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Autore: Belle_    13/09/2012    11 recensioni
«Usagi...», ripeté con dolcezza.
Le stava accarezzando le guance piene di biancore, poi passò a toccarle i capelli dorati lasciati anonimi sulle spalle, ed infine sfiorò le sue labbra con entrambe le mani, con tutte e dieci le dita. La toccava come se fosse tutta roba sua, come se in qualche tempo tutta quella pelle, quelle palpitazioni e quelle ossa fossero state sue. Solo sue.
«Usagi...», sussurrò ancora.
Si chinò sul suo viso con gli occhi dischiusi, le labbra pronte ad improntarsi sulle sue, il respiro spezzato da un'emozione più grande.
Ma lei si scostò, spaventata, e iniziò a toccarsi le mani con morbosità.
Lui le fermò con la sua presa salda, sicura e spaventosa, consapevole di quel vizio immaturo, e la stava fissando con quegli occhi suoi, color cielo. Un cielo antico si stava stagliando su di lei, un cielo pieno di dolore. Ed era tremendo trovarsi sotto una volta così agghiacciante e morbida, meravigliosa e terribile.
* * *
...se perdessi la memoria, a chi crederesti?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inner Senshi, Mamoru/Marzio, Outer Senshi, Seiya, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi, Seiya/Usagi
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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-3) Color Blu  
      Un po' acqua, un po' cielo.




Usagi si trovava nella grande stanza bianca e vedeva tanti vasi di argilla pieni d'acqua fino all'orlo, vasi color crema e senza un disegno, vasi fermi, duri, colmi di acqua limpida. Tantissime giare, sparsi per tutta la stanza bianca dalle mura alte, tanti che gocciolavano, tanti che riproducevano il suono dell'acqua. Fresco, rilassante. Il suono puro della natura. Usagi guardò i vasi e vide riflettere il suo viso sullo specchio d'acqua, un visetto pallido, tremante, impaurito. Fece più attenzione e nello specchio d'acqua trovò, oltre la sua immagine, il riverbero argentato della luna piena. Se ne stava sullo sfondo, dietro il suo viso, ferma nel cielo blu. Usagi si voltò indietro e vide soltanto le mura bianche, così tornò a guardare il riflesso nei vasi e c'era la luna ritratta su ogni pozza, scintillante, prosperosa, ammiccante. Luminosa. Luce d'argento si allungava sulla superficie delle pozze, il cerchio perfetto e ruvido brillava di bianco puro.
Argento e bianco, colori della luna.
Qualcosa deviò i suoi occhi dalle pozze e dalla luna riflessa.
… Disturbo... a lungo termine...
… Forma acuta...
… Retrograda...
… No... per fortuna, non...
… Amnesia...

Usagi spalancò gli occhi, ascoltando l'ultima parola che per lei significava il dolore più profondo. Amnesia, perdita della memoria. Malattia del suo cuore. Perdita delle persone. Trovò davanti a sé un uomo che stava seduto sul suo letto con le gambe lunghe e accavallate, i pantaloni rigidi che formavano uno svolazzo di lato. L'uomo gesticolava molto e Usagi non poté non vedere le lunghe dita snelle, curate, che stringevano un penna stilografica tra l'indice e il medio. Mani da dottore. Non si spiegava come faceva sapere come fossero le mani dei medici, ma c'erano così tante cose che non si spiegava, cose a cui non trovava spiegazioni. Cose come il suo incidente, come era finita in coma? Perché la madre ogni volta si ammutoliva e non profferiva parola? E cose come Mamoru. Come poteva essere possibile che lui fosse già fidanzato se amava lei?
Sospirò fortemente, distrutta.
<< Esatto, signora. >>, disse loquace, il medico.
Sua madre sbirciò di lato e poté vedere che Usagi aveva aperto gli occhi. << Usagi! >>.
L'uomo si voltò e sorrise a Usagi con un bellissimo sorriso affascinante. << Come stai? >>, le chiese mentre usava la sua pila per esaminare gli occhi. << Piacere, Usagi, io sono Diamond! Sono il tuo medico curante. >>.
Usagi strizzò gli occhi, ferita dal faro di luce che la investì improvvisamente, e storse il muso. << Piacere... >>, mormorò.
<< Hai mal di testa? >>.
<< Sì. >>, sospirò e finalmente la luce cessò di infastidirla.
<< Uhm, uhm. >>, annuì il medico e sorrise ancora.
Gli occhi di Usagi avevano smesso di avere bagliori che le bruciavano la vista e poté vedere la chioma argentata del medico, fili lunghi che coprivano il viso, e i suoi occhi profondi.
<< Usagi, ricordi cosa stavi pensando prima di perdere i sensi? >>.
<< A Mamoru. >>, ammise troppo sinceramente.
<< Mamoru Chiba? >>, chiese, innalzando un sopracciglio argenteo.
<< Credo... >>. Usagi si accigliò. << Lo conosce? >>.
<< Sì, è un tirocinante del mio reparto, anzi è il mio tirocinante. Che strano tipo! >>, sorrise ancora. << Ora capisco perché prima girovagava sempre accanto la tua stanza! >>.
Usagi si accorse di essere diventata rossa e non poté non accorgersi di sua madre che storse il muso appena sentì parlare di Mamoru. Si chiese cosa desse fastidio a sua madre di Mamoru, oltre l'evidente atteggiamento arrogante. C'erano tante cose da capire che quasi sentiva il pressante chiodo nelle tempie spingere nuovamente, così tirò un sospiro trattenuto e rifletté sul da farsi. Prese il foglio bianco sul tavolo della sua stanza, ed iniziò a scrivere.

Cose da fare:
-ricordare perché la mamma ce l'ha con Mamoru
-chiamare Mamoru
-incontrare Nehellenia
-rivedere le fotografie
-ricordare e basta.


<< Cosa scrivi? >>, chiese il medico.
<< Una lista di cose da fare. >>.
<< Brava, Usagi. Intanto, non sforzare troppo la mente nel ricordare. Può darsi che tornerà da sola la memoria, oppure... >>.
<< Oppure? >>, Usagi si allarmò.
<< Oppure, non riacquisterai mai la tua memoria. Vedi, Usagi, il tuo è un disturbo delle memoria a lungo termine, una forma acuta di amnesia. E' specifica nel caso di amnesia retrograda, quindi non ricordi nulla di ciò che ti è successo prima dell'incidente. E l'incidente stesso, a quanto pare. >>, il volto di Diamond era serio. << Guarirai, te lo prometto. Sono il neurochirurgo più rinomato di Tokyo. >>.
Usagi annuì e basta, strofinando le mani. Guardò oltre la finestra e attese che tutti se ne andassero, attese che rimanesse sola. Aveva bisogno di riposare, di stare sola con i suoi pensieri e i suoi ricordi difettosi, aveva bisogno di attendere un miracolo. Si accostò al tavolino e si mise a studiare le fotografie. Guardò tutti quei volti, tutti quei sorrisi accanto al suo, tutti quei corpi alti, bassi, magri, grassi, tutti quelle risate che formavano una grande nuvola invisibile su di loro. Risate che non raggiungevano il cuore di Usagi. Sospirò e afferrò l'ultima fotografia rimasta che ritrattava lei nella serata della sua festa di compleanno, sorridente e solare mentre era nel mezzo di due ragazzi alti molto più di lei. Il più basso nemmeno sfiorò la sua memoria; bellissimo con lo sguardo da finto innocente e verde smeraldo, lunghi capelli grigi, accomodati per bene accanto al visino perfetto, elegante per una semplice festa di compleanno. Ma fu il ragazzo più alto a stridere nella sua testa così fortemente che alla fine Usagi trovò il suo nome e lo pronunciò come se il miracolo stesso vivesse tra le sillabe di quel nome.
<< Seiya! >>.
Sgranando gli occhi, osservò il suo primo ricordo di quella vita passata e lontana, e lo ammirò. Ammirò i lunghi capelli ricciolini, stretti in un codino lungo e ribelle, ammirò il nero dei capelli, il blu acquatico dei suoi occhi. Un'acqua profonda, quelle acque degli oceani con metri di profondità da far paura. Ammirò il sorriso semplice, la furbizia decantata nell'espressione. Amò il suo primo ricordo, il primo nome pronunciato senza aver il timore di sbagliare, senza paura che non fosse vero. Quel ragazzo era Seiya, un suo compagno di scuola. Prese a ridere e si alzò con foga dal suo cuscino di pail, corse nella stanza di sua sorella, bussando freneticamente. << Chibiusa, Chibiusa! >>.
Chibiusa aprì un po' spaventata, << Che succede? >>.
Usagi alzò la sua fotografia e la indicò, sorridendole giuliva. << Lui è Seiya! E' Seiya! >>.
<< E allora? >>, disse Chibiusa, ma poi si accorse del messaggio della sorella. << Oh, mio Dio! Hai ricordato che lui è Seiya? Davvero, Usagi? >>.
<< Sì! >>, e Usagi abbracciò sua sorella in un impeto di felicità.
A Chibiusa scapparono alcune lacrime dal viso rosato, ma strinse ancor più forte sua sorella, godendo un po' della sua naturale ilarità, della sua allegria che per un mese e mezzo era mancata in quella casetta di periferia. << Brava, Usagi! >>. Quello era il nuovo inizio per tutta la famiglia, si era detta Chibiusa. Usagi era stata la fine, ma avrebbe riportato alla vita la loro famiglia. Distruzione e rinascita, Usagi era questo.
<< Ti prego, dimmi qualcosa di lui! Ricordo il suo nome, so che era un mio compagno di scuola, ma più di questo non vado oltre. >>.
Usagi aveva bisogno di sapere chi era quel Seiya che aveva ricordato, il primo nome che le si era appoggiato sulla lingua e la sua voce aveva suonato dolcemente. Era sicuramente una persona speciale se era stato il primo a ricordare, il primo a farla ridere e gioire. Non era successo nemmeno con Mamoru che aveva sentito sin dall'inizio di amare fortemente, ma non ricordava il suo nome e nemmeno chi fosse, cosa facesse e che avesse già una fidanzata. Sapeva solo di amarlo, ma non ricordava di averlo amato. Invece, quel ragazzo dagli occhi un po' come l'acqua profonda le era giunto sin nella mente, nella parte malata dove ragnatele di sangue coagulavano milioni di ricordi e sentimenti. Quel ragazzo, quel Seiya, era il primo che aveva aperto la sua mente.
Chibiusa sorrise, si sedettero sul letto. << Lui è Seiya Kou, e non è semplicemente un tuo compagno di classe. Lui è il tuo compagno di classe. Quello con il quale ti punzecchiavi appena arrivata in classe, quello che non sopportavi mai e che avresti preferito vedere in un calderone pieno di lava che seduto dietro di te nella tua classe. Quel compagno di classe che persino Mamoru ha... >>, si bloccò improvvisamente, scossa da un dubbio.
<< Continua, Chibiusa! Che ti prende? >>.
<< Mi domandavo se fosse giusto raccontarti queste cose, in fondo sono ricordi tuoi e devi riappropriartene da sola. Tu e la tua mente, con lentezza. >>.
<< Ma... >>.
<< Dimmi, Usagi, ricordi qualcosa di quello che ti ho appena raccontato? >>, chiese la piccola con il viso serio.
Usagi si sforzò di vedere tutto quello che Chibiusa le aveva descritto, cercò persino di immaginarselo e mentire pur di sentir raccontare di Seiya, ma nel bianco accecante della sua mente vedeva solo il viso di Seiya. Vedeva le sue braccia, lunghe e poco vigorose. Vedeva il suo busto nella solita camicia inamidata bianca, i bottoni del colletto slacciati che lasciavano vedere la sua collana di caucciù. Vedeva il suo collo lungo, bianco, che sorreggeva la sua testa. Vedeva la sua testa, sorridente, ricciolina, inclinata verso destra, gli occhi socchiusi nel sorriso e blu.
Blu, un po' come acqua.
Vedeva Seiya nel mezzo del bianco stanco della sua memoria, vedeva solo lui e il resto era il niente assoluto. La desolazione si appropriò nuovamente di Usagi, capitolandola nuovamente. Ripensò a Seiya, l'unico presente nei suoi ricordi. << No. >>, confessò a Chibiusa.
Sua sorella sorrise amaramente, le accarezzò una guancia e l'abbracciò. << Dai, Usagi, non essere triste. Come dicevi tu, un mal di denti non è eterno! >>.
<< Chibiusa... >>, si staccò leggermente dall'abbraccio. << A me piaceva Seiya? >>.
<< Forse, un po'. Forse, no. >>.
<< Domani ti va' di portarmi a fare un giro per Tokyo? >>, chiese infine, Usagi, guardando oltre la finestra della stanza di Chibiusa. Per un attimo si chiese come si sentiva bene sua sorella nel sentirsi a casa sua, nel riconoscere ogni oggetto come suo e non di un'estranea. La invidiò un po' e il rancore dettato dal biancore tornò a galla.
<< Centro commerciale? O Crown? >>. Chibiusa si illuminò per la gioia.
<< Dove vuoi. >>.
<< Allora, andiamo al Crown. Lì ci saranno molti tuoi amici e ti sarà utile per riprendere padronanza dei ricordi a poco a poco... >>.
Usagi sentì nel cuore il calore dolce e rassicurante dell'affetto della sorella, cancellando per il momento il rancore imposto dalla sua mente pigra. Le sorrise e le chiese: << Perché sei così gentile con me? >>.
<< Perché sei mia sorella, ti devo la vita! >>. Chibiusa sorrise raggiante.
<< Sai, la prima volta che ti sei presentata, ho sentito un grandissimo affetto verso di te, ma c'era qualcosa che mi impedisce di abbracciarti come se nulla fosse. C'è un rancore antico che mi destabilizza, oltre che questa memoria difettosa. >>, confessò alla sorella.
Chibiusa abbassò lo sguardo, sorrise amaramente. << Già... >>, mormorò.

La stessa notte Usagi dormì poco, girandosi nel letto molte volte e non trovando mai un po' di sollievo tra le calde lenzuola con i coniglietti. Passò tutta la notte a sbirciare la luna dalla finestra socchiusa, a domandarsi quali colori eterei fossero ritratti sulla motocicletta di Mamoru. E passò quasi tutta la notte a pensare al sollievo che aveva provato sotto il braccio di Mamoru, sotto il tocco suo, in mezzo ai suoi occhi pensierosi, tra le sue parole pungenti e offensive. Pensò a come era controcorrente tutta quella sua vita, come era complessa da capire per lei e la sua mente ferita. Si era chiesta, anche, come mai avesse ricordato solo il nome di Seiya e il suo volto. Perché lui e non Mamoru?
Infine, verso le luci dell'alba, Usagi si assopì molto più per stanchezza che per sonno e riposò a lungo, trovandosi sempre nel bianco spossante dei suoi sogni, ma stavolta con lei c'era Seiya che sorrideva. Non era più sola dentro il niente, c'era qualcuno che le sorrideva.
<< Tesoro, sei sveglia? >>.
<< Mmm... mmm... >>. Usagi non aveva voglia di svegliarsi, voleva rimanere ancora un po' a letto e riposare la sua mente, perché svegliarsi significava due cose in contrasto. Una cosa era la gioia di rialzarsi in un nuovo giorno, aprire gli occhi, vivere; l'altra erano le conseguenze che portava il suo risveglio imperfetto, il doversi chiedere il perché su ogni cosa, lo sforzare la mente nella ricerca della risposta che non arrivava.
<< Dai, Usagichan! >>, sua madre ridacchiò, divertita. << Alzati, Chibiusa ti sta aspettando per andare a fare un giro per la città. >>.
Usagi sbucò dalle coperte calde, guardando la madre in modo assonnato. La vide sorridente e affettuosa, ebbe un senso di profondo affetto, e si rincuorò di vederla così rilassata. << Perché ridi, mamma? >>, chiese, impastata.
<< Perché non ti alzi dal letto! >>, sorrise ancora. << Qualcosa non è cambiato! >>.
Usagi si chiese il perché, molte delle persone che le erano vicino, cercavano di trovare qualcosa che non fosse cambiato, qualcosa che le riportasse nel passato. Forse, perché le faceva felici. Ma per Usagi, che non aveva un passato al quale appellarsi, non era importante tornare come un tempo. Era importante capire, non tornare indietro.
<< Ora mi alzo, altri cinque minuti. >>.
<< Va bene... >>, la madre uscì dalla sua stanza.
Usagi, a malincuore, si alzò dal suo caldo giaciglio e andò verso l'armadio, lo aprì e scelse cosa indossare. Guardò il suo guardaroba con espressione esterrefatta e non si immaginava dentro quegli abiti così fantasiosi; c'erano gonne a vita alta, alcune morbide e altre rigide, jeans strappati, altri stretti a sigaretta, maglie attillate e da tonalità tenue, vestiti corti e medi. C'era un guardaroba colmo, e ridacchiò, intuendo che amasse fare shopping. Però, quel giorno decise di indossare un semplice jeans a sigaretta, una calda camicia a quadrettoni bianca e grigia con una maglia sotto. Acconciò i suoi capelli con i soliti codini paffuti, seguendo istintivamente le mani, e uscì dalla sua stanza.
<< Pronta! >>, disse alla sorella.
Chibiusa le sorrise e le strinse la mano, pronte per andare al Crown. Durante tutto il tragitto, Chibiusa non fece che parlare della sua scuola, di come lei e Hotaru fossero amiche, di come ci fosse un nuovo arrivato che le interessava. Helios, disse di chiamarsi, le piaceva molto con quella folta capigliatura biondo platino, quasi bianco, e gli occhi dorati. Usagi l'ascoltava silenziosa e attenta e annuiva, senza dire una sola parola. Poi disse una cosa che fece soffrire Usagi e la fece divenire molto rigida. << E' così che ti senti quando sei con Mamoru? Al tuo posto, felice. Appagata. >>.
< < Non lo so... >>, mormorò, abbassando lo sguardo.
<< Oh, scusami, Usachan. >>.
< < Tranquilla. >>, Usagi sorrise dolorosamente.
Chibiusa annuì, stanca , ma ridestò il suo buon umore, guardando il grande locale con le porte scorrevoli che era alla loro sinistra. << Siamo arrivati! >>.
Usagi sbirciò oltre il vetro della porta e vide un gran movimento dentro quella sala giochi, sentiva rumori elettronici e urla infantili. Si sentì nuovamente come dentro il suo sogno ricorrente, estraniata da una felicità che non le apparteneva, esclusa e sola. Abbassò gli occhi, mordendosi un labbro e strofinando le mani l'una contro l'altra. Una sua parte attese che Mamoru giungesse magicamente lì e le fermasse quel movimento ossessivo e sbagliato.
<< Dai, entriamo! >>. Chibiusa la trascinò dentro la sala giochi, facendo tintinnare le porte scorrevoli.
Appena Usagi entrò sentì il calore di un luogo scaldato dalle persone e non da aggeggi elettrici, sentì il profumo tipico di quella sala giochi- bar che ricordava appena, sentì la famigliarità farsi strada dolcemente e lentamente. Si guardò attorno e vide tante teste in movimento, tante risate sparse per la stanza, tanti amori nascosti, tante amicizie strette.
<< Usagi!!! >>, qualcuno urlò il suo nome. Si voltò e vide una bella bionda che saltellava verso di lei; era proprio bella con quei setosi capelli dorati, infantilmente raccolti in un nastro rosso, con quegli occhioni blu e seducenti e quel viso vispo e sereno. Le balzò letteralmente addosso, stringendola con un affetto che non sapeva potesse esistere, vedendo sul proprio viso il sorriso di quell'insolita ragazza che respirava con serenità.
<< Dai, Minako, non stritolarla! >>, disse un'altra voce che ridacchiava.
<< Come posso non stritolarla, Rei? Lei si è permessa di andare in coma e di non svegliarsi più per un mese e mezzo, si è permessa persino di non ricordarsi di me! Sapete quanto io sia vendicativa! >>. La sua voce era squillante, un flutto di civetteria buona.
<< Ti chiami Minako? >>, chiese Usagi un po' desolata.
<< Esatto! >>, annuì fortemente, tanto da far cozzare le loro teste l'una contro l'altra. Minako non si preoccupò di portare danni alla testa di Usagi, ma si premurò di presentarsi per bene in modo che la sua amata Usagi non avesse possibilità di dimenticarla. << Minako Aino, detta Minachan per gli amici. O semplicemente rompiscatole! >>.
Usagi sorrise, lieta. Peccato che non si ricordava di lei, era una boccata d'aria fresca per lei. Così Usagi l'abbracciò fortemente, << Piacere, Minachan. Sono sicura che diventeremo grandi amiche! >>.
<< Già lo siamo. >>, mormorò singhiozzante.
<< Ben tornata, Usagichan! >>, disse, sorridente, il barista. << Io sono Motoki. >>.
<< Sì, ben tornata, Usagi. >>, disse una voce familiare a Usagi. Osservò con più attenzione e vide la testa corvina di Mamoru reclinata in basso, vide le sue labbra strette mentre beveva una Cocacola con una cannuccia, vide il suo casco poggiato su una sedia vicina.
Perché lui è la tua marcia in più.
Il battito del cuore la resa ancor più confusa, non nascondendo a sé stessa di voler baciare quelle labbra, di voler attraversare la stanza e sedersi vicino a lui. <
< Ciao, Mamoru. >>, disse semplicemente.
<< Ecco, Mamoru se lo ricorda e di noi no! >>, disse Minako, imbronciata.
<< Ti sbagli, rompiscatole. Di me non si ricorda, sa chi sono perché quando era in ospedale le sono stato sempre vicino. >>.
<< E Galaxia lo sapeva? >>, chiese Minako, mordendosi subito dopo la lingua.
Usagi sentì il fuoco bruciare con troppo forza, quel fuoco nascosto adesso scoppiettava con ardore, tanto da far giungere le sue fiamme nella mente di Usagi, portandole il mal di testa che ripeteva come una nenia il nome di Galaxia. << Chi è Galaxia? >>, chiese.
<< Come non ti ricordi di Galaxia? >>, disse qualcuno che sbucò da dietro una macchina. Era una ragazza bellissima, una ragazza con occhi come il ghiaccio e capelli come la pece, una ragazza che Usagi aveva visto nelle fotografie.
Nehellenia.
<< Ciao, Nehellenia! >>, Usagi la fissava.
<< Come ti va la vita da smemorata, Usagi? Non cambia poi molto da prima. Guarda caso non ti ricordi di Galaxia, la ragazza di Mamoru. Che strana coincidenza! >>. Nehellenia iniziò a sorridere in modo fastidioso.
<< Io non mi ricordo di nessuno! >>, disse sulla difensiva.
<< E' un bene che non ti ricordi di me, io ti ho rovinato la vita! >>, ammiccò.
<< Nehellenia, che ne dici di andar via da qui? >>, disse la ragazza bruna che era accanto a Minako. La fissava con un fuoco che Usagi invidiò, un fuoco che scoppiettava nel violetto delle iride di quella ragazza. Doveva essere Rei, si disse.
<< No, lasciala rimanere. >>, disse Usagi, guardandola. << Voglio sentire cosa ha da dire sulla rovina della mia vita. >>.
<< Molto, credimi. >>, sibilò minacciosa.
<< Prego. >>, Usagi fece un passo avanti, verso Nehellenia, con lo sguardo intenso e determinato. << Inizia pure... >>.
<< Noi eravamo molto amiche, lo ricordi? Poi, però abbiamo litigato. >>.
<< Queste sono cose che già so, giungi al sodo. >>, commentò Usagi, sempre non lasciando il suo sguardo ghiacciato. Sempre osservando quei tratti del viso che erano mescolati con la nebbia della sua dimenticanza.
<< Sei una puttana. >>, ridacchiava, Nehellenia, mentre lo diceva.
All'inizio, Usagi si era chiesta se fosse vera una cosa del genere e, forse, un po' si sentiva una poco di buono a causa di Mamoru e di Galaxia, ma sapeva distinguere un'offesa da una verità. << E la cosa ti sconvolge perché sto seguendo le tue orme? >>, disse, infine.
Mamoru ridacchiò, divertito.
<< Come osi? >>. Nehellenia scattò in avanti e le afferrò bruscamente un braccio, avvicinandola al suo sguardo ghiacciato di cui Usagi non temeva. Si limitava a guardarla negli occhi, senza dire una parola.
Poi, Mamoru si avvicinò alle due litiganti e afferrò con accortezza il braccio di Usagi e lo allontanò dalla presa di Nehellenia. << E' meglio che vi separi prima che succeda qualcosa di spiacevole a una delle due... >>, disse, ridendo.
<< Esatto, altrimenti Usagi si farà molto male. >>, sogghignò Nehellenia.
<< Io parlavo di te, Nehellenia. >>, disse senza guardarla, trascinando con dolcezza Usagi.
Usagi guardò Mamoru con gli stessi occhi di cui si guardava un eroe, fissò i suoi occhi un po' come il cielo e se ne innamorò un'altra volta. Un'ennesima volta.
Perché lui è la tua marcia in più.
Mamoru la portò fuori il locale, nel freddo umido di dicembre, e le arrotolò la sua sciarpa con meticolosità. Poi, si accese una sigaretta e iniziò a boccheggiare anelli di fumo. << Ci sono cose che non cambiano mai, eh?!? >>, disse a Usagi, sorridendole dolcemente.
<< Fumi? >>, chiese, invece.
<< Non sono un fumatore accanito, Usagi. Fumo ogni tanto. >>.
<< Fumare fa comunque male. >>, lo rimbrottò.
<< E tu che ne sai? >>, un altro tiro profondo alla sigaretta e le si avvicinò, profumandola di fumo nocivo, fissandola negli occhi.
<< Lo so e basta. >>, girò la sua testa bionda di lato per non dovere guardare il suo sguardo magnetico.
Blu, un po' come il cielo.
<< Guardami. >>, le girò con dolcezza il viso per poterla guardare negli occhi.
Usagi, però, si staccò dalla presa vellutata di Mamoru e si voltò nuovamente di lato, accigliata e determinata. << Non voglio guardarti. >>.
<< Perché se lo facessi, non resteresti ferma. >>, le sussurrò, afferrandole nuovamente il mento con le sue dita perfette e calde. Quando gli furono davanti i suoi occhi, la osservò con malinconia e accostò il suo viso al suo orecchio. << Sarà sempre così, Usako. Ci sfuggiremo sempre. >>, bisbigliò rauco.
<< Sarà così solo se vogliamo che vada così. >>, mormorò incerta.
Mamoru ridacchiò. << Un cuore di pietra e un cuore di pane non possono convivere. >>.
<< E' il cuore di pietra che amerà con più intensità. >>.
<< I cuori di pietra non amano. >>, la corresse.
<< E' pur sempre un cuore, amerà per principio. >>, lo fissò con dolcezza e determinazione.
Mamoru sorrise come rincuorato da qualche pensiero annidato dentro i suoi occhi come cielo di dicembre, adombrato dalle nubi, screziato dai teneri raggi. La avvicinò ancor di più a sé e, non riuscendo a fermarsi, la baciò prima con fervore, ma poi, come se decise di godersi quel miracolo, la baciò con dolcezza. Inoltrò la lingua come avesse voluto prometterle quell'amore a lei sconosciuto, la roteò attorno alla sua, creando una scia stellata con la sua saliva, amando ogni singolo contatto tra le lingue.
Usagi sentiva di scoppiare, sentiva di dover stringersi al corpo di Mamoru e, quando si accoccolò al suo torace, fu come se iniziò a incastrarsi a lui, come se Usagi fosse stata disegnata appositamente per essere posizionata al fianco, tra le braccia, di Mamoru.
Quando si staccarono, si osservarono con imbarazzo.
Mamoru, però, osservando il viso di Usagi, ebbe l'impulso di doverla baciare di nuovo e lo fece con una passione raddoppiata, attorniando il gracile corpo con le sue braccia lunghe e stringendola come se ne fosse il solo padrone. Come se quei capelli dorati, impigliati tra le braccia sue e la spalla di Usagi, fossero suoi, come se la schiena incurvata verso di lui, tutte le ossa, tutti nervi intrecciati, tutti gli strati di pelle, fossero suoi. Come se Usagi fosse il suo modo di essere di più umano e non il medico-robot senza il sorriso che tutti conoscevano. Era come se Usagi fosse in grado di allargare le sue labbra e farlo sorridere con la sola forza del pensiero.
<< Piano... >>, mormorò Usagi, ritraendosi appena.
<< Cosa? >>, chiese confuso.
<< Le ferite... >>.
<< Oh, scusami! >>, si allontanò, guardandole il ventre. Non si era accorto che l'aveva abbracciata con troppo veemenza e le aveva fatto male, ma bastava che guardasse nuovamente il suo volto per aver ancora voglia di baciarla.
<< Ora passa... >>, disse.
<< Usagichan! >>, la chiamò un'altra voce maschile.
Usagi si girò e vide, davanti alla sala giochi, un ragazzo con un piumino addosso di colore nero, la zazzera corvina e riccioluta coperta da un cappellotto rosso, che la guardava con sorpresa e speranza. << Seiya! >>, corse verso di lui.
<< Ti ricordi di me? >>, chiese, sorpreso.
<< Ti ricordi di lui? >>, chiese Mamoru, giunto al suo fianco.


   
 
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