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Autore: mila96    13/09/2012    7 recensioni
Mia, una sedicenne di New York, è costretta a lasciare la sua casa per andare a studiare nel sud dell'Inghilterra, a casa di una zia che neanche conosce. Ben presto capirà che quel viaggio ha un significato e che le cambierà la vita. scoprirà di avere una sorella e che non sempre l'amore è la scelta più giusta.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Liam Payne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole stava sorgendo mentre l’ aereo si staccava dalla pista di decollo. Mia guardò un’ ultima volta New York mentre si allontanava dal suo sguardo. Con un colpo secco oscurò l’ oblò e prese l’ i-pod dallo zaino nuovo. Alzò il volume al massimo e chiuse gli occhi.
Era arrabbiata.
Non voleva lasciare la sua casa. Ma le parole della madre erano state incontestabili: Passerai un anno in Inghilterra. Imparerai tutto quello che puoi e  quando tornerai farai quello che vuoi della tua vita. Mia non aveva potuto ribattere: avrebbe compiuto diciassette anni tra tre mesi, la maggiore età era ancora lontana. Le parole del padre erano state in qualche modo un po’ meno incisive: pensaci Mia, un posto nuovo dove nessuno saprà chi sei, dove non ti prenderanno in giro per le tue stranezze o per il colore dei tuoi occhi! Già, i suoi occhi. Bel colore il viola. Andava anche di moda in quel periodo, peccato che i suoi occhi non cambiassero colore a seconda delle stagioni ma restassero sempre di un viola così intenso da far abbassare lo sguardo a chiunque le rivolgesse la parola.
Quanto alle stranezze, Mia non le considerava tali. Facevano parte del suo modo di essere. Poteva, ad esempio camminare sotto la pioggia senza bagnarsi e spostare di pochi millimetri gli oggetti. Ma questo i suoi genitori lo ignoravano, sapevano solo quello che chiacchierava la gente: la loro unica figlia, estremamente brillante e carina era considerata strana.
Quando aprì gli occhi per cambiare canzone la rabbia era quasi completamente sbollita e ora si sentiva leggermente in colpa per non aver salutato come si deve i genitori. La colpì la sensazione che qualcuno la stesse fissando, siccome le sue sensazioni di rado sbagliavano voltò la testa e sorrise vedendo che ancora una volta aveva ragione: un ragazzo biondo e abbronzato la guardava sorridendo dal posto di fianco al suo.
-          Ehi! – Mia si sforzò di sorridere. Fa che non mi guardi negli occhi, ti prego.
-          Ciao.
-          Mi chiamo Ryan – le porse la mano, lei gliela strinse continuando a non guardarlo.
-          Piacere, sono Mia. E così sei diretto a Londra eh? – la ragazza si sentì sciocca ad aver detto una cosa così scontata. Lui rise e si sistemò i capelli.
-          Si, sono stato una settimana in America per festeggiare i diciotto anni. Abito vicino a Piccadilly Circus, potremmo vederci una volta, che ne dici?
Mia arrossì.
-          Non resterò a Londra mi dispiace, mi sto trasferendo in un paesino vicino a Canterbury – fece un sorrisino a mo’ di scusa, poi fece l’ errore di alzare lo sguardo. Ryan impallidì.
-          I… i tuoi occhi! – balbettò. Lei si ritrasse, accorgendosi solo in quel momento di essersi avvicinata al ragazzo.
-          Sono solo lenti a contatto – si scusò.
-          Io… stammi lontana, fanno impressione – si tirò su il cappuccio e le diede le spalle.
Era successo di nuovo, aveva spaventato uno sconosciuto che non aveva avuto l’ accortezza di starle lontano.
La mano le scattò automaticamente sul suo preziosissimo i-pod, amico fedele in momenti come quelli. Scorse attentamente tutte le play-list che aveva meticolosamente creato, una per ogni situazione. Momenti tristi, play. Si chiuse su se stessa e pregò che il viaggio finisse presto.
Era quasi buio quando l’ aereo atterrò. Si godette il piacevole vuoto allo stomaco provocato dalla discesa. Scattò veloce e riuscì a evitare tutte le persone che indugiavano nello stretto corridoio. Tenendosi stretta allo zaino percorse correndo le scale e il corridoio che portava alla zona dove si ritiravano i bagagli.
Incrociò due o tre volte Ryan che ogni volta la guardava con disprezzo. Sono solo occhi viola si ripeteva, ma sapeva che non era vero, avevano qualcosa di strano.
A grandi falcate si lasciò alle spalle persone indaffarate a cercare le proprie valigie e si diresse verso l’ uscita. I grandi corridoi erano affollati di gente stordita dal jet-leg. Seguì le indicazioni con la scritta exit finché non la colpì l’ idea di non sapere chi dover cercare. Il panico s’ impadronì di lei. Cercò di ricordare le parole della madre: Zia Ella ti aspetta fuori dall’ aeroporto.
Non avendo mai visto sua zia decise di accantonare momentaneamente il problema di come trovarla e si fermò in un angolo poco affollato per controllare che ci fosse tutto: telefono nella tasca di jeans, i-pod nel taschino dell’ impermeabile, portafoglio nello zaino. Sospirò osservando i pochi oggetti che componevano il suo bagaglio tra cui un paio di vestiti di ricambio e dei libri portatili, il resto era stato spedito settimane prima con un volo merci.
Si infilò le mani in tasca e riprese a camminare facendosi trascinare dalla folla. Si perse nei suoi pensieri immaginando zia Ella, sapeva davvero poco di lei. In tutti i suoi sedici anni e mezzo Mia l’ aveva sentita nominare raramente. È la sorella minore della mamma. Ricordò ad un tratto e poi, è molto ricca. Se la immaginava come una signora di mezza età dall’ aria austera e i capelli venati di grigio raccolti in una crocchia severa. Che spasso. Oltrepassò le porte scorrevoli dell’ uscita e si fermò ad inspirare l’ aria inglese. Intorno a lei le persone si abbracciavano e piangevano. Iniziava già a preoccuparsi non vedendo nessuno che corrispondesse alla descrizione che si era fatta.
Poi, nell’ ombra, Mia notò una ragazza giovane che la guardava sorridente come se fosse certa che lei era quella che stava cercando. Una sensazione che non seppe decifrare la colpì. Si avvicinò alla donna barcollando.
-          Zia? – chiese, la voce arrochita dalle ore passate in un mutismo ostinato
-          Mia!
Ella era l’ esatto opposto di quello che aveva creduto: sembrava una modella, aveva lunghe gambe fasciate da dei pantaloni attillati, le scarpe che portava mostravano un tacco vertiginoso e l’ impermeabile color crema le stringeva la vita stretta. Al collo aveva una sciarpa multicolore che le dava un tocco di vitalità. I capelli le ricadevano a lunghe onde color cioccolato – lo stesso di Mia- lungo le spalle.
La somiglianza tra le due era evidente, chiunque avrebbe potuto scambiarle per sorelle. Mia non assomigliava così tanto neanche ad Anne, sua madre.
Ella l’ afferrò per le spalle e per un lungo istante la scrutò attentamente. Si perse nei suoi occhi come se fossero la cosa più bella che avesse mai visto. Mia apprezzò molto quel gesto perché significava accettazione. La zia fu costretta ben presto ad abbassare lo sguardo, ma a differenza di Ryan il suo sorriso non si trasformò in una smorfia disgustata.
-          Che bello vederti! – canticchiò.
L’ abbracciò forte e ad un tratto tutto il mondo era sparito. Mia si era già dimenticata di Ryan, dell’ America, dei suoi problemi e dei suoi occhi. Si sentiva a casa. Per la prima volta nella vita non si sentiva fuori posto.
Sciogliendo l’ abbraccio Ella la prese per mano e la condusse alla macchina. Una Bugatti Veyron grigia metallizzata. Mia restò a bocca aperta.
-          È fantastica – osservò gli interni rivestiti di pelle – a casa guido una Mustang prossima alla rottamazione.
-          Bella vero? Peccato che tu qui non la possa ancora usare… ti toccherà andare in giro a piedi, per fortuna Broadstairs non è poi così grande! – rise e la sua risata riempì l’ abitacolo.
Broadstairs. Mia si rigirò quel nome più volte in bocca.
La città che sarebbe stata la sua casa per un anno.
 Sua madre era scappata da lì quando era ancora giovane, per sposarsi e ricominciare da capo. Ora lei ci andava in esilio per resettare la sua vita. Rise tra sé. Si accorse che Ella la stava osservando.
-          Quando avrai sistemato tutta la tua roba, che tra parentesi è davvero tanta, ti spiegherò come funzionano le cose qui. Devo presentarti una persona, ti piacerà!
-          Tuo marito? – chiese Mia sfacciatamente.
La donna si rabbuiò di colpo e per un istante restò ad osservare l’ autostrada che serpeggiava deserta davanti a loro, poi sorrise e si voltò per guardare la nipote negli occhi:
-          Purtroppo tuo zio Daniel è morto poco dopo che sei nata. Un vero peccato, ti sarebbe piaciuto.
Mia non fece in tempo a mormorare un sommesso mi dispiace che Ella aveva già ripreso a parlare:
-          È un ragazzo. Lo adorerai – sembrava emozionata come una bambina il giorno di natale. Mia storse il naso. A New York aveva avuto troppi problemi di cuore per essere già pronta a ricominciare.
-          Ehm.. in realtà… io non sono così interss.. – stava per continuare, ma il fiume di parole della sua accompagnatrice la zittì.
Ella aveva la capacità di parlare ininterrottamente per ore cambiando argomento con la rapidità con cui sbatteva le ciglia. Mia ne rimase colpita e fu felice di passare le due ore di viaggio successive a sonnecchiare cullata dal rombo del motore. Scoprì che Ella Morgan era una famosa disegnatrice di moda e che viaggiava spesso per lavoro, era un’ ottima cuoca e una pessima giardiniera. Le confessò di aver cambiato molte volte lavoro: cameriera, giornalista, baby-sitter..
-          Sai, i miei genitori, i tuoi nonni, erano molto ricchi e mi hanno permesso di fare quello che volevo – la sua voce assunse un tono grave – quando sono morti ho dovuto mettere la testa sulle spalle, trovare un lavoro serio. E ho capito che la moda era la mia vita.
Mia annuì energicamente, capiva perfettamente cosa voleva dire:
-          Quando.. – iniziò con voce indecisa – quando ero piccola raccontavo sempre delle storie ai miei amici, e loro passavano ore ad ascoltarmi. Così la mamma mi ha detto: “Mia dovresti fare la scrittrice” e io la presi così sul serio che riempii pagine e pagine di scarabocchi incomprensibili!
Rise, ma la risata le morì in gola, il seguito non era così divertente.
-          E poi? – Ella la guardava interessata.
-          Due anni fa in un incidente – deglutì e scacciò il ricordo – un mio amico è morto. Era lui che mi sosteneva. Non sono più riuscita a scrivere neanche un biglietto di auguri.
Mentre parlava teneva le mani strette tra loro. Non voleva pensare a Lui. Josh. Anche se si sforzava non riusciva a ricordare il suo volto. Solo quella luce accecante e il vuoto. Le sue fotografie sparite. Per la frustrazione batté un pugno sul cruscotto.
Ella le posò una mano sul braccio.
-          Mia. Sei qui per un motivo. Forse adesso non lo capisci ancora… l’ Inghilterra ti cambierà. Mi dispiace per il tuo amico ma… fa parte del passato. Tienilo nel tuo cuore e alza gli occhi al futuro.
Le lacrime la colsero impreparata, si girò verso il finestrino e finse di guardare il paesaggio notturno del Kent, alzò gli occhi in tempo per vedere il cartello:
“BROADSTAIRS”
-          Eccoci a casa.
La macchina si fermò e Mia scese sentendosi malferma sulle gambe. La parola “casa” riferita all’ edificio che le stava davanti era un eufemismo. Una villa in stile ottocentesco che le copriva la visuale era circondata da un piccolo giardino. Nel buio riuscì a capire che parte della facciata era fatta di vetro. Lungo la via si snodavano case antiche e imponenti quanto “Villa Morgan” come recitava la targa in ferro battuto sul cancello.
 Ho sempre desiderato una villa che portasse il mio cognome pensò ironica Mia mentre varcava la soglia seguita a ruota da Ella. Il salone d’ ingresso la stupì più della facciata: era una lunga stanza con un tavolo al centro, su una parete troneggiava un camino accerchiato da dei morbidi divani in pelle color crema, le due pareti restanti erano di vetro e davano una splendida vista sul giardino e sulla strada.
Ella le posò le mani sulle spalle.
-          Il resto della casa non è così imponente, credimi. Ho ristrutturato la cucina in stile moderno, è dietro quella porta scorrevole, al piano di sopra ci sono numerose camere in cui preferirei che tu non entrassi, al secondo piano troverai  la mia camera, la tua, la biblioteca, una camera per gli ospiti e il mio studio – accompagnava ogni parola con un gesto teatrale – e infine, l’ ultimo piano è una torretta.
Mia alzò un sopracciglio mentre aspettava che la zia completasse la frase. Ma Ella non lo fece:
-          Non guardarmi così. È una sorpresa. Ora vieni, ti accompagno in camera tua, sarai stanchissima.
La prese per un braccio e lei si lasciò trascinare ad un tratto insonnolita.
-          Girare per casa non è semplice all’ inizio ma ci si abitua. Molte scale non portano da nessuna parte, ricordatelo. Per andare in camera tua non è necessario passare dal primo piano, basta salire da qui – indicò una massiccia scala a chiocciola vicino alla porta della cucina – l’ accesso per quel piano è in corridoio, ma tanto non ti servirà. Troverai alcuni passaggi strettissimi e in posti inspiegabili che portano ad alcune stanze. Sono chiuse. Tutta robaccia.
 Fece il gesto di scacciare qualcosa di immaginario da sopra la sua testa e sospirò.
-          Con gli anni ho cercato di rendere questa casa più facile da abitare ma sembra impossibile. Per esempio: la cucina è molto moderna ma il salone non si può cambiare più di così. il secondo e il terzo piano sono stati rimodernati ma quei passaggi segreti spuntano fuori da tutte le parti.
Sbuffò e diede un colpetto alla schiena della nipote, invitandola a salire. Mia contò trentaquattro scalini prima di vedere il corridoio allungarsi davanti a lei. Ella la seguiva in silenzio, osservandola. La ragazza iniziò a camminare leggendo le scritte sulle porte: studio, Ella’ s room, toilette, camera degli ospiti e infine, scritto con la vernice fresca Mia’ s room. Aprì la porta e la zia la spinse dentro, accendendo la luce. Entrambe inciamparono negli scatoloni che ingombravano il pavimento e caddero sul letto matrimoniale che occupava una parte della camera. Restarono sdraiate a ridere per un po’, poi Ella si alzò di scatto, sistemandosi le ciocche di capelli che le erano ricadute davanti agli occhi.
-          Bene. Questa è la tua camera. Domani avrai tempo per sistemare tutto – fece per uscire ma poi si girò a guardarla un’ ultima volta – ah, Mia? Quando esci ed entri preferirei che tu usassi la porta di servizio che c’è in cucina. Buona notte.
Uscì e si chiuse la porta alle spalle. Mia senza neanche cambiarsi si infilò sotto le coperte e si addormentò di colpo.

 Mi farebbe molto piacere una recensione :)
  
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