Jeremy e Grace camminarono per circa cinque minuti e raggiunsero un
piccolo parchetto diroccato situato accanto alla scuola superiore che entrambi
avevano frequentato. Quando il ragazzo si fermò, Grace sobbalzò. Non riusciva
più a vedere niente, distingueva solamente la luce che veniva irradiata dai
lampioni e i fari delle macchine che, di tanto in tanto, le passavano accanto.
“Ci sediamo?” domandò lui, guardandola come per cercare di
comprendere il visus che la ragazza percepiva in quel momento.
“Oh, sì, certo.” Grace era nervosa, non riusciva ancora a credere
al fatto che stesse succedendo davvero. Parlare con Jeremy Pherson era stato un
pallino che le martellava i pensieri da anni, tornato a farsi sentire
particolarmente in quell’ultimo periodo, e ora tutto stava diventando realtà.
Il ragazzo si avviò con lei ad una panchina e la aiutò a prendere
posto, poi si accomodò al suo fianco e disse: “Dopo ti riaccompagno a casa in
bici, ti va?”
“In bici? Sei matto!”
“No, affatto. Sarà divertente. Ci sei mai andata al buio?”
Grace fisso l’oscurità davanti a sé. “Be’, no” rispose.
Jeremy ridacchiò. “C’è sempre una prima volta per tutto.”
Lei non disse nulla e sperò che lui si decidesse a dirle ciò che
aveva in mente. Non riusciva minimamente a prendere uno straccio d’iniziativa,
si sentiva agitata e in preda ad un’ansia terribile.
“Gracie, ops… scusa, Grace…”
“Ti conviene” puntualizzò lei, in tono acido.
“Pardon. Grace, volevo dirti che mi dispiace di averti ferito, so
che non è colpa tua se hai preso quel palo in faccia.”
“Allora perché l’hai fatto?” Grace si agitò sulla panchina.
“Perché alcune volte sono un deficiente, lo so” ammise lui, con lo
sguardo basso.
La ragazza non poteva vederlo, ma percepiva nel suo tono di voce
una nota di tristezza, come se fosse realmente amareggiato da se stesso. Così,
si zittì e avvertì un’improvvisa voglia di piangere, come se quella semplice
inclinazione di tonalità l’avesse disarmata e commossa.
“Tu volevi dirmi qualcosa? Ti sei agitata nel rivedermi, me ne sono
reso conto.”
Grace si lasciò sfuggire un sibilo, come se improvvisamente la
consapevolezza di avergli rivelato troppe cose attraverso il suo comportamento
l’avesse schiaffeggiata brutalmente. Che stupida era stata, Jeremy non era di
certo uno sprovveduto, anzi, era intelligente e perspicace e soltanto in quel
momento lei fu costretta a rendersene conto e a ricordarsene.
La ragazza annuì impercettibilmente. “Non mi aspettavo che
rivederti mi facesse un effetto così… strano. Improvvisamente ho capito che
abbiamo sprecato un sacco di anni ad ignorarci a causa di una stronzata e mi
sono sentita in colpa.” Mentre parlava, si meravigliava sempre più del modo in
cui stesse riuscendo a dirgli quelle cose.
Jeremy sorrise. “Eravamo dei bambini.”
“Ora non lo siamo più” osservò Grace.
“Tu lo sei, Gracie” scherzò lui.
“Senti chi parla.”
I due risero insieme.
“Perché ti ostini a chiamarmi Gracie? Sul serio, Jemy, è orribile!”
Lui fece spallucce, in maniera istintiva. “È carino, invece. Poi mi
ricorda i vecchi tempi, ti si addice, non so” spiegò, per poi prendere a
frugarsi in tasca.
“Capirai… carinissimo, direi” fece lei, ironica.
“Ti da fastidio se fumo?” domandò Jeremy, estraendo un pacchetto di
sigarette e un accendino.
“Nah, fai pure. Se mi intossichi, ti uccido.”
“Mi alzo.” Si mise in piedi di fronte a lei e prese a rovinarsi i
polmoni con catrame, nicotina, tabacco e qualsiasi altra schifezza presente in
quell’affare che teneva in mano.
“Spiegami la storia di ‘Mister love & peace’, sono curioso.”
Grace rise. “Ma sì, lo sai, per la musica che ascolti, era una
stronzata.”
“Ah, ecco. Geniale. Be’, a te non piace?”
Grace si sentì confusa. “Cosa?”
“La musica che ascolto.”
“Domanda idiota del giorno, eh? Lo ascoltavo da prima di te, caro,
lo sai.”
Jeremy annuì. “Lo so, ma con il passare del tempo le persone
cambiano gusti, preferenze… cambiano e basta.”
“Hai ragione, ma per me il reggae è una fonte inesauribile di
ricordi legati alla mia infanzia, come potrei ripudiarlo? Poi mi mette
allegria.” Sorrise, orgogliosa di quella sua passione.
“Anche a me fa quell’effetto, è una musica rilassante e pacifica,
come me” si pavoneggiò il ragazzo, gettando la cicca della sigaretta a terra e
schiacciandola con la punta della scarpa.
“Sì, certo. Allora avevo ragione a chiamarti in quel modo.”
Jeremy tornò a sedersi accanto a lei.
“Comunque non ascolto soltanto quel genere, ma anche questo puoi
ben immaginarlo” aggiunse lei, avvertendo la vicinanza dei loro corpi.
“Sì, anche per me è lo stesso.”
“Però stasera stavo cantando ad Elizabeth tutta la discografia di
Eddy Grant, quindi ti lascio immaginare la sua immensa gioia.”
Jeremy le diede una pacca sulla spalla. “Eddy Grant è un grande, la
tua amica dovrebbe essere fiera di avere qualcuno che canta le sue canzoni”
disse.
“Infatti, anche a lei piace, ma ti assicuro che sentirmi
canticchiare a ripetizione sempre gli stessi pezzi di canzone non è il massimo.
Povera Lizzie, non so se mi piacerebbe trovarmi al suo posto.”
Il ragazzo rise e lei lo seguì a ruota.
“Mi è mancato parlare con te, Gracie.”
Lei rise, imbarazzata. Non poteva credere minimamente a quanto le
stava accadento, era praticamente impossibile. Eppure, era così.
“Ancora con questo Gracie?!”
“Sì, abituati, è più forte di me.”
“Okay, permetterò soltanto a te di farlo, ma non provare a
divulgare quest’appellativo orripilante, potrei farti fuori mentre dormi” lo
minacciò lei, mollandogli un pugno sul braccio.
Lui si avvicinò e le avvolse le spalle con un braccio. “Okay, va
bene, aggiudicato.”
Grace si irrigidì per un istante, poi decise di rilassarsi – o
meglio, si costrinse a farlo – e posò la testa sulla spalla del ragazzo.
Chiuse gli occhi, stanca di vedere soltanto oscurità attorno a sé.
“Siamo amici?”
“Certo, lo siamo sempre stati, ci siamo soltanto persi,
erroneamente. L’importante è che ci siamo ritrovati. Ammetto che, se non fosse
stato per il modo in cui mi hai fatto capire che volevi avvicinarti a me,
probabilmente avrei continuato ad ignorarti.”
“Uh, carino” osservò lei, allontanandosi un po’ dal suo corpo.
Quelle parole non le piacquero affatto, nonostante fossero sincere.
“Non te la prendere, dai. È la verità. O preferisci che ti menta?
Sai che non ci riuscirei.”
“Hai ragione, scusa. Allora, devo ringraziare me stessa per tutto
questo. Non pensavo di essere così intelligente.”
“Ora siamo in due, a quanto pare.” Jeremy la strinse un po’ di più
a sé.
Rimasero in silenzio per un paio di minuti, poi Grace domandò: “Che
ore sono?”
Il ragazzo osservò il display del suo cellulare e rispose: “Quasi
le nove. Andiamo, se vuoi.”
“Sì, forse è il caso. Dopo cena devo uscire con Jane e gli altri,
non posso tardare” disse lei, scostandosi dal ragazzo e alzandosi.
Lui la raggiunse e le offrì il braccio per poterla aiutare.
“Prendiamo la bici e ti accompagno.”
“È necessario andarci con quell’affare?” borbottò la ragazza,
avvertendo una sottile ansia all’idea.
“Sì, lo è. Anche io ho da fare più tardi, cosa credi. A piedi ci
impiegherei troppo tempo per rientrare. E poi tu non sei mai andata in bici di
notte, perciò è un’esperienza che devi provare” concluse Jeremy, svoltando
nella sua strada.
“Se lo dici tu…”
Intanto i due raggiunsero la casa di lui, trovando la madre del
ragazzo che parlava con una vicina di casa.
“Ciao mamma.”
“Ah, sei tornato.” Poi la donna mise a fuoco Grace e le sorrise,
pur sapendo che lei non poteva cogliere quel suo gesto.
“Sì, ma prima devo riaccompagnare Gracie a casa sua.”
“Certo. Ciao Grace, come stai?” La madre di Jeremy le si avvicinò e
le stampo due baci sulle guance.
“Ciao. Tutto bene, grazie. Tu?”
“Benissimo, anche se le mie vacanze stanno per finire, purtroppo.”
Grace si accorse che Jeremy era entrato nel cortile della sua casa
a recuperare la bici. “Di già? Quando ripartite?”
“Dopodomani.”
Grace si sentì improvvisamente triste e abbattuta all’idea di
doversi già separare da quell’amico che aveva appena ritrovato dopo tanti anni.
“Capisco” sussurrò, abbassando lo sguardo che comunque non riusciva a farle
distinguere alcunché.
Nel frattempo, Jeremy le tornò accanto. “Eccomi.”
“Hai intenzione di portarla in bici con te?” chiese la madre del
ragazzo, con tono scettico.
“Sì, perché? Possibile che nessuno si fidi di me?” Sbuffò e si
sistemò sul sellino, prendendo Grace per mano e incitandola a sistemarsi sul
portapacchi.
“Va bene, ma stai attento” concluse la donna, per poi andarsene,
dopo aver salutato Grace.
“Non correre, ti prego!”
“Tieniti forte e rilassati, ti piacerà” le ordinò il ragazzo, per
poi partire velocemente a bordo del modesto mezzo di trasporto.
“Oh, sant’iddio, ho paura!” gridò Grace, stringendosi a lui e
affondando il viso contro la sua schiena. Stranamente, quel gesto le donò una
sicurezza tale da permetterle di rilassarsi contro il suo corpo.
Jeremy rise e le chiese di indicargli la via per casa sua, dal
momento che non era a conoscenza del suo nuovo indirizzo.
Il ragazzo rallentò un po’. “Tutto bene?”
“Sì.” Grace sospirò.
“Sicura?” Il ragazzo staccò una mano dal manubrio e accarezzò
quelle di lei che erano intrecciate all’altezza della sua pancia.
“Sì, cioè…” Grace si bloccò, indecisa sul da farsi. Aveva voglia di
dirgli che non voleva che lui se ne andasse proprio ora, ma allo stesso tempo
non era certa che fosse la cosa giusta da fare. Decise di parlare, poiché
spettava a lei far sapere alle persone che la circondavano quali erano i suoi
sentimenti, altrimenti nessuno sarebbe stato in grado di leggerle nel pensiero.
Così, prese il coraggio a quattro mani e disse: “È vero che
dopodomani ripartirai?”
“Sì, purtroppo è vero. Ti dispiace?”
“Sì.”
Calò il silenzio.
Nessuno dei due sapeva cosa dire, la verità era che non volevano
separarsi subito, non era ancora il momento, avevano anni e anni di distanza da
recuperare, non potevano permettersi ancora di rimanere lontani l’uno
dall’altro. Eppure, quella era la dura verità, non potevano farci niente e la
dovevano accettare, volente o nolente.
“Anche a me” riprese Jeremy, per poi fermarsi davanti a casa di
Grace.
La ragazza scosse il capo e scese dalla bici. “Grazie per il
passaggio, è stata un’esperienza meravigliosa.”
“Figurati, sapevo che ti sarebbe piaciuto, Gracie.”
A Grace pizzicarono gli occhi. Non era quello il momento di
salutarsi, vero? Avrebbero avuto un’altra occasione per stare insieme, sì?
Oppure dovevano dirsi nuovamente addio e lasciar trascorrere chissà quanto
tempo prima di poter trascorrere del tempo a parlare e scherzare?
“Jemy…”
“Ehi, che fai? Non piangere, non per me!” Il ragazzo le si avvicinò
e la strinse in un abbraccio, la prima vera dimostrazione d’affetto che le
avesse mai rivolto in tutta la vita.
La ragazza ricambiò la stretta e tirò su col naso. “Quindi non ci
rivedremo?”
“Chi l’ha detto?” Jeremy la scostò da sé e le arruffò i capelli.
“Domani ti va se ci vediamo?”
“Certo che sì!” esclamò lei, euforica. Poi divenne pensierosa e gli
chiese: “E i tuoi amici?”
“Li saluto domani notte, così avrò tutto il tempo per uscire con
te. Abbiamo una giornata davanti, vedrai, recupereremo un po’ di tempo. Sempre
meglio di niente, non trovi?”
“Oh, sì.” Grace tornò a stringersi a lui.
“Dai, ti accompagno alla porta” fece lui, tenendola stretta al suo
fianco.
Non appena giunsero a destinazione, lui disse: “Quindi stanotte
esci?”
“Sì, anche tu, vero?”
“Esatto.”
Grace ridacchiò. “Se mi vedi, vieni a salutarmi, altrimenti ti
ammazzo nel sonno” scherzò, con espressione divertita.
“Okay, okay! Ho paura adesso!”
Risero, poi Jeremy se ne andò, dandole appuntamento per il
pomeriggio seguente.
Non appena Grace si richiuse il portoncino alle spalle, ebbe
l’impulso di saltellare allegramente per tutta la casa, gridando dalla gioia,
ma si limitò a sorridere come un ebete e a scrivere un sms ad Elizabeth per
raccontarle ogni cosa.
Era fuori di sé dalla gioia, ma contemporaneamente la
consapevolezza di dover salutare troppo presto Jeremy le lasciava un perenne
senso di vuoto nel petto.
In ogni caso, decise di non pensare a questo, ora voleva soltanto
concentrarsi sul giorno seguente e non fare altro che divertirsi il più
possibile, in modo da conservare dei bei ricordi del suo nuovo – e vecchio –
amico.