Dopo lunghi vagabondaggi e fughe tempestose, in quel luogo arcano ed inquietante, Cristina si
sentiva, finalmente, al sicuro. Non aveva idea di chi potesse aver costruito, tanto fuori posto sia per
luogo che per tempo, una casa vittoriana nel bel mezzo di quel bosco così inusuale, in cui i rami
degli alberi, spezzati da infinite nevicate e ricresciuti, pervicaci, primavera dopo primavera,
s'innestavano sui tronchi che li nutrivano con bernoccoli bitorzoluti ed angoli che poteva aver
concepito solo un matematico tanto geniale e fantasioso quanto dotato del più fine senso
dell'umorismo; neppure riusciva ad assegnare alla costruzione un qualche senso di qualunque tipo,
che andasse al di là di una pura speculazione edilizia andata a finire malamente perché basata su
una promessa non rispettata.
Ad ogni modo, niente di tutto ciò la interessava più di tanto: adesso era là (presumo al lettore non
interesserà sapere come vi era arrivata), e fuori dalla finestra un gufo affamato fischiava dal becco
la marcia funebre di un qualche ratto che strisciava nel sottobosco, mentre la luna piena disegnava
ombre lunghe quanto ridicole sul tappeto peloso in cui teneva tuffati i piedi nudi. Tutto ciò, le dava
un senso di straordinaria, metafisica tranquillità.
Tanto che, e vedete bene se questo narratore non è veritiero, riusciva senza difficoltà a tenere a
mente, ed a ricostruire, uno dopo l'altro, tutti i particolari dell'universo che l'autore del libro in cui
teneva tuffato il naso aveva disegnato, le sembrava, solo e soltanto per lei. E, ignara di ogni cosa
che le accadeva intorno, leggeva.
Ovunque vada, per quanti reami veda,
il mio cuore è immobile, e pazzo d'amore si volge a te.
Tanto era rapita, che nemmeno si accorse della comparsa di queste parole sul muro bianco che
aveva proprio di fronte; erano scritte a grandi, eleganti lettere corsive, con un liquido rosso scuro,
quasi viola, che aveva tutte le carte in regola perché un osservatore distratto lo considerasse sangue.
E lo era, infatti, pur se (abbiamo pur detto che la mano che le aveva scritte era quella di persona di
gusto) non sbavava nemmeno in un punto.
Prima dei suoi occhi, furono i suoi istinti a percepirla: dallo stomaco le salì un calore che aveva
poco a che fare con la notte estiva, il suo battito cardiaco aumentò di frequenza, e la sua visione si
fece distintamente più nitida, nella penombra di quella stanza, rischiarata solo dalla lampada che
teneva su uno scrittoio. Quelle reazioni la sorpresero; e fu per questo, per la curiosità che le
provocava il suo stesso corpo, che alzò la testa.
Allora vide, e tutto ebbe un senso.
No! L'aveva trovata anche lì!
Lasciò cadere il libro, e scattò in piedi; in soli due passi, o meglio, due salti, coprì i tre metri che la
separavano dalla porta che si apriva direttamente sulle scale. Non fu abbastanza: con la coda
dell'occhio, vide comunque il muro gonfiarsi e disegnare, a seni ed a golfi, una figura che da esso
stava sorgendo, e che lei conosceva fin troppo bene: il fisico slanciato con i muscoli delle spalle e
del petto ben definiti, gli occhi vivaci e penetranti, le mani affusolate, le gambe nervose. Il terrore in
persona, se di persona si poteva parlare.
La figura uscì dal muro, e individuò Cristina, prima che le sue mani tremanti riuscissero a girare la
maniglia; lei udì la sua voce calda ed avvolgente dire, con gioia: “Mia cara!”, ma non pensò
nemmeno a voltarsi, e si lanciò per le scale, avvertendo che, alle sue spalle, senza toccare terra, lui
stava attraversando lo spazio che li divideva.
Trovato finalmente il modo di aprire la porta, Cristina correva, ed intanto, preda del panico, si
frugava le tasche, ricordando di avervi infilato qualcosa che avrebbe potuto salvarle la vita. Non si
sbagliava, ma gli cinse le dita intorno un attimo troppo tardi: lui, infatti, proprio in quel momento
l'aveva afferrata per i capelli, e sbattuta in terra. La sua ancora di salvezza le sfuggì di mano, e la
sentì infrangersi sul pavimento del piano terra.
Sdraiata di traverso su uno scalino, l'unica cosa che le venne in mente fu di urlare. Lui se ne rese
conto, e si produsse in un agile movimento del braccio nell'aria. La gola di lei si chiuse.
“Non essere sciocca, mia cara” disse lui, scostandole con dolcezza una ciocca di capelli dal viso ed
accarezzandole il collo “questo mondo non è abbastanza grande perché tu possa nasconderti da me.
E neppure l'altro lo è, a dire il vero”.
Gli occhi di Cristina rimasero incollati sulle rosse labbra di lui, che risaltavano in maniera
particolare nel biancore del suo bel viso; in mezzo a loro spuntavano le sagome dei canini superiori,
aguzzi ed armati.