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Autore: Beauty    14/09/2012    12 recensioni
E se Belle e Rumpelstiltskin si fossero incontrati nella vita reale?
Mr. Gold, attraverso i suoi patti, tiene in pugno l'intera Storybrooke. E' considerato un uomo malvagio e incapace di amare, ma quando Belle French, per saldare i debiti del padre, accetta di lavorare per lui, le cose si rivelano diverse da come appaiono. Ben presto, Belle e Mr. Gold si ritroveranno inaspettatamente a provare dei sentimenti l'uno per l'altra, ma qualcuno intanto sta tramando nell'ombra...
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Belle, Signor Gold/Tremotino
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Merry Christmas!

 

Jefferson non avrebbe mai immaginato che sua figlia fosse amica di Henry Mills. La sua faccia quando aveva aperto la porta di casa e se li era ritrovati entrambi sullo zerbino diceva tutto. Paige aveva sfoderato uno di quei suoi sorrisoni che lo mandavano regolarmente in pozza, e gli aveva chiesto se ti prego, ti prego, ti prego, papà, Henry può restare a cena?.

Dovevano finire di leggere una storia stranissima, aveva spiegato.

Ovviamente Jefferson non era stato psicologicamente ed emotivamente in grado di dirle di no – sua figlia aveva il potere di fargli perdere qualunque forma di autorità e buon senso, quando ci si metteva. E così, alle dieci passate di sera, non era ancora riuscito a liberarsi del piccolo Mills.

Non era la prima volta che Paige portava a casa degli amici, spesso anche senza preavviso, ma ciò che più sconvolgeva Jefferson era che l’amico in questione, quella sera, fosse Henry Mills. La sua bambina non gli aveva mai parlato di lui, o almeno non l’aveva mai fatto in modo da lasciar intendere che fosse più di un compagno di classe. Jefferson conosceva Henry di vista, anche se aveva sentito mormorare qualcosa sul suo conto. Il figlio del sindaco era descritto da tutti come un ragazzino dolce ed educato, ma anche molto timido e riservato, silenzioso e poco vivace; Paige, al contrario, era una bambina sì gentile e dolcissima, ma ciò non toglieva nulla al fatto che fosse un’adorabile terremoto e una chiacchierina di prima categoria. Insomma, Henry e sua figlia erano due poli opposti.

Tuttavia, nel corso di quel pomeriggio di giochi e di quella cena che sembravano non finire mai, Jefferson iniziò a credere sempre di più nella teoria dell’attrazione fra opposti. Henry era un bambino educatissimo e intelligente, e Paige sembrava divertirsi come non mai con lui. Tanto più che Jefferson si sentì sollevato quando vide che, a differenza degli altri amici di sua figlia, il ragazzino non aveva nessuna intenzione di iniziare con lei una battaglia di lancio di patatine fritte.

Henry aveva preferito divorarle tutte, le patatine fritte. Quand’era entrato in casa di Paige, era rimasto sconvolto dal caos che vi regnava. La casa di Jefferson e sua figlia era molto piccola, e al pianterreno atrio, cucina e salotto si confondevano l’uno con l’altro. Vestiti, cuscini, oggetti vari giacevano qua e là sparsi sul pavimento e sul sofà, mentre il ripiano della cucina era pressoché invisibile, sepolto da una quantità inverosimile di stracci e stoviglie, alcune pulite, altre meno. Sul tavolo erano sparse delle patatine il cui sacchetto aperto era abbandonato sul ripiano, e al piano superiore la cameretta di Paige era sommersa da giocattoli sparsi dovunque. Henry non era abituato a tutto questo: sua madre teneva molto all’ordine e alla pulizia, la sua grande casa era sempre lucida, così come la sua stanza, dal momento che la mamma era rigidissima e assai poco tollerante se si trattava di giocattoli sparsi a casaccio sul tappeto. Lo stesso valeva per la cena. Henry aveva gustato fino in fondo ogni portata, senza preoccuparsi di sembrare maleducato quando si trattava di chiedere il bis. Sua madre pretendeva sempre che lui mangiasse le verdure a pranzo e a cena, e il cibo era rigorosamente nutriente e a base di proteine e vitamine. Era ben raro che gli permettesse di assaggiare qualcosa di fritto o di poco salutare, e anche un semplice gelato richiedeva ore e ore di suppliche.

Invece, ora Henry cominciava a chiedersi dove una bambina smilza come Paige mettesse tutte quelle schifezze. A cena erano state servite patatine fritte con ketchup e maionese, hamburger, coca cola al posto dell’acqua, e per finire una torta di mele, il tutto corredato da merendine al cioccolato e caramelle varie che erano avanzate dalla merenda. Tutti cibi deliziosi, ma pronti. Henry non aveva detto nulla e si era limitato a mangiare, ma sapeva che, se Jefferson aveva cucinato in quel modo, non era certo perché aveva un ospite o perché quella sera non avesse voglia di mettersi ai fornelli. Semplicemente, aveva cucinato ciò di cui era capace.

Paige non aveva la mamma. O meglio, ce l’aveva, ma la moglie di Jefferson era morta in un incidente stradale molti anni prima, quando la bambina non aveva neanche due anni. Paige era sempre stata con il padre, e Jefferson adorava sua figlia, ma faceva quello che poteva. I doppi turni all’ospedale lo sfiancavano, ma quando tornava a casa era sempre allegro e affettuoso con lei, anche se non si poteva dire che fosse un casalingo modello. Non sapeva cucinare e bastava guardare in che condizioni versava la casa per capire che non metteva in ordine da settimane. Ma Paige non se n’era mai lamentata, anzi, Henry era convinto che fosse la bambina più felice e allegra che conoscesse.

Finalmente, terminata la cena – conclusasi alle dieci e mezza passate! –, Jefferson ebbe modo di capire a cosa fosse dovuta l’intrusione di Henry Mills. Si sarebbe aspettato che lui e Paige filassero di nuovo in camera della bambina e riprendessero a ridere e a giocare come avevano fatto per tutto il pomeriggio; invece, senza dire una parola, entrambi erano andati a sedersi sul divano, dove il ragazzino aveva aperto un grosso libro nel quale avevano immediatamente affondato i nasi. Dopo un po’ di tempo di assoluto silenzio – da quanto tempo non lo sentiva? Una decina d’anni? –, Jefferson si decise ad andare in salotto per vedere cosa quei due stessero leggendo di così interessante da farli stare buoni, zitti e fermi in quel modo.

- Che state leggendo?- chiese, senza tanti giri di parole.

- Una favola - rispose Paige, senza staccare gli occhi dal libro.

- Uhm…interessante…che favola?- insistette Jefferson.

- S’intitola La Bella e la Bestia - spiegò Henry.

- Oh!- fece Jefferson.- Sì, l’ho letta, una volta…una favola molto bella…

- Non dirci come va a finire!- si affrettò a dire Paige.- Vogliamo vedere cosa succede…

Jefferson rise.

- Non sia mai, lungi da me rovinarvi il divertimento!- ridacchiò.- E a che punto siete arrivati?

- A quando la Bella arriva al castello della Bestia…- rispose Henry, continuando a leggere.

- Sai, io credevo che se la volesse mangiare…- fece Paige.- Invece, è molto gentile…Le fa persino dei regali, e fa di tutto perché stia bene nel castello…

- Davvero?- sorrise Jefferson, divertito.

- Sì. Proprio come Mr. Gold e la figlia di Moe French.

All’ultima frase della figlia, Jefferson sgranò gli occhi.

- Come dici, Paige?

- Ancora con questa storia?!- Henry la guardò, esterrefatto.- Abbiamo già rischiato grosso, oggi…

- Rischiato grosso?

- Ma è vero, scusa!- protestò Paige, ignorando le domande del padre.- E’ uguale alla Bella e la Bestia. Anche Moe French ha venduto sua figlia a Mr. Gold, ma lui non le ha fatto del male. Hai visto, oggi? La stava trattando bene!

- Ma Mr. Gold non è una bestia!- fece Henry, con ovvietà.

- No, ma ieri Ava mi ha raccontato che Moe French è andato da suo padre e gli ha detto mia figlia ha accettato di lavorare per quella bestia!

- Fermi, fermi, aspettate un momento!- sbottò Jefferson, cercando di riacquistare un briciolo della propria autorità genitoriale.- Che state dicendo di Mr. Gold e Isabelle French?

Henry aprì la bocca per rispondere, ma il suono improvviso del campanello lo zittì. Lo scampanellio si ripeté due o tre volte di fila.

- Arrivo!- urlò Jefferson, avviandosi a grandi passi verso la porta.

Paige ne approfittò per scoccare a Henry un’occhiata trionfante.

- Hai sentito?- disse.- Isabelle French…Belle…che ti avevo detto?

Henry la guardò per un istante, quindi fissò le pagine del libro, riflettendo attentamente.

- Sai, sto cominciando a pensare che tu abbia ragione…

Il suono del campanello si fece più prolungato e insistente. Jefferson sbuffò.

- Arrivo, un attimo!- disse, e spalancò la porta.

- Buona sera, signor Jefferson…

Jefferson fissò l’uomo di fronte a sé, sorpreso.

- Sceriffo Graham?- fece.- Come mai qui?

Graham si passò una mano fra i capelli, evidentemente era preoccupato, pensò Jefferson. L’uomo notò con la coda dell’occhio che alle spalle dello Sceriffo, di fronte a casa sua, era parcheggiata un’auto della polizia, al cui interno una donna era seduta asciugandosi gli occhi con un fazzoletto: era il sindaco Mills!

- Mi scusi per l’ora tarda, signore - disse Graham.- Ma c’è un’emergenza. Il piccolo Henry Mills oggi non è tornato a casa, e sto perlustrando la zona chiedendo se per caso qualcuno…

Graham interruppe la frase a metà, sbirciando al di sopra della spalla di Jefferson.

- Beh, direi che abbiamo risolto il problema…- mormorò, notando Henry seduto sul divano accanto a Paige.

Anche Regina lo vide. In un attimo, i suoi occhi erano tornati asciutti, e il suo viso che sino a poco prima appariva disperato ritornò duro e severo. La donna spalancò la portiera dell’auto e si avviò a grandi passi verso la porta di casa. Nel vederla, Henry scattò istintivamente in piedi.

Come se quella non fosse stata la casa di un estraneo, Regina varcò la porta d’ingresso dando uno spintone a Graham e a Jefferson, e si avviò a grandi passi verso suo figlio.

- Ma che fine avevi fatto?!- disse, quasi gridando, chinandosi per poterlo guardare in faccia.- Mi hai fatto morire! Quando il dottor Hopper mi ha telefonato…hai saltato la seduta, sei sparito per ore, e ora ti ritrovo in questa…questa…questa catapecchia!- ringhiò, allargando le braccia esasperata indicando l’intero ambiente.- Ti aspetta un mese di punizione, ragazzino, e non credere di…

- E’ stata colpa mia, signora Mills!- scattò su Paige, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del sindaco.- Ho invitato io Henry…dovevamo…insomma, noi…- balbettò la bambina, inchiodata dagli occhi duri e neri della donna.

Regina Mills la guardò per un istante, in un’occhiata che comprendeva non solo il viso della bambina, ma anche la sua maglietta di seconda mano e i jeans strappati.

- Lo immaginavo…- disse infine, molto lentamente, sollevando appena un angolo delle labbra in un sorriso beffardo. Senza aggiungere altro, afferrò Henry per un braccio e lo trascinò fino alla porta.

- Vieni, andiamo a casa…- disse, ma poi si bloccò, come se avesse avuto un ripensamento. Guardò Graham.- Grazie di tutto, Sceriffo. Per favore, potrebbe aspettare con mio figlio in auto?- si volse verso Jefferson.- Io e il signor Jefferson dobbiamo fare quattro chiacchiere…

- Sì, certamente…Vieni, Henry…- Graham lanciò di sottecchi un’occhiata piena di compassione al bambino, quindi lo prese per mano, conducendolo verso la macchina. Henry si voltò un attimo, solo per vedere Paige fargli un cenno di saluto con la mano, l’aria infinitamente dispiaciuta.

Regina chiuse la porta con un colpo secco, quindi incrociò le braccia al petto, guardando Jefferson negli occhi.

- Io e lei dobbiamo parlare, signore - disse, con un tono che non ammetteva repliche.

- Sì…sì, certo…- mormorò Jefferson, imbarazzato. Si volse a guardare la figlia.- Paige, va’ in camera tua, per favore…

La bambina annuì, quindi salì velocemente le scale che portavano al piano superiore. Jefferson tornò a guardare Regina.

- Signor sindaco, mi rendo conto che quello che ha passato dev’essere stato…

- Lei non si rende conto di niente, signore!- sbottò Regina.- Ha idea di cosa significhi? Ha idea di cosa voglia dire credere che suo figlio sia da qualche parte, e poi ricevere una telefonata che le dice che non è affatto così? Ha idea di come ci si senta a non sapere dove si trovi, a girare tutta una città al buio chiedendo a chiunque se l’abbia visto, per poi ritrovarlo a mezzanotte passata a casa di un estraneo? Ha idea di cosa voglia dire?- ringhiò.

- Io…- provò a giustificarsi Jefferson.- Mi dispiace infinitamente, signora Mills. Non pensavo che Henry non le avesse detto nulla. Paige…mia figlia, lo ha invitato a cena, e io…

- Sua figlia…- Regina ghignò.- Sì, me l’ha detto, poco fa…

- Le assicuro che Paige non voleva…

- Il problema non è sua figlia, Jefferson - l’interruppe Regina.- Il problema è lei.

Jefferson rimase interdetto; la donna analizzò con una sola occhiata l’ambiente.

- E così…- disse, dopo qualche istante.- Lei mi sta dicendo che mio figlio ha passato tutto il pomeriggio e parte della sera qui, in questa casupola dove l’igiene è un optional e il cibo lascia più che a desiderare, in compagnia di una bambina di cui io non so nulla e che potrebbe anche essere…

- Si sciacqui la bocca, prima di parlare di Paige!- urlò Jefferson, furibondo, interrompendo a metà la frase della donna.- Un’altra parola, signora, e la denuncio per diffamazione!

Regina non si scompose, né distolse lo sguardo. Lentamente, sul suo volto si dipinse un sorriso maligno, mentre l’espressione della donna, da irritata, era diventata quella compiaciuta di un gatto che sa di aver messo in trappola il topo.

- Denunciarmi, dice?- fece, con voce piatta.- Lei vuole denunciare me? Il sindaco?- mosse qualche passo verso Jefferson, arrivandogli a due centimetri dal viso. - Non si metta contro di me, Jefferson- sibilò.- Non le conviene.

Jefferson non rispose; Regina lanciò un’altra occhiata all’ambiente.

- Sa, ho visto come versano le cose, qui dentro - ghignò.- Una casa piccola e mezza cadente, igiene scarso…E lei è un padre single, dico bene?- sorrise.- Dev’essere difficile, per lei, occuparsi di una bambina…

- Anche lei cresce suo figlio da sola, signor sindaco, e…

- Sì, ma io ho l’approvazione di un giudice - l’interruppe Regina. Jefferson sentì che le sue mani erano completamente sudate.- Ho dovuto sostenere diversi test, per adottare Henry. E il tribunale dei minori mi ha ritenuta idonea per fare la madre. Chi può dire, invece, se lei sia idoneo?

Jefferson non rispose, sentendosi impallidire. Il cuore saltò un battito, mentre la gola divenne improvvisamente secca.

- Lei è un padre solo, ha un lavoro a tempo pieno, ed è evidente che non riesce ad occuparsi di sua figlia nel modo in cui dovrebbe. Che direbbero gli assistenti sociali, se lo venissero a sapere?

Jefferson sentì il sangue gelarsi nelle vene; boccheggiò, cercando di mettere a fuoco le parole del sindaco.

- Lei…lei non oserebbe…- gracchiò.

- Oh, sì che oserei…- ghignò Regina.- Provi ad ostacolarmi, cerchi in alcun modo di mettermi i bastoni fra le ruote, o anche solo tenti di opporsi a me, e prenderò dei provvedimenti molto seri nei confronti suoi e di sua figlia.

Regina si voltò, aprendo la porta. Scoccò un’ultima occhiata a Jefferson.

- Buona notte, signore.

Uscì chiudendosi la porta alle spalle. Jefferson rimase per diversi minuti immobile a fissare la porta, respirando appena. Era madido di sudore, e ancora adesso non riusciva a credere a quello che aveva appena detto Regina. Ma aveva ragione. Da che sua moglie era morta, lui aveva fatto di tutto per far crescere Paige nel migliore dei modi e più serena possibile, anche se non sempre era un genitore modello. Era irrimediabilmente disordinato e non sapeva cucinare, questo era vero, ma lui voleva bene a sua figlia, dannazione! Lui amava più di chiunque altro Paige, e se lavorava fino a tardi era solo per lei. Non le aveva mai fatto del male, non l’aveva mai sgridata, non aveva mai alzato un dito su di lei! Non aveva fatto niente per meritarsi che quella strega gli portasse via Paige. Se l’avesse fatto, allora lui non avrebbe saputo come…

- Papà?- si sentì chiamare.

Jefferson si voltò; Paige era in piedi in cima alle scale, che lo guardava con occhi privi di espressione. Non era in camera sua come pensava. Jefferson si sentì gelare il sangue, al pensiero che sua figlia aveva sentito tutto.

- E’ vero quello che ha detto la mamma di Henry?- chiese la bambina, e a Jefferson parve che la sua voce fosse leggermente incrinata.- E’ vero che mi porteranno via da te?

Jefferson si riscosse, imponendosi di rimanere calmo. Si costrinse a sorridere, andandole incontro.

- Ma che dici?- disse.- Non hai capito…

- Ma la mamma di Henry ha detto che…

- Si dicono tante cose quando si è arrabbiati. Ma non è niente d’importante, vedrai.

Siccome Paige non mostrava di essere convinta, Jefferson le si avvicinò e la prese in braccio. La guardò negli occhi.

- Nessuno ti porterà via da me, stai tranquilla - sussurrò.- Sei la mia principessina, e non permetterò a nessuno di allontanarti da me. Sono troppo geloso - ridacchiò.

Anche Paige, finalmente, fece una mezza risata, quindi abbracciò suo padre. Jefferson la strinse a sé, chiudendo gli occhi perché lei non vedesse che stava piangendo.

 

***

 

Belle indossò il giubbotto e si calò sul capo una cuffia azzurra con pon pon, prima di uscire di casa. Fortunatamente aveva smesso di nevicare, ma le strade e i marciapiedi erano completamente ricoperti di neve. Belle si strinse al petto il pacchetto rosso che aveva confezionato la sera prima, iniziando ad avviarsi lungo il marciapiede, mentre gli stivali affondavano nella neve con un rumore ovattato.

Non c’era nessuno in giro, ma perché qualcuno avrebbe dovuto uscire il giorno di Natale?

Probabilmente, lei era l’unica in città ad essere fuori casa, quella mattina…se si faceva eccezione per suo padre, chiaro.

La mattina di Natale era la giornata più bella di tutte, per Belle. Maurice era ancora sobrio, quando lei si alzava, e a volte persino gentile. Una volta, ricordava, quando sua madre era ancora viva, lui aveva preparato loro la colazione, e un’altra, quando lei aveva quattordici anni, era venuto a svegliarla con un bacio. Belle pensava sempre che si sforzasse, che quello era un regalo che voleva farle, almeno una volta l’anno. Così, lei gli preparava il caffè e gli dava il suo regalo, ricevendo un grazie borbottato con imbarazzo – Maurice non aveva mai nulla, per lei –, ma presto tutto tornava come prima. Moe si scusava dicendo che doveva uscire, e Belle trascorreva l’intera giornata da sola, distesa sul letto o seduta accanto ad un albero di Natale quasi spoglio, per poi rivedere rincasare, come ogni comune sera, suo padre ubriaco fradicio.

Quella mattina, però, quando Maurice era uscito, lei ne aveva approfittato. Sapeva che non l’avrebbe rivisto per tutto il giorno, quindi non avrebbe avuto problemi a fare quello che si era proposta.

Tuttavia, man mano che avanzava verso la sua meta, cominciava a chiedersi se quello che stava facendo non fosse soltanto un grosso, enorme sbaglio. Il solo pensiero di sembrare ridicola e di farsi ridere in faccia la terrorizzava: non sarebbe stato impossibile, visto il soggetto.

Non era stato facile scoprire dove vivesse Mr. Gold. Tralasciando il fatto che tutti a Storybrooke tendevano a parlare di lui il meno possibile, Belle si era trovata oltremodo in imbarazzo nel fare delle domande. Non aveva avuto il coraggio di porre la sua richiesta in maniera esplicita, sarebbe risultato troppo sospetto. Si era limitata a buttare qualche frase allusiva qua e là con apparente noncuranza, e ad ascoltare alcuni discorsi di Granny e Ruby.

Alla fine, aveva scoperto quale fosse la casa di Mr. Gold.

E che casa!, pensò, non appena vi si ritrovò di fronte. Mr. Gold viveva alla periferia di Storybrooke, come c’era da aspettarsi, ma la sua casa non era affatto come le altre, semplici costruzioni su di un solo piano, piccole e con poche finestre.

L’abitazione di Mr. Gold era una villa a due piani, quasi un castello, se paragonata alla maggior parte degli edifici di Storybrooke. Solo quella del sindaco, forse, avrebbe potuto farle concorrenza. Il giardino era ampio e innevato, ma il vialetto era libero, e dava accesso ad una breve scalinata che terminava in una veranda coperta da un portico a colonne. Solo sulla facciata frontale ci saranno state almeno sette o otto finestre, alcune delle quali avevano i vetri colorati, come nelle cattedrali.

Belle esitò, aprendo lentamente il cancello. Forse non era stata una buona idea, venire lì. Mr. Gold le aveva concesso la Vigilia e il giorno di Natale liberi, l’avrebbe comunque rivisto il giorno seguente. E poi, chi le poteva assicurare che non fosse indesiderata? Magari, stava interrompendo una festa, o comunque stava disturbando il suo Natale.

Ma era più probabile che Mr. Gold semplicemente non la volesse fra i piedi. Anche se i rapporti fra di loro erano notevolmente migliorati, negli ultimi tempi, Belle non poteva ancora dire con certezza se lui l’avesse presa in simpatia o no. Anche se propendeva più per il no. Mr. Gold non aveva amici in città, che lei sapesse, e di certo non era un uomo benvoluto.

In ogni caso, ormai era lì. Sarebbe stato da vigliacchi tirarsi indietro proprio ora.

Prese un bel respiro, e percorse in fretta il vialetto. Salì velocemente i gradini, e nell’avvicinarsi alla porta, il suo sguardo si scontrò con la propria immagine riflessa nel vetro della finestra. Faccia tonda e infantile, capelli sciolti e la cuffia azzurra con il pon pon. Dio, sembrava una bambina di cinque anni! Si tolse in fretta la cuffia e se la ficcò in tasca, sistemandosi un attimo i capelli. Chiuse gli occhi, e suonò brevemente il campanello.

Mr. Gold non si fece attendere molto, ma i secondi che precedettero la sua comparsa furono carichi di tensione. Tensione che aumentò vertiginosamente non appena lui aprì la porta.

Era vestito di nero, come al solito. Belle si chiese se aspettasse visite, ma concluse subito di no.

Mr. Gold sembrò sorpreso di vederla.

- Belle…- disse, con un tono stupefatto che la ragazza non aveva mai sentito prima.- Cosa posso fare per te?

Belle si sentì infinitamente stupida. Non aveva preparato nulla, nessun discorso, niente di niente, non aveva la più pallida idea di come esordire. Beh, si disse, tanto valeva andare direttamente al punto.

Si schiarì la voce, costringendosi a guardarlo negli occhi, quindi gli porse il pacchetto.

- Buon Natale, Mr. Gold - disse.

Lui parve ancora più sorpreso. Belle stava pensando sempre di più di aver fatto una stupidaggine. Magari le sarebbe scoppiato a ridere in faccia e le avrebbe dato della stupida, chi poteva saperlo. Invece, Mr. Gold accettò il regalo senza dire nulla. Lo scartò di fronte ai suoi occhi: era una semplice camicia nera. Belle aveva scelto qualcosa di sicuro – il nero era il suo colore, nessun dubbio –, e anche che le permettesse di non dover dare troppe spiegazioni alle sue amiche. Era andata a far compere con loro il giorno prima, ma benché ce l’avesse messa tutta per non dare nell’occhio, l’acquisto non era sfuggito all’occhio di falco di Ruby. Belle aveva cercato di convincerla che fosse per suo padre, ma l’amica era rimasta dubbiosa per tutto il giorno: quella camicia secondo lei era troppo piccola per Moe, senza contare che non aveva mai visto French indossare il nero.

- Non sapevo cosa le piacesse…- mormorò Belle, visto che Gold continuava a rimanere in silenzio.- Non avevo idea di cosa prenderle, così ho pensato che questa…- non terminò la frase, cercando disperatamente qualcosa da dire che non fosse quell’inutile blaterare.

Mr. Gold sorrise e, benché sembrasse ancora vagamente un ghigno, la ragazza notò che il suo sorriso era molto meno beffardo del solito.

- Grazie. Mi dispiace, non mi aspettavo una cosa simile, non ho nulla per te, dearie…

- Non importa, io…

Mr. Gold si scostò, in modo da lasciarla entrare.

- Permettimi almeno di offrirti qualcosa.

Belle rimase esitante per un secondo, quindi si decise a entrare. Per natura, non avrebbe mai accettato di entrare in casa di un uomo che era pressoché un estraneo – poteva a malapena fidarsi di suo padre – ma in qualche modo sentiva che non sarebbe mai riuscita a negare nulla a Mr. Gold.

Il padrone di casa la fece accomodare in salotto; la prima cosa che notò Belle fu che l’interno della casa era molto buio, come se la luce che filtrava dai vetri fosse contata. Senza contare che non c’era l’ombra di una decorazione natalizia. A casa sua c’erano soltanto un alberello striminzito e una ghirlanda appesa alla porta, ma almeno era qualcosa. Invece, in quella casa sembrava fosse passato il Grinch in persona a fare razzia.

- Thé, dearie?- chiese d’un tratto Mr. Gold, posando sul tavolino un vassoio.

Belle si riscosse.

- Oh sì, grazie.

La ragazza, portandosi la tazzina alle labbra, si accorse che quello era lo stesso servizio da thé che aveva riposto nella scatola di velluto il primo giorno di lavoro. E che la tazza scelta da Mr. Gold era proprio quella che aveva scheggiato.

- Nessuno s’è più fatto vivo ed era un peccato sprecarlo - disse all’improvviso Mr. Gold, quasi intuendo i pensieri della ragazza. Belle si fece rossa in viso, quindi annuì con vigore, riprendendo a bere il thé.

- Mr. Gold, posso farle una domanda?- chiese dopo qualche istante.

- Dipende. Riguarda ancora le favole?- sogghignò l’uomo.

- No, a dire il vero riguarda casa sua.

- Uhm, interessante…e cos’hai notato riguardo a casa mia, dearie?

- Perché non ci sono decorazioni?- domandò Belle.- Lei non festeggia il Natale?

- Ci sono diversi modi per celebrare una ricorrenza, non è detto che si debba per forza torturare un povero abete che se ne sarebbe rimasto volentieri dove si trovava, piuttosto che venire sepolto da strani aggeggi che…

Belle ridacchiò. Gold inarcò un sopracciglio.

- Cosa ci trovi di tanto divertente in questo, dearie?

- Scusi, è che lei ne parla come se si trattasse di un’associazione ambientalista.

- Non faccio parte di quei fanatici, mi spiace deluderti.

- Nessuna delusione, lo immaginavo. Non ha l’aria di uno che s’incatena ad una quercia secolare perché non venga abbattuta - Belle rise di nuovo.- No, non riesco neanche a figurarmi la scena.

Gold sospirò.

- Sarà meglio che cambiamo argomento…

- Non mi ero resa conto che avessimo affrontato un argomento.

- Non è la prima volta che fai questo giochetto con me, dearie, ti pregherei di non essere ripetitiva.

- Scusi. Allora, mi diceva che lei non festeggia il Natale…

- Quale parte di ciò che ho detto prima ti è sfuggita?

- Mi sono persa alla storia dell’abete.

- Ripeto: ci sono altri modi per festeggiare, senza dover per forza riempire la casa di decorazioni improbabili.

- Lei trova? Io invece la penso diversamente.

- Chissà perché non ne sono sorpreso…

- Sono una Bastian Contrario, la mia amica Mary Margaret me lo dice sempre.

- Ed è solo per spirito di contraddizione che la pensi diversamente?

Belle ridacchiò nuovamente.

- No. E’ che penso che qualche decorazione renda il tutto più allegro - Belle soffiò sul thé caldo.- A casa mia c’è soltanto un alberello di plastica striminzito vecchio di cent’anni, ma secondo me il Natale va festeggiato anche con queste cose.

- E come festeggi tu, il Natale, dearie?

Belle non rispose, ma si sentì avvampare. Mr. Gold aveva toccato – involontariamente? – un tasto che definire dolente sarebbe stato un cortese eufemismo. La ragazza aveva smesso di festeggiare il Natale l’anno in cui sua madre era morta. Per il resto, nulla era diverso: suo padre era sbronzo anche quel giorno e lei era sola allo stesso modo.

Gold dovette accorgersi che qualcosa non andava. Si aprì nel suo solito ghigno.

- Chiedo scusa. Mi domandavo semplicemente come mai avessi deciso di trascorrere la mattinata nel nascondiglio di un vecchio mostro…

- Lei non è un mostro!- disse Belle; si stupì da sola. Non aveva detto quella frase per pura e semplice cortesia. Le era venuto spontaneo, quasi come se le parole fossero uscite da sole. Ed era quello che pensava veramente.

- Suppongo che a questo punto un grazie sia di dovere, anche se credo che tu sia l’unica a pensarlo, dearie…

- Beh, non è che lei faccia granché per dimostrare il contrario - borbottò Belle.- Anche quando le parlo, devo sempre cavarle fuori le cose con le pinze. Possibile che non ci sia nulla di cui le vada di parlare?

- So essere gradevole, se lo voglio, dearie.

- Lo so - Belle sorrise.- Nonostante tutto, mi diverto a parlare con lei.

- Lieto che ti faccia piacere, dearie.

- E non sia così scostante, era un complimento!- sbuffò Belle.

Mr. Gold sorrise del suo solito ghigno, guardandola negli occhi.

- Non hai risposto alla mia domanda - disse.- Perché sei venuta qui?

- Volevo darle il suo regalo.

- Solo questo?

- C’è bisogno di un’altra spiegazione?

- Stento un poco a crederci, dearie - sogghignò Gold.

Belle lo guardò negli occhi, seria.

- Pensa che io abbia un secondo fine?- chiese, con una punta di sfida.

- Nella tua situazione, non sarebbe da escludere.

- La mia…situazione?

Gold annuì.

- Sappiamo tutti e due come stanno le cose, dearie. Tu lavori per me per salvare tuo padre dalla rovina, di certo non devi adorarmi. Chi lo sa, magari sei qui per scoprire i punti deboli del mostro…

- Perché insiste tanto nel definirsi un mostro?- Belle si rabbuiò.- E comunque, le posso assicurare che non sono il tipo da fare questi giochetti subdoli. Ho scelto io di lavorare per lei…A proposito…- la ragazza tornò a guardarlo.- Perché ha voluto me?

- Come, prego?

- Voglio dire, perché ha voluto che io lavorassi per lei? Avrebbe semplicemente potuto prendersi il negozio, perché ha accettato questo accordo che, vista la mia totale incapacità, si è rivelato ben poco vantaggioso, per lei?

Mr. Gold ci pensò su, quindi tornò a sogghignare.

- Quel posto era pieno di sporcizia - dichiarò infine.

- Io penso che si sentisse solo - disse Belle, cauta.- Qualunque uomo lo sarebbe, nel suo caso…

Gold non rispose, limitandosi a fissarla per diversi istanti.

- Se volevo una seduta di psicanalisi, dearie, mi sarei rivolto al dottor Hopper.

Bella arrossì violentemente.

- Mi spiace, non intendevo offenderla…- pigolò.- E’ che…sto solo cercando di conoscerla meglio, tutto qui…

- Perché ci tieni tanto a conoscermi?- chiese Mr. Gold.- La maggior parte delle persone, qui, cambierebbe marciapiede, pur di non incontrarmi…

- Non ho mai dato troppa importanza ai pettegolezzi. E poi, abbiamo un anno intero da trascorrere insieme, tanto vale deporre l’ascia di guerra, no?

- E che cosa farai, una volta che l’anno sarà finito?

Belle sorrise.

- Potrò dire di conoscere il famigerato Mr. Gold - ghignò.

 

***

 

Belle uscì da casa di Mr. Gold che era quasi mezzogiorno, e non riuscì a smettere di sorridere per tutto il tragitto verso casa.

Maurice ovviamente non c’era, ma questo, pensò la ragazza, non era un gran male. Belle si tolse il giubbotto e gli stivali, ed entrò in camera sua. Si sedette alla scrivania e accese il computer: in genere riceveva sempre dei messaggi di auguri via mail, durante le feste.

Infatti, sul desktop apparve immediatamente l’icona della posta, con una vignetta recante la scritta HAI 2 NUOVI MESSAGGI!.

Bella aprì la casella postale. Il primo era di Mary Margaret.

 

Ciao, Belle!

Buon Natale! Spero tu stia passando bene le feste…Ieri sera da me è stato un pandemonio: Emma è saltata sul tavolo ubriaca e si è lanciata in una reinterpretazione di Jingle Bells a dir poco esilarante, se non fosse stato per la drammaticità della scena…David ha confuso i biglietti d’auguri: mi sono ritrovata in mano quello destinato a Kathryn! S’è scusato con tutto il cuore e mi ha dato quello giusto, ma che ci vuoi fare? La mia vita è così :(.

Comunque, non voglio lamentarmi. Volevo chiederti un favore: per l’Epifania i bambini a scuola fanno uno spettacolo, e mi hanno incaricata di occuparmi delle selezioni e dei costumi…solo che…ehm…ho fatto due conti e mi sono resa conto che è un lavoro troppo grande per una persona sola…Ergo: mi daresti una mano, per favore??? Scusami, so che quell’avvoltoio di Mr. Gold ti tiene occupata tutto il giorno, ma Ashley è troppo impegnata con la bambina, e se lo chiedessi a Ruby temo prenderebbe possesso del microfono e farebbe un remake dello spettacolo di Emma di ieri sera…Scusami tanto, comunque lavoreremo dalle otto e mezza alle dieci di sera, quindi il licantropo non dovrebbe darti problemi…Cominciamo dopodomani con le selezioni. Ah, dimenticavo: lo spettacolo è A Christmas Carol. Originale, vero? XD.

Grazie di tutto, e ancora buon Natale!

 

                Mary Margaret

 

Belle sorrise fra sé, quindi cliccò sulla pagina di risposta.

 

Ciao, MM, buon Natale anche a te!

Oddio, penso che non riuscirò mai più a guardare in faccia il Vicesceriffo Swann senza immaginarmela in versione Tina Turner…XD. Cavoli, ma davvero David ha fatto questo? E non l’hai preso a schiaffi? Io l’avrei fatto, giuro. Comunque non preoccuparti per lui, vedrai che presto le cose si sistemeranno. Non durerà molto con quella Kathryn, è evidente che è cotto di te, quando ti guarda somiglia a un cucciolo bisognoso d’affetto…Non abbatterti e stai serena, ok?

Per lo spettacolo, certo che ti aiuto, ma voglio un pacchetto di caramelle gratis, per compensare XD! Scherzo, ti darò una mano molto volentieri, e poi lo sai che adoro A Christmas Carol. Salutami Ruby, se la senti.

Ciao, ci sentiamo!

 

Belle

 

Belle inviò l’e-mail, quindi si abbandonò contro lo schienale della sedia. Lo spettacolo dell’Epifania dei bambini della scuola elementare era un evento molto sentito a Storybrooke. La loro era una cittadina tranquilla dove non succedeva mai nulla, e dove anche i divertimenti erano limitati, quindi a quella piccola recita partecipava più di mezza città. Belle si chiese se ci sarebbe stato anche Mr. Gold, ma subito concluse di no. Non era il tipo per certe cose.

Gettò un’occhiata allo schermo. La casella postale mostrava ancora una vignetta con un messaggio non letto. Belle mosse il mouse e cliccò sul desktop. Il messaggio si aprì.

 

Ti ho vista, stronzetta. Che cos’ha quel bastardo più di me? Lo fai per i soldi, o solo perché ti piace farti sbattere?

Quello stronzo mi ha quasi spaccato la testa, ma non la passerete liscia, né tu né lui.

 

Belle deglutì, sentendosi le mani sudate.

Non si era liberata di Gaston, se aveva creduto che quello che era successo con Mr. Gold fosse bastato per metterlo a tacere, si era sbagliata di grosso. Ma dove diavolo era? Non l’aveva visto, doveva essere rimasto parecchio indietro, o si era nascosto molto bene. L’aveva pedinata.

Belle non si era mai preoccupata troppo di lui, l’aveva sempre considerato uno stupido che si poteva tenere a bada con qualche risposta tagliente, ma quella mail diceva il contrario.

E ora come non mai, Belle cominciava ad essere spaventata.

 

Angolo Autrice: Finalmente riesco ad aggiornare! Chiedo scusa se vi ho fatto aspettare tanto, ma al lavoro mi stanno massacrando in questo periodo! Anyway, questo capitolo segue la scia della mia OS Christmas Wish, ma tranquilli, non m’è presa la flippa, è solo che ho rivisto da poco il sequel-prequel de La Bella e la Bestia ambientato in atmosfera natalizia, e ho voluto fare una citazione…

Altro da dire: Paige vive con Jefferson in quanto nella mia ff (scusate la poca originalità, ma tant’è…) la maledizione non esiste, ma i personaggi vivono delle vite normali. Lo Sceriffo Graham è miracolosamente resuscitato, mentre Emma Swann è Vicesceriffo…A dire il vero, Graham mi stava più simpatico in FTL come Cacciatore, ma quando è morto mi è dispiaciuto moltissimo per Emma, e così…

Dunque, Regina tiene in pugno anche Jefferson, e presto non esiterà utilizzarlo per i suoi fini…Che combinerà? E Gaston? Come si evolveranno le cose fra Belle e Gold? Intanto, le chiacchiere in città su loro due cominciano a farsi insistenti, che cosa farà Maurice quando lo verrà a sapere?

Ringrazio Avly, Dresda, emily silente, Himawari Chan, NicotrisAmaltea e Valentina_P per aver aggiunto questa storia alle seguite, Niniel Virgo e Yumerin per averla aggiunta alle preferite, e Valentina_P, Samirina, Daniawen e Sylphs per aver recensito.

Ciao, al prossimo capitolo!

Dora93

  
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