Il
meglio di me
CHAPTER
1 - SOLITUDINE
Julian
se
ne stava seduto in disparte su una panchina vicino alla fermata
dell’autobus,
l’autobus sarebbe arrivato alle 7:30 e visto che erano solo
le 7:00 Julian
avrebbe dovuto attendere un altro po’. Non gli dispiaceva
però, anzi per lui
era ideale, uscire presto per trascorrere meno tempo a casa sua e in
questo
modo potersi anche sedere sulla sua panchina leggendo il giornale o
ripassando
qualche argomento per una prossima interrogazione o compito in classe.
Era nel
mese di novembre, Julian era un ragazzo molto bello e attraente, era
alto circa
1,80, quindi davvero molto alto
per i
suoi sedici anni, aveva i capelli di un biondo quasi bianco, il colore
del
gelo, della foschia o anche della luna, ma più di tutto i
suoi occhi erano
meravigliosi, di una tonalità simile al blu elettrico ma
ancora più bello.
Insomma aveva l’aspetto del classico
principe azzurro che ogni ragazza vorrebbe al suo fianco eppure non
aveva mai
avuto una ragazza, loro lo tenevano alla larga, tutta la scuola lo
temeva. Per
la sua famiglia. Lui era un Black. Era risaputo da tutti in quella
città che le
cinque famiglie Black, Turner, Cole, Briel e Stark erano coinvolte in
azioni
criminali, avvolte da un’indubbia aria di pericolo e che
quindi era meglio
stare alla larga da loro. Per questo nessuno voleva avere niente a che
fare con
lui. Perciò, non aveva amici, non aveva un ragazza e non
aveva una vita facile.
Però nonostante ciò era un ragazzo estremamente
brillante, era sempre stato,
sin dai tempi dell’asilo il migliore della classe, il primo
ad arrivare in
classe, puntuale come un orologio svizzero, anche per quanto riguarda
temi e
compiti, non andava mai male ne in un’interrogazione o in una
verifica e aveva
sempre la risposta pronta in ogni domanda, durante le ore di educazione
fisica
era sempre il più veloce, il più
forte o
il più atletico, in fondo in una famiglia come la sua, dove
era costretto a
difendersi costantemente, queste tre doti non dovevano assolutamente
mancare.
Infatti ogni volta che aveva tempo libero si allenava con i pesi o
correndo. I
suoi professori lo ammiravano, si impegnavano a ignorare i lividi o i
graffi
lungo le sue braccia, cercavano sempre di ostentare un’aria
tranquilla anche se
senza successo. Tuttavia quella situazione a Julian andava
più che bene, non
gli era mai importato veramente avere degli amici o una fidanzata,
stava meglio
solo e senza vincoli. Un giorno se ne sarebbe andato da quella
città per
sempre, lontano dalla sua famiglia, dove il suo cognome non era altro
che un
cognome e dove avrebbe potuto vivere veramente. Un soffio di vento li
scompigliò leggermente il ciuffo che gli copriva gli occhi e
le ciglia folte,
era una mattina fredda ma a lui il freddo piaceva. L’autobus
arrivò
puntualmente alle 7:30 quindi, automaticamente arrivò a
scuola alle 8:00. Aveva
quindi una buona mezz’ora per passare al suo armadietto e
prendere ciò che gli
serviva per la prima lezione della mattina, ovvero matematica. Ogni
volta che
entrava a scuola tutti gli sguardi ricadevano su di lui, come se fosse
il sex
symbol della scuola e lo sarebbe stato se al posto degli sguardi
diffidenti,
freddi e in parte disgustati degli altri studenti ci fossero sguardi
ricchi di
adorazione e malizia. Ma come detto in precedenza lui era un Black e la
venerazione non se la poteva proprio permettere. Fortunatamente quasi
subito
qualcun altro passò dotto i riflettori. Tom Locke e Jenny
Thornton. Tom Locke,
uno dei ragazzi più belli della scuola, frequentava il terzo
anno ed era in
classe con lui, alto circa 1:78, un po’ più basso
di lui, capelli e occhi
scuri, molto popolare e amato dai suoi compagni di classe e di squadra.
Jenny
Thornton invece era conosciuta come la venere del dio, una ragazza
molto
carina, dolce e solare, aveva dei meravigliosi occhi verdi come aghi di
pino,
capelli color ambra liquida e un fisico mozzafiato. Julian aveva avuto
una
cotta per lei per un po’ ma poi aveva riconosciuto subito la
questione sulla
proprietà privata, lei era fidanzata e provarci con lei
sarebbe stato assai sconveniente
e poi tornando sempre al discorso di prima lui era un Black. A seguito
della
Grande Coppia arrivarono Deirdre dette Dee Eliade, Audrey Myers e
Michael
Colen, Summer Parker-Pearson e Zach Thornton. Ecco il clan dei ragazzi
più
popolari, non della scuola ma quasi. Julian sinceramente, a parte
Jenny, non
aveva mai visto niente di straordinario in loro, Tom a parte un certo
talento
per lo sport non aveva una grande intelligenza e poi a scuola aveva una
media
buona ma non eccellente, Deirdre la stessa cosa, muscoli a non finire,
pelle
olivastra con dei graziosi occhi a mandorla, le gambe lunghe e
slanciate e era
alta all’incirca 1,77, ma aveva una D in matematica, e una E
in filosofia, per
non parlare della F in francese. Si diceva anche che non avesse alcuna
intenzione di andare al college. Audrey poi la vedeva una ragazza
parecchio
superficiale, poco interessata alla vita, interessata solo alla
shopping e ai
bei ragazzi, ma d’altronde poteva permettersi di fantasticare
su queste cose a
suo dire frivole, era ricca, aveva dei lisci capelli ramati che
però teneva
sempre legati e gli occhi scuri, pelle chiara ma non troppo e in fin
dei conti,
dovette ammettere, era davvero una ragazza molto carina. Michael Colen,
un
ragazzo non molto alto, dagli occhi da spaniel e i capelli scuri, era
fidanzato
con Audrey anche se si diceva in giro che lei si era messa con lui in
attesa di
una relazione più soddisfacente, infatti si diceva anche che
lei aveva un’idea
tutta sua su come doveva essere il suo ragazzo ideale, lei voleva un
ragazzo
alto 1,80, biondo e che fa surf. Purtroppo Michael Colen era tutto
l’opposto,
lui era alto circa 1,76, non era molto atletico, in effetti era
l’unico voto
passabile che aveva, era risaputo da tutti che lui era un secchione,
aveva A in
tutte la materie eccetto educazione fisica con cui se la cavava con una
B- solo
grazie alle interrogazioni orali. Julian sapeva anche che era per
questo motivo
che alle elementari e alle medie era stato deriso da tutti i bulli. Poi
c’era
Zach Thornton, il cugino di secondo grado di Jenny, la madre di Zach e
quella
di Jenny erano sorellastre e si diceva in giro che lui avesse avuto per
un
certo periodo una cotta per lei. Ma nessuno ne era mai stato sicuro al
100%,
Zach era un tipo cupo e sempre silenzioso, preferiva la fotografia alle
ragazze, era sempre distratto e preferiva stare in un mondo tutto suo.
Era
difficile con lui capire anche se lui ti sopportasse o meno. Anche il
suo
aspetto fisico rispecchiava la sua strana personalità, era
biondo e con dei freddi
e vuoti occhi grigi in cui non avresti mai voluto rifletterti. E in
fine c’era
Summer Parker-Pearson, lui l’aveva sempre ritenuta molto
graziosa, era minuta
ma anche magra, la carnagione non troppo chiara e la guance rosa, gli
occhi
azzurri e i capelli di un biondo chiaro e con i boccoli poi la
rendevano una
vera bambola di porcellana. Quando sorrideva poi comparivano delle
fossette sul
suo viso in cui avresti voluto infilare le dita. Non era una ragazza
molto
sveglia ma la sua solarità e la sua vivacità
riuscivano sempre a farla
brillare. Tuttavia Julian, nonostante la reputasse graziosa, non aveva
mai
provato interesse a conoscerla, era una persona troppo allegra per i
suoi
gusti, era un libro aperto di cui potevi capite tutto e subito. Julian
dopo aver
lanciato al gruppo una rapida occhiata si voltò verso il suo
armadietto e
cominciò a deporre i libri. Dietro di lui sentì
delle voci:
<<
Wow, tra un po’ ci sarà la festa di compleanno per
i sedici anni di Tom Locke.
La festa è organizzata da Jenny Thornton quindi di sicuro
sarà strepitosa, le
sue feste sono state sempre straordinarie. >> disse una
ragazza alla sua
destra
<<
Si hai proprio ragione Cathy. Non vedo l’ora >>
Poi
ci fu
un attimo di silenzio e Julian in cuor suo sperò che se ne
fossero andate via
ma purtroppo…
<<
Secondo te lui verrà invitato ? >> chiese
l’altra ragazza e Julian non ci
mise molto a capire che stessero parlando di lui
<<
Annie, non dire stupidaggini ! Lui è un Black e stiamo
parlando del compleanno
di Tom Locke non di uno scolaretto qualsiasi. Figuriamoci se
verrà invitato,
insomma nessuno l’ha fatto fino ad adesso e non credo che la
tradizione verrà
cambiata tutta a un tratto >>
<<
Ma Cathy lui non ha mai fatto niente di sbagliato, insomma è
il primo della
classe, gli insegnanti lo venerano, vince sempre tutte le competizioni
sportive
di velocità e di forza e anche di logica. Insomma non mi
sembra un criminale
>>
<<
Non importa Annie. La sua famiglia non piace a nessuno in questa
città, fa parte
del pentagono delle famiglie criminali e poi adesso è il
primo della classe ma
chi ci dice in futuro chi o che cosa diventerà ? Meglio
tenerlo alla larga dal
principio >> disse Cathy con sicurezza
A
quel
punto Julian non ce la fece più. Chiuse
l’armadietto con forza e se ne andò in
classe. Cathy e Annie si voltarono verso di lui, la prima con lo
sguardo che
diceva “se ha sentito non me ne può fregar di
meno. Ho detto solo la verità”,
la seconda “Mi dispiace tanto per lui”. Julian non
aveva mai sopportato le
pettegole, sono sempre pronte a sparare giudizi sulla vita degli altri
prima di
giudicare la propria. A un certo punto l’aria della scuola
gli sembrò
soffocante, cominciava ad avere caldo. Strano, visto che stava per
piovere e
che quel giorno indossava solo un paio di jeans, con una maglietta
grigia a
maniche corte e una felpa blu. Comunque si tolse la felpa per il caldo
improvviso lasciando scoperte le bianche braccia muscolose ma anche
coperte di
lividi e graffi. Girando l’angolo urtò per sbaglio
una ragazza. O meglio la
ragazza. Jenny Thornton era vicino al suo armadietto in compagnia di
Audrey e
Summer e stavano parlando della festa di compleanno per Tom Locke.
Merda, pensò
con ira. Tuttavia si diede un contegno e dopo averle sussurrato un
flebile
“scusa” continuò a dirigersi verso la
classe.
IN
CLASSE…
Julian
non aveva mai gradito particolarmente la matematica, ritenendola una
materia
troppo precisa con cui non puoi neanche lavorare di fantasia e
spontaneità.
Tuttavia le dedicava lo stesso impegno che dedicava alle altre. Oggi
era giorno
d’interrogazione, poiché lui era già
stato interrogato si era preso la libertà
di nascondere un pacchetto di Kit-Kat nel borsello per ammazzare un
po’ la
noia. Anche se a sua detta era inutile celare il cioccolato nel suo
borsello,
l’aula era ampia abbastanza per quattro file di studenti, lui
era alla terza
fila vicino al muro alla sua destra, abbastanza lontano per non essere
beccato
a mangiare dal professore, ma anche se fosse stato beccato i suoi
professori in
generale non ne avrebbero fatto un problema per i suoi ottimi voti. Ne
aveva
avuto la prova la prima volta che decise di mangiare del cioccolato il
classe.
Ovvero il mese scorso…
Stava
mangiando del cioccolato in classe, anche quella volta un pacchetto di
Kit-Kat,
e anche in modo svogliato. La lezione era davvero pesante, Julian
ricordava che
fosse l’ora di religione e che a malapena riuscisse a tenere
gli occhi aperti.
Così portò alla bocca un kit-kat e
cominciò a mangiarlo quando all’improvviso
Catherine (Cathy) Brighton vedendolo mangiare avvertì il
professore con la sua
voce fastidiosa e acuta. All’istante tutti i suoi compagni si
voltarono verso
di lui ma fortunatamente fu abbastanza rapido da nascondere nuovamente
il pezzo
di kit-kat nel suo astuccio.
Il
professo con mal celata irritazione disse << Signorina
Brighton la prego
di non interrompere la lezione per certe frivolezze e la prego di stare
attenta. Da quel che ho capito dalla sua affermazione ho intuito che
lei non
stava seguendo la lezione, bensì che lei fosse girata verso
il signor Black che
a differenza sua può permettersi di distrarsi per i suoi
voti. Con questo non
dico che il signor Black è autorizzato distrarsi, sia ben
chiaro >>
Inutile
descrivere l’espressione compiaciuta e soddisfatta che
apparve sul volto di
Julian che si accentuò quando Cathy si voltò
verso di lui imbronciata e lui per
farle dispetto si portò alla bocca un Kit-kat e mangiandolo
davanti ai suoi
occhi per farle dispetto. Da quel giorno tutti lo lasciarono in pace,
almeno
durante le lezioni.
Adesso
era la stessa identica cosa. Lui stava tranquillamente mangiando i suoi
kit-kat
cercando comunque di non farsi beccare dal professore. E nel frattempo
rifletteva. Guardando i suoi compagni si rendeva conto che per loro la
vita era
alquanto facile, la loro famiglia li amava, pagava loro le gite, le
feste, i
libri nuovi, non come lui che doveva accontentarsi dei libri usati, che
non
andava nemmeno alle gite e che gli unici abiti che poteva permettersi
erano i
jeans, felpe e maglie comprate al mercato. Non perché la sua
“famiglia” fosse
povera ma perché gli davano giusto i soldi indispensabili
per le piccole spese.
Loro gli dicevano sempre “Anche noi siamo partiti da niente,
ma vedrai, che
arriverà un giorno in cui avrai tutto ciò che
desideri, dove tutti ti temeranno
e avrai il potere più grande che sia mai
esistito”. Julian non aveva mai capito
appieno il significato di quella strana affermazione. Era vero che la
sua
famiglia apparteneva al Pentagono, ma non aveva mai visto droga o soldi
illeciti in casa sua. Anzi la sua era una casa davvero particolare.
Ogni volta
che entrava gli dava l’impressione di entrare in un mondo
fantasioso, c’erano
giochi ovunque. I suoi preferiti erano “La casa degli
orrori”, “L’Inseguimento”
e “La caccia al tesoro”. Il primo perché
era divertente scoprire le paure degli
altri, lo divertiva e o considerava anche il “passo avanti a
loro”,
“L’inseguimento” anche, di solito
riusciva sempre a vincere e poi era piuttosto
bravo a scegliere la base, ma il terzo lo amava
davvero, era il gioco in cui poteva imbrogliare di
più. Prendeva le cose di
nascosto e le nascondeva ma, quelle che lui desiderava davvero le
prendeva e
basta e non le dava più indietro. Il bello era che i suoi
parenti più grandi
(lui era il più giovane in assoluto) rimanevano soddisfatti,
compiaciuti, forse
perché credevano che lui sarebbe diventato come loro un
giorno. Ma Julian aveva
seri dubbi al riguardo. Per quanto gli piacesse vincere, per quanto
quella
situazione di sottomissione gli stesse sulle scatole lui era
consapevole di
essere il qualche modo diverso da loro, un qualcosa che lo avrebbe reso
più
forte o più debole, solo il tempo glielo avrebbe detto.
<<
Signor Black, lei sa rispondere a questa domanda ? >> la
voce del
professore lo ridestò dai suoi pensieri.
Un
ultimo lancio di dadi, pensò.
Era la sua frase tipica, ogni volta che era arrivato o
all’ultima domanda di un
interrogazione, all’ultima domanda di un compito, o
all’ultima mossa di una
partita. Non sapeva perché quella frase gli piacesse tanto.
Forse perché era circondato
da persone a cui il Gioco piaceva molto. Così si
voltò verso il professore e
disse << Naturalmente >>
DOPO
LA
SCUOLA…
Julian
dopo la scuola aveva l’abitudine di fermarsi a un bar a
prendere un muffin. Di
solito non faceva colazione, anzi mai, e dato che non mangiava mai in
mensa con
gli altri preferiva fare un piccolo spuntino dopo la scuola per poi
tornare a
casa a piedi. Gli piaceva camminare soprattutto dopo essere stato
seduto dopo
molto tempo. L’aria poi era fresca e c’era un
leggero vento che gli
scompigliava i capelli, in quel momento era davvero rilassato.
Arrivò a casa
poco più tardi e aveva anche già finito il suo
muffin. Non era una coincidenza
sul perché si dicesse che la sua famiglia appartenesse a un
pentagono. Le
cinque case erano state costruite in modo da formare un pentagono in
mezzo.
Infatti le abitazioni avevano un grande giardino in comune a forma di
pentagono. Ancora non capiva cosa la gente trovasse di losco nella sua
abitazione, l’esterno era di un colore simile al giallo
dorato e le finestre in
blu elettrico, la porta era verde e poi sui balconi c’erano
vasi di molti
fiori. Non aveva di certo un aspetto lugubre e triste. Tuttavia a lui
questo
non importava, aveva un tetto e un posto in cui vivere e tanto bastava.
Prese
le chiavi che erano anch’esse strane,
l’estremità era a forma di una runa, o
almeno così gli avevano detto, una runa che sembrava una U,
un toro e si
chiamava Uruz e a quanto aveva capito gli antichi credevano che essa
potesse
squarciare il velo che separava il mondo degli esseri umani dagli altri
nove.
Ovviamente lui non aveva creduto a quella stupidaggine. Aveva smesso di
credere
alle storie di fantasmi e lupi mannari da un po’.
Aprì la porta di casa e si
guardò in torno in cerca di qualcuno, ovviamente i suoi
parenti erano andati a
trovare i vicini e a casa non c’era nessuno. Entrò
nell’atrio chiudendosi la
porta alle spalle. L’atrio era abbastanza grande
c’era il soggiorno a sinistra,
con le pareti gialle con degli strani disegni, le tende rosso arancio,
i mobili
in legno e una grande libreria. Nel suo soggiorno non c’era
il televisore, i
suoi parenti avevano un idea tutta loro sulla modernità e
quegli “aggeggi
elettronici ammazza- cervello” o almeno così
dicevano, ma in compenso avevano
scaffali pieni di ogni tipo di giochi, a quelli per due, per quattro e
per più
persone. Ma non solo giochi di società ma anche giochi tipo
la corda o
pennarelli e disegni. I giochi era l’unica cosa su cui i suoi
parenti lo
avevano veramente viziato ma anche questo non l’aveva mai
capito. Ma non sapeva
neanche che lo avrebbe scoperto presto.