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Autore: Lusio    13/09/2012    5 recensioni
A diciannove anni Quinn Lucy Fabray continuava a credere che tutto le fosse concesso, ma con le dovute conseguenze.
Noah Puckerman (ma preferiva essere chiamato Puck) voleva dare a sua figlia la vita migliore che potesse offrirle.
I Fabray volevano il loro posto nel mondo.
Gli Hummel-Hudson volevano scoprire il mondo.
Sue Sylvester voleva cambiare il mondo.
Dave Karofsky voleva una vita che fosse solo sua.
Rachel, Mercedes e Sugar avevano i loro sogni e le loro aspirazioni.
Mike e Tina volevano sposarsi nella terra delle grandi opportunità.
Blaine voleva raggiungere suo fratello.
Beth voleva stare in braccio a mamma Shelby.
Vite diverse che si incontrano in un unico destino. Un passato che ritorna. Una splendida nave che solca l'oceano. Un enorme blocco di ghiaccio alla deriva. Una data fatale.
14 Aprile 1912
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quinn Fabray, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il passato segue il presente

 

Quinn non si aspettava che a bordo del Titanic ci fossero tanti altri parassiti in cerca di vantaggi economici e finanziari come suo padre; non che la cosa le risollevasse l’animo, tutt’altro: le faceva provare ancora più vergogna. Più che fingere un forte mal di testa per rimanere in cabina o fare avanti e indietro sul ponte di passeggiata nelle ore in cui era meno affollato, non poteva fare altro. Ma questo andazzo non si prolungò oltre il secondo giorno di viaggio; forse era l’aria fresca del mare aperto che apriva non solo il naso ma anche gli occhi e le orecchie, fatto sta che i ricchi magnati di prima classe sembravano avvertire l’odore di lecchino e sanguisuga che suo padre emanava da due piani più giù del salone.

Fabray non era l’unico; ce ne erano altri e meno riservati e più patetici di lui. Almeno questo gli era stato concesso. Comunque, ciò non cambiò il fatto che si ritrovarono, lui e sua moglie, liquidati dai personaggi più importanti lì presenti con qualche mezza frase di cortesia e nient’altro; persino i coniugi Duff-Gordon* girarono alla larga da loro.

Uno sfregio altrettanto bruciante era quello di dover consumare i pasti da soli mentre altri si facevano compagnia in tavolate che ospitavano due o più gruppi di famiglie altolocate; almeno in quelle occasioni il sorriso che Quinn aveva sfoggiato non era simulato. Forse quel risultato avrebbe reso quasi “piacevole” il viaggio. E, forse, a togliere quel “quasi” avrebbe potuto riuscirci un incontro, anzi un rincontro, il terzo giorno di viaggio.

- Sono lieto di rivederla meno agitata, signorina.

Quinn riconobbe subito quella voce inconfondibile pur avendola ascoltata una sola volta e per nemmeno un minuto. Era il ragazzo col quale si era scontrata il giorno della partenza, elegante come quel giorno, stavolta però il suo gilet era blu notte.

- E io sono lieta di non averla nuovamente travolto, signorino – rispose la ragazza.

- Prego, Kurt Hummel; niente “signore”, mi fa sentire vecchio, e soprattutto niente “signorino”, mi fa sentire un bambolotto di bassa lega.

- Se la mettete così, allora, togliete quel “signorina” e sostituitelo col mio nome: Quinn Fabray.

- Viaggiate con i vostri genitori? – cercò di conversare Kurt, vedendo che il ghiaccio era rotto – Credo di avervi visti nella sala ristorante per i fatti vostri.

Per Quinn fu un sollievo non sentire nominati gli imbarazzanti approcci di suo padre che non dovevano certamente essere passati inosservati a quel ragazzo che sembrava dotato di un buon occhio sia per le persone che per la moda. Questa cortesia glielo fece piacere ancora di più.

- Mi dispiace di non poter ricambiare dicendovi di aver visto voi e chi vi accompagna – rispose Quinn, cortesemente.

- E’ un buon segno, allora – replicò Kurt, ridacchiando – Significa che il mio fratellastro non ha fatto nulla di così imbarazzante da essere notato.

- O Dio – esclamò la ragazza, lasciando comparire sul viso un sorriso divertito – Allora voi, Kurt, viaggiate con il vostro fratellastro?

- E con mio padre e la mia matrigna.

Continuarono la conversazione sul versante tradizionale, parlando del più e del meno fino a quando Kurt non si azzardò ad invitare Quinn e i suoi genitori al tavolo della sua famiglia per il pranzo e lei fu lieta di accettare.

Quando lo disse a sua madre e a suo padre, la prima dimostrò tutta la sua approvazione e la sua contentezza al pensiero di non dover ripetere l’umiliazione dei primi giorni appena passati, mentre il secondo si preoccupò solo di informarsi sugli Hummel-Hudson salvo poi storcere naso e bocca dopo aver saputo che non si trattava di una famiglia nota o facoltosa; comunque, pur brontolando, non fece alcuna obiezione. In cuor suo sperava, magari, di attirare l’attenzione di qualcuno facendosi vedere a tavola in compagnia.

Così, all’ora di pranzo, i Fabray entrarono nella sala ristorante nei loro abiti migliori e con l’aria più aristocratica possibile che facevano il loro bel effetto con la musica dell’orchestra in sottofondo. Nella marea di abiti eleganti, capelli impomatati e gioielli luminosi, Quinn trovò subito la sua nuova conoscenza; seduti con lui c’erano anche un distinto signore calvo comodamente seduto sulla sua sedia, con accanto una signora di mezza età vestita semplicemente e con un dolce sorriso materno sul volto e un ragazzone alto e, a quanto pareva, un po’ in difficoltà con l’uso delle posate**.

I Fabray non dovevano essere gli unici ospiti di quel tavolo perché, lì seduta, c’era anche una signora dall’aria arcigna, impettita nel suo vestito alla garçon che le dava l’aria di una giornalista e non sembrava avere alcun grado di parentela con nessuno degli altri commensali.

Kurt vide Quinn a sua volta e la invitò con un cenno a raggiungerli; all’arrivo dei Fabray, il ragazzo, suo padre e il suo fratellastro si alzarono educatamente per dare loro il benvenuto mentre le donne rimasero ai loro posti, l’una salutando educatamente i nuovi arrivati, l’altra degnandoli appena di uno sguardo troppo impegnata a “torturare” il suo agnello in salsa alla menta.

- Signor Fabray, siamo lieti di avere voi e la vostra famiglia come ospiti al nostro tavolo – fece Burt Hummel, calorosamente – Non vorrei sbagliarmi ma credo che ci siamo già visti.

- Davvero? Non credo di ricordare – rispose Fabray accomodandosi, cercando di apparire educatamente interessato.

- Sì! – continuò Burt, ancora più convinto – Voi avete, per caso, una Daimler del 1909?

- Sì, ne ho una – confermò Fabray, orgoglioso di esibire verbalmente uno dei suoi beni.

- Allora già ci siamo incontrati: mi sono occupato io stesso del motore del vostro gioiellino. Sono a capo di un’azienda di riparazioni di automobili.

A sentire quella più precisa presentazione, Fabray non riuscì a nascondere un’espressione costernata che rischiava di tramutarsi in autentico disgusto. Aveva nutrito la sempre viva speranza di aver trovato una possibile “chiave d’accesso” al mondo dell’alta élite e invece si ritrovava seduto allo stesso tavolo di un carrozziere dalle mani sudice. Automaticamente, gli occhi gli caddero sui due artefici di quell’incontro: sua figlia Quinn e il figlio di quell’Hummel. Forse quello era tutto un piano di quel ragazzino per circuire sua figlia sperando di contrarre un matrimonio vantaggioso?

Un vistoso colpo di tosse interruppe le sue elucubrazioni.

La donna con l’aria da zitella inacidita stava iniziando a battere rabbiosamente il coltello contro il bordo del suo piatto e il mento puntato in alto.

- Oh, scusateci Sue – le disse Carole, battendole gentilmente il dorso della mano – Signori, lasciate che vi presenti la signora Susan Sylvester.

- Prego, “signorina” – la corresse Sue – Il matrimonio non rientra nella lista delle cose che ho intenzione di fare.

Fabray fu costretto a mordersi la lingua per frenare la battuta poco educata che le parole della donna gli avevano stuzzicato; solo Quinn si accorse del suo pensiero, vista l’occhiataccia che gli lanciò.

- Anche la signorina Sylvester è una donna in carriera – disse Burt – Scrive sui giornali ed è impegnata nel movimento femminista.

- Davvero? – fece la signora Fabray, molto interessata – E di cosa vi occupate in quel campo?

- Cerco di fare quello che i nostri antenati avrebbero dovuto fare secoli fa: impedire che il mondo vada in malora – rispose Sue – E la cosa migliore da fare al momento per realizzare ciò è riequilibrare la distribuzione dei poteri.

- Cioè? – chiese la signora Fabray sempre più interessata, sostenuta moralmente dalla figlia e dalla signora Hummel-Hudson.

- Togliere gli uomini da quelle postazioni in cui fanno più danni e sostituirli con noi donne; anche se in questo modo, credo, non avremo più nemmeno un paio di favoriti al governo, a meno che anche tra noi donne non diventi una moda farsi crescere una disgustosa mezza barba attaccata ai lati della faccia.

Quella veloce risposta strappò una risata a tutti, ognuno con la propria gradazione di suono: da quella più alta di Burt e Finn a quella più bassa di Carole e della signora Fabray, passando per quella più raccolta di Quinn e Kurt e finendo per quella silenziosa e inesistente di Fabray.

- Quindi, secondo voi, un governo gestito da donne sarebbe migliore di quello attuale gestito da uomini? – chiese quest’ultimo cercando di nascondere lo scherno nella sua voce.

- Finora sono stati gli uomini a salassarci con spese inutili per guerre altrettanto inutili – rispose Sue senza perdere la sua pungente compostezza.

- Se vi interessa la mia opinione – continuò Fabray – non credo proprio che dare il potere alle donne possa risolvere i problemi del mondo anzi sono sicuro che li aggraverebbe ulteriormente.

- Per rispondere al vostro “se”: no, la vostra opinione mi interessa meno della musica che stanno pizzicando quegli pseudo-musicisti – e Sue indicò l’orchestra in sala che stava suonando un “Allegro”, forse di Mozart – E, per rispondere alla vostra opinione: le vostre parole non fanno che confermare quanto ho detto.

- E’ risaputo che, per natura, le donne sono deboli e facili a lasciarsi andare alle emozioni e, di conseguenza, inadatte al ruolo di governanti.

- Ma, a quanto mi risulta, a fare grande l’Inghilterra è stata Elisabetta I e Caterina II ha fatto lo stesso con la Russia, per non parlare di Caterina di Svevia e di Caterina de Medici.

- Temo che questi esempi non valgano visto che le donne che avete citato conservano una cattiva nomea***.

- Visto che sembrate così colto, sapreste spiegarmi perché solo alle donne viene concesso il “privilegio” di una memoria così oscura e torbida? Se non sbaglio, anche la Storia è una cosa che gli uomini si divertono a scrivere.

Vedendo la piega che stava prendendo quella “non tanto tranquilla conversazione”, Burt si lasciò andare ad un sonoro colpo di tosse e, nello stesso momento, sua moglie Carole batté elegantemente il coltello da dessert contro il bicchiere dicendo:

- Vi prego, bandiamo per sempre da questa tavola i discorsi politici e polemici.

- Infatti – disse Quinn – Siamo sulla nave più bella del mondo, dovremmo goderci questi giorni.

E proprio in quel momento, Quinn pensò sinceramente quello che disse. Solo qualche giorno fa quest’idea non la sfiorava nemmeno e quello su cui viaggiava era solo una nave passeggeri come tante e la sua destinazione una patetica scusa per giustificare il desiderio di avanzamento di suo padre, eppure, dopo tanto tempo, sentiva il cuore pieno di una serenità che credeva di non poter più provare. Forse era la presenza di quelle persone sincere e vere che la faceva sentire così bene.

- Ha ragione – concordò con lei Kurt – Chissà se avremo ancora dei giorni così.

- Dio! Kurt, detto così sembra che dovremo morire tutti alla fine di questa traversata! – esclamò il suo fratellastro Finn.

- Voglio dire che non ci capiterà mai più di partecipare al viaggio inaugurale di uno dei più bei transatlantici che esistono – si corresse Kurt, mentre le guance gli si coloravano di rosso.

- Bene – si lasciò convincere Sue – Dopo aver sentito la “voce dell’innocenza” possiamo, allora, cambiare argomento.

- Veramente, io avrei diciannove anni – reagì Kurt.

- Non sperare di ingannarmi con quei dentini da latte.        

Il pranzo continuò tra vari argomenti di conversazione arricchiti dalle sarcastiche battute di Sue; così si passò dai lavori e dagli impegni mondani di ognuno, ciò che li spingeva a fare quella traversata oceanica (e, su questo, Fabray fu molto bravo a omettere la verità), fino a che si arrivò a parlare dei giovani.

- Naturalmente – esordì Fabray, orgogliosamente, parlando anche a nome delle moglie – nostra figlia sa benissimo che, al nostro arrivo in America, la aspetta il suo debutto in società e, a Dio piacendo, un buon matrimonio.

Quinn posò in maniera brusca il suo calice di vino rosso, forse in maniera troppo brusca e, per evitare che la sua irritazione si notasse ulteriormente, appoggiò le mani in grembo e scaricò la tensione stritolando il tovagliolo, mentre le guance le si tingevano di rosso vivo.

- Credo di poter esprimere la mia opinione in merito – rispose al padre senza preoccuparsi di nascondere la ribellione insita nelle sue parole.

- Brava la ragazza! – esclamò Sue, entusiasta – Vai così! Fatti valere!

- Quinn, ne abbiamo già parlato mille volte – sibilò Fabray – E, per favore, controllati.

Per tutta risposta, Quinn alzò seccamente il mento lasciando che il suo sguardo si perdesse in un punto indefinito della sala, in direzione dell’orchestra.

- Perdonatemi Carole – chiese la signora Fabray timidamente, spostando l’attenzione dal marito e dalla figlia – Non vorrei che mi consideraste indelicata, ma non credo di aver capito chi sia vostro figlio tra i vostri due ragazzi.

- Non preoccupatevi nemmeno – la tranquillizzò Carole – Dal punto di vista tecnico è Finn mio figlio ma, se teniamo in considerazione l’affetto, Kurt è mio figlio tanto quanto Finn.

- E per me è lo stesso – le fece eco Burt, prendendole la mano – Questo è il bello della nostra famiglia. Come disse Carole il giorno del nostro matrimonio: “Siamo quattro persone trasformate in famiglia”****.

A quello scambio di affetto famigliare si unirono, in maniera diversa e meno espansiva, anche Finn e Kurt, mentre Quinn e sua madre avvertirono una tenue invidia pervaderle, e Fabray si passò con nonchalance una mano sulla bocca per nascondere uno sbadiglio.

- Oddio! Che eccesso di zucchero! – commentò sarcasticamente Sue, con aria disgustata – Credo proprio che oggi salterò il dolce.

- E cosa avete pensato per il futuro dei vostri ragazzi? – cambiò argomento Fabray.

- Abbiamo abbastanza fiducia in loro da lasciare che gestiscano da soli la loro vita – rispose Burt, suscitando lo sconcerto del suo interlocutore – Il nostro Kurt aspira ad intraprendere la carriera teatrale.

- Ah! Interessante – disse Fabray, malcelando una risatina di scherno che non venne ignorata da Quinn che vide, con mortificazione, il viso di Kurt velato di una malinconia subito spazzata via da un sorriso divertito. Se aveva aspirazioni da attore, ne aveva anche le capacità.

Se in un primo momento aveva provato semplice simpatia per quel ragazzo, adesso non poté fare a meno di ammirarlo. In lui vedeva la forza interiore che lei pensava di non avere.

 

* * *

 

- Mi dispiace molto per come si è comportato mio padre. Da quanto avrai notato non è una persona con la quale si può sperare di avere una conversazione civile.

Quinn e Kurt camminavano tranquillamente sul ponte di passeggiata, approfittando del fatto che fosse poco affollato, visto che dopo pranzo gli uomini si ritiravano in sala fumatori mentre le donne si intrattenevano in sala lettura per gli ultimi pettegolezzi, per godersi tranquillamente l’aria pomeridiana che spirava dal mare d’Aprile e il tenue sole che dava un po’ di conforto contro il vento fresco.

Il pranzo era proseguito tranquillamente, nonostante il crudele e velato sarcasmo di Fabray, in contrasto con quello più aperto e, in un certo senso, simpatico di Sue Sylvester. Tutti gli altri commensali avevano dimostrato più educazione e (Quinn lo pensò con un senso di trionfo) e classe non dandogli retta e continuando a parlare tranquillamente; dopo che gli stewart ebbero portato via l’ultima portata, mentre le signore, esclusa Sue, preferirono ritirarsi nelle rispettive cabine e gli uomini si salutarono educatamente per andare; Fabray ad elemosinare le solite attenzioni in sala fumatori, Burt e Finn a parlare con alcuni amici di famiglia che avevano visto, i due più giovani si erano defilati fuori per smaltire tutte quelle portate e parlare più liberamente; tra le altre cose avevano scoperto di avere in comune una fissazione per la cura del corpo quindi tennero senza problemi un buon passo di marcia lungo il ponte.

- Anzi, sembra che si diverta a far perdere la calma a chi ha a che fare con lui – continuò la ragazza.

- Non preoccuparti – replicò Kurt, rassegnato – Sono abituato alle critiche degli altri.

- Trovo difficile crederlo. Tu e la tua famiglia siete… così diversi. Voi siete buoni.

- E perché non dovremmo esserlo?

- Voglio dire… non siete come la maggior parte delle persone che ho conosciuto, persone come mio padre.

- Fidati. Lo status o la bontà non ti assicurano una difesa contro il pregiudizio.

- Questo lo so anch’io – replicò Quinn, lasciando scorrere una mano sul ventre ricordando quei mesi scanditi solo dalla condanna di chi la circondava senza un briciolo di comprensione – Che brutta razza l’uomo.

- Siamo tutte delle brutte razze: c’è quella dominante che crede di avere potere universale su tutto ciò che tocca e domina; ci sono quelle predatrici e già dal nome si capisce la loro funzione e il loro modo di vivere; poi ci sono quelle tranquille, gli invisibili, quelli che rimangono in silenzio accontentandosi di quello che hanno; infine, ci sono i derelitti, quelle razze che sono poste al gradino più basso, rifiutati da tutti perché diversi dagli altri, per la religione, il paese d’origine… o altro. Per ironia della sorte, quest’ultima razza è la più numerosa. E’ una struttura che, credo, potrebbe applicarsi tranquillamente a chi viaggia su questa nave.

- Tu a quale “razza” appartieni?

- All’ultima – rispose Kurt, semplicemente.

In quel momento, guardandolo negli occhi, Quinn credé di trovarvi una risposta sottintesa, come se Kurt avesse cercato di confessarle il suo più profondo segreto con quella semplice risposta. Una parola non detta con la quale Kurt si metteva completamente a nudo, sapendo di rischiare tanto. Il minimo che Quinn avrebbe potuto dargli era un segno di accettazione o rifiuto che fosse e, se avesse potuto, lo avrebbe stretto in un abbraccio, ma c’erano troppi occhi che potevano vederli ( anche due paia d’occhi sarebbero stati troppi).

Si erano fermati lungo la balaustra che delimitava il ponte di prima e che si affacciava su quello di Kurt dandogli una lieve stretta affettuosa.

- Anche io – rispose Quinn.

Kurt sorrise sollevato, abbassando lo sguardo sul sottostante ponte di terza classe dove alcuni passeggeri, emigranti a giudicare dall’aspetto, passavano il tempo chiacchierando e giocando; si notavano, in particolare, un ragazzo che camminava a gattoni portando in groppa una bambina che rideva divertita , tenendosi ai riccioli neri del ragazzo, mentre un altro li seguiva muovendosi in maniera buffa.

- E pensare che molti di loro preferirebbero essere al nostro posto, quando io non so che darei per essere spensierato come quel gruppetto lì – commentò Kurt, permettendosi di indugiare sul ragazzo che portava quel piccolo fardello biondo – Noi invidiamo loro e loro invidiano noi; forse è per questo che Mark Twain ha scritto “Il Principe e il Povero”.

Ma Quinn non lo aveva ascoltato, stava guardando sconvolta quella scena, proprio mentre il secondo ragazzo prendeva la bambina e la sollevava in aria… quando anche lui vide Quinn.

 

* * *

 

- Noah, cos’è successo? – si informò Shelby allarmata dopo aver visto il ragazzo rientrare come una furia con Beth in braccio.

- L’ho vista – rispose Puck, stringendo più forte la bambina, come se avesse potuto paura che sentisse – Anche lei è qui.

- Chi? – chiese Shelby, senza capire.

- Lei! – esclamò Puck, soffiando la risposta e allora la donna, finalmente, capì.

- Quinn.

 

 

 

Nota dell’autore:

* Cosmo e Lucile Duff-Gordon, coppia dell’alta società, poco ben vista perché lei era una divorziata. Lui era uno schermidore, lei una stilista. Si salvarono entrambi su una scialuppa che conteneva solo dodici persone e, in seguito, furono accusati di aver corrotto i marinai affinché non ritornassero indietro a salvare le persone che erano in acqua.

** In certe occasioni e in certi ambienti non sono avari con le posate.

*** A suo tempo, Elisabetta I fu definita “l’eretica”; Caterina di Russia fu accusata di essere una messalina, Caterina di Svevia un’ermafrodita, Caterina de Medici un’avvelenatrice.

**** Vediamo se indovinate questa citazione ; D

 

E con questo capitolo inizia la storia vera e propria… non che duri molto, a dire il vero.

Dite la verità: ve l’aspettavate la Kuinn friedship? Il fatto è che, ormai, in questo fandom si trovano solo Hummelberry e Kurtana e mi è venuta voglia di portare una ventata di novità. Anzi, prossimamente riporterò un altro po’ di Kurtcedes che mi piace tanto.

Scrivere le parti di Sue è forse la cosa più divertente che mi sia mai capitato di fare; mi chiedo perché non ho mai utilizzato il suo personaggio finora.

Cosa pensate che accadrà adesso che Quinn e Puck si sono rivisti? Spero di avervi incuriositi abbastanza da continuare a seguire questa storia.

Per altre cose, vi lascio sempre il link della mia pagina http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

Ringrazio tutte le care persone che hanno inserito questa mia mini-long tra le preferite e le seguite e che lascia una recensione e chi legge solo.

Grazie.

 

Lusio

  
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