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Autore: Neko no Yume    14/09/2012    2 recensioni
Un'accozzaglia di case multicolore a cui qualcuno ha dato il nome di Skjiord.
Un ragazzo che ama il rumore delle mareggiate.
Un uomo che viaggia da troppo tempo.
Mentre le sterne migrano instancabili.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dino Cavallone, Kyoya Hibari, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Gli abitanti di Skjiord si svegliavano tutti meno uno alla stessa ora.
Ovvero quando quell'uno squarciava l'aria fresca e immobile dell'alba con un urlo a pieni polmoni che poteva variare dal "VOOOOOOOI" al "Yamamoto, razza di sacco di immondizia puzzolente, scendi giù da quel maledetto letto e vieni ad aiutarmi!" e riusciva a rimbombare in ogni singola camera da letto del villaggio.
Nessuno riusciva ancora a capire per quale motivo Squalo, il pescatore più scontroso dell'intera provincia, avesse più o meno costretto un ragazzino del paese ad aiutarlo nel lavoro, né perché il suddetto ragazzino non riuscisse mai a svegliarsi in tempo e risparmiare un infarto mattutino all'intera collettività.
Probabilmente ormai lo faceva di proposito, dato che sembrava essere l'unica persona a trovare divertenti la compagnia e le urla del suo "maestro".
Essendo Hibari il vicino di Yamamoto, di solito era anche uno di quelli che si svegliava più di soprassalto, tuttavia quella mattina a svegliarlo fu il fastidioso pensiero dell'intruso che avrebbe dovuto affrontare nel pomeriggio.
Qualche secondo dopo il grido gli trapassò il cervello da timpano a timpano, facendolo sentire incredibilmente mattiniero.
Si liberò dal groviglio di coperte in cui era avvolto, per poi infilarsi il prima possibile in un paio di pantaloni pesanti e un caldo maglione di lana dai colori un po' troppo sgargianti per i suoi gusti, che coprì con l'impermeabile.
Nonostante la piccola e sgangherata scuola di Skjiord (che fungeva da materna, elementari e qualsiasi altro tipo di istruzione la gente di un paesino di mare necessitasse) aprisse molto più tardi, Kyoya preferiva avviarsi appena alzato piuttosto che vagare per casa fino a un orario decente.
Anche perché, ma questo non l'avrebbe ammesso facilmente, questo gli dava il tempo di tagliare per i boschi che circondavano il paese.
Gli piaceva perdersi tra i sentieri più o meno battuti, dove il rumore dei suoi passi veniva attutito da un manto di muschio umido e foglie secche, mentre tra betulle e abeti vedeva rincorrersi scoiattoli e uccelli di ogni tipo.
A volte, se era riuscito a essere abbastanza silenzioso, un riccio gli attraversava la strada e allora la merenda che sua madre aveva preparato per lui con tanto affetto finiva sbriciolata per terra davanti al musetto dell'animale.
Non aveva idea del perché, ma i ricci erano capaci di provocargli qualcosa di simile alla tenerezza con un solo sguardo.
Forse era colpa dei nasini umidi e gli occhi scuri, o forse erano gli aculei a piacergli.
Del resto anche lui si difendeva dal resto del mondo con minacce più o meno velate e dispensando lividi a chiunque osasse avvicinarsi troppo, era un meccanismo che gli aveva sempre permesso di vivere in pace.
Almeno finché qualcuno non aveva invaso il suo rifugio.
Hibari sbuffò all'idea di ciò che avrebbe dovuto affrontare nel pomeriggio, mentre la voce irritante del guardiano tornava a tormentarlo mentalmente col suo timbro esotico e squillante.
Scosse la testa come per scacciarla via e si avviò a passa rapido verso la scuola con l'intenzione di sfogare il nervosismo sul primo malcapitato che avesse visto correre in corridoio o parlare a voce troppo alta.


Dopo le solite ore di lezione e qualche occhio nero, Kyoya poteva definirsi di pessimo umore.
Non solo non era riuscito a distrarsi in nessun modo, ma si era anche reso conto di aver indossato per sbaglio il maglione che gli aveva regalato sua madre il Natale prima, con la solita trama di linee spezzate tipica delle loro parti e un orribile, grosso, vermiglio cuore nel centro.
Raccapricciante.
L'unico motivo per cui un capo del genere si trovasse ancora nel suo armadio e non in un inceneritore era che la signora Hibari l'aveva cucito di persona e l'ultima volta che a qualcosa fatto da lei non erano stati tributati i dovuti onori era ricordata come una giornata buia per tutta Skjiord.
Ovviamente nessuno si era permesso di ridacchiare (o anche solo sorridere) davanti al maglione, ma la situazione restava comunque piuttosto ridicola, senza contare che quel cuore rovinava completamente l'aura intimidatoria di cui aveva bisogno per tenere lontano l'intruso e non poteva passare da casa a cambiarsi (cosa che sua madre non gli avrebbe lasciato fare ad ogni modo).
Esasperato, si infagottò nella giacca e si avviò verso il faro a passo rapido, impaziente di arrivare prima che il sole iniziasse a tramontare e allo stesso tempo senza nessuna voglia di vedere di nuovo il nuovo arrivato.
Si inerpicò come al solito sulla scala, ma prima di salire l'ultimo gradino si concesse di dare un'occhiata al tetto, nella vana speranza di trovarlo deserto.
Seduto con la schiena appoggiata al parapetto e un quadernetto sulle ginocchia c'era lo straniero.
Hibari lo fulminò con lo sguardo, per poi andare a sedersi il più lontano possibile da lui e raggomitolare le gambe al petto, gli occhi chiari fissi sull'altro.
Come se la sua sola presenza da sola non fosse abbastanza irritante, il suddetto altro si ostinava a ignorarlo, rimanendo concentrato sul quaderno e ciò che ci stava scarabocchiando sopra.
Kyoya attese ancora qualche minuto e stava quasi per considerare l'idea di una convivenza pacifica all'insegna del silenzio, quando il graffiare del pennino sulla carta si interruppe, rimpiazzato da uno squillante "Finito!".
Poteva scordarsi il silenzio.
Dino alzò lo sguardo e si ritrovò davanti due iridi grigie dalle quali la maggior parte del paese aveva ormai imparato a fuggire il più rapidamente possibile, ma si limitò a sorridere con entusiasmo.
-Sapevo che saresti venuto!-, proclamò, per poi alzarsi in piedi,  coprire la distanza che li separava in pochi passi e accovacciarsi accanto a lui.
E addio anche agli spazi personali, decisamente la convivenza pacifica non era un'opzione contemplabile.
-Venivo qui da molto prima che arrivassi tu, erbivoro-, si limitò a sentenziare Hibari con l'ennesima occhiataccia, che non sortì alcun effetto.
-E che fai, esattamente?-.
-Mi rilasso lontano dal chiasso del villaggio. O almeno mi rilassavo-.
L'altro non parve cogliere l'allusione e lasciò vagare lo sguardo lungo il panorama fatto di picchi di rocce scure ricoperte di verde, mare in tempesta e cielo che ormai iniziava a indorarsi di tramonto.
-Direi che hai scelto un bel posto-, sospirò, la voce venata solo per un attimo di una strana tristezza.
Solitamente Hibari avrebbe ribattuto con un secco "Era un bel posto prima che arrivassi tu a disturbare" con tanto di calcio nello stinco, ma qualcosa in quel tono di voce improvvisamente lontano chilometri lo fece desistere.
Quasi spaventare, ma di questo si sarebbe reso conto molto più avanti.
Si limitò a concentrare la sua attenzione sul quadernetto, notando che la copertina era ricoperta di brandelli di stoffa colorata e strani ritagli di carta che sembravano francobolli.
Il guardiano se ne accorse e ritornò a sorridergli con allegria.
-Ti piace?-, chiese mentre glielo porgeva -Mi fa da diario di viaggio, ma preferisco disegnarci sopra quello che vedo, invece di scriverlo-.
Kyoya sfogliò alcune pagine in silenzio, godendosi la sensazione delle dita che sfregavano contro la carta rigida e giallastra delle pagine, fino ad arrivare al disegno che l'uomo aveva poco prima.
Rappresentava una semplice veduta del faro e il suo promontorio, ma era disegnata piuttosto bene, con tratto sicuro nonostante non ci fosse nessuno schizzo a matita da seguire.
-Sai, mi piacerebbe disegnare altri scorci di questo posto, qui tutto è così pittoresco-, rimuginò Dino ad alta voce -Ti andrebbe di farmi da guida?-.
Avrebbe potuto chiedergli di gettarsi dal parapetto con un macigno legato ai piedi e avrebbe ottenuto una reazione meno brusca.
Il ragazzo si voltò di scatto verso di lui e lo inchiodò con l'espressione più minacciosa che avesse a disposizione, affrettandosi a restituirgli il diario come se fosse diventato improvvisamente bollente.
Lo straniero non sembrò scoraggiarsi e si limitò a osservarlo sornione, il capo appena inclinato.
-Se accetti-, quasi cantilenò -Rimarrò qui abbastanza perché tu possa prendere il mio posto qui al faro-.
-... E cosa ti pensare che io abbia voglia di lavorare qui?-.
-Venivo qui da molto prima che arrivassi tu, erbivor... ouch!-.
-Fammi il verso di nuovo e la gomitata te la rifilo in pancia-.
Il Cavallone ridacchiò massaggiandosi il petto, ma non sembrava intenzionato a demordere.
-Allora, ti va?-, insisté, pronto a schivare qualsiasi altro colpo.
Hibari provò a immaginarsi la sua vita nella tranquillità delle mura incrostate di vecchia vernice e salsedine del suo faro, le mattine dall'odore di mareggiata e toast imburrati, la tranquillità che tanto cercava.
Tossicchiò qualcosa che avrebbe dovuto essere un sospiro, poi tornò a scrutare Dino.
-Domani non ho scuola, verrò qui all'alba-, borbottò con l'aria di chi sta facendo uno sforzo sovrumano per non prendersi a pugni da solo e mantenere un certo contegno -Fatti trovare sveglio, erbivoro-.
-Agli ordini!-.


-VOOOOOOI! Maledetto ragazzino, muoviti!-.
La sveglia quel giorno non era stata particolarmente originale, ma a Hibari sembrava che avesse rimbombato il doppio.
Forse perché quella notte aveva dormito poco e male, rigirandosi di continuo, incapace di credere di aver accettato un simile compromesso.
Già la sola presenza di un estraneo nel suo rifugio lo faceva rabbrividire, figurarsi doverlo portare in giro per Skjiord e dintorni mentre lui si divertiva a disegnare.
Riusciva a immaginarlo mentre osservava qualsiasi cosa, persino una processione di formiche, con gli occhi scuri sgranati come quelli di un bambino e il solito sorriso da orecchio a orecchio.
Sarebbe stato peggio di fare da babysitter.
Si costrinse a scendere dal letto, il pensiero che accarezzava la possibilità di diventare a sua volta il guardiano del faro che l'aveva sempre protetto e si vestì, stando attento a evitare eventuali regali di sua madre in agguato sulle loro stampelle.
Appena uscito, l'aria gelida dell'alba gli pizzicò il viso e Kyoya sprofondò fino alle guance nella sciarpa di lana con un brivido, per poi avviarsi di nuovo verso il promontorio.
L'erba umida gli bagnava l'orlo dei pantaloni e la nebbiolina che ancora non era stata spazzata via dal sole gli impediva di vederci bene, ma per Hibari il silenzio surreale e ricoperto di rugiada che aleggiava nelle mattine del suo paese era un suono capace di tranquillizzarlo persino in una situazione del genere.
Dino non sembrava altrettanto immerso in quell'atmosfera fuori dal tempo e, sebbene avesse ancora le palpebre pesanti e la voce impastata dal sonno, sembrava sprizzare forza di volontà da ogni poro.
-Buongiorno, Kyoya!-, lo salutò, sventolando la mano nella sua direzione e andandogli incontro.
-Non chiamarmi per nome-, ricambiò lui in un tono che avrebbe potuto essere più gelido del mare che si agitava sotto di loro, ma che non riuscì comunque a scalfire l'entusiasmo del Cavallone.
-Allora, dove mi porti?-, si informò come se niente fosse.
Hibari ci rifletté per qualche istante, l'irritazione per aver accettato il suo accordo gli aveva impedito di pensarci il giorno prima.
-Direi di iniziare col villaggio vero e proprio-, borbottò laconico, per poi voltarsi e iniziare a camminare senza preoccuparsi di essere seguito.
Lo straniero rimase stranamente in silenzio per il resto tragitto, forse troppo impegnato a fotografare con lo sguardo il paesaggio attorno a sé per poterlo disegnare più tardi.
Del paese volle vedere la piazza principale, se piazza poteva chiamarsi una rotonda con al centro uno spicchio di prato e la statua di bronzo di un cigno dalle ali spiegate, e qualche scorcio delle vie tappezzate di casette a schiera.
Sorrise divertito davanti all'accozzaglia di colori sgargianti con cui gli abitanti le avevano dipinte, come per voler contrastare il freddo penetrante del posto, ma arrivati al porto storse le labbra in una smorfia.
Kyoya annusò l'aria col sospetto che dal mercato lì vicino fosse arrivata puzza di pesce, ma riuscì a sentire solo la brezza salata che aleggiava sulla spiaggia di ciottoli grigi e le barche malandate che ancora non avevano preso il largo e cozzavano contro il legno marcio del pontile.
Nel complesso gli sembrava un bel posto, di quelli che avrebbero ispirato con facilità un disegnatore, ma Dino più che ispirato sembrava sull'orlo di vomitare la colazione.
Lo scrutò con aria scettica, alla quale lui rispose col sorriso tirato di chi sta ingaggiando una battaglia interiore per ricacciare indietro qualcosa a cui non ha voglia di pensare.
-Oh, scusa-, farfugliò, la voce che ancora incespicava -È che soffro molto di mal di mare e anche stare troppo vicino a riva mi fa venire la nausea-.
Hibari soppesò per un attimo la fragilità di una scusa del genere, poi decise che non era affar suo e scosse le spalle.
-Che cosa da erbivori-.
Eppure il guardiano fu in grado di tornare allegro solo quando si furono allontanati da lì e nel pomeriggio l'unico scenario che tralasciò di riportare su carta fu la spiaggia.








Yu's corner.
Sssssalveh, miei cari!
Spero che stiate bene e che l'inizio della scuola non vi abbia troppo traumatizzato (sigh, che tristezza).
Che dire, eccoci qui col secondo capitolo di questa cosa.
Nel caso qualcuno di voi se lo stesse chiedendo (non credo), la sottoscritta shippa S80. E TANTO JDFSKGAH- coff.
Comunque me è tanto contenta che l'inizio di questa storia sia piaciuto e spera che continui a piacere! <3
Un grande grazie a chi mi sta seguendo, carih.
Bye bye,
  
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