gradinata del giardinetto che saliva una piccola collina che conduceva al villaggio di Rodorio.
Una palla rotolò giù dai gradini.
Si scontrò con le gambe della panca di pietra.

Un bambino scese le scale correndo e sbuffando.
Poteva avere anche lui sei anni.
I suoi capelli erano d’uno strano blu-viola e gli coprivano la fronte con una folta frangia.
Indossava una piccola corazza che gli proteggeva il petto e le spalle.

Camus lo fissò perplesso.

-Ehi! –gli  fece l’altro - scusa, mi passeresti il pallone?

Scendendo dalla panca, come un automa dal viso e dagli occhi d’acciaio  , lo restituì.

- Grazie!

Camus restò in un silenzio inespressivo..
Il bambino lo guardò incuriosito.
Non aveva mai visto due occhi blu così spenti ma profondi.
Erano addormentati però…attendevano qualcosa…forse dei raggi che attraversassero i fori delle persiane…forse il canto d’un gallo…forse una campana dorata che destasse le colombe dai loro cunicoli di pietra.

- Vuoi giocare con me?

Il piccolo francese fissò lo sguardo del suo interlocutore con maggiore attenzione: era azzurrissimo. Il nero lucente delle pupille contrastava con il chiarore dell’iride cantante.

- Mi chiamo Milo – sorrise mostrando i denti bianchi che gli stavano crescendo.

Altri istanti di silenzio…
Milo tentò d’incitare l’altro inarcando le sopracciglia con fare solare.
Niente.
Alla fine domandò:

- Emh…tu…come ti chiami?

Camus lasciò trapelare qualche piccolo guizzo.
Si grattò l’avambraccio, volse il viso a destra, a sinistra e poi al suolo.
Dai suoi occhi l’apatia s’era dileguata…le sue piccole labbra erano chiuse ma non immobili…

Per un brevissimo minuto Milo udì un lievissimo suono…

Camus tornò a guardarlo con  un’espressione disagiata e desiderosa d’aprire le proprie vetrate.
Dalla gola,  rimasta per  mesi sigillata,  pareva non riuscisse a fuoriuscire alcuna sillaba…

- C…C…

Il piccolo francese inspirò ed espirò un po’ tremando.

- Ca…Ca…Cam…C-Camus.

Pareva avesse rotto una diga di cemento.

- M-mi…c-chiam-mo…Camus.

- Bene, Camus! – esclamò allegro Milo – vuoi stare in porta o vuoi tirare?

- Non…n-non…s-so…

- Cosa?

- Io…n-non…s-so g-giocar-re tanto…tan-to…b-bene.

- Dai! T’insegno io! Mio papà è al Grande Tempio e ci metterà un sacco a uscire di lì! Abbiamo tempo!

Dopo giorni,settimane, mesi Camus mosse all’insù gli angoli della bocca.
Sulle  guance la coltre argillosa della mestizia prese piano,piano a sgretolarsi…

Il sole, moneta di lava incandescente, stava per finire definitivamente  nel forziere della sera.
Solo mezzo arco della sua fronte sporgeva implorante sul diadema  dell’ovest.
Camus avvertì  il calore lasciargli piano,piano le mani.

Come avrebbe fatto senza Milo?

“ Sei tu l’astro del giorno, amico mio…anche se attraversi la notte, le tane scure e lotti contro rapaci e pipistrelli ti ritrovo a est all’inizio di ogni mattino…sai cos’è l’oscurità…hai paura ma non vuoi uscire sconfitto. In che modo  riesci?  Io sono soltanto un’aurora boreale che fa luce, trema e poi svanisce…sono soltanto un riflesso del sole perché sono inverno. Inverno di ghiaccio che si sbriciola. “

Il sole calava sempre di più nella gola del buio.

“ Milo. Perdonami per prima. Sono stato imbecille. Mai ti spingerei in un abisso. Sei stato tu a tendermi la mano per primo affinché io non cadessi giù…” 


Marzo.
Camus attendeva al Pireo la nave che l’avrebbe condotto in Francia, a Le Havre. Da lì sarebbe dovuto salpare sul transatlantico  per la Siberia.
L’astro diurno era coperto da alcuni cirri bianchi inargentati di grigio.
Atene pareva un enorme plastico esposto in una stanza dalle volte celesti opache.
Il mare gorgogliava e russava come un anziano marinaio dormiente su nodi di corde.

Perché le barche e le navi galleggiavano sulle onde? Perché non volevano andare giù, in profondità danzando al ritmo squamoso dei pesci?
Camus pensò che nei fondali si morisse.
Quando si cade ci si fa male.
Quando si cade si  annega.
Quando si cade si sparisce nell’Eternità.

L’aereo…s’era distrutto nel fuoco del nulla. Le sue membra sarebbero state inghiottite dall’oceano con le ceneri dei passeggeri…
Rosalie s’era fusa con la polvere d’essi.

Dinanzi al blu infinito e libero che imprigionava di paura, il bambino volle di nuovo piangere.
Vi erano altri cavalieri che si trovavano ad affrontare il suo stesso viaggio ma era come stare in una piazza  vuota nel cuore della notte.

- Camus!

Il bimbo si girò.
Milo gli venne incontro.

- Quando arriva  la tua nave?

- Tra mezz’ora, da quel che ho capito…

- Andrai in Siberia?

- Sì…

I due tacquero.
Il vociare dei pescatori, dei commercianti e dei guerrieri pareva il gracchiante rumorio d’una vecchia radiolina.
Qualunque suono volante si estingueva nell’orizzonte in cui cielo e mare si baciavano.

- Starai via molto?- fece il bimbo greco.

- Mi hanno…detto…sei mesi…

- Sai chi sarà il tuo Maestro?

- Sulla nave per la Siberia vedrò…la mia Maestra…si chiama…Eirene.

- Oh…capisco…io come Maestro… ho mio padre.

Milo assunse una strana espressione.
I suoi occhi azzurri respirarono una  qualche bigia foschia.

- Tuo papà…- gli chiese piano Camus- ti…ha insegnato a nuotare?

- Sì, perché?

- I-io…un po’ ci riuscivo ma insomma…

- Ti dirà come fare la Maestra Eirene!

- A cosa serve nuotare?

- Eh?! Come a cosa serve?! Riesci a stare nell’acqua, diventi forte e le onde non ti faranno paura!

- Sì, certo…però uno si stanca…e va giù. Quando sei giù…resti lì.

- Ma…

- Io n-non voglio a-andare giù…giù fa buio…non c’è niente…niente…

- Non è vero.


Camus lo squadrò interrogativo.
Milo sorridendo rispose:

- Sotto ci sono tante belle cose. Strane piante, pesci dei colori del sole, del cielo,del fuoco. Mia mamma me lo raccontava sempre. Lei era bravissima a nuotare e ad andare sott’acqua. Mi aveva portato questa, guarda.

Tirò fuori,  dalla tasca del suo pantalone ,  un piccolo contenitore di vetro pentagonale.

- U-una stella? – domandò Camus.


- Sì! Ce ne sono molte in fondo al mare! Ti piace?

- E’…molto bella…

- Te la regalo!

- Tu però non ce l’avrai più…non te l’ha  data la tua mamma?

- Non preoccuparti…lei  è lì…

Indicò il cielo.

- Adesso è invisibile, ma è Antares la stella più grande dello Scorpione, il mio segno. Io so che ora è fiamma. Quando faccio brutti sogni mi alzo dal letto e guardo il cielo. Dopo sto meglio.

Camus ammirava la stella marina dalle esili ed eleganti braccia sabbiose. 

- Vedrai! – proseguì Milo – quando saprai nuotare potrai andare sul fondo e dopo potrai  risalire! Sarà fantastico! Vedrai le stelle del mare e della notte! Le stelle sono in alto e sono in basso!

- Sono fatte quindi di aria e d’acqua?

- Certo…ma possono anche bruciare e fare ancora più luce!

Il francese affascinato ascoltò in silenzio.
Sorridendo , tentando di coprire la tristezza , soggiunse:

- Milo?

- Mh?

- Continueremo a prendere stelle sia nel mare che nel cielo?

- Sì…lo faremo sempre!


 Un fruscio.
Sfaldato, sfuocato, sfiammato…

Camus interruppe il fluire dei ricordi per voltarsi verso l’entrata dell'Undicesima Casa.
Una nebbia densissima avvolgeva  le navate.
Esitante e un po’ inquietato, il ragazzo si alzò ed entrò nell’edificio.

Per quale strana ragione s’era verificato un fenomeno simile?

Avanzò lentamente con tutti i sensi all’erta.

Nessuna presenza.
Solo il bianco della foschia che riluceva  latteo.

Continuò a proseguire.
A mano a mano che s’inoltrava, parve che il rumore dei suoi passi divenisse sempre più foderato fino all’annullamento  totale.

Che fosse diventato sordo?

No…sentiva benissimo il battito accelerato del cuore.
Non vedeva dove stava andando.
Non udiva lo scalpitio dei suoi stivali.

Tutto era fastidiosamente compresso in un vuoto orbo.

Camus desiderò uscire dalla Casa dell'Acquario ma la foschia era fittissima.
Dietro di lui solo candore.
Davanti a lui solo candore.
Era come se fosse stato  murato in una lapide di neve.

Seguitò a camminare diritto spinto dalla timorosa curiosità di conoscere l’origine di quel velo pallido.

Improvvisamente scorse…la sagoma tremolante d’un gradino, d’un altro e poi d’un altro ancora.

Da quando in qua v’era quella gradinata nel tempio?

Stordito dal richiamo d’un invisibile magnete, il ragazzo la salì, adagio.
Ai lati dei passamano d’acciaio.

Li tastò un attimo ma non diede loro importanza.
Andò avanti finché la scala non terminò dinanzi ad una porta:  le sue  linee oscillavano come fossero fatte di vapore.
Camus ne distingueva difficoltosamente i contorni.
Posò la mano su quella che gli pareva una maniglia.

Aprì…
 
S’addentrò.

Buio.

Ad un tratto dei puntini s’accesero in alto.
File di piccole luci a neon.

Camus sentì il cuore schizzargli in gola.

Impossibile.
 

Era finito su un aereo.
 

I polmoni presero a vibrare di freddo, di fiamma, d’angoscia.
Il respiro pareva costituito solo d’anidride carbonica.
I muscoli iniziarono a traballare.

Con gli occhi sbarrati il giovane si guardò attorno: ai lati  del  corridoio del veicolo alato le file delle poltrone.
Su di esse intravide le sagome dei passeggeri. Immobili. Mute.

Aleggiava un disgustoso lezzo…

Indietreggiò.

Un rumore secco : la porta s’era chiusa.
Si precipitò addosso alla maniglia.

- No! No! No! – esclamò mentre tentava di  scuoterla violentemente.

Il rombo dei motori ,  che s’accingevano al decollo, echeggiò.

Camus corse in mezzo alle file dei sedili in direzione della cabina di pilotaggio.

- Per favore! Fermatevi! Fatemi scendere! Fat…

S’interruppe bruscamente.
S’accorse con orrore di non aver osservato bene i viaggiatori.

Erano un branco di cadaveri mummificati.
La pelle rinsecchita e bruciata sembrava ancora squamarsi e cadere come stoffa imputridita.
Le ossa riflettevano il rosso del sangue marcio rovesciato dai capillari ormai disciolti in poltiglia.

- Voglio scendere! Voglio scendere! – urlò il ragazzo tornando di nuovo verso la porta.

Quattro micidiali graffi gli s’aprirono ustionanti sulla schiena.
Cadde per terra.

- Il signor Camus Daubran è pregato, cortesemente,  di non recare disturbo.

Venne trascinato per i capelli e scaraventato su una delle  poltrone situate dietro l’ abitacolo del pilota. 

Il giovane vide davanti a lui, l’individuo che gli aveva parlato con rauca voce d’oltretomba.
Le unghie delle  mani erano lunghi artigli di bestia. Sulla loro ferrea superficie  gocce di sangue….
Aveva una divisa blu  e portava un  berretto che gli celava nell’ombra metà viso.
Era alto. Alto e imponente simile  ai cipressi che sovrastano i cimiteri.
Era dotato d’una corporatura regale e  forte.

- Fatemi scendere subito! – gridò il Cavaliere dell'Acquario tentando di scattare in piedi.

Le cinture di sicurezza emersero improvvisamente cingendogli i fianchi e inchiodandolo a sedere.
Cercò spasmodicamente di slegarsi.

- Tu…- gli disse con tono nero il misterioso essere – tu…padrone dell'inverno dai dilanianti fiocchi di neve…t’abbandoni alle spire del panico? Bizzarra come cosa.

Emise una risata di vetri rotti.
Camus contemplò il suo sorriso. Era orribile. Brillava di denti acuminati da alligatore.

- Dovresti lasciarti pervadere dalla calma – proseguì – vuoi essere cagione di dispiacere per la tua adorata madre ? Non ti sei accorto che t’attendeva per questo viaggio?

Il ragazzo si sentì accarezzare il viso da una mano legnosa e scheletrica.

Con terrore si voltò alla sua sinistra e vide Rosalie che gli sorrideva. Era  irriconoscibile.
Il viso prosciugato, privo di labbra, era crivellato da scaglie di vetro e metallo.
Le orbite degli occhi erano vuote. Le palpebre tumefatte e sgorganti di sangue.
I capelli castani pendevano dal cranio come edera morta da un vaso crepato.
Infilzati nel braccio e nel torace pezzi di lamiere.

- Tesoro…dobbiamo tornare a casa…- mormorò la donna con voce inquinata di decomposizione.

- No…no…- fece Camus scoppiando in lacrime – non sei la mamma! Non sei la mamma! Non mi toccare!

- Cavaliere dell'Acquario – lo rimproverò il pilota beffardamente – ti pare giusto questo tuo atteggiamento nei confronti d’una madre?  Ti conviene accomodarti in tal modo sulle ali dell'incubo, tuo sommo dominatore?

Ridendo si tolse il cappello con gesto d’ironico benvenuto.
Le ciocche chiare dei capelli ondeggiavano, oltre le tempie,  al ritmo d’un vento mortifero.
Gli occhi , dal taglio spigoloso, fiammeggiavano di zanne di belva.
Sebbene la fronte , il naso e le gote fossero disegnati finemente lasciavano lampeggiare una bellezza diabolica e animalesca.

- Voglio scendere…voglio scendere…- replicava frantumato e folle di paura Camus.

- Suvvia! – esclamò l’inquietante creatura- sono assai lieto d’accoglierti nel mio regno! Un regno in cui anneghi spesso. Un regno in cui scrivi d’inchiostro e l’inchiostro ti si rovescia nel petto.

La divisa da pilota si sciolse in fumo divenendo un lugubre mantello viola dalle spalle aguzze.

- Io, Icelo , divino sovrano delle fobie, t’offro ,come ineluttabile omaggio, un volo nello scheletro della notte! 


Le grida di Camus non vennero udite da nessuno.

Solo una platea morta assistette al decollo corvino del terrore.

Terrore.
Gufo dallo sguardo spalancato.
Gufo seppellito nei tronchi dell'agonia.

 

 


Note personali: ciao a tutti! ^^  mi auguro, come al solito, che questo capitolo sia stato di vostro gradimento! È stato lungo, ma sta volta non l’ho voluto suddividere in parti poiché se no frammentavo una narrazione abbastanza organica che non richiede necessariamente una suddivisione come lo è stato per i capitoli 5, 6 e 8.
Nel cap 10 scopriremo: che fine farà il povero Camus nelle grinfie di Icelo ( anche costui, divinità dei sogni che compare in Lost Canvas) , come interverranno Milo, Aiolia e Aldebaran, ma soprattutto rivedremo di nuovo  il trio degli Arietini!!  XD  ovviamente, dopo l’excursus su Aiolia e Camus…non potrà mancare Milo! Eh!eh!eh! cosa racconterà il suo passato? Quali erano i rapporti tra lui e il padre?  Tutto questo vi sarà rivelato nella prossima puntata XD dovrei aggiornare ad ottobre ( spero proprio agli inizi! ^^ ). Se in futuro si potranno  verificare rallentamenti è perché partecipo anche ad un contest  ( sempre  nella sezione Saint Seiya ) “ perché cattivo è bello” , indetto da Violet Acquarius…è una storia di più d’un capitolo, quindi…-.-
Beh, ringrazio tutti i lettori che mi seguono e recensiscono!! ( un grazie particolare a Lady Dreamer, A Sara992 che mi ha sempre seguita anche se si è iscritta recentemente XD e alla silenziosa Banira XD )
Alla prossima !! ^^
 

   
 
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